HANDBOLND AT THE UNINERSITY OF TORONTO PRESS I ro~t/ VITA DI TORQUATO TASSO I ANGELO SOLERTI VITA i>i TOR(]UATO TASSO Volume II. Parte I : Lettere inedite e disperse di T. Tasso. Parte II : Lettere di diversi a documento e a illustrazione della vita e delle opere di T. Tasso. Appendice : Lettere di vari eruditi intorno a T. Tasso e alle sue opere. .f 1895 ERMANNO LOESCHER TORINO Corso Vitt. Em., 16 ROMA Via del Corso, 307 PROPRIETÀ LETTERARIA Toiìdo — Vincenzo Bona, Tipografo di S.M. e de" KB. Prìncipi. AVVERTENZA Questo secondo voluinc nella Parte Prima è il complemento dell'epistolario, nella Parte Seconda, è di per se quasi un som- mario biografico del Tasso. Tanta quantità di documenti per potersi adoperare con vantaggio doveva essere perfettamente ordi- nata e posta a riscontro dell'epistolario prima di cominciare a scrivere la narrazione della vita: e perciò, forse anche per soverchia fiducia e fretta giovanile, fino dal 1888 ne intrapresi la stampa, che l'anno dopo era ultimata. Per varie vicende, per le occupa- zioni doverose della scuola, e per la difficoltà e varietà della ma- teria, il compimento del lavoro si è protratto fino ad oggi, e durante sei anni questo secondo volume è rimasto giacente nel magazzino. Sei anni a studio sì vasto recano facilmente materiale nuovo: così che fui costretto nel 1892 alle Aggiunte alla Parte Prima e alla Parte Seconda; ma in sei anni si acquistano anche altre cognizioni, si mutano alcuni criteri, si scoprono errori e ine- sattezze: di qui la non piccola serie di Aggiunte e correzioni con le quali oggi il volume viene alla luce. Questo secondo volume è quasi un codice diplomatico tassiano; la maggior parte dei documenti che contiene sono inediti, ma vi ho raccolti anche quelli già noti perchè fossero tutti uniti e l'uno all'altro fosse di lume e di compimento. Costretto a raccogliere tali documenti da fonti lontane disparatissime, da originali, da copie manoscritte e da stampe, ho dovuto di necessità adottare un criterio unico, rammodernando uniformemente, dentro giusti limiti, la ortografia e la forma anche di quelli che aveva da originali, non potendo sempre ricondurre alla lezione prima quelli che aveva da copie ammodernate. Ciò mi è sembrato male minore di quello che sarebbe stato una varietà di aspetto da pagina a pagina; tanto più che trattatidosi di scritture non letterarie e della fine del cinquecento la rigidezza della riproduzione poteva sembrare più una pedanteria che una necessità. Ho qui adunato nella Paete Prima tutte le lettere del Tasso edite e inedite, che mi è venuto fatto di trovare, non comprese nell'epistolario edito per cura di C. Guasti, coi tipi Le Mounier, 1853-55. Non ho potuto avere traccia alcuna di un Volumen epistolaruni rariarum autogr., di vari, fra cui del Tasso, che il To- MASiNi, Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae et privatae etc, rtini, typis Nicolai Schizatti, MDCXXXIX, p. 86, col. 2, indica come esistente nel museo già di Lorenzo Pignoria. Un foglietto lacero contenente le brutte copie, quasi illegibili, di due lettere tassiane, a quel che parvemi, inedite, è posseduto dal comm. Carlo Lozzi, di Bologna. Nel Giornale degli Eruditi e Curiosi, An. I (1883) coli. 594-8, è riferita la notizia, dalla Bibliothèque de Varsovie, giornale po- lacco dell' ottobre 1859, di certe " lettere del Tasso scritte da " Parigi „. Non ho potuto venire a conoscere di che più precisa- mente si tratti; nessuna lettera del Tasso si ha datata da Parigi. Nell'Archivio Comunale di Novellara si conserva con molta cura una lettera stimata del Tasso, e comedi lui la pubblicò in una appendice il noto Quirino Bigi, Sidla vita e sulle opere del Cardinale Girolamo da Correggio, politico-filosofo del XV (sic) secolo, Milano, coi tipi di Luigi Giacomo Pirola, 1864, in-8<*. Il vecchio archivista, morto nel 1855, scrisse sul foglio che serve di copertina a questa lettera Torquato Tasso, quindi cancellò e rivoltò il foglio e scrisse Marcantonio Tasso; finalmente cancellando Marcantonio riscrisse sopra Torquato. Nella firma il cognome è chiarissimo e cosi il ti- tolo di Mastro, il nome è di incerta lettura; conoscendo l'esistenza di altri Torquati Tassi, contemporanei al poeta, non credo che la lettera sia di quest'ultimo: Illus. Mio Signor e padron Avendo visto qui il mulatier di Vostra Signoria non ho voluto manchar di basarli le mani per questa mia et recordarli ch'io li son servitor et dolermi con lei che sapendo ch'io son qui non si vaglia di me in tute le sue occorenzie et ancho in farli esitar li deti mulli, in soma in tuto quelo ch'io vaglio e posso. dal ditto mulatier ho intesso che Vostra tìig^noria va a Roma; mi piace assai, ma mi dispiace ch'io non sou fora di un poco di bilie che io mi li oferirei a farli compagnia quando però non li tornasi incomodo et la si contentase; non di meno Signor Conte patron mio la voglio pregar a farmi favor se la si con- tenta di avisarmi quando la pensa di partirsi e se la vien per di qui per che se io potesi trovar qualche pocco di sede a questo mio travaglio e che io avessi tempo e che a Vostra Signoria non tornase incomodo veria a star a Roma con lei un mezo; però se a Vostra Signoria li sera comodo la prego a farmi favor di avisarmi del tuto o al men come la possa dirmi una parola perche disedero farli riverenzia e vederllo. Et con questa aspettacion li baso le mane et la suplico a basar le mane da parte mia a la Signora Contessa a li Signori sui fratelli dico se quivi se ne trova alcuno, e con questo li resto servitor. Di Bologna ali 24 de luio 1561. D. V. S. atf.° Mastro Torq." Tasso. Al III. Mio Sig."' et padron Il Si.' Francesco da Nuvelara a Nuvelara. Presso la nobile famiglia Cibrario di Torino, mi fu mostrato un autografo che assomiglia molto a una certa forma di carattere del Tasso. Pubblicò la lettera, con parecchi errori, il conte Ippo- lito Cibrario, nel Baretti, Giornale scolastico-letterario. An. IV, n° 23 (Torino, 1872). L'editore le assegnò l'anno 1581, senza osservare che riguardo al Tasso questa data era impossibile, essendo egli allora in S. Anna. Sul tergo dell'autografo si legge soltanto 1581 da Mo Del sig. Torquatto li 10 aprile, e non più, essendovi la- cerazione : Sabato passato andai a parlare all'amico, al passo di Sant'Ambroggi, e prima vi sarei andato, se avessi saputo dove fosse stato. Trattai seco un'ora al lungo, e cavai parole di sostanza, ma non fu possibile trarre minimo in- dicio che egli sappia ne chi facesse il fatto, ne chi lo facesse fare. Lo lasciai così irresoluto, perchè pensasse, e pensasse bene, sopra i partiti ch'io li faceva, sopra la vita che menava, al pericolo che correva, e a la moglie, e ai figliolini meschinelli. Se si appresenterà occasione ch'io possa parlare a Vostra Signoria Illustrissima, le discorrerò lungamente, dicendoli quanto mi par bene di lasciar ne la penna. Costui va in un servizio con certi amici suoi; tor- nato che sia, darò nuovo assalto, e se bene ci spero poco, non son però fuori di speranza, poiché mi ha narrato tutto il fatto come passò, non lasciandovi motivo fatto innanzi, nel fatto e dopo il fatto; che sarà il fine, baciandole la mano e pi'egandole dal Signor Iddio ogni contento. Di Mod li 10 Apr Di V. S. IH.""' obi.»"" .-^erv. perp Torq.'" — -vili È diretta: A l'Ulto Sig. mio ossJ^oUSig. Co. Fulvio Bang. Gov. di Reggio. Bene congetturò il CavedonI;, T. Tasso ospite in Modena ed i Modenesi a lui benevoli negli Opuscoli di Bel., di Mor. e di Leti., di Modena, t. IV (1858) pp. 358-60, che vide questa lettera, nel crederla di Torquato Rangoni, che fu altresì amico del Tasso, che gli dedicò il dialogo II Bangone. Nel British Museum, ms. Additional 12109, v'è la seguente let- tera che il signor E, Charles Pollak, che me l'ha comunicata, as- sicura parere originale, e la data e la firma chiarissime; a piedi della pagina si legge: S.r Aldo Manucci: 111.'"° Sig. mio oss.™° — Tornato a Ferrara di dove sono stato assente alcuni giorni, ho trovata una lettera di V. S. piena di tanta umanità, che ben mi sono avvisto che è fattura del S/ Aldo; e se perdei l'occasione che mi die il S/ Vincenti (sic) Fabretti di scriverle, m'è però giovato l'essere stato pre- venuto da lei, poiché di qui parmi fondar speranza, ch'essa alle volte abbia a favorirmi di sue lettere, e fors'anche de' suoi comandamenti. Scriva e comandi V. S. che ne la prego, e se non l'ho servita di copia della scrittura che m'ad- dimandò per essere stato mandato l'originale a Padova senza ch'alcuno abbia trovato bene il farlo transcrivere, m'arriderà più facilmente la fortuna in altro, non essend'io per ricusare in che che sia d'impiegarmi sempre in suo servizio. Non rispondo alla lettera di V. S. a parte a parte per essere a bello studio superato da lei di cortesia, che del mio vincitor mi glorio e vanto. E lasciando il superfluo, senza più le bacio le mani. — Di Ferrara, li 26 dicembre 1585. — Serv. divot.™" Torq. Tasso. Ma nell'epistolario abbiamo tre altre lettere, la 452 del 21 di- cembre, la 453 senza data, e la 454 del 25 dicembre^ in nessuna delle quali il Tasso fa parola di essere uscito di S. Anna per una gita; di pili, nel dicembre 1585 egli fu ammalatissimo (cfr. qui voi. I, pp. 407 sgg.) : per tutte queste ragioni ho preferito tenere questa lettera fra quelle di dubbia autenticità. Nel Catalogne general des mss. des Bibliothèques jnibliques des Dé- partements, voi. I, Paris, 1849, tra i manoscritti della Biblioteca della Scuola di Medicina di Montpellier, nell'illustrazione del cod. 276, con- tenente vari dialoghi del Tasso e copie di lettere del Tasso e del cardinale Albano, era detto di una lettera: ^ peut-étre le feuillet " 53 est-il autographe ... Negli Inventari deh mss. ital. delle Bibl. di Francia di G. Mazzatinti, voi. Ili, p. 79, nell'illustrazione del medesimo manoscritto, questa lettera è data senz'altro come auto- grafa. L'egregio e caro amico prof. Leon Gr. Pélissier ha avuto la cortesia e la pazienza di mandarmene un fac-simile, e a me autografa non pare; la frase me con i miei, e la data di Brescia mi fanno pensare al padre Grillo ch'era priore di quel monastero, e crederla diretta al principe Vincenzo di Mantova. Eccola ad ogni modo : Ser.™° Sig/° Havendo luogo che fra' piii degni scrittori d'Italia hoggidi meritamente tiene il Diomede Borghesi gentilhuomo di Siena e '1 divoto atì'etto col quale egli mossosi verso l'altezza vostra compose una leggiadra canzone nelle sue felicis- sime nozze, e che per sua sventura cred'egli da lei non essere stata veduta ancora, con molta raggionu al parere mio lo persuadono ad assicurarsi che alcuna sua nova conipositione nel nascimento del ser.'"" principe le pervenga alle mani et insieme col ristorarsi del passato danno ch'egli procuri che l'A. Y. et del suo valore a de la particolare affectione verso di lei a un tempo sia fatta capace. A questo fine ho preso io questo assunto di fare colla servitù mia a V. A. fidata scorta alle virtìi sue se bene con timore di turbare in parte la molta gioia di Lei. Ma che dico io turbare se questo è apunto crescerle il piacere col rappresentarle la comune allegrezza che per soverchio affetto non potend(j capire nei petti de mortali empie non sol l'aere con liete voci di ognintorno per farne fede al cielo, ma le carte di scritti ancora per la- sciarne a potere memoria semjjitema. Lietamente dunque a V. A. l'invio per- suadendomi che ove per l'eccellenza della cosa e '1 mio devoto mezzo non ba- stino, sia poi per compiutamente satisfare ch'ella gratamente le riceva, se lasciata la bassezza degli effetti si degnerà volgere il pensiero all'Altezza de le doti di Lei che n'è cagione, cagione ch'alcuni sforza a riverirla et a lodarla insieme. Io ringratio il S.""" di così segnalata gratia concedutale, et con V. A. quanto posso me ne rallegro supplicandola a ricevere me con i miei per ser- vitori del novo principe com'io già molto tempo alla sua ser.""' casa e real persona mi sono consecrato di tutto cuore. E le bacio inchinevolmente le mani. Di Brescia li XII d'aprile 1586. Riguardo alla Parte Seconda debbo avvertire che, per quanto m'è stato possibile, sono sempre risalito all'originale anche dei documenti già noti. Delle prefazioni o dedicatorie di antiche stampe ho riferito soltanto quelle che avevano un valore biografico o critico, in ciò obbedendo al desiderio espresso dal Guasti nelle Lettere del Tasso, Y. pp. 46-7: dove veramente parmi corresse tropp'oltre nel pensare che molte fossero " da lui scritte per i propri libri in " penna de gli stampatori „. Al contrario, io sono persuaso che, oltre a quelle note già e dal Guasti stesso raccolte, non vi sia che la prefazione alla stampa delle Rime. Parte Prima, Mantova. Osanna, 15ill, che si possa credere fattura del Tasso, ed è. per ogni rispetto, qui riferita nella parte IT, n.'' CCCXLYI bis fra le Aggiunte. Non ho ritrovato le seguenti lettere citate dal Serassi: 1 . Lettera di Bernardo Tasso al figlio Torquato, da Mantova, 24 dicembre 1563, cit. del Seeassi, I, 154, II, 180 n. 2 e n. 3. 2. Lettera di G, B. Strozzi a Lorenzo Giacomini Tebalducci Malespini, del 1590, ricordata dal Salvini, Fasti consolari, p. 270, nella quale si narrano alcuni aneddoti sulla- dimora del Tasso a Firenze in quell'anno. Ne parlo nel voi. I, p. 656 e n. 2. 3. Lettera di Antonio Costantini a D. Ferrante Gonzaga, del 3 aprile 1593, citata dal Serassi, II, p. 279 n. Per quante istanze e pratiche si siano fatte, non è stato possi- bile vedere un copialettere di don Maurizio Cataneo, oggi posseduto da un privato signore di Bergamo, il quale veramente gli attri- buisce un valore spropositato. È, a quel che mi si avvisa, un bel volume in-fol., di cento e più pagine, legato in cartone anticamente. Contiene lettere di don Maurizio Cataneo, segretario del cardinale Albano, e copie di lettere del Tasso al Cataneo e all'Albano; vi sono pure alcuni documenti politici. Ma io credo che esso non con- tenga cosa sconosciuta perchè il Serassi ne ebbe notizia. Infatti nella dedicatoria al cardinale Furietti del Parere intorno alla patria di Bernardo Tasso e Torquato suo figliuolo, Bergamo, Santini, MDCCXLII, lo elogiava fra l'altro perchè andava " con ogni dili- " genza mettendo insieme le polite e vaghe lettere di Maurizio " Cataneo „. Non pare che cotesto manoscritto si possa poi iden- tificare con quello di cui fece ricordo l'abate Personemi, nelle No- tizie del card. Cinzio Personemi da Ca' Passeri Aldobrandini, Ber- gamo, Locatelli, 1786, p. 35, n. 4, contenente lettere di vari a Giovan Girolamo Albano, diverso dal Cardinale, e a Carlo, suo figlio. Queste note, la bibliografia delle lettere del Tasso e le aggiunte e correzioni che seguono qui avanti, nonché l'indice delle ricerche eseguite negli archivi pubblicato nel terzo volume, credo che atte- steranno a sufficienza della diligenza usata in questo lavoro; con tutto ciò (e chi no '1 sa) omissioni ed errori vi saranno di certo : di quelle e di questi sarò grato a chi mi darà notizia. Bologna, 20 settembre 1894. A. S. A(;(iIlINTK K C()KKi:/I()NI Non parrà stiano che in tantu numero di lettere, di documenti, di appunti d'ogni sorta, sia corso qualche errore ; e ricordando ciò che ho detto, che questo volume fu stampato tino dal 1887-88 quasi per intero, sono lieto di potere oggi, dopo gli anni d'attesa, correggere io medesimo la maggior parte degli errori, molti de' quali non avrei fatti se avessi avuto allora, come ho oggi, in casa una raccolta delle stampe tassiane quasi compiuta; nella narrazione della vita nel voi. I, ho tenuto conto di tutte le correzioni che appariranno qui sotto. E, anzi tutto, debbo avvertire di essermi accorto troppo tardi che tre delle lettere del Tasso qui raccolte nella Parte I, coi n' XXVIII, XXXIII e LXXXII, erano già comprese nelle Lettere, edizione Guasti, rispettivamente ai n' 209, 1555 e 1009; per la prima non ho al- cuna attenuante; la seconda mi ò sfuggita perchò nell'epistolario è, fuori di luogo, aggiunta in fine; per la terza m'indusse in errore la diversità del destinarlo, aven- dola io trovata diretta ad Ercole Tasso e nell'epistolario essendo fra quelle dirette al Liei no. PARTE PRIMA. p. 7, 1. 26, n* V: il mio amore correggi il mio umore. p. 18, n" XVIII, nella nota bibliografica aggiungi: « È in copia nel cod. 276 della «Biblioteca della Facoltà Medica di Montpellier ». > n" XIX, nella nota bibliografica aggiungi: « È in copia nel cod. 276 della € Biblioteca della Facoltà Medica di Montpellier ». p. 20, 1. 10, n° XXI: mali soddisfazzioni correggi mule soddisfazioni. p. 27, n" XXXII: A Ferrante Spaziano correggi A Ferrante Spasiano. p. 29, n* XXXIV, nella nota bibliografica aggiungi: « Autografo nella Comunale « di Ferrara ». p. 30, n'' XXXVIII, nella nota bibliografica aggiungi: «Autografo nella Comunale « di Ferrara » . p. 31, n" XLII, nella nota bibliografica aggiungi: « Autografo nella Comunale di « Ferrara ». p. 3o, II" XLVII, nota 1 : il v. 7 del sonetto è : 0 gran centauro, o domar toro od angue. p. 34, n" XLIX, nota 1, si tolgano le parentesi quadre al capoverso citato. p. 44, 1. 5, si tolga (concisi) e sì leggano di seguito i due versi seguenti che sono iu aggiunta. » 1. 16: Atto terzo correggi Atto quarto. » 1. IS: Che solo correggi Che sol. p. 49, n-^ LXXX, alla nota bibliografica osservo che la copia autenticata dell'Arch. Gonzaga ha la data del 5, mentre il Braghirolli l'aveva pubblicata con quella del 7. Ma sapendo noi che il Tasso giunse a Roma il 5 e dicendo egli che aveva già scritto al Duca, che è la LXXXI seguente in data del 7, anche questa deve essere del 7, e si spiega facilmente la varia lettura. p. 49, n» LXXX, 1. 7: porlo sema correggi porlo sopra. p. 56, 1. 8, n° XC: Pietro Antonio annota: « Pier Antonio Caracciolo di cui parla « in altre lettere di questo tempo » . p. 57, 1. 14, n° XCI: Pietro Antonino correggi: Pietro Antonio ed è lo stesso Caracciolo nominato nella precedente. p. 60, n° XCVIII, nella nota bibliografica aggiungi: « Una copia è nel nis. Torcila». p. 63, n° CU, correggi: « A Orsina Peretti Colonna principessa di Palliano. p. 64, n° CHI, correggi la data in 13 ottobre 1583. Nell'ediz. Lanzonì-Ubaldini è in fatti 13 ottobre, ma tanto da essa, quanto per conferma del comm. Bat- taglini io aveva l'anno 1593; osservando però che è datata « dalle mie stanze », cioè da S. Anna, e il Fantini era il canonico ferrarese suo amico, la corre- zione è ovvia e l'autografo fu certamente letto male. Perciò andrebbe portata al luogo del n° XXXIII che, come ho detto sopra, va tolto. p. 66, 1. 1, n° evi: Papin correggi Papio. p. 68, nota 2: La proposta del Vinco fu testé edita dal prof. Nevati nella Rass. Bibl. d. Lett. Ital, An. II, n' 8-9, p. 247, e comincia: Tasso, che già cantasti con altero. AGGIUNTA ALLA PARTE PRIMA. p. 445-6, 1. 1, n" CHI bis: A Giambattista Manso. — Napoli. — Sopprimendo la nota 1, aggiungi nella nota bibliografica: « È a stampa come dedicatoria « ne II Manso o vero Dell' Amicitia Dialogo del Sig. Torquato Tasso. Al « Molto Illustre Sig. Gio. Battista Manso, In Napoli, ap|)resso Gio. lacomo « Carlino et Antonio Pace, MDLXXXXVI, in-8°; e nell'altra edizione di « Ferrara, Baldini, MDCII del medesimo dialogo (cfr. Appendice alle opere t in prosa cit., p. 25 e nelle Aggiunte e Correzioni) ». Dalle stampe ho miglior lezione che dall'autografo pressoché illeggibile; nel corso della let- tera alla linea 5 si legga ella si sia, e tutto il primo periodo a p. 446 così: « La prego dunque che non voglia disprezzare quel ch'io posso offerirle. E « benché il donare fosse più utile al donatore che al ricevitore, V. S. non- « dimeno nel ricevere non dee dissimulare la sua liberalità, e la cortesia, « con la quale non può ricusare l'incomodità che portano seco le amicizie « de gli uomini amici de la virtvi, ma nemici de la fortuna o da lei perse- « guitati ed oppressi. Sarà dunque V. S. libéralissima, e cortesissima in « prendere a grado » ecc. Nella sola ristampa del 1602 v'è la data: « Di « Roma a' 25 di marzo del 1 593 » . PARTE SECONDA. p. >0, n" V, ]. 1: va diretta al Cavaliere (ìiovan Iacopo Tasso, e si cancelli la n. 1. » no VI, 1. 1 : va dirotta al Cavaliere Giovan Iacopo Tasso. p. 87, n" XVI, si tonano le parentesi quadro alla data e nella nota bibliografica si legga: < L'originale ò alla Comunale di Bergamo e fu edito da G, Ravklli, « Lettere inedite di Bernardo Tasso, Bergamo, 1889, per nozze Solerti- « Saggini ». Il Ravelli pubblicò ancln' l'altra lettera di cui è riferito un periodo nella nota 2. p. 91, n* XXIV, si compia l'indirizzo: Antonio Maria de' Bossi, abate delle Fosse. p. 92, n" XXVIII, si compia l'indirizzo: Antonio Maria de' Bossi abate delle Fosse. p. 96, n" XXXVII, nella nota bibliografica: * L'autografo è nella Biblioteca dei € Principi Albani, in Urbino; cfr. Cimegotto C, Lettere di cinquecentisti « nel Giorn. Stor. d. Lett. ItaL, XXIII, p. 467; e una copia presso il signor € G. Ravelli, di Bergamo >. p. 98, n" XLIII, 1. 5 : Corne(flio correggi Cornelio. p. 101, n° LIV^, 1. 1 : si compia Monsignor Nicolò Grana; e così in nota, e altrove, p. 103, n" LIX, nella nota 1, 1. 2, correggi Erofilomachia, ed era già a stampa a Venezia, Sessa, 1578. p. 106, n" LXI, la data è 21 giugno, e si cancelli la n. 1. Il Lunedì cadde il 14; la Cronaca del Kiminaldi (cfr, qui Voi. I, p. 195, n. 2) fissa l'esequie al 21, e il Canigiani in questa lettera dice stamane. p. 108, n° LXV, 1. 10, si legga: Serenissima ha qualche libro; la parola visto non è nell'originale; nella nota bibliografica invece di Biformagioni, si legga: Carteggio del Granduca. p. Ili, n" LXXII, si compia il nome nell'indirizzo: Gianmaria Crispo. p. 117, n" LXXXIII, 1. 5: riferirà correggi riferirò. p. 121, n" LXXXIX, Correggi l'indirizzo: a Francesco de' Medici. p. 129, n' CIV, correggi l'indirizzo: a Francesco de' Medici. » n' CV, correggi l'indirizzo: Il cardinale Girolamo Albano, e nella nota bibliografica aggiungi: « Copia nel cod. 276 della Bibl. d. Facoltà Medica « di Montpellier, e. 91 r. ». p. 130, n° evi, correggi l'indirizzo: al cardinale Girolamo Albano; e nella nota bibliografica aggiungi: t Copia nel cod. 276 della Bibl. d. Facoltà Medica « di Montpellier, e. 91 v. ». » n'' CVIII, correggi l'indirizzo: ai cardinale Girolamo Albano; e nella nota bibliografica aggiungi : « Copia nel cod. 276 della Biblioteca d. Facoltà «Medica di Montpellier, e. 85 ». p. 139, n° CXXVI, correggi l'indirizzo: a Francesco de' Medici ; e nella n. 2 della pagina seguente è bene avvertire che il Ciampi si levò la risposta riferita dalla sua testa, p. 140, n° CXXVII, correggi l'indirizzo: 7/ cardinale Girolamo Albano. p. 141, n° CXXVIII, correggi l'indirizzo: Il cardinale Girolamo Albano; e nella nota bibliografica aggiungi: « Copia nel cod. 276 della Bibl. d. Facoltà € Medica di Montpellier, e. 84, con la data, e a e. 90 senza la data e con € qualche varietà à\ lezione, ma non di conto ». p. 143, n» CXXXIV, nella nota bibliografica aggiungi: < È la medesima lettera, e mal citata, come datata da Candia e diretta a Orazio Ariosto, dal Frizzi, « Memorie storiche della nohil famiglia Ariosti di Ferrara in Baccella di « opuscoli scientifici e letterari, t. Ili, Ferrara, 1774. Questo passo fu edito «anche dal Poggiau, Serie dei testi di linr/ua, I, p. 385 ». p. 158, n" GLI, nella nota bibliografica aggiungi che lo stesso Terrazzi la inserì anche nell'opuscolo Alcune lettere inedite del secolo XVI relative a T. Tasso e spigolate neW Archivio storico Gonzaga di Mantova, Bassano, Pezzato, 1880, in-8°, iier nozze Compostella-Dolfin. — Si tolga la n. 1 nella pagina seguente. p. 160, dopo il n» CLIII, si avverta che va qui il n° CCCXLII, come dirò più sotto. p. 162, n" CLV, n. 1, correggi 1587 in 1582. p. 162-3, n" CLVII, nella nota bibliografica aggiungi: « È edita anche con le « Considerazioni al Tasso di G. Galilei e Discorso di Giuseppe Iseo sopra « il poema di M. T. Tasso Per dimostrazione di alcuni luoghi in diversi « autori da lui felicemente emulati, In Roma, Nella Stamperia Pagliarini, « 1792; e Venezia, Valle, 1793 ». p. 177, si tolga la lineetta di divisione in mezzo alla pagina. » n"» CLVIII nella nota bibliografica va indicata innanzi tutto la prima ediz. in opuscolo : Sopra \ il Goffredo | Bel Signor \ Torqvato \ Tasso. \ Giudizio (-/'Orazio Lombardelli | Senese, \ Accademico Rumoroso. \ [impresa] In Fio- renza M.D.LXXXII. I Appresso Giorgio Marescotti, in-8°, pp. 12. — Fu poi accolta in fine alle quattro edizioni à(i[V Apologia del Sig. T. Tasso, Fer- rara, Cagnacini, 1585; Mantova, Osanna, 1585; Ferrara, Vasalini, 1586, e, ih., Baldini, 1586. p. 181, n» CLIX si tolga la n. 1. p. 186, dopo il n° CLXI si avverta che va collocato il n" CDXCVII, come dirò. p. 187, n° CLXV, nella nota bibliografica aggiungi: « È anche nelle quattro edi- < zioni cit. àeW Apologia del Tasso ». p. 198, n" CLXIX, correggi l'indirizzo: a Francesco de' Medici. p, 200, n* CLXXI, nell'indirizzo si cancelli il titolo: Patriarca di Gerusalemme, e nella nota bibliografica aggiungi che il Terrazzi la stampò anche nel- l'opuscolo cit.. Alcune lettere del sec. XVI ecc. p. 201, no CLXXIII, n. 1, correggi la citazione: p. 266 in 256. p. 202, n" CLXXIV, correggi la data: [Maggio 1584]. » n° CLXXV, nella n. 1, invece della citazione della lettera del Tasso si legga: « Non si sa a quale si riferisca, e forse ad una del Tasso perduta » . p. 203, n" CLXXVI, correggi la data [Agosto 1584], e nella n. 1 la citazione voi. II, ne 274 va corretta in voi. II, n" 296. p. 203-4, ni GLXXVII e CLXXVIIl sono del maggio 1586, come sono del 1586 le lettere del Tasso cui si riferiscono, per le quali cfr. la mia Appendice alle opere in prosa, p. 79. p. 204, n» CLXXVIIl, n. 1, compiere la citazione no 284, e n' 509 e 510. p. 204, n° CLXXIX, n. 1 : la traduzione del Gentili che il Castelvetro inand» da Londra non era quella qui citata, ma la seguente: Sohjmeidos Uh. I latinis numeris e.vpressit Scipio Gkntilis, Lendini, apud Wulfiuin, 1584, in.4°. p. 205. n" CLXXX corregpji la data: [Maggio 1584], e nella n. 1 leggi: con In lettera voi. IT, no 271. p. 206, ai n' CLXXXIII e CLXXXIV va accostato il n" CDLVI cni si può ap- porre la data del novembre 1584. p. 208-9, n' CLXXXVII e CLXXXVIII furono aceolti dal Ferrazzi anche nell'opusc. Alcune lettere del sec. XVI cit. p. 220, n» CCIV, nella nota bibliografica aggiungi: « È anche in Lettere inedite « del Cardinale Scipione Gonzaga con note di L. N. C [ittadelln] ferrarese, € Ferrara, Bresciani, 1856, iu-><° ». p. 225, n" ce VII, nella nota bibliografica aggiungi: « È anche nella ristampa «della Risposta dell'lNFAKiNATO, Mantova, Osanna, 1585». p. 227, n» ce Vili, nella nota bibliografica aggiungi: « È anche nelle Lettere ine- € dite del Cardinale Scipione Gonzaga cit. qui sopra per il n" CCIV ». p. 228, n» CCIX, nella nota bibliografica aggiungi: « È anche nelle Lettere ine- * dite del cardinale Scipione Gonzaga cit. ». p. 229, n" CCXI, nell'intestazione togli la parola [Dedicatoria] chò non è; e nella nota bibliografica aggiungi: « È anche nella ristampa della Lteplica, «Mantova, Osanna, 1586; e wqW Infarinato secondo, Firenze, 1588, infram- < mezzata da osservazioni dell'Infarinato » . p. 231-3, n' CCXII-CCXIII, nelle note bibliografiche aggiungi: « Edita la prima < volta neìV Infarinato secondo, Firenze, 1588 ^. p. 240, n' CCXXIV-CCXXV, nota come sopra. p. 243, n' CCXXVIII-CCXXIX, nota come sopra. p. 248-256, n' CCXXXV-CCXXXVI-CCXXXVII.CCXXXVIII-CCXXXIX.CCXL- CCXLI, nota come sopra. p. 260, n» CCXLV, nella nota bibliografica aggiungi: « Fu riportata anche dal « Maz/uchelli, Lettere ed altre prose inedite di T. Tasso, Milano, 1822, « append. n° XII » . p. 262-3, ni CCXLVII-CCXLVIII, nella nota bibliografica aggiungi: « Fu edita « la prima volta neìV Infarinato secondo, Firenze, 1588 ». p. 265, n* CCL, nota come sopra. p. 268, n' CCLVI-CCLVII, nota come sopra. — Al n° CCLVI, linea 6: Evenuta una correggi È venuto uno. p. 269, n" CCLVIII, nella nota bibliografica 1. ultima: con licenza di Guperio correggi con licenza de' Superiori. p. 285, 1. 8: ^ più gelata correggi: e più gelata. p. 286, n. 1, aggiungi: ma cfr. n" CCLXXXVIIL p. 301, n» CCXCII nella n. 1 si cancelli l'ultima parte e si supplisca: e le cita- zioni si riferiscono dlVedizione delle sue Rime. Parte quarta e quinta, Ge- nova 15S6. p. 308, 11' CCXCVII-CCXCVIII : Don Gregorio Capilluti correggi Don Gregorio Capilupi, e nota che furono edite dal Ferrazzi anche in Alcune lettere inedite del sec. XVI cit., sempre con il nome errato. p. 310, 11" CCCI, 1. 10: 0 carte 72 n. 3 correggi a carte 72 v. 3. p. 31_*, n" cecili, se il 25 giugno l'Oddi era ancora a lioma (ii'^ CCII) non si — XVI — capisce come possa aver scritto questa da Palermo il 27, che più giorni oc- correva per tal viag^gio a' quei tempi. E però stimo che Palermo nella data scrivesse l' Oddi per forza d' abitudine, ovvero che la lettera sia del 27 luglio. p. .'^6, n" CCCIX nella nota bibliografica aggiungi che, come dico nella Vita, il MoPESTiNO, T. Tasso a Napoli, I, pp. 120-31 la dimostrava apocrifa. p. 327, Allegato, correggo con la copia diretta avuta dal R. Ardi, di Stato di Simancas, Registro de oficio y de particulares, n' 777, e. 93: 1. 5 dotte — dote 1. 8 escurescan — oscurescan 1. 1 1 por el ducque — por el, el ducque 1. 13 feunda — funda 1. 13-4 que a legar — qiie alegar 1. 15 periene aere — pertenesiere. Nell'originale poi alla firma del Re, se- guono le firme dei consiglieri e questa nota : « Al V. Rey de Nàpoles, que « haga administrar justicia à Torquato Tasso sobre la cobran5a de la dote « de su madre que pretende (Intercede por el el Duque de Urbino) » . p. 332, n® CCCXXXII, 1. 5 : e non accada — e non accade. p. 333, n" CCCXXXIII, nella nota bibliografica leggi : « Archivio Gonzaga; Roma; « E. XXV, busta 952 ». — Dietro alla lettera è notato per memoria: € Scudi 100 per il Tasso >. — Nella busta 2230, e. 11 delle Minute di lettere della Cancelleria v'è anche la minuta di questa. Fu edita dal Fer- razzi nell'opera Alcune lettere inedite cit. » n° CCCXXXIV ha nell'Arch. Gonzaga la posizione della precedente. Anche questa fu edita dal Ferrazzi nell'opusc. cit. p. 334-5, ni CCCXXXVI-CCCXXXVII, anche queste furono edite dal Terrazzi nell'opusc. cit. p, 336, n" CCCXXXIX, a proposito della data osservo che il Tasso fa a Firenze nell'aprile 1590 e non 1591. p. 337, n" CCCXLII, è del 1581 e non 1591, e va perciò portata addietro dopo il n» CLIII, e p. 160. p. 348, n" CCCLVII, nella nota bibliografica aggiungi: « R. Archivio di Stato in «Parma; Copialettere di Ferrante II Gonzaga, 1587-94; Carte Gonzaga, «Mazzo 41 ». — Alla linea 3 correggi deìVanima noatra in delVamicizia nostra. p. 350, n" CCCLXII, nella nota bibliografica aggiungi: « Fu edita per intero da « G. Ravelli in Lettere inedite d'illustri scrittori italiani pubblicate per le « nozze Falcionelli-Ravelli, Bergamo, Cattaneo, 1894 ». p. 353, n° CCCLXVII, si cominci la lettera : «... E per uscire omai dalle ma- « terie tragiche mando > ecc. — Nella nota bibliografica aggiungi : « Fu « edita anche nel Borgkini, An. Ili, n° 20 (Firenze, 15 aprile 1877) col « titolo Alcuni fatti e due sonetti di T. Tasso », con la data 18 marzo. p. 354, 1. 2: giotii correggi giorni. p. 366, n" CCCLXXIX, nella nota bibliografica 1. 2, in alcuni esemplari MCII in- vece di MDCII. p. 872, n° CCCLXXXIX nota: « È vero che la edizione spropositatissima del « Davanzati legge Tassino, ma il Volpi corresse nella ristampa Trissino; « non so se bene, ma non è inopportuno ricordarlo ». p. 385, 1. 3: comunicato correggi canonicato. p. 388, no CDXXVII, 1. 8: sentire atto correggi sentire, atto p. 389, 1. 4: coppia correggi copia. — xvn — p. 389, 1. 34: due signori. Credo che bene sì apponesse già il Serassi nel conget- turare che si debba leggere due servitori. » 1. 35: Lenzoni correggi Fenzoni. » 1. 39: co' morti correggi co' morti;. p, 390, 1. 16: di dottrina correggi di dottrina,. \>. 402, no CDXLVr, n. 1 va annullata. p. 406, n" CDIiVI, si può apporvi con certezza la data Novembre 1584 e va unita ai n' CLXXXIII e CLXXXIV. p. 418, n'^ CDLXXXl annota: Nella Vita di Iacopo Pergamino Forsempronese brevemente descritta da F. M. Torricelli'^, Fossonibrone, Monacelli, 1881, in-16", p. 13, si attribuisce con giuste ragioni la data dell'agosto 1501 a questa lettera. p. 432, n° CDXCVII, oltre l'edizioni citate nella n. 1 a p. 435, si legge questa lettera nell'ediz. della Gerusalemme, Venezia, Percliacino, 1581, come diretta Ai lettori, con qualche varietà di poco conto. p. 435, n° CDXCVIII. Si può senz'altro allogare tra quelle del 1592, per la frase che afferma il Tasso in casa di Matteo di Capua. AGGIUNTE ALLA PARTE SECONDA. p. 449, n° LXIII bis, compiere l'intestazione: Pier Vettori a Vincenzo Borghini padre Priore degli Innocenti. p. 450, n* CXXVI bis, l'intestazione va invertita così: Francesco I de' Medici Gran Duca di Toscana a Maffeo Veniero — Venezia, e la data da Firenze. p. 450, n" CXXVI ter, 1. 15: con un un correggi con un. p. 458, n" CCLXVII bis, deve leggersi CCLVIl bis, e va tolta la data 1586 erronea. p. 461, n" CCCXLVI bis, la lettera è datata P Novembre 1591. p. 462, n° CCCXLVI ter, 1. 1: Lelia correggi Lelio. Annota: « Questa lettera ha € riscontro in quella del Tasso, V, n° 1375, che è diretta a Gian Francesco « Arrivabene. Non so se in una delle due sia errore, o se si tratti per Lelio «di un parente addetto all'ambasciata di Roma retta da Gian Francesco». APPENDICE. p. 487, n° XV, nella nota bibliografica compi: voi. I, pp. 407-16. p. 530, n* XIX va corretto in LIX. INDICE. p. 533, colonna 2, vanno tolte l'indicazioni di Novllara (Da Francesco, conte, 110 e di Rovere (Della) Guglielmo I, duca d'Urbino 111). SoLBBTi, La viia di T. Tasso li. — XVIIl — Avverto da ultimo che alcune altre lettere o perchè dimenticate, o perchè cono- sciute 0 giuntemi troppo tardi anche per disporle nelle aggiunte a questo volume secondo, ho inserite a' luoghi opportuni nella narrazione della vita, e sono le se- guenti in ordine di data: I. Brani di lettere di leronimo Muzio a Francesco Bolognetti del 14 settembre e del 15 ottobre 1566. Questi veramente ho creduto proprio più opportuno riferirli nel testo della narrazione, Voi. I, p. 45. 2-5. Tre brani di lettere di Bernardino Baldi a Pier Matteo Giordani, dell'S di- cembre 1578, dal 24 settembre e del 4 . novembre 1581, nel Voi. I, p. 344 n. 2 e p. 347 n. 5. 0. Brano di lettera di Tommaso Costo a Camillo Pellegrino, del 12 ottobre 1585, nel Voi. I, p. 597. 7-9. Tre lettere di Ascanio de' Mori a Torquato Tasso, del 1° aprile 1586, 20 luglio 1587 e 15 aprile 1588, nel Voi. I, p. 502 n. 3, e p. 503 n. 1. 10. Lettera dell'Accademico Sfregiato a Torquato Tasso, del 25 febbraio 1587, nel Voi. I, p. 529 n. 2. II. Brano di lettera di Girolamo Giglioli al Duca di Ferrara, del 28 aprile 1593, nel Voi. I, p. 758. 12. Lettera di Scipione Ammirato al cardinale Cinzio Aldobrandini, del 1593, nel Voi. I, p. 738 n. 3. 13. Lettera del cardinale Cinzio Passeri Aldobrandini al Duca d'Urbino, del 6 no- vembre 1593, nel Voi. I, 761 n. 3. 14. Avvisi da Roma, 8 e 22 aprile 1595, nel Voi. I, p. 806 n. 1. 15. Avviso da Roma, 26 aprile 1595, nel Voi. I, p. 812 n. 3. 16. Avviso da Roma, 3 maggio 1595, nel Voi. I, p. 808 n. I. 17. Brano di lettera di Matteo Maria Parisetti al Duca di Ferrara, 6 maggio 1595, nel Voi. I, p. 807 n. 3. 18. Lettera di Belisario Bulgarini a Lorenzio Giacomini Tebalducci Malespini, del 1° aprile 1596, nel Voi. I, p. 817 n. 1. • 19. Lettera di Federico Follino al Duca di Mantova, del 24 novembre 1605, nel Voi. I, p. 474 n. 3. 20. Lettera di G. B. Manso ai Frati di S. Onofrio, del 25 marzo 1613, nel Voi. I, p. 724 n. 4. 21. Lettera di Paolo Gualdo a Galileo Galilei, del 13 dicembre 1614, nel Voi. I, p. 451. 22. Lettera di Francesco Rinuccini a Galileo Galilei, del 22 ottobre 1639, nel Voi. I, p. 451. BIBLIOGRAFIA DELLE LETTERE INEDITE E DTSPKUSE DI rORQUA.TO T^SSO BIBLIOGRAFIA delle lettere inedite e disperse di TORQUATO TASSO A) Manoscritti. 1. Lettere e Poesie \ Inedite \ di \ Torquato Tasso \ raccolte da \ Filippo Stampa \ 1774; in-fol. di pp, 393 -j- 2:^ n. ii.; 1<; ultime contengono gli indici. Manoscritto preziosissimo, perchè lia fornito la maggior parto delle lettere inedite, posseduto dall'avv. M. Mariani, di Roma; potei averlo presso di me merco l'inter- cessione del compianto march. Gaetano Ferraioli. Era evidentemente preparato por la stampa come si comprende dalla disposizione del titolo e dalla graBa accurata. Oltre le lettere, contiene moltissime rime, la più parte inedite; cfr. la Bihìioffrafìa dei manoscritti, nelle Opere minori in versi, voi. IV, pp. xxxix-xl. — Sull'auten- ticità delle lettere contenute in questo manoscritto non è da avere alcun dubbio per queste ragioni: prima, che contiene lettere che erano inedite quando fu fatta questa raccolta nel Ì770, e che poi furono pubblicate traendole da altra parte; se- condo, che alcune ancora inedite oj^'j^i si trovano parimente altrove; terzo, perchò alcuno lettere del codice vanno accompagnate da sonetti che erano già editi; quartn, per alcune lacune e correzioni che mostrano come il copista avesse dinanzi gli auto grafi, e non di raro chi ha molta pratica della grafia del Tasso, capisce la causa dell'incertezza della copia. 2. Ms. della Biblioteca Estense, segn. II. F. 18: autografo, in-fol.. di ce. 132 num. ree, rilegato in pelle. Contiene rime del Tasso, e però cfi'. la Bibliografia cit. nelle Opere, tninori in versi, pp. viii-ix; ma a e. 131 contiene la sola lettera qui pubblicata al n" XXIII bis, ira le Aggiunte (p. 443). 3. Biblioteca Comunale di Ferrara ; Lettere autografe del l'asso, in vetiina. Sono queUe qui edite ai n' XXXIV, XXXV, XXXVIII, XLII, XXXIX bis e XLI bis fra le Aggiunte. 4. Ms. della Barberiniana di Roma, XLV. 89, autografo, di ce. 8(5 num. in-fol. , rilegato in pelle con le armi del cardinale Barberini. — Il ms. »' formato da fogli di lettere, talvolta con rime, spediti dal Tasso a Matteo di Capua conte di Paleno, dal 1588 al 1592; cfr. la Biblio- grafia cit. neUe Opere minori in versi, voi. IV, pp. iv-v. In fine con- tiene la lettera scritta dal Tasso a nome di Matteo di Capua, qui edita al n" CIX bis fra le Aggiunte. 5. R. Arcliivio di Stato in Modena; Cancellex-ia ducale; Letterati. — Vi sono parecchie lettere del Tasso le quali sono state pubblicate dal Cibrario ; se ne trova copia anche fra gli spogli deirarchivista G. Campi ; cfr. qui appresso fra le stampe, il n" 4. — XXII — 6. Ai-chivio Gonzaga in Mantova; Autografi di poeti: T. Tasso. — Vi sono molte lettere del Tasso, le quali sono state pubblicate, ma ti'oppo spesso molto scoiTettamente, da A. Portioli; cfr. qui appresso fra le stampe i n' 8 e 12; una fu anche pubblicata dal Ferrato, cfr. n° 11, e una dal Bertolotti, cfr. n" 13. 7. E. Archivio di Stato in Venezia; Senato TeiTa; Reg. 44, e. 23 r. — Vi son le lettere qui edite al n° II e C bis tra le Aggiunte. 8. H. Archivio di Stato in Lucca; Consiglio Generale; Scrittui'e del 1562. — V'è la lettera qui edita al n" I. 9. E, Bibhoteea Nazionale di Napoli; Scanzia XII. n" 38. — Tra le carte del cardinale Seripando v'è l' autografo della lettera qui edita al n" XCVIII; cfi'. qui appresso fi'a le stampe il n" 5. 10. E. Biblioteca Braidense di Milano. — Vi si conserva in vetrina l'au- tografo del n° XXX. 11. Biblioteca Comunale di Verona. Vi si conserva rautografo del n" CV; cfr. qui fi'a le stampe il n" 8. 12. Autografo in vetiina a S. Onofrio. V'è la lettera qui edita al n° CHI bis fi'a le Aggiunte; ma era già in due edizioni sfuggite al Guasti, come a me, da principio, e daUe quali si ha una lezione più corretta di quello che è possibile ricavare dall'autografo assai logoro ; v. perciò qui tra le Aggiunte e Correzioni. Era premessa al ms. con coiTezioni autografe del dialogo // Manso o vero de l'Amicizia che è oggi al British Museum Addit. 12046, come ho potuto verificare dopo ap- parsa V Appendice alle opere in prosa, ove v. p. 60, n° 28 e ti., ma cfr. qui Voi. I, p. 724 n. 4. — Fu stampata in fronte a detto dialogo, In Napoli, appresso G. I. Carlino e A. Pace, 1596, e In Ferrara, Per Vittorio Baldini, 1602; cfr. VAjjpendice alle opere in prosa, p. 25, n" 16 e neUe Aggiunte e Correzioni. B) Stampe (1). 1. Lettere inedite d'alcuni illustri italiani, Milano, Presso 1' I. E. Stabi- limento Privilegiato Nazionale di P. Ripamonti C'arcano, Tipografo e Calcogi'afo, 1856, in-8". Pubblicate dal can. W. Bragliirolli per nozze Cavriani— Lucchesi-Palli. Vi sono le lettere del Tasso, qui edite ai n' LXXIX, LXXX e LXXXI. 2. Lettera con .^icxnetto inedito di T. Tasso nella Appendice alle Letture di Famiglia, Fii'enze. 1858, t. V, p. 464. Cfr. il n* seguente. (1) Per altre pubblicazioni parziali di lettere del Tasso, apparse dopo, ma con- tenenti lettere già comprese nella raccolta del Guasti, cfr. V Appendice alle opere in prosa, pp. 98-99. ■5. lji'ft*T(( con sitiicitit iiiiilHi) ili 7'. '/'asso iiiridln ila /•'. Cttsittti u ('rstirr (ÌKdsti e ilii tjiicsfo indilli ifdtii hi /)flni(i rolla in Fiifiic- ni'/lr " Lct- tiuf di Faiiii<,'liii ,, Nap(»li, Stai». 'l'i|». di A. Morelli. lH5i>. in-H", p. S. Il V. è bianco; p. 3 lettere di C. Guasti, in data di Firenze l'J aprilo 1859, al barone Francesco Casotti; p. 4 bianca; pp. 5-8 illu.strazioni e testo, in forma di lettera diretta al Guasti, in data di Lecce 2 febbraio 185!). La lettera e il sonetto furono trovati nell'urohivio dei Papadia di Galatina, un Baldas-;are della qual fa- miglia, erudito e jìoeta del secolo scorso, ebbe rauto<,'rafo in dono dall'amico suo P. A. Serassi. — La lettera ò quella qui edita al n" XXIX. 4. Ijithrc iniiliti' ili Siinli, l'njii, l'tiinijii. Illusili ( linriirri i- Ldlmili, lon note, i: illustrazioni dil Cariiliifri' Li lui ('ntifAiiiu, Tonno, Eredi Botta, 1861, in-S". .\ p. 405-41 v'è uno studio IJeijli Amori e della Prigionia di Torquato Tasso. Discorso /'ondato su documenti inediti dell'Archivio Estense, al quale seguono al- cune lettere ile?,di Estensi, e di Lucrezia Bendidio; da p. 471 a p, 486, otto lettere del Tasso tratte dall'Archivio Estense. Di questa parte del volume, pp. 405-486 v'ò un estratto con copertina propria e col titolo qui riferito, Torino, eredi Botta, 1862, in-8», pp. 86. 5. Lette/a di 'iortjaato Tasso a l'incrmo ('a raccii/lo lU'Wn liicisla Xa/io- h'tana, An. II. Xapoli, 1" novembre \HiV-ì. Edita dal prof. De Blasiis di su l'autografo esistente )iella Nazionale di Niipoli; cl'r. qui addietro tra i mss., n" 9; la lettera è qui al n° XCVIIl. (). Dodici Lettere \ di \ Tori[iiat() Tasso \ delle (/aali una fn-r la jiriaai colta pubbiicata | le altre ijià spartaniente impresse \ ora di naoro ca- cate dai Mss. e qui insieme raccolte come | Appendice | alla pretjeco- lissima edizione \ delV Epistolario di Lui \ fatta in Firenze, Le }foiniii r lsr)2-55. I Faenza I Tip. di An.irelo Marabini | 1868; in-8", di pi». 24. Sulla copertina: « Per le nozze | Zanibrini-Della Volpe ». Segue il fronte riferito, p. 1; p. 2 è indicato: « Edizione di picciol numero di esemplari fuori di commercio »; p. 3 dedica a Francesco Zambrini; p. 4 bianca; pp. 5-6 lettera allo stesso, in data di « Faenza nella Primavera del 1868 », di D.Filippo Lanzoni e Angelo Ubaldini. Segue il testo delle lettere, pp, 7-24, delle quali le prime sei sono di quelle edite dal Cibrario (cfr. qui sopra n° 4); la settima ò quella qui indicata ai n' 2-3; l'ot- tava, la nona e la decima sono quelle edito dal BraghiroUi, v. qui n" 1; l'undecima è quella già raccolta dal Guasti col n° 1331, ma poi data come inedita dal Bonucci fra le Lettere volgari di diversi nobilissimi uomini ecc., Firenze, Molini, 1865 (cfr. Appendice alle opere in prosa, p. 98); la dodicesima è la inedita, tratta dal- l'autografo posseduto dal conte G. C. Battaglini di Kimini, e qui raccolta sotto il n' CHI, ina per la data v. le Aggiunte e Correzioni. 7. Scritti inediti di Torquato Tasso per Attimo Fuktioli, nella liicista Europea, voi. Ili, fase. Il, Firenze, 1870. Vi sono estratti in-S" di pp. 32. Le lettere sono tratte dall'Archivio Gonznga. Cfr. la recensione néiVArch. Stor. Ital., S. Ili, t. XVI, p. 499. liingrazio il cav. Stefano Davari e il dottor A. Lazio della collazione, troppo necessaria, che essi ne fecero per me, con gli originali. 8. Una inedita lettera di Torquato Tasso e l'epistolario dei conti Di Se- rego in Verona nella Rivista Universale, Firenze, agosto 1873. Vi sono degli estratti. La pubblicò il can. G. C. Giullari dall'autografo della famiglia Di Serego; ora si trova nella Biblioteca Comunale di Verona con le altre carte dell'Archivio Serego. La lettera reca qui il n" CV. — XXIV — 9. Cinttnieiiilatlzie e Lettera inedita rìi T. Tasso neWArc/iirio Storico Lombardo, An. IV (1877), p. 250. G. Porro Lambertenghi trasse dal codice Trivulziano 1587 la lettera che qui reca il n" XXXIIl, ma anch'io tardi m'accorsi che è già nelle Lettere, V, n° 1555 perchè giunse al Guasti compiuta la stani]ia ; cfr. Appendice alle opere in prosa, p. 98. 10. Lettere inedite di Giambattista Guarino e di Torquato Tasso tratte dai/li aiitograp custoditi nell'Archivio Storico de' Gonzaga in Mantova, Mantova, Stab. eredi Segna, 1878, in-8". Edite ])er cura del cay. prof. Pietro Ferrato, per nozze Bernini-Zilli, in Polesine, 2ò febbraio 1878. La lettera è qui raccolta sotto il n" LXXI. 11. A. Portigli, Un episodio di T. Tasso neW Archivio Veneto, t. XIX, parte II (1880), p. 265. Vi sono estratti. Le lettere del Tasso e di altri sono tratte dall'Archivio Gonzaga. 12. A. Bektolotti, Torquato Tasso a Torino e a Roma nel Filotecnico, Rivista! mensile, An. I, fase. I, 15 dicembre 1885. Pubblicò la lettera qui raccolta al n° XX, traendola dall'Archivio Gonzaga. 13. A. Solerti. Una lettera inedita di T. Tasso intorno alla revisione della " GeiTisalemnie „ nella Gazzetta Letteraria, An. XI, n" 26, To- rino, 1887. È quella che qui reca il n" V, tratta dal ms. Mariani. Fu riportata nell'eco di Bergamo, An. Vili, n» 151, 6 luglio 1887. 14. A. Solerti, Anche Torquato Tasso ? nel Giornale Storico della Lette- ratura Italiana, voi. IX, p. 431, Torino, 1887. È edita la lettera che qui reca il n° VII, e recai anche parte del n° Vili, tratte entrambe dal ms. Mariani. 15. Cinque lettere inedite di Torquato Tassa ad Aldo Manuzio pubblicate pier nozze Renier-Campostrini a cura di A. Solerti, Torino, tip. Ba- glione 1887. Edizione di 40 esemplari numerati, dei quali 12 in carta a mano. Sono le let- tere XXII-XXVI, tratte dal ms. Mariani. 16. Luigi Vixci, Un jweta fermano del secolo XVI e una lettera inedita di Torquato Tasso nelle Noterelle Fermane per l'anno 1892. Fra la Tenna e l'Ete, Correggio, Palazzi, 1892, pp. 143-181. Dall'Archivio della famiglia Vinci, il conte Luigi trasse la lettera qui raccolta al n» CVIII, perchè giunta in ritardo per collocarla a suo luogo secondo la data, 17. Un giudizio critico di Torquato Tasso, Padova, tip. Fratelli Gallina, 1892, in-8°, p, 16. Pubblicato da A. Belloni per laurea di G. Cogo. E una lettera che, sotto il nome del Tasso, si trova premessa a La Màlteide \ Poema | Del Signor Giovan.m Fratta | Gentiluomo Veronese \ Composto al Sig.^ \ Serenissimo Don Ranuccio Farnese ) Duca di Parma, di Piacenza | et alla Sua Altezza. | Con Privilegio. | In Ve- netia | Appresso Marc' Antonio Zaltieri | MDXCVI; in-4''. — Di alcun dubbio sulla sua autenticità discorro nella Vita, voi. I, p. 801. — Anche questa pubblicazione avvenne quando questo volume era stampato, e ho dovuto perciò allogarla come meglio ho potuto al n'^ CIX. ì PAETE PRIMA LETTERE INEDITE E DISPERSE DI TOKQUATO TASSO Solerti, La vita di T. Tasso, U. I. Alla Repubblica di Lucca. Torquato, di raesser Bernardo Tasso, cittadino napoletano, aifezionatis- simo servo loro, espone con debita riverenza, che avendo tirato a fine un'opera volgare intitolata Binaldo Innamorato, e mandatola in luce, sentendo che in questa loro Repubblica vi si trova l'impressore (1) vorrebbe che le si degnassero concedergli per loro benignità, che l'opera sua non si potesse stampar per tempo di dieci anni prossimi, come di già gli è stato conceduto da altri signori. Però le prega, insieme col loro Maggior Consiglio, a consolarlo di questo suo desiderio, quando le paia conveniente ed onesto e consueto farsi ad altri che portano buona volontà alla città loro, come fu esso parato sempre a giovarle in tutto quello che possa. Ed il Signore Iddio le contenti come più desiderano. [Maggio 15(32] (2). I. — R. Archivio di Stato di Lucca; Consiglio generale; Scritture del 1562. (1) Intende che essendoci uno stampatore a Lucca v'era pericolo che questi ri- stampasse il Rinaldo, qualora egli non avesse avuto il privilegio. (2) In calce alla lettera è questa data: XII maij 1562. Ponatur ad M. C. G. (Maiorem consilium generaìem) che indica probabilmente l'arrivo della domanda. Segue poi quest'altra annotazione: XII Junii 1563. Quod auctoritate etc. supra- scripto supplicanti intelligatur et sit concessum ut petitur prò decem annis prò- ximi^ et pena impressoris contrauenientis ultra amissionem lihrorum impressorum intelligatur et sit scutorum quinquaginta applicandis prò tertia parte nostro co- mimi, prò alia cxecutori et prò alia ipsi supplicanti. — 4 — II. Al Doge di Venezia. Essendo per lunga usanza la Serenità "Vostra munificentissiraa e lar- ghissima de le sue grazie ai suoi servitori e specialmente (1) di grazie- giuste e lecite, però io Torquato Tasso di M. Bernardo, servitor umi- lissimo di Vostra Serenità, la supplico umilmente a degnarsi di conce- dermi grazia, che per spazio d'anni quindici, niun altro che io possa stampar, né far stampar o stampato vender il libro mio intitolato il Rinaldo di Torquato Tasso, senza mia licenza o di coloro che avranno causa da me, sotto le pene consuete in simil materia, non essendo onesto che alcuno defraudi a le altrui fatiche; ed a la grazia di Vostra Serenità mi raccomando. [MDLXII. Die XXX Maggio] (2). III. A Pietro Martire Cornacchia. — Mantova (1). Il cortese ufficio usato da V, S. in chiamarmi a Mantova per la malattia di mio padre, quanto è riuscito poi men necessario, tanto m'è stato più grato, avendomi fatto conoscere senza mio fastidio alcuno l'amorevolezza sua, e la cura che tiene di me e delle cose mie, e come ch'io prima mi persuadessi d'esser amato da V. S., ho avuto non di meno carissimo che gli effetti m'abbiano confirmato in questa opinione. La ringrazio adunque di tutto cuore; e da ora innanzi mi prometterò da lei questi medesimi uffici d'amorevolezza in ogni occasione, siccome all'incontro io m'offero prontissimo ad ogjii suo servigio. Mio padre è levato e gli bacia le mani, ed io similmente, e viva lieta. Di Mantova il nono d'ottobre del LXVI. II. — E. Archivio di Stato di Venezia; Senato Terra; Eeg." 44 a e. 23 r. (1) L'originale ripete due volte: et specialmente. (2) La data è nel registro prima della lettera, alla quale segue questa nota: Di detto Quod supplicanti concedatur quantum petiit per spatium annorum quindecim sub poena contrafacientihus ducatorum centiim prò qualihet vice, quorum medietas sit applicata arsenatui nostro, et alia medietas ipsi supplicanti qui teneatìir obser- uari ordines nostros in materia stamparum. — 143 — 3 — 2 a 31 Maggio 1562 furono fatte lettere patenti. III. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Scritti inediti di T. Tasso, Firenze 1870; Estr. dalla Rivista Europea; voi. Ili, fase. 2»; p. 13. (1) Il Cornacchia era castellano di Mantova. ì IV. A Pietro Martire Cornacchia. — Mantova (1). Ragionai con mio padre a lungo, intorno a la elezione del luogo- tenente, il quale cercò d'informarsi minutamente di tutte quelle persone che potessero essere atte a questo ufficio : gliene furono proposti molti alcuni de' quali egli rifiutò come poco idonei, o poco grati per la so- spezione di parzialitfi, alcuni altri che gli sarebbono piaciuti, non vol- sero intenderne alcuna cosa, e questi furono M. Adriano Pellicelli , e M. Lodovico Bottaciari, insomma in tanta penuria d'uomini sufficienti e dabbene, mio padre ha eletto per miglior soggetto d'ogni altro, M. Andrea Bertano. Egli è uomo di buona età, ed atto ad ogni fatica; non inte- ressato in alcuna di queste fazioni, assai comodo di facoltà, onde si può presupporre che non sia per fiire cosa alcuna ingiusta; persona assai onorevole e grata a l'università di questa terra. Ma prima che si sia determinato altro ne ho voluto dare avviso a Vostra Signoria, per vedere se il giudizio suo e la soddisfazione del signor Duca, si conformano co '1 parere di mio padre; frattanto il vicario supplirà ove manca la debolezza di mio padre e si è proibito a Pier Giovanni, che per conto nessuno non si frammetta nella amministrazione di questo governo. V. S. mi farà favore a darmi quanto prima risposta, e se in alcuna occorenza io potrrò mai servirla, sappia che io son desideroso di pagarle parte de' molti obblighi che ha seco mio padre, e le bacio le mani. Di Ostidia al 7 d'agosto 1569. V. A Scipione Gonzaga. — Roma. Quando scrissi a V. S. l'altro giorno non avea letto Omero di fresco, e tutto ciò che affermai, forse troppo audacemente aff"ermai, fidandomi ne la memoria. Ho poi in questi giorni trascorso Y Iliade , e trovo non mi essere ingannato punto; anzi ho trovati molti altri luoghi in mio IV. — Archivio Gongaga. — Portigli A., Op. cit.; pag. 14. (1) Questa lettera è accennata dal Tasso in un'altra sua del 13 compresa nel- l'epistolario edito dal Cb. sig.' C. Guasti, al V. 1", p. 19, lett. 9. La morte del padre suo, avvenuta il 4 del seguente Settembre, tolse ogni ragione alle cose discorse in questa lettera [Nota del P.]. V. — Ms. Mariani; pag. 59. — Solerti A., Una lettera inedita di T. T. in- torno alla revisione della Gerusalemme, in Gazzetta Letteraria, An. XI, n.""» 26; Torino, 25 Giugno 1887. Por la data di questa lettera cfr. le ragioni addotte nel- l'articolo sopraccitato. — 6 — favore, i quali se V. S. il giudicherà necessario, scriverò partitamente- quali siano. Dirò per ora sol questo, che in quella battaglia, pure in assenza d'Achille, e innanzi all'ottavo libro, i greci restano con vantaggio, e che in tutti i duelli fatti in assenza d'Achille i greci sono o vincitori, 0 superiori : vincitore Menelao di Paride, Aiace superiore ad Ettore. Dico di più : che ne le battaglie generali più avverse per li Greci (nondimeno considerando il valor e l'opera de' particolari) prevagliono sempre i Greci a' Troiani, e tanto basti in quanto ad Omero. In quanto a Virgilio, i Troiani nel Lazio incorrono in molte difficoltà, ma pure in ogni zuffa sono superiori, benché a questo si può rispondere che i casi non sono pari, essendo Enea presente. Pure io vo' attribuire molto a Goffredo, e questo m'insegna Omero, appo il quale volendo Giove dar gloria e vittoria ad Ettore, non gliela vuol però dare sinché Aga- mennone ferito non esca da la battaglia, perchè il buon Ettore sta di piatto, finché Agamennone l'abbatte. Ma per sigillare ogni cosa con l'opinione espressa d'Aristotele, quella grande e subita mutazione, e quel presto risorgimento dopo un'intera caduta, per così dire, che V. S. mostra desiderare, farebbe la favola doppia e sarebbe peripezia, a la quale (se dovesse essere perfettissima) dovrebbe essere accompagnata l'agnizione. Ed Aristotele non riconosce Ylìiade per favola doppia, ma per semplice, e mette da un lato la favola semplice, e patetica, da l'altro la murata e la doppia; doppia e murata l' Odissea^ semplice e patetica V Iliade. Scrivo assai confusa- mente queste cose, pur mi persuado d'esser meglio inteso, ch'io non parlo. E se V. S. consideri sì bene la mia favola, vedrà che ella è semplice quale è Y Iliade, e forse VEneide, perocché le peripezie, e l'agnizione, che sono nel mio poema, sono ne gli episodi, e non ne la favola. Ma lasciamo di grazia queste dispute a tempo che s'abbia più comodo, e per ora mi basta aver detto tanto con V. S. sola, con la quale posso dire un'eresia senza rossore. Un'altra volta mostrerò come la favola sia semplice in questo significato, come mista in un altro, e come la favola quando sia mista, sia più perfetta purché resti una. Mando il canto decimoterzo: l'ordine del tempo con che egli é conti- nuato al duodecimo, non so se sia per dare . fastidio ad alcuno -, a me non ne dà punto, perchè si dicono alcune cose prima nel duodecimo, che sono posteriori nel tempo ad alcune del terzodecimo ; ma così porta la comodità del ragionamento cominciato, e chiamasi ordine di comodità da alcuni filosofi, e ve ne sono esempi ne' poeti. Mi dà fastidio ne la richiamata di Rinaldo, che egli si chiami innanzi al bisogno, onde vo' pensando di trasferire il sogno di Goffredo, che è nel decimo, e tutto quel che segue de la richiamata di Rinaldo nel principio del decimoquarto, il che mi torna comodissimo, e facilissimo, — 7 - che non mi converrà neppur alterare quattro o cinque stanze. Ho poi in animo di collocare Rinaldo con Armida, non tanto lontano, come io faceva, ma però di non perdere tutta la navigazione. Faremo il moto de la nave incantata più veloce, bastami che se ne perda una parte, ed insomma partendo i messaggeri nel decimoquarto canto, non vo' che da la partita loro al ritorno loro, e di Rinaldo, passino più che dodici 0 tredici giorni, che non sarà gran disagio al campo, e sarà tanto più cara la venuta, se sarà un poco aspettata. E tutte quelle parole d'Ugone, che predicono la vittoria e '1 regno di Goffredo, saranno poste in più comodo luogo, dopo il principio della buona fortuna. Ma perchè non pregiudichi a la narrazione di Carlo la dilazione de la loro partenza, ed il trasportaraento del sogno di Goffredo, farò che dopo la stanza, che nel decimo finisce così: Onde è mente di Dio che in questa degna Impresa ancor sia l'onorata insegna, farò dico, che l'Eremita si volga a Carlo, e li dica che verrà tosto tempo, che il campo conoscerà la necessità che ha di Rinaldo, e che egli sarà eletto, come ministro solo atto a ricondurlo; ed ordinato a ciò da la Provvidenza Divina, e soggiungerà alcune altre cose che farà apparire maggiore la necessità della venuta di Carlo (1). Questo è il mio pensiero, pure non eseguirò cosa alcuna, sinché non mi sia avvisato nel giudizio di V. S., e frattanto comincierò a rivedere il decimosesto, e gliel manderò in breve col decimosettimo, lasciando per gli ultimi il decimoquarto e decimoquinto. La descrizione del caldo non so se possa essere reputata soverchia, ma io ce la voglio perchè il mio amore è fisso in questo : cioè, che nel poema bisogna lasciare alcune note dell'istoria, quasi vestigi in cui l'uomo leggendo riconosca quel che è similitudine dell'istoria; e che il poeta sia simile al pittore, che ritrae un uomo, con tutto che gli voglia dare maggior grandezza, e proporzione di membra, e maggior vaghezza di colori, e di abiti, gli lascia però alquanto della sua aria: per questo amo introdurvi la fame, ma quella perchè oltre che non mi torna comodo, e levis iactura^ torrò o gitterò volentieri, e con questo gli bacio le mani. Di Ferrara [Giugno 1575]. E questo le vo' aggiungere , che ne l'ultimo assalto non rimane pur ferito un guerriero de' principali Cristiani, tuttoché vi sia grandissima resistenza. Che Rinaldo non pure innanzi a tutti, ma in modo diversissimo 11) Forse voleva dire Rinaldo. - 8 — da tutti sale su le mura ; e in tutte le altre azioni è grandemente se- gnalato. E se vi parrà ch'egli apra una porta a gli altri, questo si potrà aggiungere. Quello che scrissi ne gli argomenti de la sedizione nel de- cimoterzo, non mi è piaciuto per non dupplicare la sedizione, e credo che stia meglio come V. S. vedrà. VI. A Luca Scalahrino. — Roma. E Dio ve '1 perdoni; e perchè siete stato sì lento in darmi avviso di cosa che m'importa tanto? Dopo alcune settimane scrivere? 0 ve ne burlaste prima, e perchè? Non era egli verisimile, e che mi noceva il saperlo? Io non posso dubitare de la vostra amorevolezza, ma questa amorevolezza m'ha infinitamente nociuto, perchè, mentre avete schivato di noiarmi, m'avete lasciato venir addosso un danno irreparabile. Io non credo l'esser più a tempo a provvedermi ed aspetto di dì in di di vedere i canti andar su la cannuccia. Pur subito dopo la ricevuta de la vostra ho fatti quei provvedimenti, che son possibili; ma s'è vero che egli si stampi in Fiorenza, o in Siena, assai agevol cosa era al Signore (1) provvedervi per mezzo del Cardinal de' Medici, né in questo caso era necessario d'aspettar mio consenso, potendo egli ben sapere qual sia intorno a ciò la mia volontà. Mi giova di sperare ch'egli l'avrà fatto, ma s'egli me n'avesse scritto una parola, m'avria molto consolato. La novella io l'ho per altrettanto certa, quanto cattiva, avvisatemi se sa- ranno anche comparsi in Koma, e vivete lieto. Di Ferrara il 12 di novembre [1576]. VII. A Luca Scalahrino. — Roma. Ho veduta la lettera del Signore, bella certo, ma che ? De l'ingegno suo io non dubitai mai, ed ora ne son certissimo e spero di lui ogni gran riuscita. Ma voi ammirate in lui l'attitudine a l'eloquenza, ed io la disposizione a l'esser cortigiano, perchè ha piìi appreso di quest'arte in pochi mesi ne le scole, ch'io non ho fatto in molti anni ne la corte. In somma io non m'inganno, e parlo per iscienza, non per sospetto, VI. — Ms. Mariani; pag. 42. (1) Scipione Gonzaga. Cfr. T. Tasso, Lettere, Firenze, Le Mounier, 1853-55; voi. I, lett. 31, n. 1; ove il Guasti avverte che Torquato così chiamava per anto- nomasia il Gonzaga, VII. — Ms. Mariani ; pag. 40. — Solerti A. , Amiche Torquato Tasso ? in Griornale Storico delia Lett. Ital, IX, 439-40. — y — 0 per congettura; voi credete quel che vi pare; ma se qui foste o vi trovaste presente ad uno o due de' nostri ragionamenti, vi chiarireste in parte; perciocché egli tratta meco in modo, che non si cura di lasciarmi soddisfatto; gli basta solo ch'io non possa far constar ad altri ch'egli m'olfenda. Io l'amo, e son per amarlo anco qualche mese, perchè troppo gagliarda impressione fu quella, che l'amor fece ne l'animo mio, né si può in pochi dì rimovere, per offesa quanto si voglia grave; pure spero che il tempo medicherà l'animo mio di questa infermità amorosa, e '1 renderà intieramente sano. Che certo io vorrei non amarlo, perchè quanto è amabile l'ingegno suo, e la maniera in universale, tanto dee a me parer odioso un suo particolar procedere verso me, cominciato da poco in qua, e nato non so da qual affetto, se non forse da emulazione, 0 da desiderio di soddisfare altrui, il che più credo. Chiamo questo mio amore, e non benevolenza perchè, in somma, è amore: ne prima me n'era accorto e non me n'accorgeva, perchè non sentiva destare in me nessuno di quegli appetiti che suol portare l'amore, anche nel letto, ove siamo stati insieme. Ma ora chiaramente mi avveggio ch'io sono stato e sono non amico, ma onestissimo amante, perchè sento dolore grandissimo, non solo ch'egli poco mi corrisponde ne l'amore, ma anche di non poter parlar con esso lui con quella libertà, ch'io soleva, e la sua assenza m'affligge gravissimamente. La notte non mi sveglio mai che la sua immagine non sia la prima ad appresentarmisi, e ri- volgendo per l'animo mio quanto io l'abbia amato ed onorato, e quanto egli abbia schernito ed offeso me, e, quel che più mi preme (parendomi troppo indurato ne la risoluzione di non amarmi), me n'afliggo tanto, che due o tre volte ho pianto amarissimamente, e s'io in ciò mento, Iddio non si ricordi di me. Spererei che se egli fosse certo de l'animo mio, sarebbe costretto ad amarmi, ma come ne può essere egli certo essendo consapevole del suo, e giudicando ex aliorum ingenio. E se voi, al qual nessuno affetto de l'animo mio fu mai celato, e che 'n tanti anni dovreste aver conosciuto quanto io sappia fingere, ne dubitate, ben è ragione ch'egli, che n'ha minor conoscenza, ne dubiti. Tanto basti intorno a lui; or vengo a noi. Non posso in alcun modo rimaner soddisfatto che dopo il primo av- viso della stampa, indugiaste tanti dì a scrivermi, che s'altro di nuovo non avevate inteso, dovevate almeno scrivere : altro non s'è inteso. Mostrai la seconda vostra lettera alla signora Duchessa, la qual giudica anch'Elia ch'abbiate alquanto mancato, ma questa è di quelle male soddisfazioni, che poco importano. Io son tutto vostro, e son sicuro che m'amate di cuore, né mai per accidente alcuno dubiterò di questo. Voi, di grazia, non mi fate far bolzorie con queste nove del signor P. Non posso dire il tutto, ma un dì vi parlerò ne l'orecchio. Il Duca ha scritto al signor — 10 — lacomo per la scomunica, sollecitatela al Teggia, che non sarà vero ravviso, no. Io la vorrei fatta in modo, che me ne potessi servire, quando io disegnassi di stampare senza il privilegio di Venezia. Inten- detemi; dico quello che altra volta scrissi, se ben credo, che a questo de la stampa io non verrò così tosto, che ve ne debba essere bisogno, e vi bacio le mani. Il 14 di Decembre [1576]. Non iscrivete cosa alcuna al signor Alber. che fareste peggio. Il Signore le dirà un particolare intorno all'allievo, ma siate di grazia muto, che s'egli il farà modestamente, non rimarrò d'amarlo. Ho pe- scato questa sera il secreto. VIII. A Luca Scalahrino. — lìoma. Tenetevi pur voi la vostra credenza (se pur credete quel che scri- vete) eh' a me giova d'attenermi a la mia certezza ; anzi, non mi giova, ma mi noce, che vorrei, se fosse possibile, non saper tanto a dentro quanto io so di questo particolare. Voi per giudizioso, non sarete giam- mai per questa ragione laudato. Quella magnanima cortesia, e quella pena del mio soverchio sospettare, voci in vero e concetti sonori ed ar- guti , ove nascono , ed onde vengono ? Per risposta altro non dico , se non che per l'avvenire, mi guarderò molto di darmi così in preda ad alcuno amico, che mi sia poi non solo difficile, ma noioso, il ritor- migli. Ora approvo quel detto che altre volte riputai inumano, eh' in guisa si debba amare, che sia facile il disamare. Il consiglio che mi date, accetto da voi come amorevole, se ben m'è stato prima dato da coloro che non molto m'amavano ; ove i padroni, che ben mi vogliono, cercavano di generar in me quella confidenza, de la quale l'animo mio, nel principio di questa briga, era in tutto pieno. Non so però s'io l'u- serò 0 no, ma perchè ne gli uomini non è fede, ed io son povero di fortuna, e di valore, custodisca Iddio la mia innocenza, e qui sia fine a questi discorsi. State sano. Di Modena il 6 di Gennaio [1577]. Dopo aver scritto ho ricevuto la vostra del 19, e vi rispondo che la lettera che scrivevate a vostro padre non si smarrì, ma mi capitò nelle mani, ed io la diedi a Battista, il qual mi dice, che non essendo il Signore vostro Padre ne la terra, la portò al fondaco del Signor Antenore. Vili. — Ms. Mariani; p. 43. Un tratto di questa lettera fu pure riferito nel- l'articolo ora citato in Giorn. Stor., IX, 438. — 11 — Col conte Alfonso farei molto volentieri l'officio, s' io fossi in Ferrara, e rai prometto tanto de la cortesia di quel si<(nore, e de la sua amore- volezza verso me, che non dubito, ch't'f,di non trovasse modo, che il Lazzaro fosse compiaciuto. Ma io son in Modena, e V. S. non mi scrive alcun particolare: sì che aspetterò che mi commetta altro, e che mi parli più distintamente, e di grazia non mi risparmi cosa ove possa servir lei, o alcuno suo amico; perchè se ben io son di quella natura che sapete, nondimeno per amor vostro farò qualunque cosa, e più ri- pugnante al mio genio. E quando avrò per voi fatto tutto quel che posso, avrò fatto molto raen di quel che debbo. Dell'allievo a me certo pare d'averne piuttosto scienza, che opinione, ma se voi credete altra- mente, che posso altro se non passar nella vostra credenza? Voglio dunque sperare, che quando tutto il mondo mi fosse contrario, voi due concordi così d'animo come d'opinione prenderete unitamente la mia difesa. Mi piace assai che il signor Teggia sia per uscirne uomo di bene, sì come mi rincresce ch'abbia da restar privo del servizio del Signore, e con questo fine a V. S. di nuovo bacio le mani. Scrivete pur sicuramente che le lettere vanno bene, nò ci è pericolo alcuno, che siano aperte. IX. A Luca Scalabrino. — Roma. Mi si appresentano così rare le occasioni di servir V. S. , che non è ragion ch'io lasci passar questa. Onde bench'io avessi deliberato di fer- marmi in Modena quindici, o venti giorni ancora, mi risolvo nondimeno di tornarmene domani a Ferrara, per essere ivi più pronto a servirla in quelle lettere, ch'Ella mostra di desiderare dal Signor Conte Alfonso, e dalla Signora Isabella, le quali io procurerò che siano efficacissime, e a lei sta il risolversi. Di nuovo non so che dirle, della peste di Po- lonia, et huiusmodi. Sono affatto chiaro. Io m'ingannava nel particolare dell'Ariosto, ed in molti altri. Kingrazio il Signore Iddio che m'abbia disvelati gli occhi de r intelletto , che certo era una infelicità la mia, il sospettar de la fede de gli uomini vanamente. Di grazia, scrivendogli scusatemi con lui, come meglio sapete, ed assicuratelo ch'io non sospetterò più. Vi manderò le sue stanze, e la mia lettera di Ferrara, ed a V. S. bacio le mani. Di Modena, il 16 di Gennaio 1577. IX. — Ms. Mariaxi; p. 36. — 12 — X. A Alfonso d'Esfc Duca di Ferrara. — Ferrara. Dal conte Antonio Bevilacqua e dal Signor Lanfranco Vostra Altezza potrà intendere con che animo e con che volto lieto e ridente io mi sia confortato e riconosciuto de' miei capricci e sono per continuare fer- missimamente in questo proposito. Ma Vostra Altezza, per l'amor d'Iddio, non mi voglia far dormir accompagnato; che quando ben volessi non posso serrare occhio e questo l'ho provato già per tre volte eh' avendo fatto ogni mio sforzo per dormire non ho possuto. So che m'ama e so eh' è sua intenzione di guarirmi; non voglia co' la vigilia farmi affatto divenir matto. In quanto ch'io sia per fuggire Vostra Altezza non du- biti più di questo ; ho fatto quel che voleva, cioè son corso a la Signora Duchessa (1) e conosco d'aver fatto male, e quando ne dubitasse si può in molti modi provvedere. La supplico per l'amor che porta a Dio e per quel che porta a me, consolarmi di questo favore che mi sarà caro a paro de la sanità che aspetto: avrei volentieri ragionato coi medici, pur mi rimetto al parere di A^'ostra Altezza. [Giugno, 1577] (2). XI. Al Cardinale de' Medici. — Roma. La certa speranza ch'io ho conceputa per l'ultima lettera del Signor Scipione Gonzaga , che V. S. 111.'"^ debba non solo deporre ogni sdegno contra me, se alcun mai n'ebbe, ma favorirmi ancora, secondo l'antica sua usanza, m'ha fatto usar l'autorità del suo nome a mio beneficio, forse piti liberamente che non conveniva. Il che nondimeno m'era ne- cessario di fare, poiché con l'autorità del medesimo nome, alcuni m'op- pugnavano, forse oltre l'intenzione di V. S. 111.™-'*; ma comunque sia, se questo è stato errore, io le ne chieggo perdono, ed insieme la sup- plico, che voglia con occhio di pietà riguardare le mie lunghe, ed in- solite, ed insopportabili afflizioni, e trarmene con quel modo, che piti X. — E. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — Cibrario L., Degli amori e della prigionia di T. T., Torino, Botta, 1862; p. 71. — Lanzoni F. - Ubal- DiNi A., Dodici Lèttere di T. T. etc, Faenza, Marabini, 1868^ per nozze Zara- bini-Della Volpe; pag. 7. (1) Lucrezia d'Este. (2) L'anno di questa e delle altre lettere seguenti tratte dall'Archivio Estense manca nella lettera, rna è notato dalla Cancelleria ducale del tempo sul tergo della lettera stessa, ove è pure ripetuta la data. XI. — Ms. Mariani;. p. 335. - 13 - le sarà a grado, ch'io a la sua volontà volontariamente rimetto la mia vita, ed in questo sol mi pesa, che possa parer necessità quella, che sarebbe paruta elezione, se pochi dì prima io riceveva la lettera del Signor Scipione. Ma non m'ò nuovo che le cose mi succedano infelice- mente, e se alcuna aspettazione ho di migliore stato, ò perchè io spero che la grazia di V. S. 111.""» possa, non solo adempiere ogni mio di- fetto, ma superare ancora ogni malignità di fortuna, la quale speranza non prima mi mancherà, che la vita. Ed umilissimamente le bacio le mani. Di Napoli, ond'or mi {larto, il 22 di Gennaio 1578. XII. A Alfonso (VEste Buca di Ferrara. — Ferrara. Niuno error commisi mai né più grave, ne del quale più mi pentissi, che '1 diffidarmi dell'Altezza Vostra , e fuggire da la sua protezione, sotto la quale poteva star sicuro da ogni offesa ; ma ben di questo er- rore ho pagate tutte quelle pene che possino pagarsi da uomo mortale; né fu prima da me fatto quasi che cominciasse il pentimento; e da molti mesi in qua posso addur molti testimoni, o quelli almeno dei quali piìi mi fidava, che il mio disegno non era altro, che di ritornare volonta- riamente chiamato o non chiamato, a gittarmi ai piedi, ed a pormi nelle mani di Vostra Altezza; ma essendo scoperto, ho trovato tante diffi- cuità ne l'effettuarlo, che non ho avuto ardire di cominciarlo. Ora mi trovo in casa di monsignor Masetto, con tanta sanità, che posso secu- ramente, senza timore di morte, o di peggioramento, aspettar l'aiuto che mi verrà da Vostra Altezza; il quale son certissimo che tal verrà da lei, quale io medesimo il desidero, e che sarà bastante a restituir la mente e '1 corpo mio ne' suoi primi termini; solo s' alcun dubbio mi potesse rimanere, sarebbe che in me non fosse eseguita la volontà di Vostra Altezza, il qual dubbio ella 'sa molto bene ch'in me è antico: spero nondimeno che in questo caso l'amorevolezza e l'autorità di Vo- stra Altezza debba superare ogni difficoltà. Quale io creda che sia la mia infermità l'ho detta al signor Cavalier Gualengo ed al signor Masetto, de la quale mentre sono stato curato da' medici, sono ito peg- giorando, quando lio fatto a mio modo, son tanto migliorato, ch'esercito ogni officio come sano, benché lo star peggio non mi spiacerebbe, per aver a riconoscere la vita assolutamente da la clemenza di Vostra Al- tezza, a la quale umilissimamente bacio le mani. Di Koma, il XV di Febbraio [1578]. XII. — R. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — Cibrario L. , Op. cit; p. 83. — Laszoni F. - Uballuni A., Op. cit.; p. 8. — 14 — XIII. .-1 Alfonso d'Este Duca di Ferrara. — Ferrara. Comincio a languire, ne però vacilla punto la fede die (ho) in Vo- stra Altezza : ne l'animo mio di giorno in giorno si va scemando ogni atfetto proprio, e vi riman solo un intensissimo desiderio di trasfor- marmi in tutte le voglie de l'Altezza Vostra; e con questo umilissima- mente raccomandandomele, le bacio le mani. Di Roma, il XV di Marzo [1578]. XIV. A Alfonso d'Este Duca di Ferrara. — Ferrara. Sebbene altrettanto mi sgomenta ne lo scrivere il dubbio e' ho di offender Vostra Altezza, quanto mi affanna la debolezza del corpo; con- fidando nondimeno ne la sua bontà, ed anche ne la divozion e ne la fede de l'animo mio, ardirò di scrivere liberamente. Io ho avuta ferma opi- nione, vera o falsa che sia, che l'avere io scoperto, mentre era in Sor- rento, il pensier mio di voler più tosto tornare a i servigi di Vostra Altezza, che servire qual altro principe che sia, m'abbia molto nociuto, e molto difficultato il mio ritorno a lei; e perchè, siccome io credo, che ogn'altra servitù mi saria dannosissima che quella con Vostra Altezza, così credo che ogni altra stanza sarebbe di minor mia quiete, di minor commodo e di minor soddisfazione che quella di Ferrara, dubitai che s'io scopriva apertamente questo mio desiderio, non mi fosse difficultato il venirli, e forse prima che arrivasse qualche favorevole commission di Vostra Altezza non mi fosse tolta la vita; dubbio forse vano, ma nondimeno potentissimo ne l'animo mio, il quale anche è stato cagione ch'io non mi sia voluto metter in via, e che anche a V. A. medesima non abbia scritto liberamente ; parte per non noiarla, parte perch'io non poteva mandar lettere, com'era mio desiderio, invisibili. Con tutto ciò, se ben con molti miei molto familiari, io non mostrava alcuna inclinazione di fermarmi qui in Koma alcun mese, quando son venuto al ristretto con monsignor Masetto e col signor Cavaliere (1), ho sempre detto eh' io pagherei una mano d'esser in Ferrara; né faceva difficoltà de lo star in Ferrara, ma del venire. Mi volle mandare con monsignor Giliolo, ac- cettai il partito lietissimamente ; richiesi io medesimo di venire con XIII. — R. Archivio dì Stato di Modena; Letterati. — Cibrario L., Op. cit. ; p. 77. — Lanzoni F. - UiìALDiNi A., Op. cit; p. 9. XIV. — R. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — CinRARio L. , Op. cit.; p. 78. — Lanzoni F. - Ubaldini A., Op. cit.; p. 10. (i) Camillo Gualengo. - 15 - monsignor Tolomeo; solo o accompagnato da un servitore non ho voluto venire, perchè dopo che partii da V. A. sono avviluppato in tanti in- trichi, che sono sicurissimo che sarei ammazzato per istrada. E iierclit' con nessuno ho parlato jiiìi liberamente che col signor Scipion Gonzaga e con monsignor Cajìihipo, elli mi possono esser testimoni ch'amara- mente ho sospirato la mia sorte, dicendo che non avea io altro desi- derio che di venire a Ferrara, non ardiva di scoprir questo mio desiderio, ne pur scrivere all'Altezza Vostra. Se questo sia vero o no, se ne può informare il signor Cavaliero e monsignor Masetto; nò pur da questi si può informare monsignor, ma da alcun altro che dirò a lui, al quale molto prima dissi: che per elezione eleggerei Ferrara ma per necessità mi conveniva dissimulare questo mio desiderio. Ed io in questa parte mi rimetto a quella relazione ch'essi per conoscenza potranno dare a V. A. E quel che mi faceva procedere più dissimulatamente, era ch'io non sapeva che il cavaliere Gualengo fosse per venirsene cosi tosto, com'era intendo, anzi da le parole di questi di casa mi pareva di poter raccogliere che '1 mio negozio fosse per portar lunghissimo tempo. Ora e' ho inteso ch'egli è per giunger a Ferrara innanzi Pasqua, mi son dichiarato apertissimamente di voler venir seco, se ben fossi sicuro di ri- maner per istrada : il che facilmente succederà, se egli con qualche com- modità del viaggio non condiscende a la mia imbecillità, e se prima, quand'anche non arrivasse così a tempo la promessa di V. A., la qual non può giunger così tarda, che, secondo la proporzion de' miei falli passati, non mi debba parer prestissima, non mi si dà qualche rimedio, che con- forti il core, e che netti lo stomaco sì ch'io possa meglio digerire: ch'al- trimenti non m'aiutando ora io con altro che con l'inedia, non saprei con sì poco nutrimento come poter per istrada durare a la fatica del caval- care. Comunque sia, io son risoluto di seguire il Cavaliere Gualengo, es- sendo io sicuro, che la mia lontananza da V. A. cagionerebbe la mia morte, o almeno lungliissima infermità di corpo ed inquietudine d'animo: e s'io arrivassi a Ferrara semivivo, sperarci che la vista sola di V. A. ba- stasse a risanarmi ; ma s'io perdo quest'occasione del signor Gualengo, non so quando mi se n'offrirà un'altra tale. S'io confidi in V. A., tutta Koma me ne può essere testimonio; se ne' suoi ministri, essi medesimi, da' quali, non solo presi sicurissimamente tutto ciò che m'è stato dato, ma molte cose ancora ch'io giudicava essermi nocive; benché in questo mi pare di dover distinguere; che fidando io in loro, o solo, o principalmente in quanto dipendenti da V. A. , mi pare di potere senza grave colpa ri- fiutar da loro, non ci essendo commissione da V. A., alcune cose, che, ve- nendo da lei, terrei lietissimamente, sapendo che tutto ciò che verrà da lei sarà salutifero e vitale. Né così mi possono accusar di altra colpa se non ch'io, presupponendo sempre le commissioni o almeno la volontà di — 16 — V. A. gagliardissima in mio favore, alcuna volta mi son doluto eh' essi non l'eseguissero; il che s'è fallo, essendo fallo che nasce da la molta fi- danza ch'ho in lei, facilmente mi dev'essere perdonato, se già quelli de la diffidenza mi sono, stati perdonati. Ed essendo V. A, tanto lontana, e l'occasione così del mio male, come de la mia venuta, consistendo in un punto, crederei, che, non solo senza dispiacere, ma con sodisfazione ancora di V. A. potessero interpretare benignamente ed a mio favore ogni com- missione. Né v' è alcun dubbio, che se il signor Cavaliero mi dà alcuna commodità del viaggio, e s'egli, o parte questa settimana, o partendo più tardi, m'è data alcuna aita, io non sia per giungere a Ferrara, e vivo ed in termine di poter guarire e della maninconia e d'ogni altro male. Ma s'egli mi lascia o qui o per istrada, metto la mia vita per perduta; ben- ch'io son risoluto che non mi lasci qui; perchè voglio avviarmeli dietro, se non posso in altro modo, a piedi, quand'anche giungesse domani com- missione di V. A. ch'io rimanessi; perch'io credo che questa commissione sarebbe fondata sopra un'imperfetta informazione del mio desiderio. Ho voluto che innanzi la mia venuta V. A. abbia questo testimonio del vero, del mio volere e de la fede ch'ho in lei, il quale spero che sarà confer- mato da" suoi ministri, con molto mio vantaggio potendo essi dir alcuna cosa eh' a me non è lecito. Del rimanente io son sicuro, che se '1 fine dei miei travagli sarà con- forme a la volontà di V. A. , sarà felicissimo ed accompagnato da ogni sodisfazione. Quando fosse altramente, riconoscerò ogni male da la mia rea fortuna, e m'acqueterò al voler del Signor Iddio; e con questo a V. A. bacio le mani umilissimamente. Di Koma il XIX Marzo [1578]. XV. A Alfonso d'Este duca di Ferrara. — Ferrara. Io non sono anche in termine di morte, anzi conosco d'aver più di vita e di virtù, di quel che veramente io credeva; perciocché, dopo lunga dieta cominciando a mangiare d'ogni cibo indifferentemente, molto più che non portava la mia voglia e '1 mio bisogno, per ridur me stesso in tal termine, che questi signori fossero costretti ad aiutarmi, se per avventura aveva alcun rimedio da V. A., non ho potuto peggiorar tanto che non abbia fatto insieme alcun miglioramento. Son peggiorato in quanto l'affanno del core; ma mi sento molto accresciute le forze; stento nondimeno, ed omai non ho altro che l'ossa e la pelle; ne mi può cader nel pensiero che la cortesia di V. A. mi voglia in guisa salvar XV. — R. Archivio di Stato di Modena ; Letterati. — Cibrakio L. . Op. cit. ; p. 83. — Lanzoni F. - Ubaldini A., Op. cit.; p. 14. — 17 — la vita, ch'io debba rimaner lunghissimamente inabile ai suoi servigi ed a' miei studi. E la tardanza de l'aiuto, il qual verrà sempre più presto ch'io non merito, per tardi che venga, la reco ad ogni altra cagione, ch'a la pietosa intenzione di V. A., la quale ho pressupposta e pressuppongo verso me favorevolissima. Né da questa costante opinione mi potrebbe rimovere, non ch'altri, la morte istessa; ma qualumiue si sia la cagione, io desidero di venire a Ferrara, mentre anclic ho vigore di poter venire; e per questo mangierò mediocremente cibi buoni e di gran sostanza, contra la mia prima regola di vivere, se mi saran però date pillole che sgombrino lo stomaco, se non de gli umori cattivi, al- meno de l'indigestioni che di giorno in giorno verrò facendo; che senz'esse difficilmente crederei poter mangiare. Con questo aiuto crederei di poter aspettare la partita del signor cavaliere, se non sarà piìi tarda di quel che m'è accennato; e certo verrei seco con molta quiete de l'animo mio. E quando troppo indugiasse a partire, io sollecito importunissimamente questi signori che mi mandino con rimedii, o senza, solo o accompa- gnato, in quel modo ch'essi credono che sia più grato a V. A. Io non desidero altro che venire; del rimanente mi rimetto a loro, che debbon meglio saper l'intenzione dell'Altezza Vostra, la quale s'a me fosse stata significata, avrei cercato di conformar ad essa ogni mio pensiero ed ogni mia richiesta; le quali se sono state troppo ardite, perdoni V. A. l'ardire a la molta fede c'ho in lei ; e con questo umilissimamente le bacio le mani. Di Roma, il 2 d'Aprile [1578]. P. S. Se non potrò impetrar da loro grazia di esser mandato, ado- prerò quei favori che giudicherò di poter adoprar con soddisfazione di Vostra Altezza. XVI. ^-1 Alfonso d'Este (luca di Ferrara. — Ferrara. Ardo di desiderio di venire, in qualunque modo sarò mandato, e quanto si ritarda la mia venuta, tanto si prolunga l'infermità del corpo e l'inquietudine de l'animo mio, e tanto ancora si prolunga l'adempi- mento d'una mia giustissima voglia, la volontà, dico, di servire V. A. e di rendermele non discaro con tutti quei modi che o da lei mi sa- ranno mostrati, o ch'io saprò imaginarmi più efficaci. Né meno avrò caro d'asseguir questo, che d'acquetar l'animo, o di risanare il corpo; XVI. — R. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — Cibkario L. , Op. cit; p. 85. — Lanzoni F. - Ubaldixi A., Op. cit.; p. 16. Solerti, La vita di T. Tasso, II. 2 - 18 - a l'uno 0 a l'altro de' quali per ora nissuna medicina, benché mandata da V. A., sarebbe più salutifera che '1 moto verso Ferrara ; e con questo umilissimamente le bacio le mani. Di Roma, il 6 d'Aprile [1578] (1). XVII. A Cesare da Este. — Mantova. Perchè io so quanta congiunzione di parentado e d'amicizia sia fra questa casa di Mantova, e quella di V. S. 111.™*, ho giudicato che niun miglior mezzo potrei adoperare per favorirmi, che quello del signor Duca suo: la prego dunque che voglia supplicare in mio nome Sua Altezza che si degni di raccomandarmi al signor Principe di Mantova, e gravarlo che mi voglia ricevere ai suoi servizi, e di questo io così a Sua Altezza come a V. S. 111."^^ rimarrò con obbligo perpetuo, e mi sforzerò di manifestarlo con la lingua e con la penna in ogni occasione, e le bacio le mani. Dì Mantova il 14 di settembre 1578. XVIII. A Maurizio Cataneo. — Roma. Scrivo a Monsignore 111.™° (1), e prego V. S. che mi favorisca, non solo di sollecitare, ma di impetrarmi la risposta, che le ne rimarrò con infinito obbligo, ed insieme la prego far, che faccia in mio nome riverenza a Monsignor Abate, ed al signor Scipione Gonzaga, ed al signor Fabio Albergati, del quale son antico servitore, e desidero, che la memoria de la mia servitù gli sia rinfrescata, ed a V. S. bacio le mani. Di Torino, il di dei morti 1578. XIX. A Maurizio Cataneo. — Roma. Assicuri V. S., Monsignor IH.™'* ch'io farò sempre professione di suo devotissimo servitore, e che se egli mi favorirà, non mi troverà se non gratissimo. Il suo favore fin qui non mi è giunto, ma spero che debba (1) Il CiBRARio e il Lanzoni e TUbaldini, che da lui ripeterono questa lettera, lessero 16 d'Aprile invece che 6 d'Aprile come sta sull'autografo e sul tergo. Intorno alla data di questa lettera, sapendosi per certo che il T. era partito da Roma ni Aprile, io aveva già elevato un dubbio, non potendo allora verificare; cfr. Solerti A., Un episodio della vita di T. T., Torino, Baglione, 1887; Estr. da La Letteratura, An. II, n. 7. XVII. — Archivio Gonzaga. — Poktioli A., Op. cit.; p. 15. XVIII. — Ms. Mariani; p. 111. (1) Il Cardinale Albano, di cui il Cataneo era segretario. XIX. — Ms. Mariani; p. 113. - 19 — giovarmi, e pure che Sua Signoria 111.'"* abbia riguardo a la mia ripu- tazione, non mi curo che l'abbia a l'utile. Ed a V. S., ed a gli altri signori, ed amici bacio le mani . e la prego particolarmente a fiir in mio nome riverenza al signor Abate. Di Torino, il 21 di Dicembre del làTS. XX. A Vincenzo Gonzaga, prinnpe di Mantova. — Mantova. Mi rallegrerei con V. A. Serenissima che la signora Principessa sua sorella, si fosse unita di matrimonio al signor Duca di Ferrara, mio anche amatissimo signore, s'io sapessi trovar parole atte a spiegare il mio affetto; ma essendo l'animo mio pien di mestizia, ch'in esso non può trovar luogo alcuna allegrezza, ho perduta questa voce a fatto, ne posso dir ch'io m'allegri. Ne consolo nondimeno in gran parte le mie sciagure, non sol con la speranza d'alcun mio comodo o quiete, ma anche con l'opinione c"ho che questo matrimonio aggradi molto a V. Altezza Serenissima la cui soddisfazione a paro di quella di ogni altro desidero, e quasi a paro de la mia propria vita, la qual non mi rincrescerebbe di perdere, perdendola per cosa eh' a lei fosse di servigio, lo prego nondimeno Iddio, che la mi conservi tanto ch'io possa a la nuova sposa, ed a lei far umilissima riverenza, il che non potrà essere così tosto, ch'a me non paia molto tardo. P] qui farò fine, desiderando a lei, ed ai Principi della sua casa, lunghezza di vita, accrescimento di stato e d'ogni ben di fortuna, ch'in quelli de l'animo son sicuro che V. Altezza s'andrà di giorno in giorno avanzando; viva felice e glorioso ed ami me che l'adoro. Di Torino, il XXII di Dicembre [1578]. XXI. A Cesare d'Este. — 3Iantova. Mi rincresce d'aver mai data a V. S. alcuna occasione di sdegno, o ricevutala d'odio, perchè siccome in lei sono molte condizioni degne non solo di stima ma d'amore, così io sono per natura inclinatissimo ad amare tutto ciò che è amabile ; ma poiché la mia fortuna ha voluto che la nostra amicizia piena dal mio lato di molta osservanza, si sia volta in malivoglienza, io molto volentieri sarò il primo a deporla, così in effetto, come par che la necessità mi costringa a deporla in appa- XX. — Bertolotti a., T. T. a Torino e a Roma nel Filotecnico, An. I, fase. 1; Torino, 15 Dicembre 1885; p. 18-19. XXI. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 15. — 20 — renza, quanto possa persuadere a me stesso, ch'ella dal suo lato faccia il medesimo. La voglio dunque pregare caramente, che me ne dia alcun segno, né per ora me '1 potrebbe dare né più caro, né piii efficace che operando che '1 Serenissimo signor Duca di Ferrara, poiché m'ha data buona licenza mi favorisca in accomandarmi ai servigi del Serenis- simo Principe di Mantova, al quale e per inclinazione di volontà, e per la devozione ch'io porto al padre e per l'opinione c'ho del suo valore, e per desiderio di quiete, desidero infinitamente di servire. E se per mezzo di V. S. io riceverò questa grazia, gliene rimarrò con tanto obbligo, che potrà compensare tutte le mali soddisfazzioni passate, vera o falsa che sia stata la credenza d'esse, e le bacio le mani desi- derandole ogni grandezza. Di Mantova [1578] (1). XXII. A Aldo Manuzio. — Venezia. Io non posso mandare a V. S. la copia de le mie rime, perciocché non l'ho tutte, e benché sian in poter di molti, non posso in alcun modo raccoglierle, e mandar lettera dedicatoria senza le rime, mi parrebbe opera soverchia. Sarebbe mia intenzione di dedicarle insieme con altre opere mie a qualche signore, che mi ricevesse a' suoi servigi in grado di gentiluomo, con provvigione convenevole, se non quale è stata quella, ch'io altre volte ho avuta, almeno quale è quella, ch'io ho potuto avere, e sin da quest'anno passato n'avea supplicato il Ser.'"^ Duca di Ferrara, dandogli l'elezione di molti signori, ciascun de' quali volentieri avrei servito. L'uno era l'un de' figliuoli di Madama la Duchessa de Nemours, l'altro il signor don Cesare, figliuolo del signor Don Alfonso d'Este, il terzo il signor Don Ferrante Gonzaga, il quarto il Marchese di Pe- scara. Questa fu la supplica de l'anno passato; ma dapoi avendomi il signor Don Ferrante fatto visitare in suo nome, né da gli altri essendomi stato detto cosa alcuna, io aveva fermo più il pensiero in lui, che in alcun altro. Ed avrei anco molto volentieri servito il signor Filippo Marchese (1), dal quale m'era stata data intenzione, che mi sarebbe usata (1) Senza data, ma che suppongo del 1578, perchè ritrovata assieme alla pre- cedente nel carteggio di questo anno e perchè alla medesima conforme nel tenore. [Nota del P.J. XXII. — Ms. Mariani; p. 177. — Solerti A., Cinque lettere inedite di T. Tasso ad Aldo Manuzio, pubblicate per nozze Kenier-Campostrini ; Torino, Baglion'e, 1887; p. 19. Per la data di questa e delle seguenti lettere al Manuzio cfr. Io studio: Sulle relazioni di T. T. con Aldo Manuzio in prefazione a questo opuscolo. (1) Intendesi il ilarchese Filippo d'Este, che risiedeva a Torino. — 21 — cortesia. Mentre cosi fra me stesso sono andato deliberando e mutando deliberazione, secondo l'occasioni datemi de' favori o de' disfavori, mi sono sopraggriunte alcune lettere dell'Ili.""' ed Ecc.'"" signor Scipione Gonzaga, Principe dell'Imperio; signor, per vero dire, de' beni di for- tuna, e di splendor di vita, inferiore a ciascun di questi, ma di nol)iltà tale, che può andare in ischiera con gli altri, e di dignità, s'io non m'inganno, superiore, perciocché ha titolo di Principe dell'Imperio, e da Sua Maestà Cesarea gli è dato (juel titolo medesimo, che •"' dato al Principe di Venezia; e quel che piìi m'ha confermato in questa opi- nione è stata la cortesia, con la quale in (|uel temi)0, che niun trat- tava meco nel mondo, s'è degnato non solo onorarmi, come prima so- leva, ma anco alquanto piìi. Onde mi pare debito de la mia gratitudine l'offerirgli la mia servitù, la quale, se non sarà da lui accettata, ch'io de la intenzione sua altro non so, che quel che me n'appare ne le sue lettere, allora ritorno ne' miei primi pensieri ; né oltre questi c'ho già nominati è alcuno il quale io servissi volentieri, trattone l'Ili.'"" signor Alessandro Gonzaga. Parlo de' signori che non abbiano stati grandi, 0 non siano eredi di stati grandi come sono i Ser.""' signori Principi di Savoia, e di Mantova, al servigio de' quali, ed anco ai luoghi più onorati, mi parrebbe di poter così ragionevolmente aspirare, come in grado assai orrevole ho servito il Ser."'" signor Duca di Ferrara, ed in più orrevole ho potuto servire il Gran Duca di Toscana. Ma perchè io sono stanco de la mia fortuna, e temo, che quanto i Principi son maggiori, tanto ancora men vorranno consentire ch'io viva ne la tranquillità de gli studi miei, scrivendo in quel modo, ch'io più desidero, m'appiglio volentieri ale cose più facili; e rimarrò con molto obbligo a ciascun Signore, ed amico mio, che mi porgerà aiuto a servir alcun de' detti Signori. A Venezia verrei volentieri s'io fossi libero, ma sono infermo e prigio- niero; né ho alcun che tratti le cose mie, sicché non so che fiir altro, che pregare il Signor Iddio, che inspiri l'animo del Ser.'"° Signor Duca di Ferrara, a non voler fare alcuna violenza a la mia volontà, ed a con- sentire, ch'io viva come tutti gli altri uomini del mondo; che, se ben sono nati vassalli de' principi, possono nondimeno ne le cose ragionevoli dispor di sé a lor voglia. La qual violenza se per mia disgrazia vorrà fare il Ser.'"° Signor Duca di Ferrara a la mia volontà, e se non sarà chi difenda la mia ragione, ed impetri co' preghi la libertà da questo principe, in poter del quale son io volontariamente venuto a pormi pri- gione, altro non posso dire, se non ch'assai rimarrò obligato a colui, che mi porgerà occasione, che almeno muoia come uomo. La quale indarno mi pare che con le pazzie possa andar cercando. A Venezia verrei vo- lontieri. così per godere della conversazione de gli amici, e signori miei. — 22 — come perchè potrei attendere a scrivere ed a stampare alcuna cosa ch'ho deliberato di scrivere. Questa è la mia intenzione ; se '1 Signor Gradenigo 0 alcun altro di cotesti gentiluomini potrà in alcun modo agevolarla, ne rimarrò con molto obbligo. Se non potranno, assai rimarrò soddisfatto di coloro, che almeno mostreranno alcuna compassione de le mie scia- gure, perchè mi pare nuova ed inaudita maniera d'infelicità, non solo essere in estrema calamità, ma non trovar chi sia cortese altrettanto almen di conforto. [Di Ferrara, Gennaio - Marzo 1 580]. XXIII. Ad Aldo Manuzio. — Venezia. La lettera di V. S., accompagnata da la mia favola pastorale stam- pata, tanto piacere m'ha portato per l'affezione ch'in lei si dimostra, quanto dispiacere per i disfavori che mi pare di ricevere. (1) e non porrei certo in questo numero il Clarisssimo Signor Francesco Barbaro, amba- sciatore al Serenissimo, invittissimo, e clarissimo di Savoia, se ben non mi fece avere alcuni privilegi, ch'io desiderava, per l'opere ch'io aveva scritte, 0 disegnava di scrivere, alcune de le quali ho poi vedute stam- pate in Vinegia con mio non picciolo danno, ma certo con affanno molto maggiore. Perciocché era mia intenzione di ridurle a perfezione, e di non lasciarle vedere con sì poco mio onore, e per questa cagione sola, non per altra, già due anni sono, io mi partii di Ferrara e me n'andai a Mantova. Comunque sia, se ne le parole del Signor consente ancora, che quella opera, de la quale egli mi ha concesso il privilegio, sia utile altrui, e misura a me Io prego V. S. che dica a questi clarissimi Si- gnori in universale, e in particolare al clarissimo Signor Luigi Gradenigo, ch'io ho scritto due dialoghi de la Nobiltà, e de la Dignità, ne' quali per avventura troveranno alcuna cosa, che lor non piacerà. Nondimeno la dovrebbono ragionevolmente così tollerare come sono tollerate l'opinioni de gli altri filosofi. Se V. S. continuerà a scrivermi, mi farà cosa gra- tissima. Ch'abbia stampata la mia favola mi dispiace che l'abbia dedicata a rill.™° ed Ecc.™° Sig."" Don Ferrante Gonzaga. Non so che dirmi : questo solo dirò, che se bene io sono affezionatissimo a S. Ecc.^* 111.™* e desiderosissimo di servirlo, avrei nondimeno avuto XXIII. — Ms. Mariani; p. 185. — Solerti A., Op. cit. ; p. 23. (Ij Questa lacuna, e le seguenti sono nel ins. — 23 — caro che la dedicazione fosse stata lasciata a me sono infermo, e pri- gione, ed oppresso da tutte le calamità ond'io non posso dire altro, se non sospettare ch'egli sia male informato, e pregar cotesti signori, che trovino alcun modo o di disingannar lui, 0 di porgere alcun altro aiuto a le mie miserie ; ed a V. S. bacio le mani. Di Ferrara, il dì :! Dicembre 15S0. Io non ho veduto l'Ili.™" ed Ecc."'" Sperone, da quel giorno ch'io non trovando in Koma l'Ili.'"" ed Ecc.'"" Signor Scipioii Gonzaga, alloggiai in casa sua, e mi ricordo del ragionamento ch'io feci seco, e col sig."" Duca di Bracciano, e de l'invito de' Frati di S. Salvator del Lauro. Ho quella buona intenzione verso lui, ch'io ho avuto sempre, e '1 prego, che voglia raccomandarmi alla Signora appresso la quale, mi par d'aver bisogno d'altrui raccomandazioni. Mentre io scrivo mi son ricordato, ch'io l'ho veduto da poi a Padova. V. S. le baci in mio nome le mani con tutto il cuore. XXIV. Ad Aldo Manuzio. — Venezia. Mi sono questa mattina state portate le mie rime fatte stampare da V. S. Le scrissi questi giorni addietro quanto mi fosse stato grato di vedere stampata la mia favola pastorale. Or creda che nel mede- simo modo ho vedute stampate volentieri le rime mie. La prego che voglia trattenerle se possibile è; e non lasciar vederle finch'io l'abbia conciate, e fatta quella scelta di loro, che mi parrà. Che se poi vorrà farle ristampare con aggiunta d'altre mie rime, mi farà cosa gratis- sima, ed a V. S. bacio le mani. Di Ferrara il 10 di Marzo [1581]. Mi è stato detto che son piene di molti errori. Prego V. S. che non le lasci in alcun modo vedere, che presto gliele manderò riconcie, e riordinate, con la compagnia d'altre nuove con gli argomenti. XXV. Ad Aldo Manuzio — Venezia. Se n'è venuto costà Messer Febo Bonnà, cittadin ferrarese, e servitor del Signor Duca , il quale m' ha mostrati alcuni fogli de le mie rime stampati da V. S. Egli è assai informato de la mia volontà, e se V. S. XXIV. — Ms. Mariani; p. 183. — Solerti A.. Op. cit.; p. 20. XX\\ — Ms. Mariani; p. 179. — Solerti A., Op. cit.; p. 27. — 24 — troverà modo di scrivermi per ogni ordinario, le darò non sol le rime, ma altre opere mie, perchè le stampi. Io domanderei i privilegi a cotesta Ser."'* Kepubblica, ma rill.»" ed Ecc.™*' Signor Scipion Gonzaga m'ha già offerti quelli de l'Imperatore, ed io vorrei sapere se insieme con quelli di S. M. Cesarea posso aver quelli de' Signori Veneziani. A me non par- rebbe che vi fosse alcuna difficoltà, in quelle cose, ne le quali altri non l'ebbe giammai; ed a V. S. bacio le mani, pregandola, che in mio nome, le baci a' clarissimi Veuiero, e Gradenigo. Di Ferrara il 17 di Marzo [1581]. XXVI, Ad Aldo Manuzio. — Venezia. Ho ricevuta la lettera di V. S. degli 11 di Marzo, ed insieme alcuni fogli de le rime, e de l'egloga stampate, ma non ho i primi e non so come raccorre l'altre mie; sicché non veggo come poter compiacere al desiderio di V. S.; s'ella potrà trattenerle, senza molto suo incomodo, sin che sia liberato, gliene rimarrò con obbligo, e frattanto le riordinerò, e concierò, e ne farò de l'altre, e le manderò non solo un giusto volume di rime, ma la favola pastorale molto migliorata, con quelle parti eh' ancor le mancano. La libertà m'è promessa presto, ne veggo cagione per la quale non mi paia che possa aspettare ! Ma quando non possa senza molto suo inco- modo, questo solo voglio dirle, ch'io voglio aver maggior riguardo al suo comodo, che altri sin ora non abbia avuto al mio. E sappia ch'io son ne lo stato, che potrà intendere da lo stampator di Ferrara, che mi ha portata la lettera. Il Dialogo non mando a V, S. perchè non ho chi lo scriva, e quella copia ch'io ho, non voglio darla fuori, perchè durerei così fatica a riaverla, come a riaver molte altre mie cose in questa prigione, e di man- darle a V. S. Ma per ora non posso altro che promettergliele. Oltre il Dialogo de la Nobiltà, n'ho scritto alcun altri ; ed a V. S. ed insieme a' clarissimi Sig," Veniero e Gradenigo bacio le mani, a' quali dica che s'alcun gentiluomo di codesta Serenissima Kepubblica m'avesse consi- gliato quel ch'io doveva fare, o almeno non m'avesse tanto promesso de la buona volontà del Signor Duca, quanto ancora non m'è osservato, io potrei assai facilmente soddisfare al desiderio di V. S, ed insieme al mio, e viva felice. Di Ferrara il 18 di Marzo [1581], Fra le rime che ha fatte stampar V. S, ve ne sono alcune che non sono mie, ed alcune ch'io non avrei fatto stampare. XXVI, — Ms. Mahiam; p. 184. — Solekti A., Op. cit.; p. 28. - 25 — XXVI 1. A Curzio Ardizio. — Mantova. Credo che dal Sifruor (iiulio Mosti, saranno stati mandati a V. S. il sonetto pastorale in lode de la Sij^jnora Isabella Pallavicini, e l'altro in lode del Signor D. Ferrante Gonzaga. Or,- ne la sua venuta costà, le ri- mando quel del Signor I). Ferrante Gonzaga, con duo altri, ch'io aveva fatti questi giorni addietro per Sua Eccellenza, ne' quali ho mutate alcune parole; nel primo nondimeno i tre ultimi versi del secondo quaternario, che vi leggerà son quelli, ch'io prima feci i quali poi mutai così: E solo quel, eh' a' fortunati segni Condusse in occidente i curvi legni, Spiri secondo, e placido a' nocchieri. V. S. mi farà favor d'intender da codesti Signori Accademici quali men loro dispiacciano, e se gli ultimi lor dispiacesser meno, conci nel primo verso: A lidi avventurosi iberi, e sia contenta di mandarli in Ispagna a Sua Eccellenza a la quale baci in mio nome umilmente le mani. Di Ferrara il 2 di Gennaio 1582. XXVIIl. A Maurizio Cafaneo. — lioma. Da la lettera che V. S. scrive al signor Conte Ottavio Tassone ho raccolto che n'ha scritto a me alcune, le quali non hanno avuto recapito, il che mi è molto dispiaciuto, perciò che io le ho sempre aspettate con gran desiderio, ed ora le aspetto con maggiore, che mai facessi. Laonde prego V. S. che per l'avvenire voglia dirizzarle al Signor Giulio Mosti, nipote del Signor Agostino, Priore de lo spedale di S. Anna, il quale pro- mette di darmele. Da lui sarà ragguagliata del mio stato, e ora io non le scriverò altro, se non che egli è assai diverso da l'informazione ch'ella ne ha. Sì che dee per l'amor che mi porta, del quale è appieno ricam- biata, procurare ch'egli sia migliorato in qualche parte. Io so che l'au- torità del signor Cardinale suo padrone, è grande con ogni principe, onde non può esser picciola con la Signora Duchessa di Ferrara. Mando a XXVII. — Ms. Mariani ; p. 337. XX Vili. — Ms. Mariani: p. 117. — 26 — V. S. un sonetto (1) per sua Signoria Illustrissima, e le manderei alcuni altri eh" io ho fatti per lo passato, se n'avessi ritenuto copia. Ma per l'avvenire sarò più eauto a mandarli. E le bacio le mani, assicurandola che ne il signor Cardinale ha servitore che più desideri la sua grandezza, ne Y. S. amico, che più l'ami di me. Faccia riverenza in mio nome al signor abate, e saluti gli altri gentiluomini di casa, e viva felice. Di S. Anna in Ferrara il 10 di Giugno del 1582. XXIX. A Curzio Ardisio. — Mantova. Mando a V, S. il sonetto (1) che mi domandò ne l'ultima sua let- tera. Credo che avrà già ricevuto gli alti'i. Aspetto che mi dia avviso de la ricevuta con quel che avrà fatto del negozio di messer Pier Gio- vanni; e le bacio le inani. Di S. Anna di Ferrara il 19 di Giugno 1582. (1) Comincia : Signor di temperato animo e giusto È edito in T. Tasso, Opere, Pisa, Capurro 1821-32; voi. V, Son. 284. XXIX. — Letture di Famiglia, Firenze 1850; T. V, p. 464 App. — Lettera C071 sonetto inedito di T. T. inviata da P. Casotti a C. Guasti e da questo pub- blicata la prima volta in Firenze nelle Letture di Famiglia, Napoli, Morelli, 1859 ; opusc. in-8' di p. 8. — Lanzoni F. - Ubaldini A., Op. cit; p. 17. — Ms. Ma- riani ; p. 337. — Il Casotti trasse questa lettera dal privato archivio dei Papadia di Gralatina. (1) Il sonetto è il seguente: Sotto l'aperto ciel, tra gigli e rose, E verdi erbette, ed odorate piante. Notturno e cheto e solitario amante La mia Donna attendea, com'ella impose, Quando passò; ma come, oh desiose Luci, non conosceste il bel sembiante ? E tu vago mio sguardo! oh chi davante Pur quasi un velo al suo passar mi pose ? Passò Madonna, e seco anco il mio bene, E la fortuna mia passata è seco, Che in quel candido seno io presa avrei. Ahi! più d'amore e di fortuna cieco Allora io fui, che or tardi, e senza spene, Veggio il mio male e piango i dolor miei. — 27 — XXX. A Curzio Ardizio. — Mantova. Mando a V. S. tre inadrififali (1), pregandola che voglia mostrarli al Signor Principe e baciar a Sua Altezza in mio nome le mani. Al Signor Marcello ricordi, ch'io aspetto la copia del dialogo, e viva felice. Di Ferrara (3 Luglio [1582]. XXXI. A Luigi Graiìenigo. — Venezia. Dal Signor Aldo, il quale è stato a vedermi, e meco ha ragionato lun- gamente, V. S. Clarissima sarà informata del mio stato, e del desiderio ch'io ho di conservar con lei quella servitù ch'io presi seco già molti anni sono, a la quale credo, che ella debba corrispondere come ha fatto sempre, e ne la prego con tutto l'affetto del cuore. Non le scrivo cosa alcuna del mio poema, ne de' privilegi, che da cotesta Serenissima Repub- blica sono stati conceduti a gli stampatori che senza mia saputa l'hanno stampato, perciocché ora io non son in termine, ch'io possa sperar di ristamparlo. Ma se potrò mai, confido molto de la sua cortesia, e de la be- nignità di cotesta Serenissima Signoria, e le bacio le mani. Di Sant'Anna il 7 di Settembre 1582. XXXII, A Ferrante Spaziano. — Napoli. Da poiché il Signor Gio. Vincenzo Vulcano partì di Ferrara, non ho intesa alcuna certa novella, né di mia sorella, né di V. S. , e molto desi- dererei d'intenderla; però la prego, che non voglia ch'io più lungamente desideri sue lettere, né quelle di lei. Ebbi a questi giorni passati una lettera di un canonico napolitano, il quale io non conosco; credo non di meno che debba essere conosciuto da la Signora Cornelia, perchè scrive d'esser nostro parente, chiamato Paolo Tassi. Come si sia, perché m'in- vita ch'io venga in Napoli, bench'io facessi molto volentieri questo XXX. — E. Biblioteca Braidense; autografo. — Ms. Mariani; p. 338. (1) Cominciano : — La mia tenera Iole. — Appare in dura pietra. — Ardizio se ben miri. e sono editi in Tasso T. , Op. cit.; voi. IV; niadr. 51-52-53. XXXI. — Ms. Marfani; p. 11. XXXII. — Ms. Maria.vi ; p. 264. — 28 — viaggio, non mi par di poter fare intorno a ciò alcuna risoluzione senza il suo consiglio: la prego dunque caldissimamente che voglia rispon- dermi. Del mio stato avrà informazione dal Signor Donato Antonio, ap- portator de la presente, al quale potrà dar la risposta, perchè egli dice che sarà tosto di ritorno, se pur non avesse alcuna occasione di mandar la risposta prima. Dirizzerò questa in casa del Signor Giulio Cesare Cor- reale, mio cugino, al quale darà questo gentiluomo parimente informa- zione di me; onde quando V, S. non avesse comodità di vederlo, potrà intendere dal Signor Giulio Cesare ogni cosa appartenente a la mia ve- nuta a Napoli, e le bacio le mani. Di Ferrara il 16 di Novembre 1582. XXXIII. Al Marchese Filippo d'Este. — Ferrara. Vostra Eccellenza ha prevenuto col suo cortese dono, non il desiderio, ch'io ho di servirla, ma le dimostrazioni estrinseche, le quali sono state impedite da molti rispetti: pur niun rispetto dee esser alfine piìi pos- sente in me del debito mio: e così piaccia al Signore Iddio ch'è consa- pevole de la mia buona volontà di favorirla com'io l'ho taciuta per dubbio che non mi fosse creduto il vero e la taccia sin ora Ma basti quanto ho accennato in questo proposito: farò il dialogo che l'Eccellenza Vostra mi comanda e in tutte l'altre cose ch'io posso la servirò molto volentieri, e mi rincresce solamente che la Signora Duchessa d'Ur- bino non mi abbia liberato come mi aveva promesso, perch'io sarei venuto a trovarla, o almeno sarei in parte dove niun rispetto mi potrebbe rite- nere di mostrarle maggior segni de l'affezione ed osservanza mia. Né già voglio pregarla che ne supplichi S. A. in mio nome, perciochè sa forse meglio di me quel che può essere mio bene e come amore voi padrone non ha in questo proposito altro obietto: ma s'ella pur giudica, che fosse ben fatto di dirgliene qualche parola mi farà grazia singolare. Per tanto sia quanto a lei piace, ch'io rimarrò sodisfatto di ciò eh' a lei piacerà, e con questo fine le prego dal Signor Iddio ogni contentezza , e le racco- mando rinchiusa al padre Panigarola. Dalle mie stanze il 12 d'ottobre del 1583. XXXIII. — Porro Lambertenghi G., Commendatizie e Lettera inedita di T. Tasso in Archivio Storico Lombardo; An. IV (1877), p. 250. L'editore trasse questa lettera dall'autografo esistente nella Trivulziana. — ^9 — XX XIV. ^1 Luai Scaldbrino. — Ferrara. iNou pcsso acquetar l'animo, s'io non sono certo del vostro buono stato: però vi prego che me ne diate avviso: e se, come io credo, sete risanato, mi farete piacere a venire a vedermi. Cosi piaccia a la Prov- videnza del Signore Iddio d'averci in protezione. Di Sant'Anna il 10 Settembre del 1584. XXXV. A Luca Scaìahrluo. — Ferrara. Mando a V. S. cinque camicie le quali hanno molto bisogno d'essere racconcie : le dia a sua parente e l'avvertisca che non vorrei che fossero mescolate con l'altre, e mi vorrà far piacere di venire un giorno seco a parlarmi. Frattanto aspetto quella risposta che V. S. mi promise di sol- lecitare ; ne dia ricordo a l'amico e le bacio le mani. Di S. Anna il 4 Gennaio 1585. Se non può venire col parente venga solo e' ho bisogno di parlarle e faccia levare il drappo col quale sono inviluppate le camicie. XX XVI. A Vincenzo Gonzaga PrincijJe di Mantova. — Ferrara. Là visita fattami in nome di Vostra Altezza m'ha tolto il male, laonde io mi son levato, e volentieri verrei a farle riverenza, parendomi che questo modo solo potesse alleggerirmi l'infiniti fastidi; ma tanto solo ardisco di chiederle, quanto io stimo che possa esserle grato: mi favo- risca adunque in quella guisa, ne la quale rimarrà soddisfatto, ch'in tutte le maniere, in tutte l'occasioni, in tutti i tempi io le sarò servi- tore affezionatissimo. Ora le mando un mio dialogo (1) scritto da me com'io posso, mi faccia grazia di leggerlo, e di rimandarlo, o più tosto di consentire ch'io venga per esso, e le bacio le mani. Di S. Anna il 2 Febbraio del 1585. XXXIV. — E. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — Fu copiata dal Campi, già direttore di queirArchivio, nel suo volume di spogli letterari che si conserva nell'Archivio stesso. XXXV. — Bibl. Comunale di Ferrara; Autogr. in vetrina. — E. Archivio di Stato di Modena; Letterati; in copia. — Nella raccolla d'autografi Cossilla, al Museo Civico di Torino, vi è la evidente falsificazione dell'autografo di questa lettera. XXXVI. — Archivio Gonzaga. — Portioli A., Op. cit. ; p. 16. (1) Il Dialogo della Corte del quale parla anche in una lettera al Donati {Let- tere; voi. II, n." 331) pure del 2 di Febbraio, ed in altra al medesimo Gonzaga {Lettere; voi. Il, n." 336) del 12 Febbraio [Nota del P.]. — 30 — XXX VII. A Bianca Capello Gran Duchessa di Toscana. — Firenze. S'appressa il tempo, nel quale V. A. Serenissima avrà buona occasione di giovarmi : però la supplico, che si degni parlare al Signor Don Cesare d'Este così caldamente per mio beneficio, ch'io senta molto giovamento de le sue raccomandazioni. E perchè la sua grande autorità potrà supe- rare ogni impedimento, che per l'avvenire possa ritardar le mie lettere, 0 le composizioni, mi basterà che V. A. sappia che il mese passato le mandai un dialogo ed una canzona, né dubito, che degnandosi di chie- derla, non debba essere trovata, perchè le poesie, ne le quali è scritto il nome di Vostra Altezza, non sogliono perire, e questo è privilegio de la sua grandezza, e de la felicità, e de la sua liberalità particolar- mente, per la quale sono le sue laudi cantate e lette volentieri da cia- scuno. E le bacio umilissimamente le mani, supplicandola, che oltre le sue raccomandazioni, mi dimostri ancora qualche eifetto de la sua cortesia. Di Ferrara il 9 di Febbraio del 1585. XXXVIII. A Giorgio Alar io. — Roma. Scrivo a l'Illustrissimo Signore nostro Padrone, e gli raccomando il negozio de la mia vita: però credo che non abbia alcun bisogno di ri- cordo: il ricordo nondimeno a voi medesimo, e mi vi raccomando. Di Ferrara li 11 Aprile del 1585. XXXIX. Al Cavaliere Francesco Villa. — Bergamo. Prego V. S. che dia il dialogo de la Cortesia al signor Don Gio. Battista Licino apportator de la presente, e ritenendone copia le mando un conciero. ' Di S. Anna il 25 di Marzo 1585. Nel dialogo de la Cortesia — « Ma che direm noi, signor Beltramo, in queir altra maniera di commerci ? Vorrem credere che mancasse la cortesia in que' valorosi ? ». Concisi — « Ma che direm, signor Beltramo, in quell'altra maniera di commerci; vorrem credere che mancasse del tutto ogni maniera di cortesia? ». XXXVII. — Ms. Mariani ; p. 351. XXXVIII. — E. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — Copia negli spogli Campi ricordati. XXXIX. — Ms. Mariani ; p. 136. — 31 - XL. A Antonino Sersale. — Ferrara. lo non so come stiate, nui il male dei giovani suol durar poco. Laonde, se potete venire a vedermi, non indugiate, perchè io non posso venir a voi, come vorrei, e mi vi raccomando. Di S. Anna il 10 di Novembre 1585. XLl. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Vi prego che nel ricopiar quel discorso lasciate voto quello spazio ove io dico : « ma se non è istoria, è istoria falsificata » perchè voglio giun- gere e mutare alcune cose, e venite a vedermi. Di S. Anna l'il di Novembre 1585. XLIl. A Luca Scalahrino. — Ferrara. lo diedi i mesi passati a V. S. un libro del Signor Alessandro Pen- daglia, nel quale erano alcuni miei concieri. Ora ha mandato un suo a domandarlomi ; laonde vi prego che glielo diate ; ed avendo qualche risposta dell'Illustrissimo Patriarca Gonzaga, mi farete piacere di por- tarlami senza indugio, e vi bacio le mani. Di Sant'Anna il 1° Dicembre del 1585. XLlll. Ad Eleonora de' Medici Principessa di Mantova. — Mantova. lo sono stato sin ora spinto da la buona volontà a baciar le mani a Vostra Altezza, e ritenuto dal rispetto, quasi assomigliandomi ad un cavallo che senta in un medesimo tempo gli sproni e '1 freno e benché abbia vinto il rispetto come doveva, nondimeno non è cessato l'altro affetto, intanto ch'io volentieri non me le facessi conoscere per servitore. E non avendo chi mi appresenti a Vostra Altezza, o clii me ne dia maggior occasione, ho preso ardire di supplicarla, che si contenti ch'io le baci le mani, percliè potrebbero venire alcune occasioni di partirmi, 0 di allontanarmi da ((ueste parti, le quali troppo mi spiacerebbono se XL. — Ms. Mariani; p. 137. XLI. — Ms. Mariani; p. 68. XLIL — R. Archivio di Stato di Modena; Letterati. — Copia negli spogli Campi. XLIIL — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 17. - 32 — prima non le avessi fatta riverenza. Io ebbi già servitù coH'lllustrissimo signor Cardinal de' Medici suo zio, e da alcuni mesi ed anni in qua stimo quasi d'aver reintegrato la s-rvitù. Però non vorrei che Vostra Altezza avesse meno buona la volontà di giovarmi di quella, che mostrò S. S. 111.™^ in altri tempi, benché i modi possono esser molti, purché ella se ne soddisfaccia; io di tutti o d'alcuni renderò a Vostra Altezza le dovute grazie, e le bacio le mani. Di Corte il XXV di Luglio del 1586. XLIV. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Revere. Io volevo supplicar questa mattina Vostra Altezza, che mi facesse favore di mandare per li miei libri il presente apportatore, o alcun altro, ma non avendo avuto comodità di parlarle, ho preso ardire di pregarlo per una mia lettera, e la prego, che non voglia ch'io resti più lunga- mente sospeso di questa grazia, che mi sarà cotanto cara. Scrivo una lettera al figliuolo del signor Guarini (1), al quale darò di nuovo più minute informazioni, di tutto quello che può fare per mio servizio, e a Vostra Altezza bacio le mani, con ferma credenza di essere compia- ciuto di questa grazia. Di Camera il 9 Agosto 1586. XLV. A Battista Guarini. — Revere. Scrissi l'altro giorno al Serenissimo Principe pregando Sua Altezza che mi facesse grazia di mandare per alcune mie cose, e diedi le lettere ad Ottavio, secondo la commissione di S. A., e le chiavi de le casse, e de la valigia ; ma egli non ha voluto portarla , né venire a Revere , benché io glielo imponessi in nome di Sua Altezza. Ora vuole essere il corvo ma trova in me poca credenza ; però prego V. S. che faccia spedire secondo la commissione e la promessa, e baci le mani al Serenissimo signor Principe ed a la Serenissima Principessa in mio nome. Di Mantova il XII d'Agosto 1586. XLIV. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit; p. 17. (1) Il figlio di Battista Guarini, cui qui si accenna, dev'essere Alessandro, es- sendo gli altri due giovanissimi ancora. Cfr. Rossi V., B. Guarini e il Pastor Fido ; Torino, Loescher, 1886 ; p. 104. Il Portioli crede sia lo stesso Battista Gua- rini, cui è diretta la lettera seguente, ma nessuno dei figli dell'autore del Pastor Fido ripeteva il nome del padre. Forse il Tasso mutò opinione e si indirizzò a questo, e non al figlio. XLV. — ArcMvio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 18. - 33 - XLVl. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Bevere. Grandissimo dolore ho sostenuto, ma ringrazio Iddio, che non sarà lungo, perchè altrimenti sarebbe necessario che egli avesse fine co' la mia vita, la quale è di^stinata al suo servizio e come io l'ho più tosto accennato che detto. Ricordo a Vostra Altezza che faccia scrivere per li miei libri, e glielo ricordo, perchè io credo che questa mia lettera la troverà libera da ogni male. Piaccia a Dio di darle vita così lunga, come io desidero, perchè ninno l'avrebbe più lunga, e questo mio desi- derio è degno di trovar credenza in lei e ne gli altri, che le sono affe- zionati, e le bacio le mani. Di Mantova il XVI di Agosto del 1580. XLVII. A Vince^izo Gonzaga Principe di Mantova. — Revere. Aspettiamo il ritorno di Vostra Altezza, il quale io credo che debba essere con la ricuperata sanità, però le mando questo sonetto (1) ralle- grandomene, e la prego che baci in mio nome le mani alla Serenissima Principessa sua, e mi conservi in sua grazia. Di Mantova il 16 d'Agosto del 1586. XLVI. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit. ; p. 18. XLVII. — Archivio Gonzaga. — Portioli A., Op. cit.; p. 19. (1) Il sonetto è il seguente : Mentre d'alma real la febbre ardente Pasce le belle membra e '1 gentil sangue; Punto non cessa il suo valor, né langue Il core invitto e contro il duol possente, Ma '1 soffre e vince; e superò sovente L'ire e i diletti, e far gigante esangue 0 gran centauro, o domar od angue 0 leone, onde il cielo è più lucente. Non è merto maggior se '1 fero assalto N'offende più dove è '1 nemico interno Benché men chiara fama altrui n'adorni. Or quasi lieto vincitor se 'n torni Consacrando un trofeo sublime ed alto A la salute, e n'abbia pregio eterno. Nell'autografo alla parola pregio dell'ultimo verso è aggiunta sopra la va- riante honor. Solerti, La vita di T. Tasso, II. 3 — 34 — XLVIII. A Eleonora de' Medici Principessa di Mantova. — 31aniova. Le mie lettere possono essere ricevute in ogni luogo, perchè l'assicura quello che le fa men care. Non si meravigli dunque Vostra Altezza, se questa sera cercheranno presuntuosamente d'esserle appresentate. Questi anni passati avrei creduto d'acquistarmi la sua grazia co '1 mezzo del Serenissimo Signor Principe suo, ora temo anzi del contrario. Però sup- plico Vostra Altezza che venendole occasione voglia ricordarsi de le parole che mi disse quando le baciai le mani, perchè furono da me raccolte, e conservate ne la memoria dove conservo le cose più care, e di mag- giore stima. Fra lei e il Signor Principe o non è, o non dovrebb'essere cosa alcuna divisa, laonde la mia servitù, qualunque ella sia, e l'affe- zione può essere comune a l'uno e a l'altro, e s'ella in qualche modo non me ne reputerà indegno, non sarò da l'Altezza Sua affatto sdegnato; ma supplico Vostra Altezza che voglia rompere questo ghiaccio, il quale n'è troppo indurato, e per disfarlo non sarebbon necessari men caldi preghi, 0 men cari di quelli di Vostra Altezza, a la quale bacio le mani. Di Corte il XXI Agosto 1586. XLIX. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. Io vorrei esser tanto grato a Vostra Altezza ch'io potessi mandarle senza sua noia le mie composizioni, però vo' tentando questo guado, e forse presuntuosamente. Questa mattina leggerà un Madrigale fatto questa notte alla Signora Barbara Guerriero (1). Bacio a V. A. le mani e fo riverenza a la Serenissima Principessa sua. Di Mantova il XXX d'Agosto del 1586. L. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. Vostra Altezza vedrà in una lettera che mi scrive il Patriarca di Gerusalemme, come io sia persuaso a fermarmi in Mantova contro il mio primo proponimento d'andare a Koma. E perchè le persuasioni sono di persona, la quale non si dovrebbe risolvere altrimenti di quello, che altre volte si sia risoluto," debbo credere non solo a le persuasioni ma XLVIII. — Archivio Gonzaga — Portigli A., Op. cit; p. 20. XLIX. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 21. (1) Comincia: [Fosti Barbara in prima]. È edito in Tasso T., Op. cit.; voi. IV; madr. 280. L. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit; p. 21. — 35 - a la autorità di chi persuade. Però supplico Vostra Altezza che mandi M. Claudio a Ferrara per la mia vali>(ia, e per le casse acciocché io possa fermarmi più volentieri, e s'egli andasse senza sue lettere, stimo che sarà così vano il viaggio come è stata sin ora la mia aspettazione. Vostra Altezza può scrivere per quella parte solamente de' miei libri, € de le robe, la quale mi fu portata a lo spedalo, perchè era più ne- cessaria. De l'altra cercherò io medesimo quel che si può fare, e le bacio le mani, sperando che la conclusione de le sue parole debba esser l'effetto de' miei pensieri. Viva felicissima e mi conservi a parte de la sua felicità. Di Mantova il XVII Settembre del 1586. LI. A (1). 0 Vostra Signoria s'è scordato di quello che voleva dirmi, o ha mutato proponimento, ma io d'alcune cose sono ricordevole, e in alcune altre co- stante. Però non fo altra deliberazione che d'andare a Loreto, s'al Serenis- simo Signor Principe non piacerà di ritenermi sino ad altra stagione. Prego dunque V. S. che mi favorisca con S. Altezza acciocché mi dia licenza ed elemosina a fornire il pellegrinaggio, ovvero, che scriva al Signor Conte Federico Miroglio, che mandi le mie robe, perchè non può esser di servizio di Sua Altezza ch'io non abbia i miei libri, e l'altre mie comodità; ed io non le ricerco solamente per mio comodo, ma per mio servizio. V. S. ha molte occasioni d'obbligarmi perpetuamente, e questa una fra le altre ; né io voglio insegnarle di far beneficio il quale si perde quando altri no '1 riceve volentieri, ma la prego che non essendo in me alcuna ingratitudine, non voglia ch'in lei sia alcuna tepidezza, e le bacio le mani. Di camera il XXII di Settembre del 1586. LII. Ad Eleonora de' Medici Principessa.di Mantova. — Mantova. Dì due cedri de la riviera di Salò donatimi da un cortese Padre di S. Benedetto, ne mando uno a Vostra Altezza, perché l'altro l'ho as- saggiato troppo frettolosamente, non mi sovvenendo che '1 presente po- tesse esserle caro. Si degni accettarlo perchè se mi sarà conceduto da LI. — Archivio Gonzaga. — Portigli A. , Op. cit. ; p. 22. (1) Il Portioli nota che, confrontando questa lettera con quelle già edite tra le Lettere cit. n.""' 653, 656, 657, si può ritenerla diretta a Cesare d'Este. LII. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 23. — so- la mia buona sorte le manderò i frutti da la mia patria, in copia mag- giore e conditi se non potrò altramente. Trattando cercherò di condir con la sua grazia quelli de l'intelletto, i quali senza essa non le par- rebon tanto dolci, quanto a lei si convengono, e le bacio le mani. Di camera il XXII Settembre [1586] (1). LUI. Ad Eleonora de' Medici Principessa di Mantova. — Mantova. Vostra Altezza potrà intendere da molti quanti anni siano ch'io pro- curo di avvicinarmi a Roma, e non ho mai potuto superar le difficoltà del viaggio. Ora quanto son più lontano con la presenza, tanto mi pare d'esser più vicino con la speranza, la quale è tutta fondata ne la sua grazia, e ne la benignità del Serenissimo Signor Principe. Però la supplico che in questo viaggio di Fiorenza, voglia favorirmi, ed acciocché sappia, ch'io ho alcuna particolar ragione a supplicarla, si degni di leggere quanto mi scrive il E.™° Patriarca di Gerusalemme, e le bacio le mani. Di Mantova il XXIII di Settembre del 1586. LIV. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. Son tanto dolente per l'infermità di Vostra Altezza e per la cagione quanto vorrei esser lieto per la grazia e per la sanità. Ma non voglio scriver di male né parlarne, perchè n'ho ragionato abbastanza, e pati- tolo soverchiamente. Le mando un sonetto (1) perchè si degni di leg- gerlo, e di confermar con la sua autorità le mie parole. I miei libri non sono ancora stati mandati, né l'altre cose, né posso credere che debbano essere negate a Vostra Altezza, se delibererà di volerle, com'io la prego caldissimamente, e le bacio le mani. Da la mia camera il 2 di Ottobre del 1586. LV. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Io pur ascolto e non odo novella, né de la vostra venuta, né di voi; è passato il caldo per non tornar per molti mesi; è quasi guasto il tempo, e facendo segno di racconciarsi, s'avete confermata la delibera- (1) Senza indicazione di anno, ma certamente è del 1586, per il giorno e mese in cui appare scritta da Mantova, ed il luogo dove rinvenni l'originale, che fu nei carteggi di quest'anno [Nota del P.]. LUI. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. eit.; p. 23. LIV. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 24. (I) Manca nella filza. LV. — Ms. Mariani ; p. 69. — 37 — zione d'andare a Koma, non dovete indugiare. Non ebbi lettera del Signor Conte Gio. Domenico Albano, ed io scrivo di rado perchè di rado esco di casa, se pur casa è la corte. Non ho potuto mai sapere cosa alcuna del Signor Cristoforo Tasso, né del Signor Ercole, e quanto lor caglia di me. Ho scritto al Signor Maurizio Cataneo, e n'aspetto risposta, e particolarmente nel particolare de' miei dialoghi. Vorrei che mi fosser pagati que' denari de' quali io era creditore per virtù dello scritto. Vi prego che facciate ch'io rimanga soddisfatto, perchè potrei averne bisogno, e mi vi raccomando. Di Mantova il 2 di Ottobre ir..^i5. LVI. A Giovan Battisia Licino. — Beryamo. Se '1 corriero le vostre lettere non vuol darle, se non l'ha, io non so dove siano. Vi prego che vogliate rispondermi, e far che mi siano date le risposte, perchè io esco mal volentieri di casa, né vorrei più ricor- dare il vostro debito, e le promesse a le quali non v'obbligo se non potete soddisfare. Ma senza alcun vostro incomodo potevate far molte cose per mia soddisfazione; potrei lamentarmi di tutti gli amici, e di tutto il mondo, e di me stesso, come degli altri : ma questo non è tempo né luogo da lamenti. Baciate le mani in mio nome al signor Conte Gio. Domenico, a' Si- gnori Tassi, a' Signori Accademici e vivete felice. Di Mantova il 3 di Ottobre 1586. Post scripta. Non potendo mandare danari per via del coniero, vi prego che scriviate a Messer Lodovico Tasso, che me li paghi perchè io n'ho bisogno ogni giorno. LVll. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. Io credo che difficilmente mi saranno mandati i miei libri, se coloro che si hanno la cura non penseranno di far piacere a Vostra Altezza, perchè a me non è chi si curi di farlo: però la supplico che parlando al Cavalier Pignatta (1) per altra occasione, voglia aggiungerle quattro parole de' miei libri, acciocché paia che a Vostra Altezza non sia di- scaro ch'io li ricuperi, e con questa grazia eh' io riceverò da la sua LVI. — Ms. Mariani ; p. 69. LVII. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit; p. 24. (1) Gaspare Pignatta, di Ferrara. — 38 — benignità, stimerò di poter ricompensare molti torti da la mia fortuna, la quale non si pente d'avermeli fatti , anzi s'apparecchia a gli altri, ed io non potrei cercar miglior difesa, ne migliore arme contro la sua insolenza de le ragioni e de l'autorità de gli antichi, ed a Vostra Al- tezza bacio le mani. Da la mia camera il 4 Ottobre 1586. LYIII. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Ho scritto molte lettere a V. S., e di ninna ho avuto risposta, ma in quella vece n'ho avuta una scritta questo Settembre, quando io era col Serenissimo Signor Principe fuor di Mantova. Laonde essendo molto vec- chia, mi pare, che sia passata l'occasione di venire a la fiera, ma non ne mancheranno altre se mi fermerò a Mantova. Rispondo al Signor Conte Gio. Domenico, ed aspetto la venuta di Y. S., quando le sarà co- modo, perchè a me sarà sempre caro di vederla. Le mando un sonetto che io ho fatto in morte della Signora Isotta Brembata (1), e le bacio le mani. Di Mantova il 12 di Ottobre 1586. LIX. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. 11 barbiere di Vostra Altezza mi ha detto in suo nome ch'io posso andare a S. Benedetto se me ne contento» E se questa dee esser la mia contentezza, e la mia libertà, non la ricuso, ma la domando maggiore a chi può darla o impetrarla. E certo Vostra Altezza può far l'uno o l'altro, e può sapere, ch'io mi partii di Ferrara quasi improvvisamente, senza portar meco alcune de le cose necessarie, le quali mi devono esser mandate. Ed ora che viene il verno non vorrei aspettarle invano a S. Benedetto. Però la prego che si contenti di concedermi lo spazio di qualche giorno, sinch'io abbia spedito alcuni negozi, e di farmi libera affatto senza alcuno indugio, e le bacio le mani. Di Mantova il XVIII d'Ottobre 1586. LVIII. — Ms. Mariani ; p. 70. fi) Comincia : Ognor condotta è nuova pompa a morte È edito in Tasso T., Op. cit; voi. V.; son. 381. LIX. — Archivio Gonzaga. — Portioli A., Op. cit; p. 25. - 39 — LX. A Giovati Battista Licino. — Bergamo. Voi mi negate tutte le cose: lo risposto, le raccomandazioni, e %\\ officii ancora, che non costano come l'altre; ed io di tutto ho bisogno. Né solo mi bisognerebbe il mio, ma qualche parte di quel de gli amici, se nel mondo se ne trova alcuno, o vero, o immaginato. Vorrei omai esserne sicuro, e certo, e non avendo altra certezza, mi consolerei con l'opinione, ove potessi averla giustamente de l'altrui cortesia, o almeno di tanta bontà, quanto basti per voler quel che è debito. Perdonatemi se vi scrivo liberamente, perchè di questa lettera farete (|uel che vi pare. Ma ne l'altre cose dovrei io essere il compiaciuto. Raccomanda- temi al Signor Conte Gio. Domenico Albano, al Signor Cristoforo, e al Signor Ercole Tasso. Di Mantova il 27 di Ottobre 158G. LXI. .1 Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. Mando a Vostra Altezza un mio picciol discorso del Segretario, il quale io non pensava di dare a la stampa se non con molti altri di- scorsi e dialoghi ch'avrebbon fatti due o tre volumi assai grandi ; ma non ho potuto negarlo ad un mio amico, che mi portò la nuova quella sera che Vostra Altezza mi fece liberare. Se le pare può darle un'occhiata, e rimandarlo senza ch'altri il veda, perch'altrimenti non sarebbe com- piaciuto l'amico. Si stamperà un poema di mio padre (1), nel quale si leggeranno molte stanze in lode di Principesse e di altre gentildonne. Se a Vostra Altezza crede che ne giunga sei ovvero otto di queste de la città, me ne mandi la lista co' nomi, e le bacio le mani. Di camera il XVIII di Novembre del 1586. LXIl. A Giovati Battista Licitio. — Bergamo. Io scrissi l'altro giorno a V. S., ma non so se la lettera sia stata mandata, perch'io non uscì di casa. La prego che mandi tutte le mie scritture, e particolarmente le Rime, perch'io ne ho bisogno, e apporta grande impedimento a le mie deliberazioni non averle meco. Scrissi LX. — Ms. Mariani; p. 71. LXI. — Archivio Gonzaga. — Portigli A. , Op. cit. ; p. 26. (1) Il Fiondante. LXII. — Ms. Mariani ; p. 72. — 40 — ancora a Monsignor Cristoforo: s'egli non fosse tornato da Venezia, vorrei che mi portasse la Teologia di Gregorio Nanziazeno, ed i versi, i quali mancano a l'orazione ch'io ho: V. S. sia contenta di scrivergliene e di darmene avviso. Di Mantova il 20 di Novembre 1586. LXIll. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. Mi rincresce che la tragedia (1) non mi sia rimandata al tempo ch'io l'aspettava: perchè io non avrei occasione d'aggiunger questa a l'altre male soddisfazioni ch'ho da la mia fortuna. La mandai a chi la di- mandò, pensando che dovesse esser subito ricopiata, né qui avrei saputo a chi darla, chi intendesse così bene la mia cattiva lettera. Vostra Al- tezza perdoni questo errore al rispetto che si porta a tutti i suoi ser- vitori, e se le pare può comandare a questi suoi, che facciano il corriere più diligentemente, perch'egli sarà tanto, quanto essi vorranno. Do a Vostra Altezza le buone feste, e di nuovo la prego che mi scusi di questo, e d'ogni altro errore, perchè di tutti è cagione la mia soverchia ma- linconia, la quale ha così congiunto la pena co' la colpa, ch'io non so di qual debba più dolermi; ma la grazia di Vostra Altezza potrebbe supplire a maggior difetto, e le bacio le mani. Da la Corte il XXII Dicembre del 1586. LXIV. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Vi ringrazio che mi rispondiate, perchè ormai de le risposte debbo render grazie, non potendo renderle d'altro buono effetto. Ho parlato questa mattina con Messer Bartolomeo, e pregatolo che venga a tro- varmi, perchè altrimenti le mie lettere si potrebbono agevolmente smar- rire. Aspetto con desiderio lettere dal Signor Cristoforo Tasso co' sette scudi, e co '1 San Gregorio, ma non so s'egli intenda del Licino, o del Teologo, perchè de l'uno e de l'altro avrei bisogno, e ciascuno per sé mi sarà molto caro. Dal Signor Maurizio ancora non ho risposta. Avrei bisogno di quel servitore, ma aspetto la deliberazione che farà il Signor Cristoforo, com'egli sarà risanato, ed ora a V. S. bacio le mani. Di Mantova il 24 di Dicembre 1586. Non le ricordo quanto io desidero di rivedere i miei dialoghi, e le rime, perchè gliel'ho scritto altre volte. LXni. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 26. (1) Il Torrismondo. LXIV. — Ms. xMariam; p. 75. LXV. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Ieri vi scrissi in fretta per quel medesimo ohe m'aveva portata la vostra, la qual rileggendo ho veduto nel fine, «he mi ricordate il so- netto del Lupo. Io me n'era scordato, né so in (jual materia il vogliate, perchè ho perduta l'ultima vostra lettera. Vedete cervello! sarei rovi- nato, se voi non faceste miglior conserva di quella di fra Daniello, perch'io non ho saputo conservar le vostre. Torniamo al sonetto, e sup- ponghiamo ch'egli sia in materia di morte. Io ve '1 manderò quest'altra settimana senza fallo. Questa, ne la quale or siamo, aspettava danari da varie parti, e non ne ho avuto da alcuna; e s'è partito da Man- tova un mercante che vuol darmene. Ma forse Messer Lodovico Tasso mi presterà la medesima quantità, ch'io voleva da lui. Qui si fanno le migliori pizze del mondo: mi spiace di non ve n'aver potuto mandare un paro, acciocché codesti speziali di Bergamo imparassero a farle. Baciate la mano ai parenti ed a gli amici, e particolarmente al Signor Cristoforo, ed al Signor Ercole, e salutatemi il Signor Maurizio nostro. Di Mantova il 19 di Dicembre 1586. LXVI. A Vincenzo Gonzaga Principe eli Mantova. — Mantova. Do le buone feste a Vostra Altezza un'altra volta, e cosi esaudisca Iddio la mia preghiera, com'io non potrei dargliele piìi di cuore. Non vengo a vederla, perchè questa dee esser sua grazia, non mia presun- zione. Ma non voglio perder in tutto l'opinione che mostrano d'aver molti, che Vostra Altezza mi sia così larga del suo favore, ch'io possa farne parte a gli altri , onde non si meraviglierà se non avendo ancora confermata la mia servitù cercherò di dar principio a quella de gli altri. In questa parte sola desidero che mi giovi l'apparenza, in tutte l'altre io le sono nemico, e non volendo ingannar me stesso, non cercherò ch'al- cuno resti da me ingannato. Perdoni Vostra Altezza tanto ardire, il quale non è però tanto eh' io ardisca di disperare. E perdi' io spero, oserò di pregarla, che mi faccia grazia di mandar rinchiusa al Signor Patriarca Gonzaga e le bacio le mani. Da la mia camera il 29 Dicembre del 1586. LXV. — Ms. Mariani ; p. 75. LXVI. — Archivio Gonzaga. — Portioli .\., Op. cit.; p. 27. — 42 — LXVII. Ad Eleonora de' Medici Principessa di Mantova. — Mantova. Mando a Vostra Altezza una canzone (1) perchè si degni leggere una piccola parte de le sue lodi, scritta da un suo devotissimo servitore. E bendi' ella non sia tale che possa darmi tanto ardire quanto basti per uguagliar la riverenza che si dee a l'alto suo stato, nondimeno io non voglio perdere questa occasione di supplicarla. La supplico dunque, che scriva a la Signora Ambasciatrice di Toscana in mio favore, perchè non sia impedita la stampa d'un libro di mio padre (2), il quale è dedicato al Serenissimo Signor Duca suo suocero. So ch'a le sue preghiere, o più tosto a' suoi comandamenti non si può negar cosa alcuna, ma i miei preghi sin ora sono stati poco esauditi, e se Vostra Altezza non comincia a farmi qualche grazia, non so chi vorrà esser la prima a dar altrui questo buon esempio, e le bacio le mani. Di Mantova il 2 di Gennaio del 1587. LXVlll. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Ieri mi fu portata l'Epitome di S. Agostino con una lettera di V. S. ne la quale non m'accusa la ricevuta de l'ultima mia, né mi dà avviso del Signor Cristoforo, al quale scrissi similmente. Non ho avuta la Teo- logia di S. Gregorio Nazianzeno, né so a chi domandarla, se non la chiedo al corriere di Venezia. Le mie scritture mi saranno care in ogni tempo, massimamente i due dialoghi de la Nobiltà, e de la Dignità. Ora le mando il sonetto in morte de' figliuoli del signor Orazio (1). La lettera del Signor Cristoforo in mia raccomandazione la desidero in quel soggetto nel quale mi scrisse il signor Maurizio, a cui ho risposto a pieno, e bacio a V. S. le mani. Di Mantova il 12 Gennaio del 1587. Le raccomando l'iiiclusa al Signor Cristoforo. LXVII. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 28. (1) Manca nella filza. (2) Il Floridante. ' LXVIII. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit; p. 28. (1) Il sonetto, che si trova unito alla lettera, comincia: Ambo fiorir vedeste i figli vostri ed era edito già in Tasso T. , Op. cit.; voi. V.; son. 387. — 43 LXIX. A Cristoforo Tasso. — Bergamo. Ornai io debbo sperare, che V. S. abbia scacciato il male. Laonde non le sani grave di scrivere al Serenissimo signor Principe di Mantova in quel soggetto che le dee esser accennato dal signor Maurizio, al (juale io credo molto, e perch'è cortigiano di Roma, e perch'è segretario di Monsignor Illustrissimo Albano, e perch'è Hcrgamasco, e perchè m'è amico di molti anni. Dal signor Licino mi fu scritto che V. S. m'avea mandata la Teologia di San Gregorio Nazianzeno, e mi manderebbe sette scudi de' quali veramente ho bisogno. La prego dunque a mandarmeli, e le bacio le mani ed insieme a la signora sua Madre, e fratelli. Di Mantova il 12 di Gennaio del 1587. LXX. Ad Eleonora de Medici Principessa di Mantova. — Mantova. Supplico Vostra Altezza che si degni di mandarmi la tragedia e' ho bisogno di rivederla, ma gliela rimanderò fra due o tre ore, e mi per- doni s' io ho questo ardire di darle fastidio e le bacio le mani. Di casa il XXIV Gennaio del 1587. LXXI. A Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. La mia tragedia darà forse noia a Vostra Altezza nel leggerla, ed io temo d'accrescergliele : nondimeno a cosi lunga lezione, può aggiungere il fastidio di questi pochi versi i quali ho mutati. Vostra Altezza mi faccia grazia di far conciar la copia ch'ella n'ha in questo modo, perch'io troppo m'affrettai nel mandarla a ricopiare, credendo di potergliele mostrar inanzi Natale, e poi non mi venne fatto. S'io potrò rileggerla non ne muterò altrettanti per avventura. E non potrei aver maggior dispiacere, che sentir, che di questa mia composizione avvenisse, quel che m"è avvenuto de l'altre. Onde non mi vergogno di supplicarla che mi compiaccia di cosi picciola cosa, e le bacio le mani. Di Mantova il XXV di Gennaio del 1587. LXIX. — Archivio Gonzaga. — Poktioli A.. Op. ctt; p. 29. LXX. — Archivio Gonzaga. — Portigli A.; Op. cit.; p. 30. LXXL — Archivio Gonzaga. — Ferrato P., Lettere inedite di G. B. Guarini e T. Tasso, tratte dagli autografi custoditi neìV Archivio Storico dei Gonzaga in Mantova, Mantova, Eredi Segna, 1878; opusc. in-8°; per nozze Bernini-Zilli. — Il Ferrato pubblicava questa lettera colla data di Modena, XXV Gemmio 1584, senza osservare che essa non poteva essere esatta, poiché il T. era in quel tempo rinchiuso in S. Anna. Il Ferrazzi {T. Tasso, Bassano, Pozzato, 1880; p. 369 «.) 44 Atto primo — Scena terza. Gli altri fremendo, ed Aquilone ed Austro Quinci soffiaro impetuosi e quindi {concisi) Tutti gli altri fremendo, e Borea ad Austro S'oppose irato, e ,.^° quinci e quindi [concisi) Ed altrettante in mezzo al mar profondo Voragini s'apri;, valli e caverne Degli altissimi monti a' curvi fianchi [concisi) D'un altissimo monte a' curvi fianchi. Atto terzo -^ Rosmokda. Quasi di monte in monte e sotto io veggio [concisi) Quasi di monte in monte e veggio omai Atto quarto — Rosmonda e Torrismondo. Già de la vita mia l'anno secondo [concisi) Già de la vita mia il secondo corso. Atto terzo — Germondo solo. Che solo il tempo ne dimostra uom giusto [concisi) Che solo po' il tempo dimostrar l'uom giusto Atto ultimo — Scena penultima. Per fur l'esequie con l'estremo pianto [giungasi) Che darà al mondo ancor perpetuo affanno. LXXII. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Mando a V. S. la risposta eh' io ho fatto al sonetto del signor Orazio Lupo (1). 11 San Gregorio non l'ebbi, ne vorrei che si perdesse. E non ebbi i sette scudi, che mi scrive, che il signor Cristoforo darebbe a Messer Bartolomeo corriere; ma non ho potuto vederlo questa settimana pas- ricordando questa lettera, alla quale per errore assegnava la data 24 Giugno 1584, faceva per il primo tale osservazione senza però correggere in niun modo. Dalla cortesia dell'egregio Signor Stefano Davari, direttore dell'Archivio Gonzaga, rai viene spiegato l'errore del Ferrato: usava il Tasso scrivere il 4 ed il 7 presso a poco nello stesso modo ; e inoltre l'autografo ha la data : Di ilf."", cioè di Mantua, che il Ferrato invece interpretò per Modena. LXXII. — Ms. Mariani ; p. 76. (1) Comincia: Mentre io bramo spiegare in aito il volo ed è edito in Tasso T. , Op. ciL; voi. V.; son. 206, ove è erroneamente indirizzato ad Orazio Ariosto. — 45 — sata. Aspetto che il signor Cristoforo scriva al Serenissimo Signor Prin- cipe. Vostra Signoria mi raccomandi a Sua Signoria, la quale spero che sia già risanata, ed a' signori suoi fratelli, ed al signor Conte Gio. Domenico Albano, ed a tutti codesti altri signori e sia sana. Di Mantova il 25 di Gennaio 1587. LXXIII. Ad Eleonora rie' Medici Principessa di Mantova. — Mantova. Torquato Tasso, umilissimo servitore di Vostra Altezza, ha maggiore ardimento di supplicarla, che di servirla, perciiè la benignità di Vostra Altezza l'assicura che debba essere esaudito, ma le sue impeifezioni il fanno poco atto a' suoi servigi. La supplica dunque che si degni di rac- comandare a la signora Ambasciatrice di Toscana la spedizione d'un suo libro che si stampa, a la quale possono esser diversi impedimenti. 11 ti- tolo de roi)era è // Fìoridante del signor Bernardo Tasso. Oltracciò la supplica, che gli dia autorità d'impegnare o di vendere la pelliccia, che gli donò, in ogni occasione ch'egli abbia di partirsi. Né le dimanda li- cenza di donarla, perch'egli ha fatta ferma deliberazione di non voler ciò fare in modo alcuno, e bacia a Vostra Altezza le mani. Da la camera il 27 di Gennaio del 1587. LXXIW .1 Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. — Mantova. S'io potessi coi miei servigi satisfare a' desideri di Vostra Altezza, avrei aspettato che le sue grazie prevenissero le mie preghiere, così in questa occasione, come hanno fatto ne l'altre: ma perch'io mi conosco imperfettissimo per natura, impeditissimo per fortuna, ed occupatissimo per soverchia importunità de gli uomini, ho voluto ridurre a Vostra Al- tezza in memoria i miei bisogni, stimando ch'altri per avventura non glielo ricordi. Ho bisogno di esser vestito, e non ho tanto credito co' mer- canti e co' sartori quanto avrei desiderio di pagare s'avessi danaro. Ma tutti i debiti ch'io facessi sarebbon fatti con molto mio dispiacere, non potendo io pagarli , se il Ke di Spagna non mi fa qualche grazia o qualche mercede, e se altri miei negozi non sono spediti in quel modo che m'è stato promesso; il che s'avvenisse io pagherei i creditori senza fallo. Frattanto prego Vostra Altezza che voglia dar commissione che mi sia dato da vestir per questa state, e perdonarmi così questo ardimento, come tutti gli altri errori, e le bacio la cortesissima mano. Di Mantova il XXVI d'Aprile del 1587. LXXIII. — Ardii vio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit; p. 30. LXXIV. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit.; p. 31. — 46 — LXXV. A Cesare da Este. — Blantova. Se V. S. avesse voluto da principio favorire il mio negozio, il quale con molte lettere le fu posto tutto ne le mani, in quella guisa che si ri- chiedea a la sua gran virtù, ed a l'antica nostra amicizia, ora non sarebbe fastidito da le preghiere d'un povero poeta, dico povero non sol di danaro, ma d'invenzioni. Sopporti adunque in pace questa noia perchè non l'è piaciuto di schifarla. Io mi sento male, ed ho bisogno di una purga: prego V. S. che faccia dare commissione a lo speziale del Serenissimo si- gnor Principe, che mi dia le cose necessarie e qualche alberello di zuc- caro rosato ed aromatato per rinfrescarmi. Oltracciò supplicai il Serenis- simo Principe che non potendomi agevolare il viaggio di Napoli e '1 negozio col Viceré, mi facesse dar da vestire per questa stagione, e forse le commissioni sono state date, ma non sono eseguite. Vagliami tanto la sua autorità, ch'io possa scordarmi in parte la mia cattiva fortuna. Avea pensato d'aggiungere una scena alla mia tragedia e però supplico Sua Altezza che voglia restituirlami, ed in tutto prego V. S. che mi aiuti, e mi giovi e mi favorisca. E le bacio le mani. Di camera il XVII di Maggio del 1587. LXXVI. A Vincenzo Gonzaga principe di Mantova. — Mantova. Io dimando a Vostra Altezza grazia di potermene andare e di portar- mene una valigia e prenderò il silenzio in luogo di concessione, aspettando migliore occasione di baciarle la mano, e di farle riverenza in quel modo che ho sempre desiderato. Nostro Signore Iddio la conservi lungamente. Di Mantova il 7 d'Agosto del 1587. LXXVII. A Giovan Battista Licino. — Bergamo. Rispondo oggi solo, perchè oggi è il giorno de la coronazione (1), se pur non sarà impedito dal mal tempo, ed io sono occupatissimo. Ho ricevuto le copie, e quasi dispensatele. Ne la tragedia son corsi infiniti errori, ed alcuni, se non m'inganno, a bello studio. Benché non abbia avuto tempo di rivedere tutta quella parte ch'io rividi a Bergamo, ve la mando in due fogli perchè facciate ristamparla. Grande sciagura è la mia che la più scorretta sia quella eh' è in maggiore e più bella stampa, e poteva LXXV. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Op. cit. ; p. 32. LXXVI. — Archivio Gonzaga. — Portigli A., Un episodio della vita di T. T. Estr. ^2\Y Archivio Veneto, T. XIX, p.te II (1880); p. 10. LXXVII. — Ms. Mariani; p. 88. (1) Del principe Vincenzo, essendo morto il padre Duca Guglielmo. — 47 — essere altrimente (1); raccomandatemi al signor Corbello, il quale po- trebbe usare maggior diligenza. Al signor Cavaliere Solza baciate le mani, dicendogli ch'io sto pur aspettando le sue raccomandazioni, che debbono giovarmi. Ne' Cori si dee avere avvertimento a' principii de le stanze, i quali devono essere distinti, ed alquanto fuor de la riga, con lettere ma- iuscole. Salutate ancora il signor Ercole, e tutti i signori Tassi. L'altre ri- sposte manderò quest'altra settimana, frattanto vivete lieto, e ricorda- tevi del mio romitorio, e del cilicio. Di Mantova il 24 di Settembre 1587. LXXVIII. A Giovali Battisia Licino. — Bergamo. Mi rallegro de l'allegrezze del signor Ercole , ma non mi doglio de' miei dolori. Fra' quali non è picciolo che questa Tragedia si ri- stampi un'altra volta (1) con tanti errori, e m'incresce che l'ultime correzioni , eh' io vi mando per questo corriere, non arrivino a tempo. Voi n'avete aggiunto un altro d'importanza, o voluto far manifesto che stimate che sia mio errore, avendo fatto stampar in fronte al libro: Arane città reale di Gothia, perchè ella non è città regia de' Goti, ma reggia de' Goti ; cioè una rocca, o un castello, o altra sì fatta cosa. E se io ne la Tragedia dico quest'a?ma cittade, posso dirlo, o per rispetto de la città vicina, o per rispetto de la moltitudine di per- sone ch'era col Re. Ciò è in due luoghi; ma a carte trentasette po- tete conciar: Ba questa reggia invitta^ ed aggiunger questa a l'altre correzioni, per non indur errore ne' lettori; ne l'altro luogo non importa. Starò aspettando che la tragedia si ristampi in forma grande; fra tanto viverò ne le mie disperazioni, senza poter far verso. Raccomandatemi ai signori Cavalier Solza, ed a Monsignor Cristoforo Tasso, il quale ornai dee esser tornato, e fate eh' io possa riveder i miei discorsi, e i dialoghi, prima che si stampino. Vivete lieto. Di Mantova l'ultimo di Settembre 1587. Baciate in mio nome le mani al clarissimo signor Podestà, perchè questa sarà de le maggior soddisfazioni ch'io speri nel mio ritorno. (1) Cfr. Serassi, Vita di T. T., Firenze 1858; voi. Il, p. 446-7: Il Re Torri- smondo, tragedia del signor Torquato Tasso, Al serenissimo signor Don Vincenzio Gonzaga duca di Mantova e di Monferrato ecc. In Bergamo, per Cornino Ventura e compagni, MDLXXXVII. In-4'>. Prima edizione, dedicata dall'autore a Don V. Gon- zaga, con lettera da Bergamo, del 1" Settembre 1-587. LXXVIII. — Ms. Mariani ; p. 89. (1) V. la nota precedente. Venne infatti ristampata nello stesso anno 1587 in-8° piccolo. Cfr. Sgrassi , Op. ìoc. cit. - 48 LXXIX. A Scipione Gonzaga Patriarca di Germalemnie. — Boma. Scrivo a V, S. da Fano, a' 29 d'ottobre tutto pieno di maninconia e d'affanni per varie cagioni; perciocché io mi son partito da Mantova appena risorto da una infermità, come a me pareva, pericolosa, per ve- nire a Roma col signor Marco Pio, che mi aveva fatto invitare a questo viacro-io: e d'andare a trovare il signor Marco m'aveva data licenza il signor Duca di Mantova, o volendo che io intendessi che l'altra licenza di passare piti oltre io poteva prenderlami con la compagnia del signor Marco, o per qualch'altra ragione occulta. Giunto a Modena mi fu detto che il signor Marco alcuni giorni prima era partito; ed io presi riso- luzione di passare più oltre, e mi partii quanto prima mi fu conceduto dal signor Governatore di Modena. Ebbi ancora licenza dal Cardinale Gaetano, ai preghi del quale il signor Duca di Mantova, nel battesimo di suo figliuolo, mi aveva permesso di concedermi a mezzo agosto licenza di venire a Roma. Andai poi a Bergamo, come seppe V. S. Illustrissima, ma non mi pareva che perciò le prime promesse dovessero parer vane. Ora sono così vicino a Loreto che niuno dovrebbe impedirmi che io non visitassi quella sontuosissima chiesa, sinché potrò adempire il voto, come avea deliberato. Nondimeno mi pare di vedere e d'udire molti cenni, quasi nubi e tuoni per l'aria che minacciano crudelissima tem- pesta. Passerò nondimeno oltre, pregando Iddio che mi faccia grazia di passare pacificamente, perch'io di niuna cosa ho maggior desiderio che di quiete. Ma se altro avvenisse, fosse almeno il tempo dei cavalieri erranti, che al cavaliero non era impedito il passo se non da un cava- liero; in questo non ci possiam difendere da la violenza e da l'inganno. Almeno mi dovrebbe assicurar l'abito, il quale è tutto pacifico, perch'io cavalco con una pelliccia lunga sino ai piedi e con mantello d'egual gTandezza, come è piaciuto a la mia fortuna, la quale, se m'impedisce di ragionare con V, S. Illustrissima, mi toglie ogni speranza affatto ch'io possa avere delle cose di Lombardia, e particolarmente di poterci mai viver sano. Ora sono ancora infermo di quella spiacevolissima infermità, la qual dovrebbe muover compassione ne gli stessi nemici, e per mia crudele fortuna non ho potuto ancora ritrovarla ne gli amici. Vorrei di nuovo raccomandarmi a V. S., ma non so se questa lettera giungerà a LXXIX. — Archivio Gonzaga. — Braghirolli W., Lettere inedite di alcuni illustri italiani, Milano, presso l'I. R. Stab. Priv. Naz. di P. Riparaonti-Carcano tip. e calcogr., 1856; in-8°, di pag. 95; per nozze Cavriani - Lucchesi-Palli. — Laxzoxi F. - Ubaldini a., Op. cit; p. 18. — 49 — tempo, 0 se l'autorità sua potrà giovarmi in alcun modo ed agevolarmi il viaggio ; piir mi giova di sperarlo e prego V. S. Reverendissima che mi faccia grazia di dire a Sua Santità ch'io fo questo viaggio non come peregrino, ma come infermo, sperando di poter poi peregrinare a piedi co' la sua benedizione e con maggior sanità di corpo e quiete d'animo. Bacio a V. S. Illustrissima le mani, e le ricordo il negozio del Reverendo fra Jacomo Moro. Di Fano il 29 Ottobre del 1587. LXXX. A Federico Pendasio. — Bologna. Dopo la mia venuta a Roma, do la quale sono state molte le cagioni e poche le comodità, io ho scritto al Signor Duca di Mantova, pregando S. A. che si contenti di restituirmi i miei libri ; la maggior parte dei quali sono in due casse chiuse, alcuni altri pochi in una aperta, con altre mie robe; i quali si potranno accomodare in un fardello di tela, e porlo senza le casse, e farlo portare a Bologna. Prego V. S. che si voglia prendere questa cura, per la quale io le rimarrò obbligatissimo ; 0 almeno fare officio che siano consegnati a chi li chiederà in mio nome. La dimanda è tanto giusta, che non ha bisogno di tante preghiere, e la cortesia di V. S. le dovrebbe stimar soverchie se fossero necessarie. Però aspetterò di essere tosto compiaciuto per sua intercessione, e le bacio le mani. Da Roma il 1° Novembre 1587. LXXXI. A Vincenzo Gonzaga Duca di Mantova. — Mantova. Io mi sono partito da Mantova non come era la mia volontà, ma come fu quella di V. A. o de gli altri; perchè io avrei desiderato non solamente lunga udienza e grata licenza, ma favore ed aiuto di venire a Roma, dove sono arrivato dopo molte difficoltà. Ora prego V. A. di due cose: l'una dovrebbe essere conceduta senz'essere dimandata, LXXX. — L'originale di questa lettera dall'Archivio Gonzaga passò, non so come, al R. Archivio di Stato di Milano, che restituì poi una copia autenticata. — Braghirolli W. , Op. cit. — Lanzoni F. - TJbaldini A., Op. cit. ; p. 20.— Portigli A., Op. cit; p. 20; dove non è accennato che fosse già edita ed ha la data erronea del 5 novembre. LXXXL — Archivio Gonzaga. — Braghirolli W. , Op. cit. — Lanzoni F. - Ubal- DiNi A., Op. cit.; p. 21. Solerti, La vita di T. Tasso, II. 4 - 50 - l'altra che non si dovrebbe negare a chi la dimanda. La prima è la restituzione dei miei libri , l'altra la libertà , la quale non mi potrà mai portare tanto utile o tanto piacere che ricompensi i danni e la noia de la prigionia. Sono in casa del Signor Patriarca Gonzaga: però quanto la distanza del luogo par che mi separi dai servigi di V. A., tanto questo mezzo mi ci ricongiunge. E le bacio le mani , di nuovo supplicandola che si degni di farmi le grazie che io le dimando. Di Eoma, 7 di Novembre del 1587. LXXXII. A Ercole Tasso. — Bere/amo. Mi spiace di non aver conosciuto il desiderio di V. S. intieramente, perchè io non son villano, né fo professione d'essere ingrato. Incolpi la mia fortuna, e l'altrui volontà, e la mia infermità, o fastidi, che pro- cedono da l'una e da l'altra; de la mia natura alcuno ragionevolmente non poteva dubitare. La lettera che scrive d'avermi mandato per il Signor Maurizio, non l'ho avuta, ne le scritture, fra le quali dovrebbono essere i sette libri de l'arte del Poema eroico, perchè di questi ho mag- gior bisogno, che d'alcun altro, e non sono di così grande impedimento, che dovessero impedire alcuna mia deliberazione. Oltre le due stanze m'è necessaria l'antecedente, eh 'è quasi anticamera. Piaccia a Dio ch'io possa aver grata memoria di chi m'avrà fatto servizio o piacere. Nostro Signore sia con esso lei. Di Napoli il 21 d'Agosto 1588. LXXXIII. A Francesco Maria della Rovere Duca cT Urbino. — Urbino. Io non voglio credere che le cortesi lettere di V. A. abbiano accre- sciute le difficoltà, ch'io aveva nel fermarmi in questa città, o quelle del ritorno a Koma, parendomi che '1 suo favore dovesse farmi le cose più facili in tutte le parti. Ma in questa io non posso finir la lite, né pur cominciarla, né in altro modo trattenermi. Aspetterò dunque in Iioma, 0 la morte, o la grazia di Sua Maestà , né so qual mi parrà più tarda; ma se V. A. mi procurerà quella, che più conviene a la sua cortesia, io troverò alfine qualche riposo, e qualche quiete de l'animo, e le bacio la mano. Di Napoli il 4 di Settembre del 1588. LXXXII. — Ms. Mariani ; p. 148. LXXXIII. — Ms. Mariani ; p. 345. — 51 — LXXXIV. A Orazio Feltro. — Napoli. Vostra Signoria con tanti titoli mi toglie l'ardimento di risponderle, perchè temo di parer vano ne l'accettarli, e superbo non onorando i suoi meriti parimente. Ma se pur V. S. vuole far questo graiid'onore al poeta, ne gli eftetti non sono troppo diverso da la sua opinione, ne l'apparenze non vorrei che mi facesse vergognare. Attendo a rivedere le mie rime, ed a far qualche esposizione , e penso di farle stampare con qualche mio utile. Del mio ritorno a Napoli niuno è più desideroso di me; ma dubito di non essere burlato ne la sanità, ed al fine ancora ne la vita, s'i medici e gli altri non mutano opinione ; ma particolarmente la dovreb- bero mutar i medici. Io non posso pentirmi d'alcuna cosa ben fatta; de l'altre mi sforzerò, che non si conosca in me alcuna estimazione, e non so se fra queste vogliono numerare de la vanità de le mie rime. V. S. mi avvisi quel che si possa sperare de la mia lite, e de l'altre cose, € mi tenga ne la sua grazia, e di tutti codesti Signori, e viva felice. Di Roma il 12 di Gennaio del 1589. LXXXV. .1 Francesco Maria della Rovere Duca d' Urbino. — Urbino. Ringrazio Vostra Altezza che abbia raccomandato il mio negozio al Signor Bernardo Maschio suo segretario, e son contento che raddoppi a me l'obbligo, purché si degni raddoppiarne a lei il carico, acciocché questa mia pratica abbia qualche fine, se non lieto e felice rom'io dovrei aspettare da la benignità di Sua Altezza, almeno senza tante infelicità e miserie. Vostra Altezza è principe giudiziosissimo, io sincerissimo gen- tiluomo, però non voglio passar questi termini nel supplicare; né per diffidenza scrivere ad alcun altro più volentieri, e bacio a Vostra Signoria umilissimamente le mani. Di Roma il 3 di Marzo del 1589. LXXXVI. .1 Curzio Ardizio. — Pesaro. L'ultima di V. S. del 5 di Luglio, m'è stata data non dal Signor Conte Orazio Scoto, ma dal Signor Fabio suo fratello, forse perchè io non avessi occasione di parere a quel Signore troppo importuno ne le mie LXXXIV. — Ms. Mariani; p. 152. LXXXV. — Ms. Mariani ; p. 346. LXXXVL — Ms. Mariani ; p. MO. — 52 — necessità, o piuttosto importuno ne gli appetiti. Ma con V. S. non posso parer presuntuoso, perchè la mia amicizia ornai mi dovrebbe assicurar da questo sospetto. Io, Signor mio, così infermo come sono, e così priva di speranza di ricuperar la salute, non attendo a ni una cosa tanto quanto alla perfezione della mia Gerusalemme, e non penso a ninna cosa più; ma la povertà m'è impedimento, non solo l'infermità: perchè io sono pigro nel comporre, anzi che no, e non posso poetare e filosofare, fa- cendo altro come sarebbe mestieri: però mi son raccomandato a molti Signori miei. Al Serenissimo Signor Principe di Parma ho scritto che mi faccia grazia di donarmi una coppa, vergognandomi di chiedergli la comodità di un letto ed altre cose necessarie in un monastero, ma col suo favore , questi Padri m'avrebbono potuto accomodare , senza loro- incomodo. Ma questo officio più si conveniva a gli amici, a' quali non sarebbe per avventura così grave la repulsa, come parrebbe a me di quel favore, ch'io gli ho dimandato. Poesia nuova non posso mandargli, perch'io non ho fatta altra canzone, che quella de la Clemenza, e quelle stanze in lode del Papa, e omai non devono essere più nuove, né posso in modo alcuno pensare a nuove composizioni, se prima non m'è conce- duto ch'io riformxi il mio poema, perchè ogni indugio, per mio avviso, sarebbe sopraggiunto da la morte. Il Signor Cardinale del Monte m'avea promesso di farmi qualche favore, e non avendo io data a S. S. Illu- strissima alcuna cagione di pentirsi, non posso vergognarmi di supplicarlo di nuovo de l'aiuto promessomi. Ma oltre tutte l'altre cose, mi piace- rebbe la comodità di due stanze in un monastero, poiché non le merito ne la corte. La venuta di V. S. è da me aspettata con incredibil desiderio; piaccia a Dio, che mi porti qualche consolazione dopo tante tribolazioni, frattanto sia contenta di procurarmi risposta de rinchiusa, e le bacio la mano. Di Eoma il 5 di Luglio 1589 (1). LXXXYII. A Curzio Ardizio. — Pesaro. S'io vedessi spesso il fratello di V. S., e sapessi dove trovarlo, non le scriverei così di rado; ma quanto meno le sono importuno, tanto più dovrei sperare de la sua cortesia. La prego adunque che scriva in mia raccomandazione al Signor Conte Pomponio Torello per le stanze del mo- nistero. Io gli ho scritto similmente, ma ho mandate le mie lettere per altra strada, e n'aspetto risposta. De la cortesia del Signor Cardinal del (1) Forse è errata la data nel principio della lettera. LXXXVII. — Ms. Mariani ; p. 1342. - 53 — Monte non sono ancora disperato, ma se Vostra Signoria volesse aggiun- gervi gli stimoli del signor Marchese suo fratello, non credo ch'ella avesse bisogno d'altro siterone. Io non voglio parer presuntuoso di sover- chio: ma credo che '1 mondo non possa riputarmi indiscreto, se vorrà avere alcun riguardo a le mie tribolazioni di tanti anni, ed al giusto desiderio di dar compimento al mio Poema. E bacio a V. S. la mano, e molto me le raccomando. Da Koma il 10 di Luglio del 1589. LXXXVIII. A Curzio Ardizio. — Pesaro. Le cortesi ed ottìeiose lettere di V. S. m'hanno trovato quasi in letto, almeno tanto oppresso dal male, che non posso pensar ad altro che al miglioramento. Ricopiar cosa mia ora non posso, e non ho chi la ricopi. In quanto al negozio de le stanze non vorrei, che la speranza che io ho nel Signor Cardinale del Monte, mi tenesse tanto a bada, ch'io perdessi questa occasione d'andare ai bagni di Pozzuoli, o d'Ischia, come ho perduta la primavera; benché forse sarebbono così buoni quelli di Siena, 0 altri di Toscana, e molti lodano più quelli di acqua dolce, perchè io sono quasi etico se pur non sono affatto. E la comodità de' bagni non m'è offerta, se non in Napoli. Ma così ne l'andare, come nel ritorno, s'io avessi voluto ritornare, avrei desiderato qualche rifugio in qualche monistero di Roma, per molti mesi, non solo per molti giorni. In quel de la Trinità, avrei goduto almeno la vista de la vigna del Gran Duca; da Santa Maria Nuova, mi sarebbe stato facile il passare agli orti Farnesi; nel monastero di Montecavallo avrei avuta gran comodità di trattar con nostro Signore alcune cose appartenenti a la mia salute, o a la libertà. Però avrei desiderate le stanze in uno di questi tre ; ma non ricuso quel di S. Pietro in Vincoli, per dare effetto al negozio già cominciato co' l'Arciduca fratello de l'Imperatore, né alcun altro; perchè veramente essendomi negata la tavola de' principi italiani, voglio far esperienza se posso aver questa grazia da l'Imperatore, o da' fratelli. Intorno a la dedicazione del mio poema, io non sono tanto ambizioso, che desideri di passare que' termini, a' quali può condurmi la grazia del Gran Duca. Però Sua Altezza, non potrebbe dubitare, che lascian- domi ne la quiete de' miei studi, io vacillassi ne la mia fede e ne la divozione ; io mi doglio, che troppo abbia tenute strette le mani de la sua liberalità verso me, perchè almeno mi sarebbe stato necessario un centinaio di scudi, per andare e tornare da' bagni, oltre trenta o qua- LXXXVIII. — Ms. Mariani ; p. 342. — 54 — ranta altri per vestire; non avendo io cosa che mi bisogni, questo au- tunno e questo verno. De la cortesia del Signor Duca di Parma molta mi sono rallegrato, non per altro desiderio che di libertà. Pensava di compartire me stesso, e l'opere mie, fra molti principi; oltre a ciò te- meva di parere importuno o presuntuoso, dimandando molto ad uno solamente, e '1 poco non può bastare ad un povero gentiluomo, inferma già molti anni, e ne l'infermità studiosissimo. E per conchiuderla, non avendo le cose necessarie per me, e per un paio di servitori, non poteva fare alcuna certa e costante deliberazione. Al Signor Guidobaldo avrei grand'obbligo di ogni officio fatto a mio favore, come avrei avuto al Signor Abate. Scrivo a l'uno ed a l'altro, pregandoli che non mi siano scarsi del loro aiuto, acciocché io sia sicuro di avere una ferma ritirata in uno di questi monasteri, dove lascerò i miei libri. Aspetto da V. S. risposta con qualche effetto, perchè altrimenti sarebbe tarda, non volendo io perdere l'occasione di uscir in qualche modo da così lunga e così noiosa infermità, e bacio a V. S. la mano. Da Roma il X d'Agosto del 1589. LXXXIX. Al Padre Confessore della Duchessa di Ferrara. Se tutte l'azioni mie fossero state volontarie, io non avrei di che ac- cusare, 0 di che scusar me stesso. Ma la maggior parte de le cose fatte, 0 dette, 0 scritte da me si possono ridurre a la necessità, come a sua cagione. Laonde se di alcune io non merito lode, né premio, non dovrei di tutte aver biasimo, o castigo. Sin'ora, quantunque sia buona quel- l'operazione fatta, non ho potuto fuggir quella pena di mal nutrimento, 0 di pestifera bevanda, che mi fu data già molti anni sono, o per mia sciagura, o per comandamento del Signor Duca, o per suo consentimento. Il supplizio, 0 la vendetta più tosto, è penetrata non solo dentro a le camere di principi, ma dentro a' monasteri, e sino a gli altari, senza alcuna differenza di persone sacre, o profane. Questa è di nuovo stata la cagione per la quale io ho cercato di medicarmi in questa mia quasi libertà. Ne la quale niuna cosa ho più libera de l'animo, niuna più impedita de la lingua, o de la penna. Ed in ciò non ho scritto per avventura quel ch'io ho stimato più conveniente, e non con altra intenzione, che di muovere la Chiesa, che è madre comune, a compassione, acciocché non mi fosse negata la sanità insieme con la medicina. Né so chi abbia impedita questa pietosa operazione, e moltiplicate le mie miserie. Ma LXXXIX. — Ms. Maria.ni ; p. 15. la prima cagione «li tutti i mali, stimo che sia lo sdcf^no implacabile del Signor Duca, al quale s'aggiunge quel di molti altri Principi, Si- gnori e Cavalieri, oltre il proprio interesse di ciascuno. Io vorrei placar tutti, però due volte ho scritto de la Clemenza, l'una in versi, l'altra in prosa; e bench'io avessi ardimento di chiedt-re giustizia, o come non colpevole, e immeritamente condannato, o come disperato de la grazia, grido nondimeno clemenza e perdono, non tanto per isperanza di con- seguirlo, quanto per non viver questo poco tempo che m'avanza odioso a tutti. Ho detto che se la vecchiezza si dovesse definire, non dal principio de la vita, ma dal fine, pochi sarebbon più vecchi di me, fra quelli ancora che si reputano vecchissimi, e quantunque ciò non fosse vero, almeno mi si dee concedere che l'infermità sia una specie di vecchiezza. Ed io sono infermo senza dubbio, e son gentiluomo consumato negli studi, e nacqui gentiluomo e vissi molti anni in questa guisa. Né po- tendo vivere ne la corte di Koma ne l'istesso modo bisogna ch'io cerchi altro rifugio, perchè ogni diminuzione di favore, o di grazia è una tanta licenza, o più tosto una palese violenza. Non so dove ricovrarmi se non ne la patria, ed in Napoli. S'ella non è patria, ivi sarò senza dubbio raccolto, e delibero di fermarmi se mi sarà conceduto. M'è stata impedita la benevolenza e la beneficienza di tutti i principi d'Italia, invidiato il favore, e, se è lecito dirlo, invidiata la grazia: ho perduti tutti gli appoggi, mi hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le pro- messe ingannato. Mi si niega il frutto de le proprie fatiche non sola- mente, e di quelle di mio padre, e ogni informazione de la dote ma- terna; ì parenti si dichiarano nemici de la riputazione, e de la salute, non bastando d'essermi contrari ne l'utilità. A me è più pericoloso il chieder giustizia che a gli altri adoperare il veneno. Sono quasi scacciato dal seno de la Chiesa, o sarei, s'egli fosse men ampio. Non posso dir la verità in mia lode, e sono costretto a lodar molti con la menzogna. Non m'avanza altro refugio de la carità de la patria, la quale si dee contentare o di ritenermi, o di restituirmi a la Chiesa: l'una e l'altra è madre: ma l'una per natura, l'altra per grazia. Chi sarà tanto cru- dele che da l'uno e da l'altro grembo voglia separarmi? Non si dee pre- supporre in modo alcuno: ma l'esperienza de le cose passate m'insegna a dubitare, e nel dubbio prego Vostra Paternità che voglia far quell'of- ficio ch'ho sempre desiderato, e direi meritato : che l'orazioni sono me- rito. Ma la supplico (non volendo io ricordarle alcun debito) che almeno si ricordi ch'io sono il più infelice gentiluomo del mondo , e ch'ornai dovrebbe aver fine o l'infelicità o la vita, e bacio a Vostra Paternità le mani, ed in ogni parte molto me le raccomando. Di Koma il 25 d'Agosto del 1589. — 56 — XC. A Orazio Feltro. — Napoli. Questa mattina ho scritto lungamente per via del procaccio, ma perchè io non son più certo del ricapito, che de la deliberazione di V, S., ho voluto di nuovo pregarla, che voglia con la sua cortesia ricompensare in qualche parte il danno, e '1 fastidio de la mia lunga e noiosa infer- mità, a la quale non assegno altra nuova cagione, che '1 desiderio di vedervi, e di consacrar la mia devozione a la vostra gloria. Dal Signor Pietro Antonio avrei ricevuto la risposta per favore , e dal Signor Cesare Anfora similmente, a' quali mi raccomando con ogni effetto de l'anima. Di Koma il 27 di Ottobre del 1589. XCI. A Orazio Feltro. — Napoli. Io ho scritto a V. S. tante volte, quanto bastano ad obbligar me stesso ; e non voglio affermare che la sua cortesia abbia maggior obbligo 0 di nuova risposta, o di nuovo aiuto di quello, che stimerà ella me- desima. Ma i quaranta ducati per mio bisogno li domando come dono, il quale fatto da molti, possa essere grave a me, piìi che a gli altri. La provvisione ordinaria (1) come cosa offerta. Prego Vostra Signoria che s'adopri quanto può acciocché io non mi penta d'aver soverchia- mente confidato ne gli amici, ne' parenti, e ne la patria medesima, e mi avvisi di quel che mi possa promettere de la liberalità di codesti signori, la qual mostrandosi più di lontano, sarà conosciuta con maggior sua gloria, e bacio a Vostra Signoria la mano.' Di Eoma il 14 Novembre 1589. XCII. A Orazio Feltro. — Napoli. Mi fu mandata ultimamente una lettera di Vostra Signoria simile a le altre, ne le quali conosco il mio obligo, e la sua cortesia. Le sono obbligato de la parola, anzi de le parole cortesi, de le promesse, de le speranze, e de la sua medesima volontà quanto ella vuole, e vorrei an- cora che '1 suo potere mi obligasse. Ma non voglio cosa che Vostra Si- XC. — Ms. Mariani; p. 157. XCI. — Ms. Mariani ; p. 158. (1) Manca evidentemente qualche cosa; la lacuna è nel manoscritto. XCn. — Ms. Mariani ; p. 158. — 57 — gnoria non possa, quantunque potessi desiderare alcune clie non volesse. Le scrivo un sonetto, non perch'io pensi che l'ohligo sia da la sua parte altrettanto quanto da la mia, ma perchè dovendo mandarmi qualche dozzina di scudi, non li mandi senz'altro, ma con altro invoglio o de' libri almeno. Sa ch'io ricerco invano l'Istorie napolitane, e quel libro che l'Ammirato ha fatto de le famiglie illustri. 11 Signor Conte di Pa- leno, per mio avviso, non me l'avrebbe negato, ma io non voleva questo solo da quel signore; gli ho scritto alcune volte, e gli ho mandate an- cora alcune canzoni , ed altre composizioni ; ma '1 Signor Ottavio non mi avvisa de la ricevuta. Il soggetto è stato de le nozze, ne le quali mi sarei più disteso se io avessi avut^ maggiori informazioni. Sarei volen- tieri venuto in casa sua per la comodità de' bagni, senza la quale non posso far deliberazione di venire, essendo ancora molto infermo. Non so quel che negozi il Signor Pietro Antonino per favorirmi co' seggi, e per aiutarmi, perch'io ho bisogno d'aiuto, non meno che di favore. Ma in tutti i modi debbo essere obbligato a la buona volontà, non succe- dendo gli effetti conformi a le aspettazioni, ch'io ho de la sua cortesia. Bacio a l'uno ed a l'altro le mani e li prego che non mi lascino ingan- nato de la speranza. Da Koma il 27 di Novembre del 1580. Scusimi per la carta non solo, per l'infermità, e, se le pare, baci in mìo nome le mani al Signor Conte di Paleno, e al Signor Principe di Conca medesimo. xeni. A Giulio Veterani. — Pesaro. Se con la mutazione de' luoghi, io mutassi quella volontà, per la quale fui sempre affezionatissimo e devotissimo al Signor Duca di Urbino, io dubiterei, che la mia venuta in Toscana potesse impedirmi il suo favore, e la cortesia; ma perchè in questa città ancora, ed in questa provincia, io conservo grandissima memoria de l'antica mia servitù, e de la sua umanità, mi giova di credere, che abbia l'animo istesso d'aiu- tarmi nel mio negozio di Napoli col Viceré. A le male novelle ho pre- stata quella credenza, che si dà a le cose poco verisimili, però non voglio dolermi di alcun sinistro accidente, ma sperare che il Signor Iddio conceda al Signor Duca lunghissima vita, e buona volontà di voler conservare la mia. e di prolungarla quanto si può, con salutiferi ed op- portuni rimedi, senza i quali, sono assai vicino a la morte; e se mi è lecito scrivere il vero, l'occasione de' bagni è stata una de le principali che mi hanno condotto in Toscana. xeni. — Ms. Mariani ; p. 349. — 58 - Ma se la mia povertà dee recarmi impedimento a la salute, oltre la giustizia di Sua Maestà, niun'altra speranza mi rimane piìi certa che la clemenza, e la liberalità de" principi italiani, tra quali il Signor Duca vostro, anzi nostro, non dee cedere ad alcuno nel giovarmi, come io crederei di lasciarmi tutti addietro nel desiderio di onorarlo e di servirlo. Scu- simi tra tanto la mia lunga infermità, e sia contenta di avvisarmi de la sua salute, acciò io con queste allegrezze non disperi de la mia, e si degni di scriver al Signore Grazioso in mia raccomandazione, ma in modo, ch'io possa riconoscere l'antica cortesia del Signor Duca. Bacio a Vostra Signoria la mano. Da Fiorenza li 14 di Giugno del 90. XCIV. A Fabio Gonzaga. — Mantova. Ben può credere Vostra Signoria che io mi sia rallegrato del nuovo favore fattole dal Signor Duca di Mantova, non solamente per mia, ma per sua cagione, perciocché io la vorrei veder tanto grande quanto eleg- gerei d'essere io medesimo, anzi maggiore, perchè io le crederei in tutte le cose fuor che in poesia, ne la quale io non voglio competenza, e non voglio amicizia. E se fosse così in mio potere il farlo Governatore di Milano, com'è nel suo d'onorar questa mia cerimonia d'esser coronato di lauro, ne vedrebbe l'effetto senza indugio, ma non posso chiedere quest'onore senza la tavola del Signor Duca di Mantova. E vorrei che mi fosse conceduta, o fermandomi in questo servigio, o liberandomi d'ogni servitù in Mantova, in Roma, in Firenze, in publico ed in pri- vato, in modo che la comodità de la tavola fosse un accidente insepa- rabile dal Tasso. Io non so se fossi mai Signor Torquato, ma mi sono tanto intassito, che dispero di poter divenir tassissimo, come diceva il Gianluca, e questo basti intorno a la tavola ed a la coronazione. De' bagni e de l'altre medicine e rimedi necessari per la mia infer- mità scrissi a Vostra Signoria altre volte. E senza la liberalità de' Principi, non ispero di morir come desidero. A me non si conviene il bagno di Lucano, ma tanta autorità ch'io possa medicar la maninconia di qualche medico. Nel passar del Signor Cardinal Gonzaga mi dolsi di non essere invi- tato a cena da lui medesimo, perchè io sperava in quell'occasione di poter ragionar lungamente con Vostra Signoria Illustrissima di qualche grazia sperata da me dopo tante miserie, a le quali non veggio fine; e con questo a Vostra Signoria molto Illustrissima bacio la mano. Da Fiorenza il 23 di Giugno del 90. XCIV. — Ms. Mariani ; p. 16. — 59 — XCV. A Francesco Maria della Bavere Duca d' Urbino. — Urbino. Io sperava di passare i monti, per baciar la mano a Vostra Altezza, ma non ho avuto favore, che mi porti a questo fine da me desiderato, perchè la fortuna e l'infermità mi sono state grandissimo impedimento; però ritornando da Fiorenza poco sano, in questi tumulti del pontificato, penso di ritirarmi a Napoli. Dove oltre la lettera che scrisse il Re ad intercessione di Vostra Altezza, estimo, che mi sian necessarie le sue raccomandazioni medesime al Viceré , de le quali non farò fascio con quelle di molti altri. Msl quanto più la devozione verso Vostra Altezza è singolare, tanto meno vorrei che fossero volgari, e di ciò la supplico umilissimamente. Mentre io scrivo si dice che il Cardinal S. Marcello è fatto papa, e questa voce è corsa a torno piìi volte. Piaccia a Dio, che egli, o qua- lunque altro sarà, sia amico di Vostra Altezza e della sua Serenissima Casa; e con la debita riverenza le bacio le mani. Di Roma il 14 di Settembre del 1590. XCVI. A Francesco Maria della Rovere Duca di Urbino. — Urbino. Ne la disgrazia e ne l'ingiustizia de gli uomini, questa sola differenza conosco fra '1 chieder la grazia e la giustizia: che nel dimandar l'una, porto rispetto a' Principi, ma dimandando l'altra, onoro me stesso, sic- come colui, che mostra d'aver maggior confidenza ne la bontà de l'animo, e ne la sincerità de le parole, e ne l'altre sue vere ragioni, che ne la liberalità, o ne la clemenza di chi può, e dovrebbe usarla. Però non ho avuto grande ardire ne l'importunare Vostra Altezza, che si degni di scrivere al Vicerèdi Napoli in modo conforme a le lettere di Sua Maestà, e benché fossero smarrite, non dovrebbe essere perduto quell'originale, che con lettere molto maggiori è scritto nel grande e reale animo di Sua Maestà, onde tutti gli scritti sarebbono conformi, ed io mi vergognerei di aver troppo creduto a la mia innocenza, ed a la giustizia de la mia causa. Prego nondimeno Vostra Signoria, e la supplico, e se alcuna preghiera può aggravare altrui, l'aggravo con questo peso de la mia umiltà, che non voglia in questa mia estrema necessità, ritirarsi da quel favore, che non ricusò di farmi in minor mio bisogno, ed in men disperata occasione. Ma si degni di scrivere al Viceré in guisa, che Sua Eccellenza XCV. — Ms. Mariani ; p. 347. XCVI. — xMs. Mahiani ; p. 344. — 60 — conosca, che raltriii cortesia, o '1 mio timore, o la riverenza, non m'al- lungano a chieder grazia: ma la mia coscienza, e l'antica opinione che ciascuno aveva di questa lite, mi dovrebbono assicurar della grazia ; ora almeno, che non m'avanza tempo d'aspettar più lungamente ne l'una, né l'altra. Ma io di ninna cosa dovrei essere più sicuro, che de la benignità, e bontà di Vostra Altezza, alla quale non voglio esser più molesto con l'infermità di molti anni. E poiché questa state non ho potuto farle riverenza, aspetterò, o di non farlo, o di farlo con migliore, o più grata occasione a' suoi ministri sempre in questa città. Mi raccomando a Vostra Altezza umilissimamente in corte. Di Koma il 14 di Ottobre del 1590. XCVII. A Giulio Veterani. — Pesaro. Non ardisco di scrivere più al Signor Duca di Urbino, se non in versi, temendo, che le mie lettere l'abbiano soverchiamente noiato. Ed a' versi m'avanza poco tempo, tanto sono occupato ne la mia Gerusalemme; ma non mi dimentico che è mio debito di lodar Sua Altezza, almeno in qualche canzone : ne a Sua Altezza dovrebbe dispiacere, che nel mo- strar la gratitudine, io fossi più tardo, che nel conoscerla. Frattanto avrei bisogno di sua raccomandazione al Viceré, perchè non mi resta altra speranza di sostenermi ne la mia infermità, ed in queste occupa- zioni de l'animo, ch'io non posso abbandonare, se non sono sovvenuto per quella strada. Le dilazioni a me paiono tutte negazioni d'ogni giu- stizia e d'ogni misericordia. Veramente sono in pessimo stato, e non potendo ne la presente necessità cavar di questa benedetta lite, o de la dote materna senza lite, qualche centinaio di scudi, mi pare d'aver in- vano supplicato, ed invano sperato. A Vostra Signoria ho scritto molte volte, ed ora solamente la prego, che non la voglia aver a noia la mia fortuna, perché altra cagione non si é data d'essermi meno favorevole; e bacio a Vostra Signoria la mano. Di Koma li 3 Novembre 1590. XCVIII. A Vincenzo Caracciolo. — Napoli. La necessità e la fortuna che mi costringono a tutte le cose facili e difficili, degne ed indegne, sicure e pericolose, a ninna mi sforzano con XCVII. — Ms. Mariani ; p. 350. XCVIII. — Autogr. Bibl. Naz. di Napoli: Scan. XII; n '■'' 38. —Lettera di T. Tasso a V. Caracciolo nella Rivista Napoletana, An. 11,11." 1; Napoli, 1° No- vembre 1863. — Ms. Mariani; p. 389. — 01 - minor mia resistenza che al supplicar a cotesta Illustrissima Città, ed a tutti voi altri nobili ed illustri cavalieri. Pensi dunque Vostra Si- gnoria che non essendomi molesto il chiedere e '1 pregare per altra ca- gione che per timore d'essere altrui molesto, quanto mi sarebbe stato caro e grazioso il ricevere qualche cortesia e '1 ringraziar chi mi avesse sollevato di necessitìl. Con questa ferma speranza per le parole del Signor Belloro mi partì da Fiorenza, perocché egli m'aveva detto, e confermato che da la casa Caracciola per mezzo di Vostra Signoria sarei raccolto co' seicento scudi l'anno di provisione, lo non ricusai il partito, benché la provisione ricerchi l'obbligo di servitù a la quale non credetti di poter soddisfare, non avendo prima condotto a perfezione il mio Gof- fredo con l'accrescimento di molti canti. Sperava non di meno che non dovesse la sua cortesia abbandonarmi, però subito me gli raccomandai, e dappoi spesse volte l'ho pregata che voglia supplire co' parentadi o con l'amicizie, dove potesse mancar il suo merito, o la sua fortuna, o quella d'ambedue; benché la mia sia depressa, com'è l'animo, per l'afflizioni di molti anni e la sua sublime, non solo sollevata da l'antica nobiltà, e dal favore, e da l'età, e dal Cielo, e da le stelle medesime. Ora di nuovo in tanta distanza di paesi, d'animi, di condizione, di meriti, io la prego che mi dimostri qualche effetto de la sua cortesia, in quel modo che ella promise, e si contenti di esser uno dei molti in sollevarmi, i quali tut- tavolta, in comparazione de gli infiniti che mi lasciano ne la mia miseria e ne l'infermità, sono pochissimi per numero, per merito, e per virtù singolarissimi. Al mio venire in Napoli ho bisogno di maggiore como- dità, però l'ho differito sin a nuova risposta e bacio a V. S. la mano. Di Roma il 28 di Dicembre del 1590. XCIX. A Margherita Gonzaga Duchessa di Ferrara. — Ferrara. La vista m'ha tolto ogni ardimento di parlar con Vostra Altezza, ma la visione me l'ha accresciuto. M'è apparita Matelda in un di quei sogni che si possono chiamar divini ed affermatomi con giuramento ch'ella non fu de la Casa Malespina, ma de l'Estense. S'è mostrata così adorna de le proprie virtù, che sono quasi lumi splendidissimi, che niuno estimerebbe ch'ella potesse aver bisogno de gli ornamenti de gli antecessori, o de l'immortali laudi de' posteri. Ha detto, ch'in questa XCIX. — E. Archivio di Stato di Modena ; Letterati. — Copia negli spogli Campi. — Ne fu rilasciata altra copia il 31 Ottobre 1834 al March. Gaetano Capponi quasi a consolazione del negato accessu all'Archivio pe' suoi studi tasseschi. — 62 — medesima guisa la sua stirpe nou ricerca d'esser lodata con alcuna ec- celsa lode, 0 almeno ad altri più conveniente : m'ha fatto certo, che la prima e la maggior gloria del conquisto di Terra Santa si conviene a Goffredo, la seconda a Guiscardi che furono molti de '1 medesimo sangue, co" quali non dice d'aver piìi nimicizia, perchè nel cielo non v'è nimistà ma pace: e questa medesima pace altro non è che silenzio; ha conce- duto a quattro mie lagrimette sparse per tenerezza , o per divozione, ch'io possa poetare a mio modo senza timore de la Nemesi, e de lo sdegno suo particolare, e persuasemi a sperare nel favor di Vostra Al- tezza, a la quale è preparato un seggio nel cielo poco differente dal suo. Io la supplico che mi perdoni non solamente il silenzio, ma le parole, e l'error commesso in questa mia lettera, se pur v'è alcuno errore so- migliante a quello, di coloro c'hanno divulgato i misteri e le cose sante. Ne l'altre mie azioni mi conoscerà affezionatissimo, in questa umilis- simo, in tutte desideratissimo de la sua grazia, e de la sua benignità. E le bacio umilmente la mano. Da Mantova il 21 di Marzo del 1591. •0. A Giovati Battista Licino. — Bergamo. Vostra Signoria mi farà grandissimo piacere a mandarmi i libri quanto prima saranno stampati, per la via di Monsignor Masetto, o per qual altra vorrà. Ora che ci è il Cardinal Gonzaga, io non ho serviti! con altri cardinali, né so in che cosa Vostra Signoria desideri d'esser rac- comandato al Vescovo di Bergamo. Però mi scriva più particolarmente il suo bisogno, e le bacio la mano. Di Koma il 7 di Agosto del 1592. CI. A Orazio Feltro. — Napoli. Mi dolsi con Vostra Signoria de la sua infermità, e mi rallegrai ch'ella fosse risanata; da poi non ho inteso nuova alcuna del suo buono stato come desidero. E se la convalescenza non è impedimento de lo scrivere, prego Vostra Signoria che mi faccia grazia di risposta, e d'av- visarmi quel ch'io possa sperare, o disperare del mio negozio. E mi ami tanto quanto l'onoro. Di Koma il 12 di Dicembre 1592. C. — Ms. Mariani ; p. 107. CI. — Ms. Mariani ; p. 167. — 63 — CU. Alla Principessa di Palliano. — Nettuno. Io mi parti da Vostra Eccellenza non solamente con l'usata inanin- conia, la quale non suole mai abbandonarmi, ma con insolita: a cui non trovo altra consolazione che la memoria de la sua cortesia , e di que' favori che le è piaciuto di farmi. Ne l'entrare in Koma mi parve di trovare una solitudine grandissima per la privazione de la sua pre- senza, quasi la città medesima dico, f?li edifici e le mura desiderassero mutar luogo, e di venire a rivedere Vostra Eccellenza. Quest'altra im- maginazione, 0 sia di poeta, o di uomo occupato da le passioni, mi mosse prima a fare, poi a mandarle due sonetti (1). E riputerò, fra CU. — Ms. Mariani ; p. 18. (1) I due sonetti sono i seguenti : Alia Priticipessa di Palliano. Roma al partir della sua ciiiara stella, Che pare orsa a l'altezza e sole a' raggi, Mesta voce mandò fra pini e faggi: Ahi, mia fortuna, di pietà rubella! Già regina del mondo, or cara ancella Esserle io bramo; oh, miei pensier non saggi! Deh, rieda per gli usati ermi viaggi, 0 me stessa da me divida e svelh. Perchè gli alteri monti in basse arene, E gli aurei alberghi in più sozzi soggiorni, Per aj)pressarmi a iei sicura io cange. Sol che faccia le notti a me serene. Dolce il mar e la terra, e i lidi adorni, Quella per cui cedeva al Tebro il Gange. II. Roma, ch'ai variar d'iniqua sorte Per incendio, o per fera ampia ruina. Non mutò sorte, e com'alta reina Cadde, e 'n sé stessa ebbe sepolcro e morte, Or che l'antiche glorie in sé risorte Vede e '1 regno, che '1 cielo altrui destina, Ed ogni estrema gente a lei s'inchina Oltre le vie del ciel lunghe e distorte, Vorria, Donna, seguirvi; e i sette monti Sdegnando, in umil riva e 'n mar tranquillo Prender brama da voi, fortuna e legge. E s'ella i passi ha del voler men pronti. Natura incolpa, e non il gran Cammillo: Ma voi servir, pria che regnare, elegge. — 64 — tante mie sciagure, somma ventura che Vostra Eccellenza si degni di leggerli volentieri, quasi condiscenda con la sua umiltà a la bassezza de' miei versi; i quali benché fossero altissimi, non potrebbero arrivare a l'altezza di tanti meriti, e a l'eccellenza di tante bellezze. Diedi la sua lettera al Signor Cardinale Montalto, il quale si partiva questa mattina medesima con lieta e nobil compagnia. Aspetterò, che al suo ritorno mi riconosca per servitore di Vostra Eccellenza e le bacio riverentemente le mani. Di Koma il 3 di Marzo del 1593. CHI. A Vincenzo Fantini. Io sono risoluto di mandar a la S. V. Reverendissima il Madrigale de l'Eco (1) prima del Dialogo: perocché non- so quando potrò fornirlo, e temo di non poter così tosto che il Signor Marchese non sia pentito : però prego V. S. Reverendissima che faccia la mia scusa con Sua Eccellenza e l'assicuri che il farò senza fallo, ne '1 darò ad alcuno altro che a V. S. 0 a suo Nepote, il quale potrà venire per esso nel principio di quest'altra settimana, e le bacio le mani. Dalle mie stanze 12 d'Ottobre 1593. CIV. A Francesco Polverino. — Napoli. Questa settimana io non ho avuto lettera di V. S., né veduta lei me- desima com'io sperava; se '1 non rispondere é segno ch'ella debba venir tosto, meno mi spiace non aver lettere. Ma la prego che non mi lasci lungamente in questo dubbio, e che mi porti certa risoluzione di cotesti signori, e particolarmente del Signor Orazio, e de gli altri che m'hanno fatto degno d'alcuna risposta, a' quali bacio la mano. Da Roma il 9 di Febbraio del 1594. • CHI. — L'autografo è presso il Signor Conte G. Cesare Battaglini di Rimini. — Lanzoni F. - Ubaldini a., Op. cit; p. 23. (1) Comincia: Per deserte spelonche e pellegrine ed è edito in Tasso T., Op. cit; voi. IV, madr. 76. CIV. — Ms. Mariani ; p. 201. — 65 LETTERE DI DATA INCERTA CV. A Diomede Borghesi. — Padova. Ho fatto quanto ho potuto e non ho fatto nulla; non si può optare in materia così mal disposta, come sono gli umori di questa città, il Conte Ercole dice di non voler dare quel che può, né poter quel che vorrebbe. M'allegò molte cagioni de la sua impossibilità; ne avrei ca- vati con tutto ciò due o tre scudi, ma ebbi rispetto a la vostra riputa- zione. Scriverò a Sassuolo, e non scrissi a Milano perchè seppi non esservi il Signor Ercole; quel che sia per riuscirne non so, de la fortuna vostra e de l'animo di quei signori non vi prometto, de la mia caldezza nel far l'officio promettovi ogni cosa. Signor Borghesi, voi meritavate di nascer ai tempi di Leone, ma poiché la vostra fortuna vi ha fatto nascere in questo, è necessario che v'accomodiate a la qualità de gli uomini d'oggidì, i quali non si movono per le lusinghe, né hanno paura de la sferza. Il lodarli porta seco indegnità senza utile, il biasimarli pericolo senza lode. Do a voi quel consiglio ch'io prendo per me, cioè di rinunziar se non a gli effetti, almeno al nome di poeta, non cercando da la poesia altro premio eh' un piacevole ed onesto trattenimento in vita, ed una perpetua memoria dopo morte. Verrò fra pochi di a Venezia dove ragioneremo più a lungo, e vi bacio le mani. Di Ferrara il X di Marzo. CV. — GiDLiARi G. C, Una inedita lettera di T. Tasso e V epistolario dei Conti di Serego in Verona nella Rivista Universale ; Firenze, Agosto, 1873. — L'Archivio Serego è ora passato alla Civica Biblioteca. — Il Gialiari pubblicando questa lettera, con discusse ragioni, credeva potersi ritenere scritta fra gli anni 1567-69 oppure nel 1578. Io non credo le si possano assegnare nessuna di queste date, e credo d'altra parte difficile stabilirne un'altra; del resto il T. dopo il 1559, non fu più a Venezia che nel Luglio del 1574. Solerti, La vita dt T. Tasso, U. 5 - 66 - evi. A Monsignor Gio. Angelo Papin. io souo incolpato d'usare, o d'aver usato con poca intelligenza ne la scrittura, o ne la pronunzia, gli accenti, che fanno la sillaba lunga o breve. E mi fu già rimproverato tacitamente in casa del Cardinale di Mondovì ch'io pronunziassi Aristide con la penultima lunga, e in casa del Cardinal Montalto ch'io proferissi Apollófane con la penultima breve. Perchè assai si rimprovera ad un mio pari questo errore da chi pronuncia altrimenti, per mia difesa dissi allora che la lingua volgare pronunzia questo nome Aristide come fa la greca, ma ne la lingua volgare non ho letto Apollófane; però il pronunziai com'io credo che si debba o che si possa proferir ne la latina. Ed acciocché si conosca questa varietà, scri- verò come si scrivono questi nomi, o simili, ne l'una e ne l'altra lingua più nobile. Api(jTOTé\ri<; si scrive ne la lingua greca con la penultima lunga per cagione dell'accento; Aristóteles, con la penultima breve si scrive ne la latina, e si pronunzia ; ApicTTOcpdvn*; scrive la greca, Ari- stóphanes, con la penultima breve, pronunzia la latina: e la volgare ne l'una e ne l'altra di queste parole imita la latina. Ma nel nome Api(JTeibTi(;, che i latini dicono Aristides con la penultima \lunga\ segue più tosto i greci ne l'allungare. E il Petrarca ebbe questi orecchi nel verso: Aristide che fu un greco Fabrizio (1). A l'incontro ApiaTÓÒri|LiO(; (2) con la penultima senza accento si scrive fra i greci, e comunque sia pronunziata da i latini e toscani la posso pronunziare senza dubbio con la penultima lunga. I toscani similmente possono proferire, e sogliono, Teodoro^ Apollodóro con la penultima lunga, quantunque i greci la sogliono pronunciar con la breve. 'Appiapò? ancora si scrive ne la greca con la penultima senza accento, da se per conseguente breve, ma i toscani senza fallo pronunziano questo nome con la penultima lunga, e se non m'inganno i latini. Diogene e Demo- stene sono pronunziati con la penultima breve da' toscani e da' latini, ma i greci sogliono allungarla, e potrei ahducere sexcenta huiusmodi per confermazione de la mia ignoranza. Ma non estimando me stesso meno di Teocrito Siracusano, non so per qual cagione s'à lui fu lecito d'accorciar ne la lingua greca il nome di Eschine, io non possa pari- menti abbreviarlo ne la volgare, o allungar quel Ippocrdte, come fece Dante ne' suoi versi in ciò dipartendosi da' latini, e imitando i greci. evi. — Ms. Mariani ; p. 13. fi) Trionfo della Fama, II, 32. (2) Il ms. legge Apiaróbeiiioc. — P,! — Più tosto ne Tistesso modo mi potrei far lecito il dire Isocrate, con la penultima lunga, ad imitazione de' greci, tutto che i latini sogliono mandar questo nomo in hrevihiis. j\hi perch'io non venni in Roma per insegnar grammatica, nò per impararla, non posso, ne voglio contendere de la lunghezza, o de la brevitìi degli accenti. Ma mi doglio, che la Corte sia troppo lunga ne le conclusioni, il che non dovrebbe far meco, perch'io son troppo risoluto ne le massime, e so dedurre da la maggiore e da la minore la conclusione quanto bisogna in questa vita, la quale non vorrei allungare, né abbreviare contro il decoro; acciocché questa citt;\, la quale è quasi un teatro, non esclamasse contro la mia impe- rizia in quell'arte, de la quale fo professione, che è di comandare agli altri uomini, o di non obbedire a chi non sa comandare. Però supplico Vostra Signoria Illustrissima che faccia ricopiare questa scrittura quasi una mia supplica da presentare in signatura a Sua Santità medesima. Ne posso negar la verità, ch'io venni in questa città con intenzione di aver cancellieii o di partirmene, e sono contro volontà stato trattenuto, 0 ritenuto. Di camera. CVII. A Giulio Cesare Correale. — Napoli. Scrissi a Vostra Signoria questi giorni passati. Ora perch'io stimo che il negozio de la mia libertà tanto più facilmente potrà essere trattato, quanto maggiore sarà l'autorità de la persona, che '1 tratterà, ho deli- berato di pregar il Duca de la Trepalda, col quale tutti abbiamo ser- vitù, che mandi qui alcuno de' suoi, e raccomando a Vostra Signoria la lettera, non meno de la vita mia stessa, la qual non credo che mi possa durar lungamente in questa prigione, e le bacio le mani. Di S. Anna, l'S di Agosto. CVIII. A (1). — Fermo. Vostra Signoria poteva in ogni tempo rinnovare con molto mio pia- cere la memoria della nostra antica amicizia, perchè sempre mi doveva CVII. — Ms. Mariani; p. 26:3. CVIII. — L'autografo è presso il Conte Luif^i Vinci, di Femio, che lo pubblicò nelle Noterelle Fermane per Vanno 1892. Fra la Jenna e VEte, Correggio, Pa- lazzi, 1892: Un poeta fermano del secolo XVI e una lettera inedita di Torquato Tasso, pp. 143-181. — L'ho avuta troppo tardi per poterla porre a suo luogo. (1) L'autografo mancando del secondo foglio non ha indirizzo. Il Vinci però (p. 17.5) — 68 — esser cara, per li molti meriti suoi: ma in questo, nel quale è stato eletto Principe dell'Accademia degli Sciolti, mi è grato oltremodo che si sia ricordato di me, e che m'abbia invitato a divenire uno degli altri, con lodi così grandi. Le quali benché siano soverchie, nondimeno perchè sono argomento dell'amore che m'è portato da lei e da tutta cotesta valorosa città , le ricevo assai volentieri ; ed insieme accetto l'invito fattomi dall'Accademia; alla quale non credo di potere aggiun- gere alcun onore, ma ella che n'è abbondevole per se stessa, può accrescer la mia riputazione. E le mando la mia impresa, la quale è un leopardo col collaro, ma senza catena: il motto è: V attendo al varco; il nome ch'io ho preso lo Scatenato (1). Al sonetto ed alla lettera del Sig. Vinco Ilo data risposta (2), la qual sarà con questa. E le bacio le mani. Di Ferrara, il XXIII d'Aprile del 1583. suppone, forse a ragione, che la lettera sia diretta a Uriele Rosati, che era proba- bilmente Principe dell'Accademia in questo tempo. (1) Quest'impresa è illustrata dal Tasso medesimo nel Conte overo de Vlmprese nei Dialoghi, III, p. 407. (2) Il sonetto è quello di risposta ad Antonio Vinco: Io non contesi, Vinco: or vinca il vero, la lettera è ignota; come è ignota la proposta del Vinco. 09 CIX. Giudicio del S. Torquato Tasso sopra i can(i dcU'Eccel. Dottor Fmfla. Mi sono maraviirliiito, Sii^nor ilhistrissimo (1), nel sa)>ero, che l'Autore della presente opera intitolata Maltcide sia f^n^itiriiuomo Dottor di Leg<,n, che lontano dalli commercij delle città per la gravezza della famiglia, di cai si trova moderatore, li convenga non meno attendere alla Economica, che alla Poetica, et per via di relassatione habhia posto insieme cosi lungo et leggiadro componimento, et d'una attiene sola, allontanandosi dall'opi- nione di coloro, chi' vogliono che l'Epica Poesia, sia iiuitatione d'una o più attioni illustri, senza ricordarsi delle Teseidi et Hcrculeidi, biasmatc d'Aristotele, sì come a pieno mi dichiarai nella risposta fatta al signor Patrici: la qual attione è in maniera connessa clie nelle descrittioni delle guerre navali, di fortune di mare, di luochi de' tempi, e di persone, di tavole scritte da se et tolte da gli antichi con miglioramento, lamentationi, morti, esseciuie, recognitioni, singulari battaglie, et altre simili cose, con cui tiene abbellito il corpo del suo Poema, ha dato a tutte le parti la de- bita misura, ed dicevole ornamento, si che ogni parte ha tal convenevole proportione co '1 tutto, che non si può dire di quel Poema ne' suoi pane- girici: né ch'abbia fuggito quella moderata lascivia trattenuta da Virgilio, et rilasciata da Ovidio, constituendo la sua favola di parte vera, et di parte verisimile, per ischivar le mormorationi d'alcuni scrupolosi, ador- nandola piti nobilmente di quello che non gli ha mostrato il disegno della historia. Et in alcuni luoghi patetici, ha espresso gli eft'etti con voci signi- ficantissime e con tanta vehementia et efficacia, che fa manifesta forza all'animo di chi legge, et lo coramove in guisa, che partecipa di quelle passioni, che si contengono sotto il velo delle parole, usando le voci trans- late et metaforiche, dove si ricerca maggiore dignità, et l'iperbole nella locutione, per aggrandir et abbassar la cosa, et ne' fantasmi, come nel gigante involator dell'Armena, si prevale della sentenza, ma di rado (per esser proprio della Tragedia), et senza pomposo ornamento, acciocché dallo splendor delle parole non resti abbagliata. Non ha cominciato dalla perdita di Rodi, ma ha seguito "Virgilio, che ad imitation d'Homero, nel convivio d'Alcinoo, narra a Bidone ogni pre- cedente successo della guerra Troiana, et così il gran maestro racconta nell'isola di Candia la cagione della sua partita da Kodi, in tempo di pranzo et d'allegrezza, temperando col mezzo della mensa quell'amaro successo, che per altro haverebbe recato molestia agli ascoltatori, sì come CIX. — Trovasi premesso a La Malteide | Poema \ Del Signor Giovanni Fratta ] Gentilhuomo Veronese | Composto al Sif/. \ Serenissimo Don Ranuccio Farnese \ Duci rìi Parma, di Piacenza \ et alla Sua Altezza. | Con Privilegio. \ In Venetiii | Appress') Marc'Aiitonio Zultieri ] MDXCVI, in-4". — Bellom A., Un giudizio critico di T. Tasso, Padova, tip. Fratelli Gallina, 1892, in 8". (1) Il Belloni suppose diretta questa lettera a Ranuccio Farnese, il quale pro- babilmente richiese il giudizio del Tasso prima di accettare la dedica del poema del Fratta. — 70 — per al leggi e ri r il rincrescimento del viaggio, fa raccontar all'Armena ac- cidenti amorosi e dilettevoli. Veggiamo c'ha usato il decoro intorno al Gran Maestro sempre forte(l), et religioso, non incostante come Ifigenia in Aiilide, fatta prima timida della morte et poi ardita in voler morir per la salute dei Greci; così il costume di Pirene è degno d'osservatione, et delle donne, che gettarono il fuoco nelle navi, dandosi la prima per esser di vita privata, in preda del dolore et della disperatone, onde a guisa della mogliera di Sicheo si pre- cipitò da un'alta torre, secondo che riferisce Giustino: ma Ronsarda et l'altre guerriere esposero le loro querele con desiderio di vendetta, come ricerca la grandezza degli animi loro; descrivendo l'Autore questi, et altri amori, con tal riguardevole honestà et religione, che ogni persona puote parteciparne, senza punto contaminarsi. Non s'ha iscordato il riconoscimento, ch'ò una mutatione da ignorantia e notizia tale, che amicitia o inimicitia apporti tra quelle persone, le quali a felicità o miseria sono già destinate, et gratiosissimo riesce, quando in- sieme si fanno le peripetie di persone illustri, come nel conte di S. Boni- facio che per l'accusa di Norbilano è in pericolo di restar ucciso, et nel- l'haverlo riconosciuto al segno impresso nella carne (come nel Tieste anco mostra Carcino) fa nascer subito la peripetia, desiderando l'accusatore tutto il contrario di quello che ricercava innanzi tal accidente di ricogni- tione; così arricchisce con la novella di Malorco la favola d'Ino, ch'è particolare, che per levar dal mondo Frisso et Helle, fece arrostir le biade, riposte per semenza, acciocché non nascessero. Tralascio che habbia incominciato dal quarto caso, circoscritto il cava- liere, et fuggito la vicinanza delle rime havendo fraposto dieci stanze senza replica delle stesse desinenze, non li mancando con la guida della buona natura, et con la continua essercitatione, rime così proprie, che pare che se la proposta materia si spiegasse in prosa, che non si potrebbono lasciar quelle voci, che elesse per fine del verso, lasciando insieme di comme- morar 0 c'habbia preso il titolo dell'opera dalle circostanze a imitatione di Homero, di Statio, et di Lucano, riportandomi a quelle ragioni da me scritte in tal proposito al signor Oratio Lombardello. Dico finalmente che desta l'attentione, e la meraviglia, per le battaglie che fa nascer tra Christiani ed infideli, mostrando coloro della nostra fede, mediante i divini suffragi restar ne i maggiori pericoli vittoriosi, et noi doppo certa oppressione soavemente sollevati, et consolati: et levate le necessità principali, non consente, che la Maestà del nostro onnipotentis- simo Dio sia chiamata, et trasposta in altri accidenti, ma per fuggir tal sconvenevolezza, ha introdotto Maghe, et finto incantaggioni, ottenendo quello stesso fine, ch'altri hanno conseguito con poco riguardo della reli- gione. Questo è quanto ho potuto scriver alla V. S. Illustrissima, la quale resterà servita d'iscusarmi con l'Auttore se in molti luoghi resta defrau- dato dalla mia penna per l'angustia del tempo, et riverentemente le bacio le mani. (1) Il testo ha forse. PARTE SECONDA LETTERE DI DIVERSI A DOCUMENTO E ILLUSTRAZIONE DELLA VITA E DELLE OPERE TORQUATO TASSO I. Bernardo Tasso a Porzia de Rossi. — Napoli. lo vorrei, unima mia dolcissima, poter trasformarmi in queste lettere col corpo, come mi trasformo con l'animo, ch'io so che soddisfarei, in un tempo al vostro e al mio desiderio. Appagatevi della mia volontà poiché non potete dell'effetto, essendo voi secura che sì spesso sovra l'ali della mia affezione vi mando i miei pensieri vestiti d'una candida e inviolabil fede, che il più del tempo vivono con esso voi; e se il me- desimo fate voi con meco (come spero e desidero) son certo che non solamente spesso, ma ognora s'incontrano i nostri pensieri nel cammino. So che questa mia lontananza vi porta grandissimo fastidio e dispia- cere, e sento nel mio cuore istesso i fieri colpi del vostro dolore, i quali tanto piil mi trafiggono l'animo, quanto meno vi conosco forte a poterli sopportare: non perchè vi manchi prudenza, ma perchè vi sovrabbonda affezione e amore. Ma se il vero premio dell'amore non è altro che essere amato; chiamatevi paga, e contenta dell'amor che mi portate, poi ch'io amo voi in quello estremo grado che si possa amar cosa mortale. Io spero che '1 nostro ritorno sarà più presto, se non del nostro desiderio, almeno della vostra credenza. Non voglio, ne potrei scrivervi il quando , poiché dipende piuttosto dall' altrui volontà, che dalla nostra deliberazione: allora tanto vi sarà più caro, quanto meno sarà sperato, né creduto. Ma perchè, se pur piacesse a Dio (della cui volontà dob- biamo restar quieti e contenti) che fusse più lungo forse di quello che sarebbe necessario, sappiate in questo mezzo come disciplinare i vostri cari figliuolini, finché con molto nostro piacere, e loro utile e onore, facciano testimonio al mondo della nostra affezione e diligenza e della loro virtù; poiché l'esperienza, per la giovane età, non v'ha ancora inse- gnato ad educarli, vi darò alcuni documenti cavati parte dagli antichi, e parte da' moderni filosofi, co' quali governandovi, sarete certa di poter I. — Tasso Bernardo, ieftere, Padova, Cornino, 1733; voi. I,n." 199, p. 396-403. — 74 — (con la grazia di Dio) riposare la vostra onorata vecchiezza nel seno della loro virtuosa gioventù. E, perchè la ragione dell'educazione, o della creanza (per parlare col vostro materno vocabolo), si divide in due parti, cioè, ne' costumi, e nelle lettere: l'una delle quali è cura comune del padre e della madre , l'altra più propria del padre , parlerò con voi solo dei costumi, riserbandomi (se pur piacerà a Dio di darmi vita) la cura degli studi di Torquato nostro, il quale l'infantile età non consente che si ponga ancora sotto il giogo della disciplina. Dico adunque che eziandio che il Datore d'ogni grazia ce li abbia dati (se la paterna affezione non m'inganna, per quanto in questa tenera età si può cono- scere) belli di corpo e d'animo, nulladimeno per ridurli a quella perfe- zione che si desidera, hanno bisogno di coltura; perchè, siccome non è terra sì aspra, sì dura e sì infeconda, la quale colta non divenga su- bito molle, fertile e buona ; ne alcun buono albero che non essendo col trasportarlo o con l'innestarlo coltivato, non ritorni sterile e selvaggio ; così non è ingegno di natura rustico, e rozzo, che con una lunga, e buona instituzione e disciplina , non si faccia gentile e docile ; né sì buono e felice, che senza buona e diligente creanza non si corrompa, e degeneri dal suo primo buono instituto. E, perchè l'uso agevolmente si converte in natura, dobbiamo con ogni studio affaticarci, mentre che l'al- bero è tenero e pieghevole, di volgere e piegare il tronco de' loro pen- sieri, e i rami delle loro operazioni alla parte più virtuosa e più bella: che, siccome nella tenera scorza d'un giovane arbuscello le picciolo let- tere stampate ed iscolpite crescono col tronco già fatto grande, e con lui vivono eternamente , così questi documenti ed esempi di virtù s'im- primono, e pigliano tanto vigore e spirito nell'animo del fanciullo, che non n' escono giammai ; altrimenti, lasciandolo indurare e crescere in mal'uso, non si potrà per alcuna diligenza, né studio che vi si ponga, volgere a miglior parte, non più che si possa la ruota del carro già torta, raddrizzare. Però, poiché Cornelia nostra é omai uscita dell'infanzia, e si fa di giorno in giorno di corpo più grande, e di spirito più acuto e più vivace , nel quale, come in terreno fertile e atto, si può già in- cominciare a spargere alcun seme degno di noi : e perchè non è semenza più nobile, né donde nascano in abbondanza più preziosi frutti, ne più utili 0 necessari per iscacciare la fame e la sete delle mondane delizie, che quella del nome, e dell'amor di Dio , è di mestieri che procuriate con tutte le forze vostre, con ogni vostra diligenza, d'imprimere nella pargoletta anima il nome, l'amore, e i pensieri di lui; affine che im- pari ad amare ed a onorare colui dal quale riceve non solo la vita, ma tutti i beni, e le grazie che possono fare l'uomo felice in questo mondo, e beato nell' altro. Studiate medesimamente d' innestare nella tenera mente sua il timore di esso Dio; il timor, dico, non vile, non servile, il quale non piace alla Maestà Sua, ina quel nobile e gentile, il quale stia ogni ora sì unito e si congiunto con l'amore, che non si possano in alcun modo dividere ne separare: perchè da questi due fratelli così congiunti e così uniti ne nasce la religione; la quale, a guisa d'ombra, che ancorché lasci l'erbe inutili e selvagge germogliare, non le lascia però maturare, nò far frutto, così non lascia alcun vizio vergognoso, né capitale fermar le radici negli animi loro, nò venir a tempo che possa produrre alcun frutto di scellerit:\. Or perchè sappiate ciò che importa questa parola costumi, vi dirò che costume non è altro che, in tutte le cose che si dicono, servare una certa modestia e onestà; e in quelle che si fanno, un certo ordine e un certo modo atto e con- veniente, ne' quali riluca e risplenda quella dignità e quel decoro, che non solamente gli occhi e gli animi de' prudenti, ma degli impru- denti ancora diletti e muova a meraviglia. 1 costumi si dividono poi dalla ragione e dal tempo: perciocché alcuni s'insegnano e s'imprimono ne' puerili animi dalla ragione e dalla diligenza altrui, alcuni dalle loro considerazioni e dal proprio giudizio col tempo s'imparano. Piglierete adunque pensiero d'insegnar loro quella parte ch'a voi più si richiede. Due sono i modi d'insegnare: l'uno con le ragioni e con gli ammaestra- menti, l'altro con gli esempi; e perchè il senso dell'occhio è più veloce, che quello dell'orecchio, e ha maggior forza dalla natura, bisogna, si- gnora Porzia mia, volendo creare i vostri figliuolini, e renderli tali, che coi loro costumi e virtù meritino d'essere laudati, che vi mostriate tale a loro, quale desiderate che essi si mostrino ad altri. La tacita di- sciplina è quella che più ragiona co' fatti che con le parole, e quella che più giova: che se vorrete a' vostri figliuoli que' documenti dare de' quali voi non vi serviate, sarà il medesimo, che se voleste insegnare ad un amico un cammino, ed egli s'inviasse per un'altra strada. È di mestieri, dovendo instituir bene i suoi figliuoli, che il padre e la madre siano di natura moderati e gentili; e con tanta diligenza e studio af- fettino la loro virtù, che a guisa d'un prezioso liquore s'affatichino d'infondersi per gli occhi e per gli orecchi nell'animo e nell'ingegno del fanciullo, e di trasformarsi tutti in lui ; perchè sùbito che comincia con puerili pensieri a discorrere e a spaziarsi, se non nelle interne, almeno ne l'esteriori e superficiali parti della ragione, rivolge e affissa gli occhi e gli orecchi nel padre e nella madre, e mira, e osserva con grandissima attenzione tutto ciò che essi fanno o dicono; e l'ammi- razione della paterna virtù è pungentissimo sprone per far correre lo spirito del figliuolo per quel medesimo cammino che corre il padre. E sovra tutto abbiate pensiero alla disciplina domestica della vostra fa- miglia, e procurate che niuna brutta, empia, né lasciva parola pervenga agli orecchi dei figliuoli, né alcuno atto disonesto, né vergognoso agli — 76 — occhi loro si rappresenti, e questa dee essere propria cura, e studio vostro, poiché il più del tempo gli tenete nel seno; e stando con voi, affissano gli occhi nel vostro volto, e da voi imparano e a parlare e a camminare. Non gli menate in alcuna casa ove non sia una gentile e casta creanza: perchè siccome dai luoghi che sono d'ogn'intorno salu- tiferi, non può venir aura che non sia benigna e vitale; cosi dalla con- suetudine de' buoni e de' virtuosi costumi non può venire se non fiato di buona disciplina. Ed eziandio che questi costumi, da alieno studio im- pressi nella mente dei fanciulli, non siano vera virtù, ma similitudine, immagine e ombra sua : nulladimeno avviene in corso di tempo (tanta è la forza della consuetudine), come della femminile statua di Pigraa- glione, che per grazia di Dio, in ispirito e vita di vera virtù, si tra- sformano. E avvertite di non cadere in quell'errore nel quale caggiono la più parte delle altre madri: le quali con la troppa indulgenza, col compiacere di soverchio alle volontà e al desiderio de' figlioli, non pur non facendo o dicendo, ma non consentendo che altri faccia o dica cosa contro la loro volontà, corrompono i costumi loro ; e a questo modo gli danno in preda alle delizie, facendo il piacere e '1 senso signore, anzi tiranno dei loro giovani pensieri. Non dico per questo che debbiate correre per quello estremo del timore, né delle battiture; anzi biasimo quelli che battono i figliuoli, non meno che se nella immagine di Dio avessero ardire di porre le mani. La virtù non si ha da conservare nei pargoletti animi né con sferza né con timore, perché il timore é debile e infermo custode della virtù: ma è di mestieri di servare quella mediocrità tanto lodata in tutte le nostre operazioni. E siccome si dee guardare che la troppa durezza e severità non di- vella l'amore del padre talmente dall'animo del figliuolo, che tutto ciò che conosca essergli grato, sia in odio a lui, così medesimamente si dee procurare che per la troppo piacevolezza e indulgenza, non si spogli di quel timore e di quel rispetto, né di quella reverenza che egli è solito, e debitore, di portarli. E se pur alle volte (che per la imperfe- zione della nostra natura è impossibile altrimenti) cadono i figliuoli in qualche errore, se è piccolo, mostrate di non vederlo, s'è mediocre, riprendeteli con amorevoli più che con severe riprensioni: a guisa di buon medico, il quale vuol piuttosto sanar l'infermo con la dieta e con la vigilia, che con la scammonea; se pur é grande non usate piti con loro della solita piacevolezza e liberalità, mostratevi loro collerica, se- vera e difficile: e se per avventura in quell'errore istesso che il figliuolo, cadesse qualche servo, così come non mi pare che si percuota il fan- ciullo, e che non si venga, d'una natura libera ed ingenua, a farla ser- vile, così son di parere che con parole e con fatti si batta il servo; affine che vedendo il fanciullo in altrui castigare le colpe sue. — 77 — conosca il suo fallo, e vegga di aver iterduta la grazia vostra, inenti'o che si lascia trasportare dalla forza del sentimento in questo errore. Infiniti altri sono gli ammaestramenti che alla buona educazione s'appartengono; ma perchè dubito col troppo cumulo di non con- fondervi l'animo, e perchè mi pare d'avere anco toccato tutti i capi principali e generali, sotto le cui leggi si ristringono gli altri partico- lari, mi contenterò d'averne parlato fin qui; lasciando così, come a me riservo la cura degli studi di Torquato allor che l'età convenevole lo ricercherà, a voi, che donna sete, il pensiero d'insegnare a Cornelia tutti quegli esercizi che a virtuosa vergine, quasi ornamento della sua bellezza e virtù , sono dicevoli e necessari. 11 che so che saprete fare perfettamente. Vivete lieta; e col piacere che pigliate de' cari figliuoli, che ognor presenti vi rappresentano l'immagine mia, passate il fastidio della lontananza del marito. D'Augustii (Gennaio 1548]. II. Bernardo Tasso a Don Giovanni d'Angeluzzo. — Napoli. S'io pensassi di pagare i vostri servizi con le parole , io sarei così diligente in iscrivervi, come voi sete in servirmi; ma perchè spero di pagarli con gli effetti, son manco liberale di parole di ciò che sarebbe il vostro desiderio. La fede vostra e l'affezione che mi portate, già per tante esperienze conosciuta da me, merita d'essere guiderdonata con altro premio, che questo non sarebbe; e se io come conosco l'obbligazione che io vi debbo avere, avessi ancor le forze per poterlavi pagare, me non meno per grato conoscereste, che io vi abbia per fedele e per amorevole conosciuto. Ma in questo mezzo che io avrò il potere uguale al desiderio, vi pagherò d'affezione e d'amore: e voi con l'esperienza che in altri avete veduto della gratitudine mia, avendo certezza che tanto più grato sarò con voi, quanto più cari mi sono i servizi che da voi ho ricevuti nella cura e nella custodia di Torquato mio, avrete pazienza sin tanto che il tempo mi darà comodità di poter mandare ad esecuzione la mia vo- lontà, e soddisfore al vostro bisogno, e al mio debito. Io non solo le vostre raccomandazioni feci al Signor Principe, ma lo pregai che leg- gesse l'ultime lettere vostre, le quali in questa mia assenza tanto pia- cere e tanta contentezza mi recano, che mi tolgono alcun'ora di fastidio. Scrivetemi vi prego, e con la vostra diligenza accrescete l'obbligo che io vi sento, e datemi particolare avviso di tutto ciò che fa Torquatello mio, che non potreste credere il diletto ch'io ne prendo. E state sano. D'Augusta il VII di Gennaio del XXXXVIII. II. — Tasso B., Op. cit; voi. I, n.» 213, p. 435-6. — 78 — III. Bernardo Tasso a Porzia de' Bossi — Napoli. Non fate come per avventura fare a Torquato vostro alcune volte avete visto, che sendogli tolto un pomo, o alcun altro frutto per forza, tutti gli altri che si ritrova in mano per dispetto ha in terra gettati, volendo voi, per questo fuggir e gettar via ogni specie di consolazione e di piacere. Sperate pur in Dio, e pregatelo con tutto il cuore, ch'egli è somma pietà, e vi leverà presto di questi fastidi. Attendete in questo mezzo a crear i figliuoli, e far sì, che per l'as- senza del padre non lascino d'imparare e di farsi virtuosi. Non credo che niuna cosa più potrebbe desiderar vostro marito che la venuta vostra in Koma, ma ne son del tutto fuor di speranza per lo poco amore che questi vostri fratelli con la esperienza mostrano di portarvi. Io scrivo a Cornelia mia, e a Torquato. In questo mezzo vivete con manco di- spiacere che si può; baciate li figliuoli in cambio mio, e conservatevi sani, con certa speranza che Dio ci debba aiutare. Di Parigi, il dì di Natale del LII. IV. Bernardo Tasso a Questa mattina mi è venuta alle mani una vostra lettera delli XVIIl di Febbraio parte in risposta, parte distendendosi sovra un vostro ne- gozio. E per cominciar dalle mie cose familiari , come quelle che mi premono, vi rispondo, che mia moglie in mia assenza può star in ogni luogo onoratamente con un fratello onorato, com'è il Signor Antonio Maria: e che, ritrovandosi ne lo stato nel quale si ritrova, non perde niente della sua dignità, purché viva rimessa, e si ritiri dalle spese soverchie così nel vestire, come nelle persone di servizio: anzi, posto che avesse il modo di poter far spese maggiori, il viver con questa mo- destia, sarebbe grandissimo saggio della sua prudenza: come il fare il contrario, sarebbe manifestissimo indizio della sua vanità; e però, sen- domi da voi fatta questa offerta, mi parve di volerla, e di poterla senza timor alcuno di ragionevole riprensione, accettare, perchè, desiderando io di levarla di Napoli, per paura che nella guerra che quest'anno vi si potrebbe fare, non vi fosse assediata, sapendo forse per la lunga età, e per la molta esperienza ch'io debbo avere delle cose del mondo, me- ni. — Tasso B., Op. ciL; voi. II, n.» 16, p. 86-7. IV. — Tasso B., Op. ciL; voi. II, n.« 24, p. 98-100. — 79 - - glio di chi in (juesto caso biasma questa mia risoluzione, ciò che im- porti e all'utile e alla riputazione d'una gentildonna d'onore lo starvi a que' tempi rinchiusa, mi parve con questo modo soddisfar al desiderio mio Io certo piìi contento sarei ch'ella si ritirasse in Sorrento, si per esser ivi nato Torquato, e avvezzo i primi mesi della sua età a quell'aere, e per avervi lasciati degli amici che gli tornarebbono alle volte a co- modo e a piacere, come anche per fuggir le spese, e li disagi di un lungo cammino: e se vi ho scritto di Koma, è stato più per necessità che per elezione, perchè scrivendomi voi la risoluzione che il Signor Abate con molto giudizio ha fatto di star in Koma, molto meglio mi pareva ch'ella vivesse con lui, che star assediata in Napoli, ne in Sor- rento senza esso; non possendo io, né gli altri fratelli, per le ragioni che vi possete immaginare, sperar molto nò poco. La stanza de' mona- steri sarebbe buona nella pace, ma nella guerra, ancor che ne' tempi buoni le case de' religiosi fossero privilegiate, a questi, scellerati e per- versi, gli sono rotti li privilegi, e sono poco più secure delle case de' secolari, come s'è veduto in Pavia, e in altre terre assediate; perchè 1 soldati di questi tempi non hanno né religione, né culto di Dio, né ti- more di profanare i luoghi sacri. Dall'altro canto, dove vorreste voi che stesse quel povero figliuolo? al quale son certo che, per esser omai grandicello, non sarebbe concesso lo star con la madre. Farmi cosa degna d'un amorevole padre e d'un onorato e prudente zio, il lasciar un fìgliuo- lino di quell'età senz'appoggio alcuno d'amici, ne di parenti, solo in arbitrio della fortuna? S'io non conoscessi il Signor Abate per persona e di molta prudenza e di molto onore, gli scriverei il mio parere e '1 suo debito, ma conoscendolo per tale, voglio che la ragione gli faccia conoscer l'uno e l'altro. Ella è mia moglie e sua sorella, e tale, che piuttosto ha col testimonio della sua virtuosa vita accresciuta, che di- minuita la sua riputazione. Se quelli sono a me figliuoli , sono a lui nipoti, li quali e per legge di carità cristiana , e per la congiunzione del sangue, e per l'onor del mondo è obbligato d'aiutare; e tanto mag- giormente, send'io caduto nello stato ch'io mi trovo, astretto dalla ne- cessità per fuggir i pericoli della vita, e per cagion tanto onorata; perchè non mi si conveniva d'abbandonar quel padrone in una avversa fortuna, dal quale era stato beneficato, e ch'aveva nella felice e prospera ventitre anni servito Di S. Germano il XV 111 di Marzo del LUI. — 80 — Y. Bernardo Tasso al Cavaliere Domenico Tasso (1). — Bergamo. Io voleva scrivere a Vostra Signoria una lunga lettera sopra la deli- berazione che prudentemente avete fatta di mandar vostro figliuol qua ; ma questa mia indisposizione di catarro, che mi molesta molto, non me lo consente. Dirò dunque solo, che mandando il figliuolo mi farà gran- dissimo favore e piacere; essendo sicuro che egli avrà e padre e madre qui; e che Porzia mia ed io n'avremo quella medesima cura che avremo di Torquato (2). Io non so se il putto sia inclinato alle lettere ; ma, sia come si voglia, non se gli mancherà di diligenza e d'affezione. Sarete contento di salutar mia sorella (3) da parte mia; e baciando le mani a la Signora Cavaliera ed a voi, faccio fine. Di Roma il VI d'Ottobre MDLIV. M'era scordato di dir che mia moglie con la famiglia, piacendo a Dio, per tutto questo mese sarà qui, e che è bene che la mandi il putto prima che '1 verno faccia più difficile ed incomodo il viaggio. VI. Bernardo Tasso al Cavaliere Domenico Tasso. — Bergamo. Oggi sono nove giorni ch'arrivò qua Cristoforo sano ed allegro, con molta mia soddisfazione, e moltissima di Torquato mio, il quale l'aspet- tava con grandissimo desiderio, e l'amava prima che l'avesse veduto. State con l'animo quieto, che n'avrò quella cura che avrò di Torquato, e forse maggiore. Né vi dia molestia che la Signora Porzia non sia venuta peranco; perchè io tengo una buona massara, ed un prete vec- chio ed uomo dabbene, che m'ha servito diciassette anni, che n'ha quella cura e quell'amore che se gli fossero figliuoli. Ma sopratutto per vostra soddisfazione vo' che sappiate c'hanno il primo maestro d'Italia, erudi- tissimo, e possessore di tutte due le lingue, c'ha il più bello e '1 più breve modo d'insegnare, che si sia usato sin a quest'ora; gentiluomo di V. — Tasso B., Op. cit.; voi. Ili, n." 7, p. 68. l'I) Cugino di Bernardo dal lato di madre: cfr. B. Tasso, Op. cit; voi. Ili, pag. 55 n. (2) Porzia, moglie di Bernardo, non era ancora a Roma, né potò mai raggiun- gere il marito causa gli impedimenti che posero alla sua uscita dal Regno ì parenti, i quali anelavano alla dote. Torquato stava col padre. (3) Donna Atfra, monaca Benedettina in S. Grata di Bergamo: cfr. B. Tasso, Op. cit. ; voi. Ili, p. 69 n. VI. — Tasso B., Op. cit; voi. Ili, n.» 8, p. 70. — 81 — costumi, e che non ha parte alcuna di [ledante. Non vi avete se non a lodare del vostro maestro dell' Accademia, perchè il tìgliuolo mostra d'aver avuto buon maestro. Mia mos^'lie non ha potuto avere la licenza di venire dal Viceré in scrittura, per più sicurezza delle doti sue, ne so se si fiderà di venir con la parola del Viceré solamente, lo sto an- cora piuttosto convalescente che sano: e dubito che per esser materia catarrale, a Homa, come dice Galeno, mater distillationum^ eh' io ne sentirò fino a primavera; però s'io son breve perdonatemi e raccoman- datemi a la signora Cavaliera. Vivete sano e felice. Di Roma il VI di Dicembre del LIV. VII. Bernardo Tasso al Cavaliere Giovan Jacopo Tasso. — Bergamo. Cristoforo, Dio grazia, sta bene, ed impara piuttosto per diligenza di chi gl'insegna che per naturale inclinazione. Egli ha un acutissimo ingegno, ma non inclinato alle lettere: l'emulazione di Torquato, il quale v'è inclinatissimo, gli serve per sprone; pur. Dio grazia, avanza assai, e già legge greco, e fa le declinazioni dei nomi e de' verbi. Io li ho posti in dozzina per questi quattro o cinque mesi del verno; perchè imparano più la notte che '1 giorno, e per le pioggie, e mali tempi. Di Roma il dì XVI di Novembre del MDLV (1). Vili. Bernardo Tasso al Cavaliere Giovan Jacopo Tasso. — Bergamo. Cristofano sta bene, Dio grazia, e a ogni modo non perde il tempo: e credo che farà più profitto nella lingua greca che nella latina, per aver imparato meglio i fondamenti di quella che di questa: e dubito che quel vostro maestro de l'Accademia non abbia rovinato tutti li sco- VII. — Tasso B., Op. cit.; voi. IH, n.» 9, p. 73. (1) Bernardo {Op. cit; voi. Ili, p. 76) riscriveva il 21 Dicembre: « Cristoforo « sta bene, e si osa ogni diligenza perchè impari. Ma per non ingannarvi, per < quanto ne posso giudicare sin a quest'ora, la natura riuclina ad ogn'altra cosa, « che alle lettere, e difficilmente si fa forza alla natura; nuUameno io ho visto « di gran mutazioni in questi putti: e state sicuro ch'io piglio quella cura di lui, « e forse maggiore, ch'io piglio di Torquato mio, e se per artificio e per diligenza « è possibile che un putto impari, egli imparerà ». Vili. — Tasso B., Op. cit.; voi. Ili, n." 11, p. 80. SoiKKTi, La vita di T. Tasso, 11. 6 — 82 — lari, se a tutti ha insegnato di questo modo, come ha insegnato a Cri- stoforo. E se non gli faceva tornare a ricordare i primi principi non avrehbe imparato cosa buona. Non si manca d'ogni diligenza possibile perch'egli impari, e ad ogni modo non perderà del tutto il tempo, e le prometto che Torquato n'ha quella cura, e piìi, che se gli fosse fratello, e gli serve per ripetitore e per emulo, e gli ha preso tanto amore ch'io mi troverei in gran fastidio dovendo separar un dall' altro .... Di Roma il dì XXIX di Dicembre MDLV. IX. Bernardo Tasso al Cavaliere Giovan Jacopo Tasso. — Bergamo. Io sarò breve, perchè la estremità del dolore ch'io sento, mi ha così confuso l'animo, ch'io non so ne scrivere ne parlare. Giovedì sera ebbi nuova che quella infelice giovane di mia moglie s'era partita di questa vita, d'un accidente che, senza febbre, in ventiquattro ore l'uccise, senza che potesse pur dire una parola. Con la qual morte, la quale m'ha tra- passata l'anima per lo smisurato amore ch'io le portava, e per lo molto ch'essa meritava, hanno ancora perduta i miei figliuoli la dote, e da mille e dugento ducati di mobili, senza speranza di poter ricuperar cosa alcuna, mentre che il mondo sta in questo stato. Procuro con tutti i favori e forze necessarie di ricuperar quella povera figliuola dalle mani de' suoi nemici, acciocché non avvenga a lei quel ch'è avvenuto alla misera madre, la qual tengo per fermo che sia stata avvelenata da' fra- telli per guadagnar la dote; e perchè la legge pur provvede che la fi- gliuola, per esser donna, abbia la quarta parte, o poco più, della dote, dubito che per avanzar ancor questa parte, che sarà da mille scudi, non le facessero qualche burla: però procuro tutti i rimedi possibili e necessari. Cristoforo sta bene e per l'emulazione e gli sproni di Tor- quato impara più dell'usato (1); il resto vi scriverà messer Maurizio, al quale per questa volta lascio questa cura. Nostro Signore vi faccia contento quanto io son misero. Di Roma il dì XV di Febbraio MDLVI (2). IX. — Tasso B., Op., cit; voi. Ili, n.» 12, p. 81. (1) Il 6 marzo Bernardo riscriveva alla cavaliera Pace de' Tassi : « Cristoforo sta « bene, Dio grazia, e da un mese in qua mi dà un poco più di speranza del suo « imparare che non faceva prima. Vostra Signoria non se ne prenda alcun fastidio, < che quella medesima cura, e forse maggiore, ho di lui, che di Torquato mio » . (2) Vedi pure la pietosissima lettera ad Amerigo Sanseverino in Op. cit, voi. II, n." 59, p. 157; ed anche le seguenti, dirette a diversi, intorno a questo temjio, n.' 60-70. In queste lettere manifesta tutto il suo affetto, tutto il suo dolore, e le — 83 — X. Bernardo Tdsfto alla Cavaliera Pace Ch'umella de Tassi. — Bergamo. Qui inclusa sarà la lista delle spese che deve avere il Colombo; v'è una partita che dice d'aver dato a M. (ieronimo bo: me: di tredici ,i,nuli e cinque baiocchi; vi sono ancora due partite di cinque o^iuli l'una, che Cristoforo si fece dare senza mia saputa; credo per spender questo car- novale a far maschere. 11 putto consuma tanto i panni, che è cosa grande; e stando in Koma bisogna spender qualche cosa di più che non sarebbe in Bergamo, e non vi si può far di meno: raa Vostra Si- gnoria sia secura che non si lasci era spendere un quattrino di sover- chio. 11 putto mi dà ogni giorno più speranza che debba imparare: né si può usar maggior diligenza di quella ch'io uso, perchè non butti via il tempo; a questa Pasqua li (1) tirerò in casa, perchè non si veglia più la notte, e li giorni corti e cattivi son passati Di Koma il dì XXI di Marzo MDLVl. XI. Bei'nardo Tasso alla Cavaliera Pace Grumella de' Tassi. — Bergamo. Cristoforo, Dio grazia, sta bene ; e spero con un poco di diligenza, e col tempo, che se n'avrà contentezza ed onore. Con putti di questa età e della sua natura bisogna con una lunga pazienza condurli a poco a poco a quel segno che l'uomo desidera. L'amor grande che si portano questi due figliuoli, ancorché l'uno non sia come l'altro inclinato alle lettere, gli giova assai a spronarlo all'imparare, e spero che si farà uomo d'assai. E con questo le bacio le mani, ed insieme alli figliuoli. Di Roma l'XI di Aprile MDLVL preoccupazioni per la sorte fntura dei figliuoli, e in special modo di Cornelia, ri- masta sola in mano dei malvagi parenti, che s'avevano ritenuto l'antifato e la dote della moglie. Vedremo più tardi Torquato travagliarsi per questa lite fino alla sua morte. Nella lettera n." 66, alla sorella Aflfra, dice della sua Porzia: « Ella amava « tanto e me e Torquato, che vedendosi lontana dalle sue più care cose, con poca « speranza, per le perturbazioni di questo mondo, di poter sotto un tetto mede- « simo lietamente passar la vita sua, vivea di continuo con l'animo da diversi ti- « mori, quasi nuovo Tizio da vari augelli, roso e lacerato ». X. — Tasso B., Op. cit; voi. Ili, n.» 1-^, p. 90. (1) Anche Torquato. Cfr. n." VII. XI. — Tasso B., Op. cit. ;yoI III, n.» 16, p. 93. — 84 — XII. Bernardo Tasso alla Cavaliera Pace Grumella de' Tassi. — Bergamo. Io procuro con tutte le forze mie di far imparare Cristoforo; e se vi parerà troppo la spesa, nostro danno. E perchè li feci cominciar a im- parar la lingua oreca. la quale è necessaria di sapere a un gentiluomo che fiiccia professione di buone lettere, e fin qui non hanno perduto il tempo, acciocché per non aver chi gl'insegni, non restino di farsi vir- tuosi, gli fo legger da un maestro straordinariamente una lezione di greco ed esaminarli con diligenza; il quale ha voluto un mezzo scudo d"oro il mese per uno; e cosi non mancherò ad ogn'altra cosa che mi parrà necessaria dal canto mio, perchè Vostra Signoria ne abbia quella consolazione che suol aver amorevole madre d"un figliuolo ben educato. Di Roma il XVIII d'Aprile MDLVL XIII. Bernardo Tasso a Luigi Friuli, Eletto di Brescia. Saprete dunque, virtuosissimo Signor mio, che per esser oggi poca fede e poca carità nella maggior parte degli uomini del mondo, pre- pongono l'utile all'onesto; per lo che de' quattro miei cognati, li tre hanno mosso lite sovra l'eredità materna a' miei poveri figliuoli, e uno d'essi sotto color di bontà, per meglio ingannarla, mostra di pigliar la protezione della figliuola femmina, la qual si trova in casa d'un suo parente; cercando sotto velame d'amore e di carità, perchè essa abbia tutta l'eredità, di voler privarne il maschio; allegando che per averlo io tirato presso di me, sia caduto in pena di ribellione: come se in un figliuolino di dodici anni, innocente, chiamato dal padre per educarlo e indirizzarlo nella strada delle buone lettere, potesse o dovesse cader meritamente questa imputazione, o questa pena. E perchè il fine di questo tale non è altro, se non di privar il maschio della eredità, per non aver a sborsar la maggior parte della dote e degli usufrutti che sono an- cora in mano sua, a' fratelli, se vincessero la lite, e a mio figliuolo, se fossero dichiarati abili, e far poi della figliuola ciò che a lor tornasse comodo, ha presa la protezione di lei così contro li zii e suoi fratelli, come contro il proprio fratello di essa, e mio figliuolo. Prego calda- XII. — Tasso B., Op. cit.; voi. Ili, n/ 17, p. 94. XIII. — Tasso B., Op. cit; voi. II, n.» 72, pag. 201. — 85 — mente Vostra Signoria che con quell'animo cattolico e cristiano che ha mostrato in tutte le sue operazioni, voglia con la sua autorità e favore sollevare questo infelice vecchio da tanta miseria, e aiutar questi poveri pupilli, figliuoli d'un vostro servitore; e perciò mando qui incluse al- cune clausole da inserirsi nella grazia, se pur piacerà alla benignità di Sua Maestà di farlami , senza le quali poco mi gioverebbe essa grazia; e dì piti, perchè nessuna avversità mi rode più l'animo che '1 dubbio ch'io ho di non poter aver mia figliuola, la supplico che sovra tutte le altre grazie mi procuri una lettera privata, diretta a chi sarà allora Viceré di Napoli, perdio potrebbe esser che '1 Signor Duca d'Alba si partisse, che mi sia consegnata la figliuola ; altrimenti la grazia della roba, senza essa, mi sarebbe poco cara. Questa, Signor mio cortesissimo, è la somma del mio desiderio e del mio bisogno Di Roma il XXVI di Maggio del LVI. XIV. Bernardo Tasso alla Cavaliera Pace Grumella de' Tassi. — Bergamo. Dappoiché io ho questa cura, la maggior spesa che si è fatta, è stata delli sei mesi del verno che tenni i putti a dozzina, che devono esser ventuno scudi d'oro. Ma perchè da mo' innanzi Vostra Signoria stia con l'animo quieto, io ho dato ordine a Don Giovanni, che scriva, partita per partita, non solo i denari che si piglieranno, ma la causa perchè; e sempre che si manderà a pagar li denari al mercante, se gli man- derà anche il conto disteso, talmente ch'ogni tre o quattro mesi, potrete veder distesamente tutte le spese che si faranno; e state sicura, che non si spenderà cosa alcuna senza bisogno. Gli è vero che Cristoforo (come per l'ordinario sono i putti) è grandissimo consumator di panni, come anche Torquato mio; e benché io gli sgridi, e gli riprenda, alla fine mi bisogna aver pazienza. È un mese ch'io gli feci un par di calze, ed ha già cominciato a romperle: e, se non andasse ad una scuola dove vanno tutti figliuoli onorati, gliele farei portar rotte qualche giorno, per veder se a questo modo li potessi far più accurati, e meno dissipatori delle robe. Il putto comincia a camminar per la buona via delle lettere; e, ancorché non v'abbia molta inclinazione, ha buono ingegno, e farà per vergogna quello forse che non farla per volontà; e sono entrato in grandissima speranza non solo che si faccia uomo di lettere, ma che debba riuscir grand' uomo in questa corte. XIV. — Tasso B., Op. cit. ; voi. Ili, n.» 21, p. 102. — 80 — Quanto agli alimenti del putto, Vostra Signoria non n'abbia altro pensiero , che ancorché la fortuna m'abbia tolto la roba, non m'ha tolto Tanimo: e volesse Dio ch'io mi ritrovassi in casa mia, ch'io non le darei manco fastidio del suo vestire; ma spero che Dio eia virtù mia m'aiuteranno. Io non voglio li putti vadano alla vigna, perchè si riscaldano, e quel- l'aere in questa stagione è cattivo; ma perchè abbiano qualche diporto, ho procurato di aver la vigna del Boccaccio, che è la più bella vigna di Monte Cavallo; e il Signor Duca di Palliano me l'ha concessa, e sono già otto giorni ch'io vi son venuto, dove staremo in questo buon aere tutta questa state; dipoi tornerò a stare in Monte Giordano per non aver questo verno a tornar li putti in dozzina, perchè la scuola è tanto vicina, che lor parrà di star in una casa medesima. Non so che altro scriver a Vostra Signoria riservandomi qualche altra cosa per un'altra volta. Le piacerà di raccomandarmi al Signor Arcidiacono, a se medesima, e alli figliuoli ; che Nostro Signore vi contenti. Di Roma il dì 6 di Luglio MDLVL XV. Bernardo Tasso ad un monaco. — Bergamo. Eziandio che siano molti anni che non ci siamo visti, non deve però la nostra amicizia esser in alcun modo rallentata, e tanto più essendo fabbricata su li saldi e fermi fondamenti della virtù, i quali macchina alcuna né di lungo tempo, né di lontananza può minare. Però man- dando, per fuggir da questi rumori di Eom'a, Torquato mio figliuolo a Bergamo, desidero che questo tempo che starà lontano da me non lasci lo studio delle buone lettere. E perchè il nostro Reverendo D. Agostino da Carrara, la cui dottrina si deve più ammirare che laudare, m'ha detto ch'io lo raccomandi al Reverendo D. Valeriano, della cui scienza m'ha detto tante cose, ch'io mi reco a grandissima sventura il non averlo conosciuto, desidero che vostra Reverenda Paternità faccia per me questo offizio, supplicandolo a voler, non per rispetto mio, ch'io non merito tanto con lui, ma per seguir il lodevole instituto della natura sua, che è di giovare agli uomini, pigliar alquanto di fatica in istituirlo. Egli ha un poco di principio della lingua greca, ma non quale io vorrei, perché, a dir vero, io non ho trovato maestro in Roma che in questa XV. — Tasso B., Lettere, ms. nel collegio S. Carlo di Modena. — Campori G., T. Tasso e gli Estensi, Estr. dagli Atti e Mem. delle JRR. Deput. di Storia Pa- tria per le prov. Modenesi e Parmensi, Serie III, Voi. I, P.« I; Modena, Vin- centi, 1883; p. 18. parte mi soddisfaccia. Rendendolo certo clie spargendo il buon seme della sua disciplina nell'ingegno di questo figliuolo, a guisa di campo fertile ed abbondante, renderà buon frutto all'agricoltore, ed egli rice- verà da Dio e dalla gratitudine del fanciullo quel premio che la mi- seria dello stato mio non consente ch'io possa. Io avrei fatto scrivere a Vostra Reverenza dal Reverendo nostro 1). Basilio, ma so che l'ami- cizia nostra potrà maggior cosa di questo con esso lei. E vi bacio le mani insieme a quell'onorato o virtuoso Padre, la cui virtù terrò sempre scolpita nell'animo congiunta con l'obligo ch'io gli avrò eternamente. Di Roma il 14 di Settembre 1550. XVI. Bernardo Tasso a Marco Antonio Tasca. — Bergamo. Foichè questi rumori vanno innanzi e la guerra pur è certa, e questa città piena di soldati e di rumori, come credo che particolarmente vi scriva vostro fratello, io mi son risoluto che sia buon il parere della signora cavaliera di mandar li figliuoli in Bergamo ; e così per la grazia di Dio partiranno fra quattro o cinque giorni con Don Giovanni (1), e potria essere che vi trovassero ancora in Bergamo [Di Roma, 5 Settembre 155G] (2), XVII. Bernardo Tasso alla Cavaliera Pace Grumella de' Tassi. — Bergamo. Rer la sua, e per relazioni di Monsignor Gian Giacomo (1), ho inteso l'amorevolezza che mostra a Torquato mio, della quale non ne son mai XVI. — Sehassi P. a., La vita di T. Tasso, Firenze, Barbera e Bianchi, 1858; voi. I, p. 104-5. Il Serassi nota di aver scontrato questa lettera tra mss. della li- breria Falconieri di Roma, e si trovavano nel secondo volume delle lettere inedite di Torquato, lasciate già da M. A. Foppa a monsignor Ottavio Falconieri. La li- breria Falconieri andò dispersa, né io ho potuto rinvenirle in altro luogo. (1) Don Giovanni Angeluzzo, loro istitutore. (2) In un'altra de' 14 dello stesso mese Bernardo avvisava il Tasca che Cristo- foro e Torquato erano già partiti , e aggiungeva : « Di grazia lasciate ordine a li « vostri, che bisognando qualche cosa a Torquato e a Don Giovanni, non li nian- « chino ». Il Serassi {Op. L cit.) riporta soltanto questo periodo. XVII. — Tasso B.. Lettere, Padova, Cornino, 1733; voi. Ili, n.» 29, p. 121-3. (1) Gian Giacomo Tasso, parente di Bernardo. — 88 — stato in dubbio, avendola conosciuta per ^lonna d'onore, e misurando dal- l'animo mio il suo. Io non la voglio ringraziare perchè spero e desidero di pagar quest'obbligo con altro che belle parole Di Pesaro il XXV d'Ottobre del LVI. Io non scriverò sì spesso come a Roma, per non aver comodità di mandar le lettere, bisognando mandarle per la via di Roma. Credo che quell'aria conferisca a Torquato, perchè è di una medesima qualità che quella di Sorrento, dov'ei nacque ; e penserei di lasciarlo costì fin che mi conducessi a Padova, se avesse modo d'imparare. Ma quando no, lo farò venir qui, sendo certo che il Signor Duca mi farà grazia ch'egli vada a imparar col Principe suo figliuolo. XVIII. Bernardo Tasso a 3Iaurizio Gataneo. — Bergamo. Io scrivo a Don Giovanni che se ne venga con Torquato, tosto che questi freddi si facciano alquanto minori, per le cause che voi sapete. Né desidero per altra cosa piìi la vita, che per mostrar a qualcuno qual sia l'ufficio di gentiluomo, e che cosa sia cortesia. Di grazia pro- curate di trovarli compagnia che venga a queste parti, perchè Don Gio- vanni non è molto pratico d'andar per lo mondo Di Pesaro il dì II dell'anno MDLVII. XIX. Bernardo Tasso a 3Iaurizio Gataneo. — Bergamo. Le vostre dolcissime lettere, tutte piene d'affezione e di bontà, nelle quali si vede scolta la vera imagine della vostra gentile ed ufficiosa natura, mi hanno grandissimo piacere seco portato, e scemato in gran parte il fastidio, che mi avevano dato quelle di Don Giovanni, col farmi sapere le molte iniquità de' miei parenti e li mali portamenti che sono usati a quel povero figliuolo XVIII. — Tasso B., Op. cit; voi. II, n." 83, p. 234. XIX. — Tasso B., Op. cit.; voi. II, n.» 87, p. 237-9. Le ultime parole del primo periodo: col farmi — figliuolo, erano state tralasciate nelle stampe anteriori delle lettere di Bernardo, come nell'edizione cominiana, dalla quale cito, certo per riguardo alla famiglia Tasso. Le aggiunse il Campori {Op. cit., p. 20) di sul ms. di S. Carlo ricordato. — S'J — Io ho di gik scritto per triplicate lettere a Don Giovanni che se ne venga con Torquato; e fatto dar ordine al fratello di Marc'Antonio (1) che gli provveda de' danari per le spese del cammino Di Pesaro, il primo di Febraio del LVII. XX. Bernardo Tasso alla Cavaliera Pace Grwnclla de' Tassi. — Bergamo. Io ho oramai rinsTraziato Vostra Siu^noria tante volte delle cortesie ch'ella ha usate a mio figliuolo, ch'io dubito di non aver fatta ingiuria alla gentilezza della natura sua, la quale usa di questi uffici più per soddisfar a se stessa, e per far quello a che l'obbliga il grado della nobilita, che per guiderdone alcuno che ne speri Io aveva deliberato di ridurmi a Padova, fin tanto che gli accidenti del mondo, e nuova occasione che portasse il tempo, mi chiamasse al- trove; ma questo liberale e magnanimo Principe con infinite cortesie che m' usa di giorno in giorno, ra' ha fatto mutar opinione. Però ho scritto a Don Giovanni che se ne venga con Torquato ; e pregata Vostra Signoria con duplicate che fosse contenta di dargli licenza; il che, quando non avesse fatto, al ricever di questa sarà contenta con buona grazia sua di fare, affine che il putto non pprda più lungamente tempo. Di Pesaro il primo di Febbraio del LVII. XXI. Bernardo Tasso al Cavalier Girolamo Albano. — Bergamo. Vostra Signoria ha voluto con molti uffici di cortesia usati in acca- rezzar mio figliuolo, farmi conoscer cogli effetti ciò che prima per rela- zione della fama, ch'in ogni parte per cortesissimo l'aveva pubblicato, aveva conosciuto; vorrei renderle grazie, ma dubito di non offender la gentilezza dell'animo suo, il quale è già abituato a far questi uffici più per soddisfar a se medesimo, e per far quello a che l'obbliga l'alto grado della nobilita, che per guiderdone alcuno di parole, ne d'effetti, che ne possa sperare. Serberò questo favore, che l'è piaciuto di farmi, nella più cara parte della memoria, per poter almen con l'animo e col desiderio pagar quell'obbligo ch'io non spero (colpa della mia maligna fortuna) di poter pagar cogli effetti. Frattanto Vostra Signoria mi con- ci) M. A. Tasca. XX. — Tasso B., Op. cit.; vo]. II, n.- 88, p. 240. XXI. — Tasso B., Op. cit.; voi. Il, n." 89, p. 241. — 90 — servi in possesso della sua grazia, e creda certo ch'io l'osservo e rive- risco con tutto il cuore. Ma, per non disturbare i suoi elevati pensieri, intenti a più alte e nobili operazioni, pregandole lunga e felice vita, farò fine. Di Pesaro, il X di Febbraio del LVII. XXTI. Bernardo Tasso a Vincenzo Laureo. lo sperai di due giorni dappoi il ritorno del signor Cappello di poter venire, ma mi s'ammalò il servitore che poteva venire con esso meco, e di mano in mano tutti gli altri ; e non solo i miei servitori, ma quanti frati sono in questo convento; e oggi ch'aveva deliberato di venire, è caduto nel medesimo male Torquato mio; il quale ancor che sia certo che debba esser infermità catarrale di quattro o cinque giorni, com' è stata quella di tutti gli altri, e non pur di questo monasterio, ma di tutta la città, nulladimeno non ho ardir di partirmi; a quest'ora la febbre è già mancata e '1 catarro ha già presa la via del naso in molta copia, e con tanta malignità eh' egli arde dove tocca. Non ho voluto chiamar medico alcuno, ma curarlo come si curano tutti gli altri, dopo ch'è stata conosciuta l'infermità, cioè con la dieta, e col buon governo. L>i Urbino il XXVllI di Luglio del LVII (1). XXIll. Bernardo Tasso a Monsignor Angelo Papio. Torquato vi bacia la mano, ed ha omai bisogno deliopera ed aiuto vostro; è già uomo, ed assai bene introdotto nella lingua latina e nella greca, e talmente che s'io avessi a soprastare in Italia più di quel ch'io spero, penserei a trovar modo di mandarlovi. Vivete lieto. Signor mio, e conservatemi nella grazia del Signor P. e nella memoria vostra. Di Pesaro, il 9 di Novembre del 57. XXII. — Tasso B., Op. cit; voi. II, n.» 109, p. 279. (1) Cfr. avanti la nota alla lettera n" CXXXIX. XXIII. — Tasso B., Lettere inedite per cura di G. Campori, Bologna, Roma- gnoli, 1869 ; della Scelta di curiosità letterarie ined. o rare, disp. CHI ; n.° XXXIII, p. 185-6. - 91 — XXIV. Bernardo Tasso a Antonio Maria de Bossi. lo, da quei i>riini rumori clic jtosero in tuga tutta Koma, mandai via Torquato e mio nepote, e dopoi a poclii giorni, crescendo la paura ed i pericoli, me ne partii io e me ne portai tutte le migliori robe che io mi trovava Torquato sta bene e cresce cosi in persona come in virtìi, tanto che avanza la speranza mia; e, se non che io non voglio sturbar il suo studio, Sua Eccellenza (1) voleva dargli moglie con tre mila scudi di dote e con una eredità dopo la morte del padre. Non mi resta che rispondere alle lettere di Vostra Signoria. Di Pesaro il 26 Novembre del '57. XXV. Bernardo Tasso a Pietro Grasso. Torquato mio sta bene, e così nella persona, come nelle virtìi s'a- vanza tanto, ch'io spero che debba con l'ingegno e valor suo acquistarsi di molto onore, e tanto di facoltà quanto ha tolto a me la malignità della mia fortuna: e vi bacia la mano Di Pesaro il IX di Decerabre del LVII. XXVI. Bernardo Tasso a Enea Tasso. — Bergamo. E perchè non ho voluto andare con Sua Eccellenza ad Urbino, e mi sto a godere questa bella stanza dell'Imperiale, la bellezza della quale voi sapete, non vi dia fastidio la solitudine (1), perchè qui non vi manche- ranno trattenimenti e piaceri di più sorti; e, fatte queste feste, se si faranno, io vi accompagnerò sino a Padova, dove lascierò anche Torquato. Di Pesaro il dì 2 Luglio del MDLVIII. XXIV. — Tasso B., Op. cit.; n.» XXXVI, p. 191. (1) Il Duca d'Urbino. XXV. — Tasso B., Lettere, Padova, Cornino, 173.3; voi. II, n.» 129, p. 353. XXVI. — Tasso B., Op. cit.; voi. Ili, n.» 30, p. 124. (1) Con questa lettera Bernardo invitava il nipote Enea a passar l'estate con lui e Torquato. — 92 — XXVII. Bernardo Tasso a Sperone Speroni. — Padova. Le mando per mio figliuolo, il quale viene alla festa del Santo, i primi quinterni del Poema (1) e sette quinterni del fine: il resto del- l'opera le manderò fra quattro o cinque dì. Frattanto conservatemi nella grazia vostra, e vivete lieto. Di Venezia il X Giugno del LIX (2). XXVIII. Bernardo Tasso all'Abate delle Fosse. Torquato attende agli studi: e in questa tenera età mostra la ma- terna prudenza talmente, ch'io ho fermissima opinione (s'io vivo tanto, come spero, che gli possa far finir lo studio) che debba riuscir un grand'uomo: egli bacia la mano di Vostra Signoria e io insieme con lui. Di Venezia il IX di Febbraio del MDLX. XXIX. Bernardo Tasso a Sperone Speroni. — Padova. Omai è tempo di provveder della dozzina per Torquato. Vostra Si- gnoria sarà contenta di pigliar questa cura, conoscendo quello eh' im- porta a porlo in casa d' uomini dabbene, e lontano dalle male compa- gnie, e le bacio la mano. Di Venezia, il penultimo d'Agosto del LX. XXVII. — Tasso B., Op. cit; voi. Ili, n.» 38, p. 136. — Speroni S., Opere, Venezia, Occhi, 1740; voi. V, p. 342. (1) L'Amadigi. (2) Nella lettera seguente da Venezia, 17 Giugno 1559 (Tasso B., Op. cit.; voi. Ili, n." 39, p. 137. — Speroni S., Op. cit.; voi. V, p. 343), Bernardo scri- veva : « Le mando per mio figliuolo il resto dell'opera ». XXVIII. — Tasso B., Op. cit.; voi. II, n.» 184, p. 482-3. XXIX. — Tasso B., Op. ciò.; voi. Ili, n.° 51, p. 157. - 93 - XXX. Girolamo Ruscelli a Filippo II lie di Spagna. Ma particolarmente poi è de^rno di e^razia il fifjliuolo di esso Tasso, il quale non ha forse veduto il Principe (1), nò pur il padre mentre fuor della grazia di Vostra Maest;i l'ha scfjuito, né mai è andato a lui, se non dappoi che l'ha veduto sotto l'ombra del Duca d'Urbino, tanto de- voto, onorato ed util servitore di Vostra Maestil Cattolica, quanto alcun altro che per oo^ni tempo n'abbia avuto o ne sia per aver in Italia e fuori la Kecjina e Imperiai Casa d'Austria. 11 qual è da credere, che se nel Tasso non avesse conosciuto un animo divotissimo e fedelissimo verso Vostra Maestà, non avria pur comportato di lasciarlo stare un sol oriorno nello stato suo, non che pigliato in grazia e jtrotezione. il che in quanto all'amar il Tasso e a riverirlo, voglio, per non dimenti- carmi d'ogni mio debito, dir ancora di me medesimo: il quale si come onoro e osservo quel gran Duca, quanto merita d'esser onorato e osser- vato da ciascheduno, così ardisco dire di non cedere né a Sua Eccellenza, né a persona ninna in desiderare e ancora procurar quanto possa la fe- licità di Vostra Maestà Cattolica. Essendo dunque in quel fanciullo, figliuol del Tasso, stata notissima la devozione e la fede verso lei, ed essendo giovane di rara speranza per la vivacità dell'ingegno ed affezione agli studi, non sarà uomo di mente sana, che affermi di essere infor- mato della somma benignità e grandezza d'animo di Vostra Maestà, di dubitare, che ella sia per riceverlo nella sua grazia Di Venezia, il di terzo d'aprile 1561. XXXI. Bernardo Tasso a Cesare Pavesi. — Padova. lo son certo, gentilissimo il mio sig. Cesare, amando voi mio figliuolo, come con l'esperienza n'avete dimostrato, che sete così pronto a ripren- derlo, qualora egli fa cose degne di riprensione (il che spesso dee essere per il furore della giovanezza), come sete ad iscusarlo : che se a questo l'affezione, a quello vi muove la prudenza e la vera legge dell'amicizia, XXX. — Ruscelli G., Lettere di Principi, le quuli o si scrivono a Principi o ragionano di Principi, Venezia, Ziletti, 1581; voi. Ili, e. 219-228 v. Scrive il Ruscelli ricordando le vite di Carlo V di Alfonso Flloa e di Lodovico Dolce, e annunziando come allora attendesse ad un'altra Bernardo. Dice poi che da alcuni si pensava che questa fatica non giungerebbe gradita a S. M. Cattolica per essere il Tasso sbandito per le cose del Principe di Salerno. Da ciò prende occasione jier giustificarlo e raccomandarlo, e chiede la grazia almeno per Torquato. (1) Ferrante Sanseverino, Principe di Salerno. XXXI. — Tasso B., Op. cit.; voi. II, n» 196. — 94 - io ho data quella fede alle lettere vostre che non avrei forse data a quelle di molti altri ; e vi ringrazio di questo amorevole uffizio fatto da voi, così per mia consolazione, come per soddisfazione di mio figli- uolo. Di che, oltre l'affezione che meritamente dalle vostre virtù sono astretto di portarvi, e ve n'averò infinita obbligazione, e comodità di poter con qualche offizio fatto da me per riputazione e benefizio vostro mostrarvi mi grato. Quanto all'edizione del poema di Torquato, ancora ch'io, come amo- revole padre e geloso del suo onore, fossi di contrario parere, ho voluto piuttosto soddisfare a tanti gentiluomini che me n'iianno pregato, che al desiderio e giudizio mio; sapendo che il poema non è tale, che non paia maraviglioso in un giovane di diciott'anni, essend'egli e per l'inven- zione e per l'elocuzione degno di lode, e tutto sparso di vaghi lumi di poesia; ben desidererei di averlo visto tutto, e più accuratamente ch'io non potrei in sì breve corso di tempo, prima che lo stampasse. Ma il voler opporsi a un intenso desiderio di un giovane, che quasi torrente di molt' acque pieno corre al suo fine, sarebbe vana fatica; e tanto più essendone stato pregato da due dotti e giudiziosi spiriti, come sono il Veniero e il Molino. Ma bisogna che e l'aiuto vostro e di molti altri amici suoi, vaglia a fare che almeno sia stampato corretto: e di ciò vi prego quanto caramente posso. Io non so in questa mia povera fortuna che altro profferirvi fuor che la mia volontà, pronta a farvi piacere e servizio. Vivete lieto, e conservatemi vivo nella memoria vostra. Di Ferrara, il XV di aprile del MDLXH. XXXII. Bernardo Tasso a Marc' Antonio Tasca. E ultimamente per non poter più sono stato necessitato con poca mia dignità di por mio figliuolo per compagno di studio dell'eletto di Otranto. Di Padova il 16 Gennaio 1562. XXXIII. Scipione Gonzaga a (1) Messer Torquato Tasso, figliuolo di Messer Bernardo, disegnando di far stampare in Venezia un suo libro di poesia volgare, nel quale descrive i fatti di Rinaldo giovine, desidera grandemente per maggior suo onore, XXXII. — Serassi P. a., Op. cit.; voi. I, ji. 149. V. la precedente avvertenza. XX XIII. — Archivio Gonzaga; Autografo. (1) Probabilmente al Duca di Mantova. — 95 — e per riputazione del libro, di aver da Vostra Eccellenza un jirivilegio, col quale ella proibisca che detta opera non possa per dieci anni essere stampata nelle terre del suo dominio. Onde io, e per rispetto del padre, e per l'amicizia che ho avuta in Padova con questo giovine, essendo da lui di ciò stato ricercato, ardisco di suppplicare Vostra Eccellenza che si degni di fargli questo favore, e di concedergli questa grazia, della quale io insieme con lui le resterò obbligatissimo. Né essendo questa mia per altro, bacio con ogni umiltà le mani di Vostra Eccellenza, racco- mandandomi nella sua buona grazia. Di Trento, il XXIII di Aprile del LXIl. XXXIV. — Il Canonico Otto Caraccio a P. Martire Cornacchia. — Innshruck. Credo che Vostra Signoria debba essere stata informata a pieno del- l'andata del signor Tasso, però io non gliene dirò altro se non che egli arrivò qui ieri molto ben sodisfatto di que' signori, con chi ha fatto complimento per la morte della Signora Donna Giulia, e massime del Signor Duca d'Urbino, la cui Eccellenza oltre che continuamente l'ha voluto a mangiare seco, secondo ch'ei dice, ha anche commesso che ogni anno sia dato 50 scudi a messer Torquato, suo figliuolo, mentre che starà in terre di studio Di Mantova l'ultimo di aprile MDLXIII. XXXV. Bernardo Tasso a Donna Claudia Rangoni. — Correggio. Quanto alle valigie di Torquato, chi ha fatto il peccato ne ha ancor fatto la penitenza; il massaro stesso di Modena che l'aveva mandata a Panzane (1) la mandò di mio ordine a ritorre e l'ha mandata o man- derà in Bologna. Ringrazio Vostra Signoria della diligenza ch'ella fece usare per trovarla -, e terrò questo obbligo presso gli altri ch'io ho con lei, che infiniti sono Di Mantova, alli 8 di Settembre 1563. XXXIV. — Archivio Gonzaga. — Fa ricordata dal Campori, T. Tasso e gli Estolsi; p. 26. XXXV. — Campori G., Op. he. cit.; p. 42. Il Campori la traeva dal suo pri- vato Archivio. (1) Villa posta nell'estremo confine della provincia bolognese, a poca distanza da Modena. — 96 — XXXVI. Bernardo Tasso a Francesco Bolognetti. Vostra Signoria perdoni a me il peccato di mio figliuolo, il quale, o per trascuraggine 0 per cortesia, avendo donato il suo Constante {\) ad altri, non me l'ha mandato: che non sarei sì mal creato, né si poco conto avrei fatto dell'amicizia ch'io ho con lei, che non ne l'avessi rin- graziato. Questa è ingiuria ch'egli ha fatta a me, ed io ne lo castigherò, e se non con altro, almeno con paterna riprensione Mantova il VI d'Agosto del LXV. XXXVII. Bernardo Tasso a Laura Battiferri degli Ammanati. Con l'ordinario, che di qui partirà sabato, quali saranno le rime mie, le vi manderò, e scriverò a mio figliuolo a Ferrara, che faccia il medesimo. Di Mantova, il penultimo di Gennaio del LXVI. XXXVIII. Bernardo Tasso al segretario Grotto. Non voglio lasciare, come amico, di scrivere la disgrazia di mio fi- gliolo a Vostra Signoria rendendomi certo, che sentirà parte del mio dispiacere. Il povero giovine ordinariamente andando nel letto, studia col lume finche gli vien sonno ; onde è avvenuto che essendosi addormentato senza ricordarsi di spegnere il lume, cadde il candelliere, e si accese il fuoco nella camera, talmente che prima che si destasse abbruciò tutti i libri e tutte le robe sue, ed egli con la barba arsa si gettò dalla finestra e si fé' male ad un piede. Madama Leonora (1), intesa la sua disgrazia, gli mandò una dozzina di scudi, e tela per quattro camicie. Ma le ho dato troppo fastidio: Vostra Signoria viva felice, e conservandomi in grazia di Sua Eccellenza, mi ami. Di Mantova, il III di Marzo del LXVIL XXXVI. — E. Biblioteca Estense. — Tasso B., Lettere inedite per cura di G. Campohi, Bologna, Eomagnoli, 1869; n." XLIII, p. 207. (1) Poema del Bolognetti. XXXVII. — Serasbi P. a., Op. cit.;\o\.l, p. 179 w. 3. Da una lettera inedita che non ho potato rinvenire. XXXVIII. — Archivio Gonzaga. — Tasso B., Lettere inedite per A. Portigli, Mantova, Er. Segna, 1871; n.' 150, p. 174. Lo stesso Portioli aveva prima pubbli- cato questo brano in prefaz. agli Scritti ined. di T. Tasso, Estr. dalla Rivista Eu- ropea, voi. Ili, fase. 9"; Firenze, 1870, p. 5; e ivi appariva indirizzata questa lettera al conte Carlo Maflfei, e non al segretario Grotto. Il Perkazzi {T. Tasso, Bassano, Pezzato, 1880, p. 28) pur citando entrambe le edizioni del Portioli, ritiene l'indirizzo erroneo al Maffei. (1) L'Austriaca, moglie del Duca Guglielmo di Mantova. — 97 - XXX IX. Bernardo Canigiani (l) a Francesco de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Questo Signore e '1 Signor Duca vanno intimando la loro gita verso Modena per al principio di Giugno, con cerimonie ed entrate (2) so- lenni; e a Sassuolo si reciterà loro una commedia di M. Bernardo Tasso, dove è ito Torquato suo tigliuolo, giovane virtuoso e amico mio, a farle l'intermedi Di Ferrara, il dì 17 di Maggio 1568. XL. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Martedì andremo a Sassuolo a battezzare quel putti no (1), e a una commedia del Tasso che fa fare quel Signore con banchetto, e festa. . . Di Modena, il 24 di Ottobre 1568. XLI. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Dopo vespro si andò a battezzare il suo puttino, che lo tenne per il duca di Savoia il Signor Francesco Vilmercato, mandato a questo effetto, e la Signora Duchessa. A mezz'ora di notte entrò la commedia di raesser Bernardo Tasso, con bella prospettiva, belli intermedi, ed assai bene recitata secondo il luogo: ma però la commedia in se era assai ordinaria, cioè la parte del poeta: dopo cena si ballò un ballo, e ciascuno si andò a riposare Di Carpi il dì 27 di Ottobre 1568. XXXIX. — K. Archivio di Stato di Firenze; Rifonnagioni; Filza medicea 2891. (1) Resi'leiite mediceo a Ferrara. (2) Vi è un'abbreviazione poco intelligibile: io spiegherei appunto entrate. XL. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riforraagioni; Filza medicea 2891. (1) Marco, figlio di Ercole Pio, Signor di Sassuolo. XLI. — R. Archivio di Stato di Firenze; Rifomiagiooi; Filza medicea 2891. Solerti, La vita di T. Tasso, II. 7 — 98 — XLII. Livio Passeri (1) a Guidubaldo della Rovere Ihica d' Urbino. 11 Tasso ha messo fuori mezzo centinaio di Conclusioni amorose^ quali si disputeranno in una Accademia di gentiluomini ferraresi, e si comincierà forse Lunedì che viene, con animo di partir questo pia- cere in tre o quattro giornate; e se ne salverà per l'Eccellenza Vostra ancora una o due. Le ne mando una copia , acciocch'ella sappia quali sono, ed anco acciocché possa studiarvi sopra qualche cavaliere che avesse volontà d'argomentarvi; come sarà a dire un Signor Fabio Al- bergati, 0 simile, se li può darsi a lui alcun simile : non parlando della similitudine della devozione verso Vostra Eccellenza, nella quale io sono bene uno de' suoi similissimi, se non mi rendesse dissimile, con pace sua, la pretensione di qualche avvantaggio Di Ferrara il dì XI dell'anno MDLXX. XLIIL Livio Passeri a Guidubaldo della Rovere Duca d' Urbino. Oggi vanno questi Principi a sentir nell'Accademia disputare le Gonclmioni del Tasso; questa sera a cena, commedia e festa, col Signor Corneglio Bentivoglio, cioè in casa della Signora Giulia Malaspina. Di Ferrara, questo dì 18 del LXX. XLIV. Livio Passeri a Guidubaldo della Rovere Buca d' Urbino. Anderanno tutti a desinare col Signor Cardinale questa mattina, ed oggi s'andrà all'Accademia a sentire disputare le Conclusioni del Tasso. Di Ferrara, il dì primo di Febbraio del LXX. XLII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Divis. G., filza 244. (1) Inviato del duca d'Urbino a Ferrara. XLIII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Divis. G., filza 244. XLIV. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Divis. G., filza 244. — 99 - XL V. Paolo Casale a Guiduhaldo della Rovere Duca d' Urbino. 11 Signor Principe mi ha pure detto clie .se potrà, scriverà all'Eccel- lenza Vostra quattro righe, ma egli è di già in maschera ed il Signor Duca, il quale lo serve ed accompagna sempre con un infinito amore, è seco, e vanno alla disputa del Tasso Di Ferrara il »> di Febbraio 1570. XLVl. Livio Passeri a Guiduhaldo della Rovere Duca d' Urbino. Oggi sono andati pure in maschera tutti a sentire disputare le Con- clusioni del Tasso: e questa sera passeranno il tempo con una delle solite commedie zannesche Di Ferrara, il dì penultimo di Carnevale (1) del LXX. XLVII. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Duca di Toscana. — Firenze. Oggi si sono trattenuti i Signori dell'Accademia per la terza sessione ed ultima sopra le Conclusioni del Tasso Di Ferrara il 6 di Febbraio 1570. XLVlll. Jacopo Corbinelli a Vincenzo Pinelli. — Padova. Da un mese in qua v'ho scritto piti lettere. Qua è il Tasso e gli altri della Corte d'Este, tutta mia Di Parigi, il primo di Dicembre 1570. XLV. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Divis. G., filza 244. XLVI. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Divis. G,, filza 244. (1) Era il 6 Febbraio. XLVII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagionì ; Filza medicea 2892. XLVIII. — Biblioteca Ambrosiana, auto<^r. — T. Tasso, Opere, Pisa, Caparro, 1821-32; voi. XXIII, p. 83. In seguito indicando Opere, intenderò sempre questa edizione. — 100 — XLIX. Il Cardinale Luigi d'Este a Alfonso II Duca di Ferrara. Cominciando a rimandare indietro la mia famiglia, per l'opinione che ho d'avere a tornare presto in Italia, non ho voluto lasciar l'occasione di questi miei servitori che s'incamminano, sì che per mezzo loro io non le faccia riverenza, e le ricordi il vivo desiderio che tengo di ser- virla sempre, e così ho commesso particolarmente al Tasso, che le venga a baciar le mani in nome mio, dal quale potrà ancora intendere del mio benestare. Però non mi resta che supplicarla che si degni di comandarmi ed augurarle ogni desiderata felicità. Di Parigi a' XVIII di Marzo del LXXI. L. • Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Buca di Toscana. — Firenze. Di Francia tornano oltre a tutti i gentiluomini della tavola del Car- dinale d'Este, molti del resto della famiglia: ed ieri arrivarono il Tasso segretario (1) ed il Bendidio scudiere ; non potendo Sua Signoria Illu- strissima reggere la spesa in su che si era messa, che era di più la metà che le sue entrate Di Ferrara il dì 13 Aprile 1571. LI Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Buca di Toscana. — Firenze. Il segretario Tasso (1), giovane letterato e bello scrittore, se n'è ito a Roma a cercare sua ventura, molto informato delle vanità e glorie vane di questo paese. Credo che chi lo piglierà al suo servizio se ne soddisfarrà ; ma il Cardinale di Ferrara forse lo raccorrà per non lasciarlo sfarfallare; benché egli è molto inclinato alla nazione e la lingua nostra (2), e stucco di Ferrara Di Ferrara il dì 28 di Maggio 1571. XLIX. — R. Archivio di Stato di Modena; Arch. ducale segreto; Casa; Carteggio del Cardinale Luigi d'Este. L. — E. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni ; Filza medicea 2892. (1) Qui il Canigiani attribuisce per errore al Tasso un titolo che non gli spettò mai. LL — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni; Filza medicea 2892. (1) Ripetasi la precedente avvertenza. (2j Fiorentina. — 101 — LII. Bernardo Caniyiani a Francesco de" Medici Gran Duca di Toscana. — Firenze. Il Tasso è fermo al servizio del Duca di Ferrara, non però con titolo di segretario Di Ferrara il di 4 di Giugno 1571. LUI Belisario Estense Tassoni a Benedetto Manzuoli. Si dice che il Tasso è accomodato col Signor Duca, tuttevolte che Sua Signoria Illustrissima (1) se ne contenti, e questo è uscito di bocca del Sicrnor Pifjna Di Ferrara li XXX di Giugno 1571. LIV. Monsignor Grana (1) al Cardinale Luigi d'Este. Il Tasso è venuto con la Principessa d'Urbino, e sta benissimo di grassezza Di Ferrara li 25 Settembre 1571. LV Monsignor Grana al Cardinale Luigi d'Este. Ora gli vengo a dire che il Signor Duca suo fratello partì ier mat- tina per li bagni di Padova , dove è andato a pigliare il fango per il suo ginocchio; ed è con Sua Eccellenza il Signor Don Francesco, il LII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riforniagioni; Filza raedicea 2892. LUI. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Particolari. (1) Il Cardinale Luigi d'Este, allora in Francia. Il Tassoni era maestro di casa, il Manzuoli segretario del Cardinale. LIV. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Lettere di Rettori. — Corradi A., Le infermità di T. Tasso, Estr. dagli Atti del B. Istituto Lom- bardo, 1879 80, Serie II, voi. XIII, fase. XV; p. 40, «. 5. (1) Era Monsignor Grana uno dei molti agenti che il Cardinale teneva in Ferrara per essere informato dei passi del fratello duca. Cfr. Campoki G. e Solerti A., Luigi, Lucrezia e Leonora d'Este, Torino, Loe.scher, 1888; passim. LV. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Lettere di Rettori. — Corradi A., Op. cit.; p. 41. — 102 — Signor Don Alfonso, il Signor Cornelio (1), con tutte le corti loro ; ed ha menato seco oltre il Signor Pigna e Montecatino filosofo, il Cavalier Guarini, il medico Panza, il Tasso ed il Grassetto ; e questi per aver passatempo Sua Eccellenza di diverse dispute in barca, e quando mentre piglierà il fango Di Ferrara li 12 Ottobre 1571. LVI. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Buca di Toscana. — Firenze. 11 Tasso iuniore è entrato al servizio di Sua Eccellenza (1): amicis- simo mio, e giovane di stile e letteratura molto gentile. Di Ferrara il dì 22 di Febbraio 1572. LVII. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Buca di Toscana. — Firenze. Stamane s'avviano (1) a giornate una truppa di virtuosi: cioè il me- dico Brasavola, il semplicista Panza, l'antiquario Ligorio, il poeta Tasso, lo storiografo Sardi, e simili; posdomani se n'avvierà un'altra e sabato poi andrà il Duca Di Ferrara a' 6 di Dicembre 1572 (2). LVIII. Alfonso II Buca di Ferrara al Conte Gherardo Bevilacqua. — Madrid. Il Tasso nostro servitore ci supplica a voler ordinarvi che facciate ufficio a favor suo con Sua Maestà Cattolica, dalla quale desidera d'ot- tenersi l'abilitazione di poter succedere nella dote materna; cosa, dice egli, concessa da Sua Maestà a molti altri, sì come di tutto avrete da lui ampia informazione, con la supplica. E perchè avremo sempre caro (1) Bentivoglio. LVI. — R. Archivio di Stato di Firenze; Eiforniagioni; Filza medicea 2893. (1) Il Duca di Ferrara. LVII. — E. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni; Filza medicea 2893. (1) A Roma. (2) L'originale porta per certo errore 1573. LVIII. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Minute ducali agli oratori estensi in Spagna. — 103 — Ogni suo bene, vogliamo che voi favoriate questa sua richiesta per quella maniera e fin a quei segni che vi parrà più conveniente. Ne essendo la presente per altro, il Signor Dio vi conservi. 17 Febbraio 1573. LIX. Tiberio Ahnerici a Virginio Ahnenci. — Padova. Il terzo spettacolo (1) che s'è goduto questo carnevale è stato d'un'e- gloga del Tasso, che fu recitata questo Giovedì , primo di Quaresima passato, da alcuni giovani d'Urbino, nella sala che fu fatta per la ve- nuta della Principessa (2), ed è stata tenuta per una delle vaghe com- posizioni clie siano fin ora uscite in scena in tal genere, perchè ci erano bellissimi e piacevolissimi concetti, e l'azione ancora che semplice, è molto piacevole ed affettuosa. È ben vero che, per la verità, non è stata in alcune parti e principali cosi ben rappresentata come meritava, mas- sime negli affetti, da' quali nasceva il principale diletto dell'egloga; pure, da quelli che n'hanno gusto, è stata giudicata per cosa rara. E quel che di grazia s'è aggiunto a quest'egloga, e c'ha piaciuto più che mediocremente, è la novità del Coro fra ciascun atto, che rendeva maestà mirabile, e recava co' piacevolissimi concetti infinito diletto agli spet- tatori ed ascoltatori. LIX. — Biblioteca Oliveriana, coti. 390: Memorie di Pesaro, t. XIII a e. 92 sgg., col titolo: « Lettera di Tiberio Almerici a Virginio Almerici che stava in Padova « con le nuove del Carnovale fatto in Pesaro l'anno dopo la sollevazione d'Urbino, « e la relazione del possesso preso in Pesaro del Duca Francesco Maria II ». — Tasso T., Aminta con prefaz. di P. A. Serassi; Crisopoli, Bodoni, 1789; in-4"'. II Serassi a p. 7 riporta il primo tratto riguardante la recita della pastorale a Pe- saro. — Seuassi P. a., La vita di Jacopo Mazzoni, Roma, Pagliarini, 1790, p. 24-27. — Tisso T., Opere; voi. II, p. 1 ; è ripetuta la prefazione del Serassi dall'edizione bodoniana. — Saviotti A., T. Tasso e le feste pesaresi del 1574, nel Giornale Storico della Letteratura italiana; voi. XII; pubblica l'intera lettera con illustrazioni. (1) Gli altri due spettacoli, dei quali dà relazione in questa lettera l'Almorici, sono una giostra, e la recita de\VJ£rifìlo7nachia, commedia d'un m. Sforza degli Oddi, dottore perugino. Essa fu poi stampata in Venetia, per Giambattista Sessa e Fratelli, 1S56; in-12''. Cfr. lo Zeno nelle note al Fontanini, Bill, deh'eloq. ital., Venezia, Pasquali, 1753; voi. I, p. 370; ove si accenna a questa recita senza però indicare dove avvenne. (2) Lucrezia d'Este, sposa al Principe Francesco Maria della Piovere nel 1571. — 104 — E pur oggi i recitanti sono partiti per Fossombrone, per rappresen- tarla al Cardinale che desidera di sentirla (1). Questo è quanto s'è goduto di buono e di bello questo carnevale a Pesaro, e inoltre in questo tempo medesimo, dell'ultimo del carnevale, abbiamo goduto ancora molti ragionamenti, parte uditi con le nostre orecchie e parte riferiti da altri, che sono passati fra molti belli intel- letti, come dire il Mazzoni da Cesena, che credo conosciate per fama e forse anco per vista, il Tasso, il Pino da Cagli (2) e messer Cesare Benedetti (3); che non mi sarà grave di riferire in sommario, poi che mi sento di vena per questa volta, che valerà per tante altre c'ho la- sciato di scrivervi. Intesi primieramente che passò ragionamento innanzi il Principe alla venuta del Mazzoni, che è stato chiamato a vedere questi spettacoli da l'abate del Signor Kainero (4), e fu fra il Mazzoni e Messer Cesare sopra la differenza ch'è fra Platone ed Aristotile, intorno alla rimini- scenza: dove il Mazzoni cercò di difendere l'opinione di Platone e dei seguaci, e Messer Cesare di sostenere quella d'Aristotile. E in un'altra occasione pure, nata per incidenti innanzi al Principe, se l'odio era con- trario dell'amore: ove medesimamente il Mazzoni tenne non esser l'odio contrario all'amore, e Messer Cesare tenne che sì. Fra il Tasso ed il Mazzoni nacque similmente ragionamento intorno alla poesia , e parti- colarmente intorno alla forma del poema eroico, dove si disse assai in- torno all'unità della favola, e altre cose connesse e congiunte a tal ma- teria. Ed un'altra volta innanzi Sua Eccellenza discorsero assai sopra l'azione della commedia rappresentata (5), dove che il Tasso mostrò di essere d'opinione che l'azione di questa commedia non fosse convenevole a poema comico, ma più tosto tragico, ovveramente epico, essendo che supponga che azione così eroica, com'è il posporre il proprio volere e diletto per vero zelo d'amicizia, sia troppo illustre, e però poco conve- niente a commedia. Un altro ragionamento intesi medesimamente che passò fra il Pino da una parte ed il Tasso e il Mazzoni dall'altra, dove il Pino si sforzò di provare che Virgilio non aveva asseguito il fine del poema eroico, e però che il suo poema non era eroico; ma gagliardamente difeso Vir- (1) II Cardinale Della Kovere. (2) Bernardino Pino da Cagli. (8) Filosofo e Vescovo di Pesaro. (4) Cioè l'abate Francesco Maria del Monte, figlio di Raniero, ministro del Duca. Cfr. Serassi P. A., La vita di Jacopo Mazzoni, Roma, Pagliarini, 1790; pag. 23. (5) UErifìlomachia ricordata. - 105 - gilio dal Tasso, e poi dal Mazzoni, come riferiscono quelli che furono presenti a tal ragionamento: che fu innanzi il Duca e la Principessa. Un'altra volta s'attaccarono in festa, mentre si ballava, il Tasso ed il Mazzoni, ed io mi trovai presente, fra gli altri, a una parte della con- tesa ch'era allora: cioè che il Tasso teneva ch'Epicuro ponesse tutto il sommo bene ne' piaceri del corpo e che fosse cattivo, ed il Mazzoni pa- reva che tenesse ch'egli avesse avuta sempre buona opinione nelle cose morali, e che però egli non fosse tale, quale si trova descritto da Cice- rone e da Plutarco, e parea che si fondasse, se ben mi ricordo, in una epistola che si trova delle suo, e nella sua vita che fa Laerzio Diogene; sopra che contesero un pezzo, dov'io conobbi veramente che quel Mazzoni era d'una gran lezione e di grandissima memoria e dottrina più che mediocre, ed il Tasso avvertito molto ed accorto ragionatore. S'aveva a ragionare fra questi due d'un'altra materia che vi dirò qui sotto, ma essendosi partito il Mazzoni, né essendosi avuto tempo, o, per dir meglio, non essendosi preso tempo d'accozzarli insieme, non se u'è fatto altro. 11 Tasso, una sera dopo cena, in casa del conte di Montebello, essen- dosi venuto a ragionamento della commedia che s'avea a recitare e del- l'azione sua ch'è molto conforme a quella di Leone e Buggiero (1), e così essendo nata occasione qual fosse maggior cortesia, il Tasso, dico, sostenne quella di Leone non esser stata cortesia e quella di Kuggiero meritar nome di mancamento: il che tentò di comprovare con belle ra- gioni che sariano or troppo noiose a raccontarle. 11 qual ragionamento essendo venuto alle orecchie del Mazzoni, s'era già preparato di tenere il contrario, e credo certo saria stata molto bella cosa il sentirli, perchè ci cadono molte belle considerazioni dall'una e l'altra parte: ma la for- tuna non ha voluto che si siano accozzati insieme. Nacque per quanto intesi un'altra disputa pure fra il Tasso ed il Mazzoni, dove si riscaldarono assai se la lingua nostra s'avea a chia- mare italiana come volea il Mazzoni, o toscana come sosteneva il Tasso (2): ma la mia disgrazia non volle ch'io mi ci trovassi presente, che fu per strada, per la via di San Vincenzo. Con tutto questo buona parte di questi ragionamenti mi sono stati riferiti e dal Tasso e da quelli che si trovarono presenti, sì che potrei dire ancor io d'averli intesi, così bene e fedelmente mi sono stati riferiti Di Pesaro, l'ultimo di Febbraio 1574. (1) Cfr. L. Ariosto, Orlnndo Furioso, e. 44-45-46. (2) Tale questione ebbe gran voga, in special modo nella prima meta del cinque- cento. Intorno a questa polemica per il nome della lingua e per l'alfabeto io ho raccolto da parecchio tempo molte notizie, delle quali mi gioverò per uno studio intorno a tale argomento. - i06 - LX, Camillo Giordani al Capitano Ascanio Giordani. — Ferrara. Dirò che "1 Tasso ha dato cura d'attendere a dar piacere a questi Signori che sono qua e doman si faranno cose grandissime (Di Pesaro 3 Marzo ] 574). LXI. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Lunedì a, 20 ore fu qui il Zanninella con la certezza della morte del Re, per condoglianza del quale si sono spediti di qui il signor Guarini al Ee di Polonia ed il signor Cavalier Gualengo all'Imperatore, i quali si troveranno poi insieme e andranno alle due regine. L'esequie per il detto Re si sono fatte stamane in Duomo, dove è comparso il Signor Duca in gramaglia e nel medesimo abito il Signor Cornelio ed il Signor Don Alfonso : l'oratore è stato il Tasso : e la maggior parte di detta orazione è stata in lodare la Regina madre Di Ferrara, il dì 2... di Giugno 1574 (1). LXII. Bernardo Canigiani a Vincenzo Borgliini. — Firenze. L'esibitore della presente è messer Torquato Tasso, figliuolo di messer Bernardo; e perchè egli arde di voglia di conoscer di presenza Vostra Signoria, io mi son preso baldanza di inviarglielo, e che questa mia lettera l'introduca a baciarle la mano. Con che la supplico a favorirlo, LX. — Ho trovato l'appunto di queste righe fra le carte del compianto M.s« G. Campori. La lettera, cui appartengono, è con ogni probabilità nell'Oliveriana, ma ivi non s'è potuta ritrovare; ringrazio delle ricerche fatte in proposito di questa lettera, e di molte altre, i cortesi signori Dott.'" G. Morici e il Marchese Antaldi. LXL — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni; Filza medicea 2894. (1) La data non è chiara; credo si debba leggere 22 o forse anche 27. LXII. — R, Archivio, di Stato di Firenze; Carte Strozziane. — Il Salvini (Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze, Tartini e Franchi, 1713, a p. 101) dice che questa commendatizia si ritrova nel Cod. Strozziano 931 a e. 105. — Tasso T., Le lettere disposte per ordine di tempo ed illustrate da C. Guasti, Fi- renze, Le Monnier, 1858-61; voi. I, p. 53. Avverto che delle lettere di Torquato citerò sempre questa edizione. — Cantò C. , Spigolature negli Archivi Toscani nella Rivista Contemporanea, Torino 1861 ; voi. 25, p. 342. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 110 n. — 107 — e compiacerlo per amor mio del parere intorno a certo suo poema, libe- ramente e senza adulazione, che le ne resterò io obbligatissimo in sem- piterno: oltre a che, il Signor Tasso merita assai per amar tanto la virtù e i possessori di essa, quanto egli fa, e fra gli altri Vostra Signoria Keverendissima; alla quale ancora io bacio la mano ricordandomele af- fezionatissimo servitore, e pregando Dio che la feliciti. Di Ferrara, il dì 5 Novembre 1575. LXIII. Bernardo Canif/iani a Francesco de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. lersera appunto in sul sotterrarsi del Pigna ebbi la lettera di Vostra Altezza Serenissima di 27 del passato, data al Poggio In luogo del Pigna, in quanto segretario della persona del Duca, si bocia nel signore Ludovico Tassone, fratello di Paulo, gentiluomo della bocca di Vostra Altezza Serenissima; in quanto segretario della Segnatura, nel cav. Acciaiolo; in quanto a poeta nel Tasso; in quanto a umanista e riformatore dello Studio nel filosofo Montecatini, o nel Guarini: ed in quello di questi due che resterà vacuo si porrà l'istoriografo (1). . . . Di Ferrara, il dì (3 di Novembre 1575. LXIV. Francesco Lazzara a Giovan Francesco Mussato. Padova. Il Tasso non ieri l'altro si partì di Koma, ed ogni sera fino a due ore di notte andava a leggere certe sue composizioni di poesia al signor Sperone: e così son tornati in amicizia, che prima lo voleva per uomo morto, chiamandolo furem alienae ìaudis Di Ixoma, l'ultimo dì del 1575. LXIII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Eiformagioni ; Filza medicea 2894. — Capponi G., SuUa causa finora ignota delle sventure di T. Tasso, Firenze, Pez- zati, 1840; p. 147, n. 2. (1) L'istoriografo fu poi il Tasso. LXIV. — Skrassi P. a., La vita di T. T., Firenze, Barbèra e Bianchi, 1858; voi. I, p. 292, n. 2. Non ho potato ritrovare il codice qui citato dal Serassi, come di proprietà privata. — 108 — LXV. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Duca di Toscana. — Firenze. E la supplico umilmente a nome del suo devoto servitore Torquato Tasso, che voglia concedergli privilegio per 20 anni che nessuno, senza licenza sua, possa negli stati di Vostra Altezza Serenissima stampare, 0 altrove stampato vendere in danno del primo stampatore e secondo la forma più favorevole di tali privilegi, la sua Hyeriisalem Bacquistata, in lingua toscana e in ottava rima, della quale so che Vostra Altezza Serenissima ha visto qualche libro; e tutta l'opera spero ch'abbia a soddisfare, se bene non le attribuisco tanto quanto io ho sentito fare a molti: i quali per adulazione, si cora'io credo, piuttosto che per igno- ranza, la mettono tanto alto, che la non vi arriverà a gran pezzo, mas- sime quanto al diletto e all'invenzione, con tutto che quanto al corretto ed all'osservazione, così dell'arte, come della lingua, la sia molto pur- gata, secondo me, e di testura piacevole ed affettuosa, degna d'ogni lode. Ne mi ricordo d'altro per l'Altezza Vostra Serenissima; con che bacian- dole reverentemente la mano, prego Dio che la feliciti e contenti. Di Ferrara il dì .31 di Gennaio 1576. Che si faccia il jirivilegio per X anni, secondo il solito (1). LXVI. Francesco de' Iledici Gran Buca di Toscana a Bernardo Canigiani. — Ferrara. Al Tasso concederemo il privilegio che desidera per quel piti di tempo che voglia, e con ogni favorita clausola, che ben lo merita quella sua ingegnosa e virtuosa fatica Di Firenze 4 Febbraio 1576. LXV. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagionj; f.* II di Relazioni di Messer Paolo Vinta, a e. 92. — Serassi, Op. cit.; voi. I, p. 302 n. — Capponi, Op. cit; p. 138. (1) Postilla autografa del Gran Duca, citata dal Serassi, che io però non vidi. LXVI. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riforniagioni. — Serassi, Op. he. cit. — Capposi, Op.cit.; p. 139. — Tasso T., Lettere; voi. Ili, p. Vili. — 109 — LXVII. Bernardo Canigiani a Francesco de' Medici Gran Buca di Toscana. — Firenze. 11 Tasso bacia reverentemente la mano a Vostra Altezza Serenissima del favore ch'ella fa alla sua Hyerusaìem, restandole per affezione e per obblighi servitore sviscerato: quando la me ne farà inviar la copia del privilegio o la forma autentica, gliela darò in mano propria, con accettarlo che sia passato e registrato, con specificargli il tempo. . . Di Ferrara 13 Febbraio 1576. LXVIII. Bernardo Canigiani a Belisario Vinta (1). — Firenze. Altro non mi sovviene per Vostra Signoria se non che noi non stiamo, fra noi parenti, a ftir questione per di chi debb'esser compare il Tasso, che in questo Vostra Signoria mi debbe cedere: però mandi quanto prima il privilegio con l'aggiunta del nuovo bollo, che a lui e a me sarà tanto più caro, e conservici in grazia sua, e di messer Pagolo suo fi'atello, comandandomi qualche volta. Che Dio la feliciti. Di Ferrara il di 9 di Marzo 1576. LXIX. Franciscus Medices Dei gratta Heiruriae magnus Bux II, Florentiae et Senarum Bux III, Portus Ferrarii in Uva insula, Castilionis Piscariae et Igilii insulae dominus etc. Torquato Tasso, nohili Ferrnriensi, salutem. Egregia bonarum artiura et literarum doctrina tua, atque studiis mi- tioribus presertimque poetices elegans ac preclarum ingenium, iure proprio suo exposcere videntur, ut quae tibi usui futura sunt, iusta maxime et honesta reverenter petita, tibi a nobis libenter concedantur. Quare cum poema quod Hyerusalem racquistata appellant, vernaculo LXVII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni; Filza medicea 2895. — Capponi, Op. cit; p. 140. LXVIIL — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni; Filza medicea 2895. — Capponi, Op.cit.; p. 146. (1) Segretario del Gran Duca. LXIX. — R. Archivio di Stato di Firenze. — Serassi, Op. loc. cit. — HO — sermone, et Carmine, longo studio, et plurium annorum cura vigiliisque confeceris, illudque conductis ab te impressoribus edere in manus ho- minum statueris, ut idem diligentius impressum in lucem prodeat, et si quis fructus ex ea re percipi potest, is ad te potius quam ad alienos deferatur; edicimus et mandamus, ne quis proximo ab hac ipse die decemnìo ipsum poema imprimere, aut impressum venundare ullis in locis provinciae nostrae Hetruriae, sine tuo iussu et voluntate. Ei qui centra mandatum hoc nostrum fecerit,quinquaginta nummorum aureorum in quodlibet volumen muleta esto, cuius altera pars authori, altera aerarlo nostro acquiratur. Quibuscumque contrarìis non obstantibus. Quorum in fidem diploma hoc fieri iussimus, nostra manu nostrique soliti sigilli plumbei appensione munitum. Datum Florentiae, in nostro palatio, die XXVII martii, anno Do- minicae Incarnatiouis 1576, nostri magni ducatus Hetruriae aliorumque nostrorum ducatum IL LXX. Bernardo Canigiani a Belisario Vinta. — Firenze. E quel privilegio del Tasso mi par mill'anin di vedere: perchè mu- tando io alloggiamento (de tene in melius) fra quindici dì, possa mutare anche l'insegna della mia osteria (se si debbe) che sino a ora è la Co- rona gigliata, e sarà presso a quello della Campana a cento passi, in comodissimo sito Di Ferrara il dì 2 d'Aprile 1576. LXXI. Benedetto Bainaldi, Podestà di Ferrara, ad Alfonso II Duca di Ferrara. Oggi è stata data una bastonata a Messer Torquato Tasso ch'era in piazza: subito che l'intesi mandai una polizza per darne conto a Vostra Altezza, ma trovò ch'era partita per andar in campagna. Abbiamo esa- minati testimonii, e s'intende che è stato uno de' fratelli Maddalò, es- sendovi anche l'altro presente; e perchè ho inteso che uno di essi è servitore di Vostra Altezza non l'ho mandato a pigliar come avrei fatto, il LXX. — E. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni ; Filza medicea 2895. — Capponi, Op.cit.; p. 164. LXXI. — E. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Lettere Rettori. - Ili — parendomi ben darne prima conto a quella. Se le piacerà che siamo noi che procediamo non si mancherà del debito nostro, con che prego Dio che la conservi. Di Palazzo il dì 7 Settembre ]^^7(^. LXXII. Il Segretario Ducale al Consigliere Crispo. — Ferrara. Sua Altezza mi ordina ch'io scriva a Vostra Signoria che non avendo ella espedita la cosa del Maddalò che dette al Tasso, non manchi di far quanto prima ciò che fa di bisogno intorno ad essa e di darle fine, sì che ella all'arrivo suo costà, che sarà lunedì o martedì, la si trovi espedita, e con questo le bacio le mani. A' VI Ottobre 1576. LXXIII. Alfonso II Duca di Ferrara a Monsignor Giulio MasetH (1). — Roma. Avendo composto il Tasso, mio servitore, un Poema volgare, ed essendo egli avvertito che gli è stato rubato, secondo che n'avea fatto vedere alcune parte a' suoi amici, che non erano però anche perfette, e che si mette in stampa, sì che egli ne sta con molto dubbio, che quando ciò fosse sarebbe veramente gran malignità di chi lo facesse, sapendosi bene che è molto tempo che egli vi è attorno e che ora l'opera è perfetta, ed a noi certo spiacerebbe grandemente un termine tale, vogliamo che il tutto facciate sapere al Signor Jacomo Buocorapagno a nome nostro, e preghiate Sua Signoria a voler per amor mio far uffizio con Sua San- tità, perchè si contenti di mandar proibizione a tutti i stampatori costi, e dello stato ecclesiastico, di poter stampare detto Poema, ed a' librari di poterlo vendere caso che di già fosse stampato, con commissione che siano poste da banda e conservate tutte le copie che vi fossero di esso, eccetto una, la quale fosse poi mandata a noi; e se ne fosse per av- ventura stata dispensata alcuna sia restituita, E perchè esso Tasso desidererebbe che da Sua Santità fosse proibito sotto pena di scomunica che da alcuno che si fosse dello stato ecclesiastico non potesse esser stampata quest'opera, o parte di essa contro voglia di lui, e ci supplica di voler far di ciò ufficio, vogliamo voi v'informiate costì se sia cosa LXXII. — R. Archivio di Stato dì Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — Minuta. LXXIIL — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — Minuta. (1) Era il Masetti residente estense a Roma. — 112 — solita a farsi e che si possa chiedere a Sua Santità; e secondo che vi parrà bene ne facciate istanza col detto signor, o d'altra pena che pa- resse a Sua Santità di porre, per assicurazione che non fosse stampata, il che rimettiamo in voi; non lasciando però di dirvi che sì come ci sarebbe di molto dispiacere che quest'opera fosse stampata di così mal modo, così ci sarà carissima ogni provvisione che si possa fare perchè ciò non segua, e quando vi paia bene, e che così sia bisogno, parlerete voi medesimo a Sua Santità in nome nostro (Di Ferrara, 17 Novembre 1576). LXXIV. Alfonso II Duca di Ferrara a Fabio Mirti de' Frangipani, Arcivescovo di Nazareth, Governatore di Bologna. 11 Tasso, mio servitore, mi fa intendere ch'è avvisato da' suoi amici ch'ora si mette alla stampa da alcuni, senza sua saputa, il Poema vol- gare ch'egli ha composto, e che di ciò sta con molto dubbio per il so- spetto c'ha che non gli sia stato rubato, mentre che n'ha fatto veder alcune parti a' suoi amici, il che se fosse sarebbe una gran malignità di chi lo facesse, e certo molto mi spiacerebbe. Però ho voluto scriver la presente a Vostra Signoria per pregarla a contentarsi di far inten- dere se per caso fosse capitato in mano di cotesti stampatori per stam- parlo, e ritrovandovisi proibire che non si stampasse, e far ritener l'o- riginale; e caso che se ne fossero stampati, proibire non solo ai librari di venderlo, ma di far porre da parte tutte le copie che vi fossero, e conservarle, e mandarne una a me. E perchè Vostra Signoria può ben conoscere quello che convenga in cosa di questa qualità, non le dirò io altro, se non che riceverò quel fatto per piacere ben grato di lei, e con offerirmele di tutto cuore le prego dal Signore Dio ogni prosperità. (Di Ferrara 18 Novembre 1576). LXXV. Alfonso II Duca di Ferrara a Ottavio Farnese Duca di Parma. Il Tasso, mio servitore, mi fa intendere, essere avvisato che ora si mette alla stampa da alcuni, senza sua saputa, un poema volgare ch'egli LXXIV. — R. Biblioteca Estense, cod. I. H. 15-17: Gonzaga, ie^re; voi. Ili, p. 403. È in copia. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. Copia di mano del Serassi. LXXV. — R. Biblioteca Estense, cod. X. *. 32 bis: Autografi di vari. È la minuta originale. Una copia è pure quiti nel cod. I. H. 1.5-17; Gonzaga, Lettere; voi. III, p. 403. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. — Serassi, Op. cit. ; voi. I, p. 381. — 113 — ha composto; e che di ciò sta con molto dubbio, per il sospetto che ha che non gli sia stato rubato, mentre ne ha tatto vedere delle parti a' suoi amici della professione: il che se così fosse, sarebbe veramente gran malignità di chi lo facesse, ed a me spiacerebbe molto. E perchè non si sa dove colui siasi indirizzato per stampare quest'opera, ho vo- luto venire con la presente a pregar Vostra Eccellenza, come fo ben di cuore, che le piaccia di for proibire a tutti gli stampatori dello stato suo, che non possano stampare il suddetto poema; e caso che di già ne fossero stati stampati, impedire ai librari di poterne vendere alcuno, e far loro commissione di metterli tutti da parte; e se per sorte n'a- vessero dato fuori qualche copia, si vegga di ricuperarla, e farne man- dare una a me, acciocché si possa vedere come stia ; assicurando Vostra Eccellenza ch'il tutto riceverò per favore particolare da lei, la quale può ben conoscere quanto ciò convenga in cosa di questa qualità. E col baciarle la mano eie. Di Ferrara 22 Novembre 1576. LXXVl. Ercole Cortile (1) ad Alfonso II Duca di Ferrara. Non mancherò di eseguir subito quanto Vostra Altezza mi comanda con la sua dei 23 del corrente, sì nel negozio del Tasso, come anche in quello di Taddeo Landi Ho parlato oggi al Signor Ambasciatore di Lucca della cosa del Tasso, e mi ha promesso di procurare acciocché i suoi Signori mandino un bando di quella maniera che vorrò io. Scriverò anche al Signor Prin- cipe di Massa, a Genova, il quale non dubito puntb che farà ogni cosa per servizio di Vostra Altezza, essendoli tanto affezionato ed obbligato quanto è e fa professione Di Firenze a' 28 di Novembre 1576. LXXVII. Fabio Mirti de' Frangipani, Arcivescovo di Nazareth, Governatore di Bologna, ad Alfonso II Duca di Ferrara. Subito ricevuta la lettera di Vostra Altezza de' 20, con avvertimento che qua si faceva stampare il Poema volgare composto dal Tasso suo servitore, senza saputa di lui, ho fatto usar buona diligenza con tutti LXXVI. — E. Archivio di Stato dì ModenaJ; Cancelleria ducale ; Oratori a Firenze. (1) Residente estense a Firenze. LXXVII. — R. Biblioteca Estense, cod. X. *. 02 bis: Autografi di vari. — SoLBEn, La mia di T. Tasso. II. 8 - 114 — questi stampatori, per veder se vi fosse, a fin di proibirlo in quello stato che si fosse trovato; ed in effetto si è trovato detta opera non esser comparsa qua altrimente, e capitandovi si è ordinato a tutti li stampa- tori a non doverla dare alla stampa senza mia saputa, che in tal caso poi ne darò subito avviso all'Altezza Vostra : che è quanto mi occorre dover dire circa questo fatto Di Bologna li 28 di Novembre 1576. LXXVIIL Ottavio Farnese Buca di Parma ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Ferrara. Per il rispetto che io devo verso le cose che sono a cuore a Vostra Altezza, e per l'affezione che io porto al valore del Signor Tasso, non mancherò di provvedere opportunamente, che nello Stato mio non nasca cosa pregiudiziale all'opera sua per via della stampa; e quando pur fosse stata stampata, di che fin qui non trovo notizia alcuna, provve- derò nel modo che Vostra Altezza mi scrive, che non esca a luce, e che in sua mano ne sia mandato uno, sì come mi scrive; ed in ogni altra cosa Vostra Altezza mi ritroverà tanto pronto a servirla, quanto devo per infiniti rispetti. E le bacio le mani, e prego Dio che le doni ogni felicità. Di Parma alli 29 di Novembre 1576. LXXIX. Marcantonio Gigli agli Anziani di Lucca. 11 Signor Ambasciator di Ferrara è stato a trovarmi in casa e mi ha mostrato una lettera che gli scrive il Signor Duca suo signore, il qual gli scrive che sendo stato rubato a Messer Torquato Tasso, suo gentiluomo, un suo poema che ha composto de' romanzi, dubita che sia stato messo o sia per mettersi alle stampe : cosa che ne sentirebbe molto dispiacere. Però li commette che preghi questo Gran Duca di Toscana C. Cavedoni, Appendice ai sonetti inediti di T. Tasso nella Continuazione delle Mem. di Beiig., di Morale e di Leti.*-», Modena, Soliani, 1833; T. II, fase. IV, pag. 70. LXXVIII. — Cavedoni C, Op. cit.; T. II, fase. II, p. 69. Non è indicato ove si ritrovi l'originale, ma sarà di certo negli Archivi di Modena o di Parma ; io non l'ho rinvenuto. LXXIX. — E. Archivio di Stato di Lucca; Anziani al tempo della libertà; Filza 642 : Copiano delle lettere scritte alla Signoria di Lucca da M. A. Grigli, residente a Firenze, 1576-78. - 115 - che voglia far proibizione per tutto lo stato suo alli stampatori che non lo possino stampare, e se l'avessero stampato pregar Sua Eccellenza, per usar le proprie parole che sono nella lettera, che voglia farle ritirar tutte in sua mano. Così alli librari, se l'avessero, che voglia farli ritirar e non ne li resti lor nessuno, ed altri che avessero di ciò notizia; ed avuti, ne mandi uno acciò veda nel modo [che] si stampava, e metterci quelle pene che li parrebbe conveniente acciò sia osservata : e che mag- gior piacere non potrebbe ricever di questo, con moltf altre affettuose parole. Il qual Ambasciatore avendolo detto quìi al (jlran Duca, <;li ha promesso farne far bandi severissimi e farci usar ogni sorte di diligenza; e che, ancor che non li abbia scritto che ne faccia questo medesimo officio con Vostre Signorie Illustrissime, e forse l'avrà fatto far addi- rittura da Ferrara, non di meno dettogli in parole generali, le quali ho visto io, che qui ed altro dove possa sospettare che si possano stampare, non manchi usarvi ogni diligenza, sapendo quanto sarà accetto e grato questo favor al suo Signor Duca. E desiderando lui per la buona vo- lontà che ha di far sempre ogni buon officio, perchè ci fosse buona e vera amicizia fra il suo Signore e Vostre Signorie Illustrissime, gli è parso questa buona occasione per ciò, e però mi ha pregato, mosso da questo buon zelo, a pregarle che restino servite far fare il medesimo bando e proibizione costì e di usarvi ogni sorta di diligenza, assicuran- dole che faranno cosa gratissima e molto accetta al Signor Duca suo Si- gnore, e che siano contente mandarmi la copia del bando [c/ie] faranno, perchè la vuol poter mandare a Ferrara al suo Signore , e che quanto sarà più gagliardo, sarà tanto più grato, premendo assai questo fatto al suo Signore, sì come io ho visto nella sua lettera. Però ho voluto far saper il tutto a Vostre Signorie Illustrissime a lungo, con tutte queste parti- colarità, parendomi a proposito che sappiano tutto come è passato, assi- curandole che questo Ambasciatore ha tanta buona volontà verso di Vostre Signorie Illustrissime che non potrebbe averla maggiore, e che non lascia di far ogni buono ufficio conoscendo benissimo quanto possano le sinistre informazioni di poco buoni ministri [Di Firenze] a dì primo dicembre [1576]. LXXX. Marcantonio Gigli agli Anziani di Lucca. Quando io pensava poter dir qualcosa al Signor Ambasciatore di Fer- rara di quello [c/^e] mi pregò che io scrivessi a Vostre Signorie Illustris- sime a suo nome, e per far cosa grata al Signor Duca suo Signore, vedo LXXX. — R. Archivio di Stato di Lucca; Anziani al tempo della libertà; Filza 642: Copiano cit. — 116 — ohe con la lor lettera de' 6 nou me ne rispondono cosa alcuna. E sapendo io quanto ne desiderava la risposta, non mi son lasciato veder per non saper che dirueli : però supplico Vostre Signorie a dirmi quello [che] li avrò a rispondere, ed intanto dirò che essendo ora molto occupate non mi han scritto. E sapran come qui s'è usata ogni diligenza, che il Si- gnor Concino in persona è stato dalli stampatori e librari e cercato, e di piti faran il bando [Di Firenze] 8 Decembre 1576. LXXXI. Ercole Cortile ad Alfonso II Duca di Ferrara. Parlai al Gran Duca, come mi comanda Vostra Altezza con l'ultima, della cosa del Tasso; Sua Eccellenza mi rispose che non si poteva stam- pare cosa nel suo stato se non a Fiorenza e senza licenza del Cavaliere Concino, al quale bisogna denunziare ogni cosa ; ma per servire Vostra Altezza farebbe una buona provvisione. Mandò subito il Concino vecchio a comandare a tutti i stampatori che se li capitasse tal cosa alle mani, che la dovessero portare a lei e non stamparla in nessuna maniera sotto pena della forca, e se l'avessero per sorte stampata, che la dovessero medesimamente rendere; e se sapevano se ciò fosse in Fiorenza o nel stato, che lo dovessero rivelare sotto la medesima pena, e fece scrivere anche a Siena dove è un poco di stampa, facendole la medesima proibi- zione. Sua Eccellenza mi disse che lui se ne ritrova tre canti, de' quali non si ha a dubitar punto. 11 Cavaliere Salviati, prima che andasse in Francia, ancor lui me ne fece vedere circa due canti ; Messer Gio. Battista Deti mi ha detto ch'egli medesimamente se ne ritrova due canti : di maniera che mi pare che il Tasso sia stato troppo liberale in mandare in volta quella sua cosa, a mio giudizio. L'Ambasciatore di Lucca scrisse ancor lui subito a suoi Signori per la cosa del Tasso, e mi ha detto che crede certo che essi manderanno un bando conforme alla riformazione che gli diedi io, poiché l'assicurai che essi suoi Signori farebbono cosa grata a Vostra Altezza. Ne scrissi anche al Signor Principe di Massa: non ne ho ancor avuto risposta, non es- sendo venuto a quest'ora il procaccio, dopo eh' io gli scrissi ; ma sono ben sicuro che detto Signore non mancherà di adoperarsi in quello cal- dissimamente, come son certo che farà sempre in tutte le cose che saprà che sia servizio di Vostra Altezza, facendo professione di essergli tanto affezionato servitore quanto sa Di Firenze, a' 8 di Dicembre 1576. LXXXI. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Firenze. ... 117 — LXXXII. Il Cardinale di San Sisto al Governatore di Perugia. — Perugia. Essendo stata rubata al Tasso, servitore del signor Duca di Ferrara, un'opera composta da lui, e non ad altro effetto che per istamparla contro la volontà sua, perchè non è anco ridotta a perfezione. Vostra Si- gnoria proibirà alli stampatori di costi, che non la debbano stampare, ed ai librari di non poterla vendere, in evento che già fosse stampata, facendo ponere da banda e conservare tutte le copie che vi fussero d'essa, eccetto una, la quale manderà subito in mano al prefato signor Duca : e se per sorte ne fosse stata dispensata alcuna, ordinerà che sia restituita e riposta fra l'altre, dandone poi avviso: che cosi è mente di Sua Beatitudine. E stia sana. Di Koma, li Vili di dicembre 157G. LXXXIII. Marcantonio Grigli agli Anziani di Lucca. Stassera è comparso il Targetto con la lettera di Vostre Signorie Illustrissime de' X, con la quale ho inteso quanto mi scrivono sopra il negozio pregato dal Signor Ambasciator di Ferrara, al quale domattina riferirà il tutto, e so che ne resterà soddisfatto e che ne sentirà pia- cere, e che lo farà sapere al suo Signore [Di Firenze] a di XI dicembre [1576]. LXXXIV. Marcantonio Gigli agli Anziani di Lucca. Lessi al Signor Ambasciatore di Ferrara quanto mi scrissero della diligenza ... (1) le Signorie Vostre per ritrovar il poema e vietar che non fosse stampato, e mostrò averne molto piacere e ne volle copia per mandarla al suo Signore acciò conosca la premura e buona volontà loro [Di' Firenze] a di 15 Dicembre [1576]. LXXXII. — Biblioteca Borghese, di Roma. — Serassi, Op. cit.; voi. I, p. 332. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 240. LXXXIII. — R. Archivio di Stato di Lacca; Anziani al tempo della libertà; Filza 642: Copiarlo cit. LXXXIV. — R. Archivio di Stato di Lucca; Anziani al tempo della libertà; Filza 642 : Copiarlo cit. (1) Il Prof. A. Z3natti, alla cui cortesia debbo questi documenti da Lucca, mi avverte come una parola a questo luosfo gli sia riuscita indecifrabile. Forse è da supplire: usata da. — 118 LXXXV, Guido Coccapani ad Alfonso II Buca di Ferrara. L'Eccellentissima Signora Duchessa d' Urbino e Madama Leonora, so- relle di Vostra Altezza, le baciano la mano del favore che le Loro Ec- cellenze hanno ricevuto della visita ch'io ho fatto loro in nome di lei, conforme a quello che me ne scrive il Signor Ludovico (1), e godono ch'ella stia bene; ed essendosi assai riavuta Madama Leonora del suo freddore, la Signora Duchessa m'ha detto che io le scriva ch'ella va se- guitando, ma lentamente, la sua purga, e che non potendosi profittare della prima incominciata, il medico ha deliberato di volerle dare la china, e ch'ella si lascierà governare a lui. Mi dice poi che '1 Tasso s'ha lasciato salassare due volte e che si purga, ma che nondimeno va seguitando nell'umore di prima, il che aveva inteso io ancora, e farsi d'avvantaggio anzi, che l'inquisitore se ne vede impacciato Di Ferrara il dì VII di Maggio MDLXXVIL LXXXVI. Francesco Maria Novello ad Alfonso II Buca di Ferrara. Poi che mi trovo qui dopo il mio ritorno dalla Mirandola e dal ser- vizio che Vostra Altezza sa, senza far particolarmente alcuna sorte di servizio a lei, come dovrei, non voglio però piancare, baciandole, come faccio, umilissimamente le mani , dirle per il meno quello eh' io trovo dello stato del Signor Tasso, che non ho mancato di visitar spesso, volendo credere che debba esser grato a Vostra Altezza il saperne, come mostrava che fosse, prima che partisse di qua. Ora le dico ch'egli ebbe prin- cipio di purgazione principalmente con preparativi propri, e poi con due salassi, l'uno alla vena del fegato, e l'altro a quella della testa, di sangue malinconicissimo ed adusto ; poi con altri sciroppi, e con pillole di lapis- lazzoli, che per questo mi dice Messer losefo, medico romagnolo, che l'ha curato, fecero ottimo effetto; di modo che detta purgazione l'avea tal- mente alleggerito del suo umore, che è stato fin ora che pareva un altro, parlando in cervello d'ogni cosa, senza fissarsi tanto, come già solea, nel particolare della Inquisizione, anzi mostrava desiderio del ri- LXXXV. — R. Archivio di Stato di Modena; Camera ducale; Fattor ducale generale. (1) L. Tassoni, segretario. LXXXVI. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. - 119 — tomo di Vostra Altezza a Ferrara, per sollecitar la sua liberazione e, se possibile fosse, senza tormento, di che però io li davo sempre bonis- sima speranza, non trovando egli anco male l'aversi a riconciliare coi suoi pretesi inimici; e mostrando poi particolarmente col speziale delli Angeli, nel quale confida molto, che stesse meglio assai, che non stava prima che pigliasse detta purgazione. Ma da due o tre di in qua pare che ritorni nell'umore di prima, mostrando credere, come dice, che non sarà assoluto come conviene, e che non sarà in poter di Vostra Altezza di farlo, per ciò che, se ben lo comanderà al Padre Inquisitore, egli ])erò non lo farà, per aver animo di soddisfare più tosto a' suoi ministri, che gli vo- gliono male e che desiderano la sua rovina, ed alli quali li occorre andare ogni qual tratto per le mani, che d'obbedire a lei; e che quando ben SLUche lo sia, vorrà che la sentenza >ia confermata in Koma, dove è pentito di non esser andato di primo colpo, talmente che nessuna persuasione in contrario è bastante a rimoverlo da questo pensiero. Ed alle volte poi mostra di riconoscersi, che per quello mi riferisce il detto speziale, egli dice a lui, che gli è tornato un poco d'umore, e che però gli dia qualche cosa, ma egli non ardisce di far nulla senza il parere di detto medico, il quale per esser ora ritirato a far certa sua purgazione, non lo puoi visitare, né ordinargli cosa alcuna. Io avendo dato conto di tutto di mano in mano a Madama Eccellentissima d'Urbino, sorella di Vostra Altezza e mia Signora, ella farà comandare al detto speziale che vada a trovare il detto medico, con licenza però de' suoi superiori, per eseguire in questa parte li ordini suoi. 11 qual medico avendo io visitato per questo ef- fetto, m'ha detto che li ordinerà di farli porre le sanguettole per seguir in questo medicamento l'ordine che tratta il Mainardo sopra un simile caso in una sua epistola, che è parimente parere di Messer Antonio Maria Canano, soggiungendomi il detto medico, che se non era sforzato per cagione d'un catarro che ha alla testa, mettersi alla detta purga- zione, tiene per certissimo che '1 detto Signor Tasso sarebbe a quest'ora liberato dal suddetto suo umore, ma che nondimeno nello stato ch'egli si trova, farà ogni suo potere per continuare questo medicamento sin che se ne veda il desiderato suo fine. Per il quale la predetta Madama d'Urbino comanderà ogni cosa necessaria e particolarmente che gli sia dato, seguendo il parer del detto medico, vino bianco, più proprio a lui che non il claretto ; se altro occorrerà in questo soggetto non mancherò di darne avviso a Vostra Altezza Di Ferrara alli XX di Maggio MDLXXVII. 120 LXXXVII. Francesco Maria Novello ad Antonio Montecatini. — Modena. Non avendo finora molto di più per far sapere a Sua Altezza sopra lo stato del Signor Tasso, di quello ch'io le scrissi con la mia lettera che Vostra Signoria m'accusa con la sua di XXIIII del passato, non starò perciò a molestarla in leggerne d'altre che vogliono dir poco ; ma dirò solamente a Vostra Signoria per riferirle, se le piace, che d'allora in qua l'umore è piìi tosto cresciuto al detto Signor Tasso che altri- menti ; anzi egli è entrato in altro umore, che questi suoi pretesi ma- levoli cerchino di farli paura per mezzo d'alcuni di questi frati, mo- strando volerlo tossicare, acciò che se ne vada; ma che però non ne vuol far nulla, e vuole in ogni modo aspettare il ritorno di Sua Al- tezza e del Padre Inquisitore a Ferrara per procurare la sua liberazione, dicendo molte altre cosuzze in tal soggetto e con molto fervore, talmente che il medico, del quale egli si fida, è di parere che sarà cosa diffi- cile a farlo piìi ritornare nel buon stato in che si era ridotto. Nondi- meno gli ha ordinato una presa di pillola per questa mattina della medesima sorte delle altre, che dice essere molto proprie, e, potendo, gli farà poi mettere delle sanguettole, e secondo la operazione che questo farà, egli si governerà nel resto del medicamento. Di tutto che, siccome io non ho mancato dar conto fin ora, di mano in mano, alla Signora Duchessa d'Urbino, secondo che Sua Altezza comanda, così non man- cherò anche per l'avvenire. Anzi Sua Eccellenza ha fatto sì che il me- desimo medico andrà oggi personalmente a trovare il detto Signor Tasso, per vedere con l'occhio proprio come passano le cose sue, per riferirle, e poter ordinare quel di più che sarà bisogno, come quella che per ogni rispetto desidera sommamente la sua salute ; che è tutto quello che mi occorre di dirle in tal soggetto. Baciando poi le mani a Vostra Signoria, le prego dal Signor Iddio ogni felicità. Di Ferrara alli 28 Maggio del 1577. LXXXVIII. L'Inquisitore di Ferrara ad Alfonso II Buca di Ferrara. Questa mattina fu data la sentenza al Signor Tasso, il qual mostrò averla gratissima, ma perchè l'umore non è ancor digerito, e l'altra LXXXVII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. Ne diede un brevissimo sunto il Poucard , Documenti storici spettanti citta Medicina, Chirurgia ecc.; Modena, Tip. Sociale, 1885. LXXXVIII. — R. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Archivio dell'Inquisizione. - 121 — sera mi pregò per amor di Dio, clie volessi dargli lettere ad uno di questi inquisitori vicini, fuori di stato di Vostra Altezza, volendo che per ogni modo se gli desse quanta corda e fuoco potesse sofferire, e replicò cose gravissime contro il Signor Segretario Montecatini. Come geloso che non venga da debol principio e vano qualche fabbrica fasti- diosa, mi è parso avvisarla che oggi il detto Tasso m'ha fatto dire di partirsi domani per Bologna, il che mi fa suspicare non voglia effet- tuare quanto mi chiese l'altra sera; tanto più che mi certificò averlo a fare presto senza saputa di lei, alla quale umilmente inclinato ricordo grandissima differenza essere dei giudizi umani. Da San Domenico a' 7 di Giugno 1577. LXXXIX. Maffeo Venterò a Ferdinando de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Del Tasso le dò nuova, che iersera fu incarcerato per avere in ca- mera della Duchessa di Urbino tratto un coltello dietro a un servitore ; ma pili tosto preso per il disordine e per occasione di curarlo, che per cagion di punirlo. Egli ha un umor particolare, sì di credenza d'aver peccato d'eresia, come di timor d'essere avvelenato, che nasce, cred'io, da un sangue melanconico costretto al cuore, e fumante al cervello. Caso miserabile per il suo valore e per la sua bontà! Di Ferrara 18 Giugno 1577 (1). XC. Guido Coccapani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Belriguardo. Appresso andai a trovar il Signor Tasso, col quale avendo fatto l'uf- ficio ch'ella mi comandò, e avendomi ascoltato attentamente, si come LXXXIX. — Fu trovato questo documento, assiemo ad altri due (Cfr. ii.""' 126 e 171), nell'allora Archivio Mediceo da Angelo Fabbroni, dal quale vennero comu- nicati a Girolamo Zuliari, che a sua volta li passò al Serassi, accompagnandoli colla lettera da me riprodotta nell'appendice a questo volume (cfr. Tasso T., Lettere, voi. I, p. XXXlIIj. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino 224. — Serabsi, Op. cit. ; voi. I, p. 341; dove invece di Zuliari è detto Giuliani. — Tasso T., Opere; voi. XVIII, Append. p. 40. — Tasso T., Lettere; voi. I, p. 228. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 65. (1) Il Gran Duca rispondeva a questa lettera: « Del poverello del Tasso mi di- € spiace grandemente, attesa la virtù sua e il suo valore ». (R. Archivio di Stato di Firenze; Filza 108 di Minute di lettere granducali. — Serassi, Op. cit.; voi. I, p. 841 ìi.). XC. — R. Archivio di Stato di Modena ; Camera ducale ; Fattor ducale generale. — 122 io lo feci amorevole, dopo avermi guardato ben fiso, mostrò di restare, come restò in effetto, tutto attonito, e mi disse che gli rincresceva assai che l'Altezza Vostra fosse tardata tanto a discoprirli questo suo errore; perchè, osservandola come fa, le averla creduto, come crede anche adesso, e si saria in tutto riportato a quanto ella gli avesse comandato. E che veramente egli credeva che fosse com'ella diceva, e però che la ringra- ziava quanto più poteva di tanta amorevolezza, della quale ne resterebbe eternamente obbligato; e si esibì prontissimo a lasciarsi curare come saria ordinato da' medici, e mi pregò a far sapere questa sua inten- zione a Vostra Altezza, col supplicarla a farlo levare di prigione, e farlo porre nella sua camera con tutta la guardia che pare a lei ; che starà a tutto quello ch'ella comanderà, e che le ne promette la fede da leale servitore. Io riffersi tutto questo all'Eccellentissima Signora Duchessa, come Vostra Altezza mi ordinò, la quale lodò che se gli fosse parlato liberamente come si fece, e le piacque anche la risposta; ma mi disse che dubitava che non stesse in cervello, e che vedendosi poi nella ca- mera non gli venisse desiderio di andare a torno e tornasse sugli umori; pare che si potria vedere con fargli tenere buona guardia appresso. Sicché essendo quanto mi occorre dirle, starò aspettando ciò ch'ella mi comanderà, e facendole umilissima riverenza le bacio la mano e le prego ogni contento. Di Ferrara, il dì 18 Giugno MDLXXVII. XCI. Guido Coccapani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Belriguardo. Il signor Tasso ha mandato a pregarmi eh' io vada sino da lui : il che avendo io fatto, m'ha tirato in disparte per non essere udito, e m'ha detto il soggetto della sua inclusa lettera, la quale voleva ch'io aprissi, e pregatomi di presentarla a Vostra Altezza e di supplicarla CiBRARio L. , Degli amori e della prigionia di T. T. ; Discorso fondato su docu- menti ined. dell'Archivio Estense^, Torino, Botta 1861; Estr. àalle Lettere inedite di Santi, Papi, Principi, Illustri Guerrieri e Letterati; p. 73. XCI. — Fu trovato questo biglietto nell'Archivio Estense, di Modena, da L. A. Muratori, e da lui pubblicato nella lettera allo Zeno premessa alle Lettere inedite del Tasso {Opere, Venezia, Monti e C, 1738-39; voi. X, p. 2:38) e da me ripro- dotta in appendice a questo volume. Non ho potuto ritrovare il biglietto nell'Ar- chivio, né nel carteggio del Coccapani, Fattor ducale, dove dovrebbe essere. Una copia di pugno del Muratori si trova nell'Archivio Muratoriano di Modena, Se- zione seconda. Filza VII, fase. 11. — Serassi, Op. cit.; voi. I, p. 342. — Tasso T., Lettere; voi. I, p. 229. — Ferkazzi, Op. cit.; p. 65. — 123 - della risposta. E io l' ho dissuaso a non mandarla , perch' ella non ha avuto altro fine per la sua ritenzione, se non per la salute sua, sic- come gli dissi ieri sera; e che se ne acquetasse sopra la fede mia. In somma ha voluto eh' io la mandi , e eh' io la renda certa , se è rite- nuto prigione, che caderà in disperazione, non potendo egli patire lo star rinchiuso, e promette di purgarsi, e di far tutto quello che Vostra Altezza comanderà; ma dimanda la sua camera. Ella risolverà ciò che giudicherà che sia bene per lui. [Di Ferrara 19 Giugno 1577] (1). XCII. Cesare Caprilio (1) ad Alfonso IT Duca di Ferrara. Dopo la partita di Vostra Altezza me ne andai per vedere il Tasso , e trovai che, condotto dal Franco (2), ragionava con Madama Illustris- sima (3), e gli (4) detti nuova delle grazie concesse da Vostra Altezza, cosa che tanto di sollevamento gli ha apportato, che tutto ieri stette molto in isquadro. (Questa mattina si è confessato e comunicato molto divotamente, accompagnato dal Franco, Poi gli ho fatto porre due san- guisughe di sotto, e gli vado preparando un'altra purgazione; e tra la allegrezza ricevuta, e li rimedi che si van operando, mediante lo aiuto di Dio, dà speranza di meglio. Sta in grandissimo desiderio di essere condotto a Belriguardo; ed ha avuto a dire, che quando udisse uscire dalla bocca di Vostra Altezza simil parole: — Va, che in fede di ca- valiere io ti perdono —, a fatto a fatto sarebbe libero da ogni sospi- zione. Ed io umilmente le bacio le mani. Di Ferrara, alli 2 Luglio 1577. xeni. Guido Coccajpani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Belriguardo. Io mando a Vostra Signoria le quattrocento carte da giuoco bianche ch'ella mi comandò al suo partire, né dicendole altro del Signor Tasso, (1) La data ch'io pongo a questo biglietto mi sembra giustificata dalle parole « siccome gli dissi ieri sera »; le quali paiono aver relazione colla lettera del Coc- capani a questa precedente. XCII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — Ci- BRARio L. , Op. cit.; p. 7">. (1) Era medico di corte. (2) Scalco della Principessa Leonora. (3) Leonora d'Este. (4) Per tutta la lettera dove occorre gli, il testo ha ìe. xeni. — R. Archivio di Stato di Modena; Camera ducale; Fattor ducale generale. — 124 — poi che 1 medico che n'ha cura m'ha detto e' ha ordine di darlene nuova ogni dì, e che lo fa. Le bacio umilissimamente la mano deside- randole ogni somma felicità. Di Ferrara il dì VI di Luglio MDLXXVII. XOIV. Evangelista Baroni (1) a Guido Coccapani. — Ferrara. Sua Altezza m'ha comandato di scrivere a Vostra Signoria che il Tasso se ne torna a Ferrara, con proposito di andare nel convento de' frati di San Francesco, ed aver due frati di quel monastero in sua compagnia. Ma perchè è solito di dire ogni cosa in confessione, e trascorre in un monte di pazzie, pare a Sua Altezza ch'egli stia ora peggio che mai. Ella dice, che quando i frati si contentino di star in sua compagnia, i quali però intende che siano deputati dal Padre Eighino (2), con par- tecipazione di Maestro Giovanni Battista da Lugo (i quali assisterà Vostra Signoria di quanto che li conoscano di persona), se ne contenterà, sa- pendo che la elezione sarà fatta di persone atte a questo, per notare e riferire l'umore , se ben fosse come detto in confessione, sì come ha fatto anche il medesimo inquisitore, am nonendolo delle sue pazzie con qualche destrezza. Ma quando non vi fosse frate che accettasse l'impresa, o non fosse a proposito, Sua Altezza vuole che il Tasso sia rimesso nelle sue solite stanze in corte; e Vostra Signoria gli dica che, ricusando quei padri di star in quell'obbligo, le pare più conveniente ch'egli se ne stia alle sue stanze , che sturbar quei religiosi ; e che provegga ad ogni modo, ch'egli vi ritorni, e sia servito da quei due facchini e servitori, come prima (3). Di Belriguardo 11 Luglio 1577. XCIV. — R. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale; Letterati. È una minuta. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino 224. Copia di mano del Serassi. — Serassi, Op. cit.; voi. I, p. 344. — Tasso T. , Lettere; voi. 1, p. 229. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 65. In queste tre pubblicazioni la lettera è monca e scorretta; ma anche l'originale è pieno di correzioni e di aggiunte ed è di difficile lettura. (1) Segretario ducale. (2) Le parole seguenti fino a: inquisitore furono tralasciate dagli editori prece- denti, i quali invece aggiungevano dopo destressa la frase : sapendo — atte a questo. (3) Gli editori ponevano qui un ecc. che non ha luogo, terminando cosi questa minuta. - 125 — XOV. Guido Coccapani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Belrùjuardo. 11 padre Righino accetterà in una delle sue stanze di sopra il Tasso, sotto la custodia o compagnia di maestro Giovanni Battista e tratteni- mento dell! cantori fra Ercole e fra Agostino: ma che vi si provegga da dormire e vivere ordinario e d'un servitore, mosso dalla carità cri- stiana e dalla divozione che porta a Vostra Altezza; e se farà atto o scappata di fuga o altra pazzia, non lo vogliono in governo, il che m'ò stato gratissimo, e ho promesso loro di rimuoverlo o di farlo tornar alla sua stanza, e far provedergli al bisogno Di Ferrara il dì XI di Luglio MDLXXVII. XCVI. Alfonso II Duca di Ferrara a Monsignor Giulio Maseiti (1). — Roma. L'infermità del Tasso continua tuttavia, ed è ridotta a termine che si può dubitare che vi sia poca speranza che abbia da ritornar in lui. Egli è entrato in umor di voler mandar una sua scrittura a Roma in mano del Signor Scipione Gonzaga, per veder se di costà si ha da ag- giunger cosa a quella che ha fatto qua nell'inquisizione, per liberarsi afTatto, promettendo poi alla Signora fDuchessa nostra sorella, ed a noi, di lasciarsi curare, e di creder che quanto ha avuto in pensiero, tutto sia proceduto da umor malinconico. Però vogliamo che di ciò avvertiate il detto Signore, e ne parliate anche al Signor Cardinale Albano, nar- randogli che questo giovane è tuttavia in umor di credere che noi vo- gliamo farlo morire, e mostra diffidenza d'ognuno ; e però che preghiamo Sua Signoria Illustrissima, quando sia vero, che rimetta questa scrittura, e contentarsi, per far opera di carità, di scriver lettera soscritta da lei in questa materia, che dica essersi avuta buona considerazione sopra quel che gli ha narrato, commendando ciò ch'egli ha fatto qui appresso l'Inquisitore, che basta per giustificazione della sua innocenza: e non ha da dubitar che gli ne sia per succeder nell'avvenire pericolo alcuno, perchè si spera che questo offizio per ultimo rimedio possa apportargli qualche giovamento, almeno in temperar ed acquetar tanto questo umore ch'egli abbia da lasciarsi curar come promette di dover fare. 11 di Luglio 1577. XCV. — E. Archivio di Stato di Modena ; Camera ducale ; Fattor ducale ge- nerale. XCVI. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. È una minuta. (1) Residente estense a Roma. — 126 — XCYII. Guido Coccapani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Belriguardo. Io scrissi ultimamente a Vostra Altezza quanto prontamente s'era of- ferto il padre Kighino d'accettare il Tasso in una delle sue camere di sopra, sotto la compagnia di Maestro Giovanni Battista e delli frati Er- cole ed Agostino cantori, pure se gli provedesse delle cose necessarie. E perchè io aveva una delle celle delli padri Certosini, per costui meglio, come più sicura e manco frequentata, stamane sono stato a trovare il priore loro, ed avendo parlato a fra Giovanni Ariosti, essendo il priore fuori, ho trovato oltre che siano obbligati, che sono desiderosissimi di servire Vostra Altezza, e la serviranno d'accettarlo, ma quando s'abbia da portar carne o cruda o cotta, per bisogno del viver della persona che lia da starvi, non lo ponno farej essendo proibiti per la loro regola e per gli ordini del Papa, sotto pena della scomunica, d'accettare carne dentro della clausura. E sapendo io che non si può far senza , mi sono dato a pensare altrove, e mi è sovvenuto d'avere veduto stanza comoda nelli frati capuzzuoli, i quali oltre che siano persone di buono esempio, e che stanno chiusi , so quanto osservano Vostra Altezza, e che avranno per favore di servirla per un mese o due dell'alloggiamento. Però se le piacerà ch'io ne parli, me ne farà dare commissione, che farò ciò che mi comanderà, ricordandole che sempre che non le piaccia questo alloggia- mento, la camera del Padre Kighino non può mancare, e potrà fare incamminare il Tasso ad ogni suo piacere, il che è quanto m'occorra dirle per risposta della lettera che mi ha fatto scrivere per Messer Evan- gelista Baroni ; e le bacio umilissimamente la mano desiderandole per- petua felicità. Di Ferrara il dì XIIII di Luglio MDLXXVIl. XCVIIl. Evangelista Baroni ad Antonio Montecatini. — Ferrara. Del ritorno nostro a Ferrara se ben non si ragiona, è però opinione d'alcuni in corte che potrebbe essere fra due giorni. Non ci è cosa di nuovo, se non la morte della Signora Principessa di Parma che fu a' IX, e questa mattina il Tasso ne viene a Ferrara, condotto da messer XCVII. — E. Archivio di Stato di Modena; Camera ducale; Fattor ducale ge- nerale. XCVIIl. — R. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Letterati. — 127 — Lanfranco Turrino sopra una carrozza, nella quale viene anciie la Si- onora Machiavella (1). Baciamo lo mani di Vostra Signoria il Signor Moro (2) ed io. Da Belriguardo a' XV di Luglio MDLXXVIL XCIX. Guido Coccapani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Jielrigiiardo. Lanfranco Turrino m'ha detto ciò che comanda Vostra Altezza in- torno il Tasso, onde non mancherò di farne far il collegio in casa del medico Canano vecchio, e di fare eseguire quello che ordineranno di lui, col che le faccio umilissima riverenza, baciandole la mano. Di Ferrara il di XV di Luglio MDLXXVL C. G-iiido Coccapani ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Belriguardo. LI Tasso ha rotto l'uscio che va nella camera del Signor Ercole Co- negrano e se n'è uscito senza che sia stato sentito dai custodi ; e aven- domelo fatto sapere, ho mandato alle porte perchè non sia lasciato uscire, ma in questa ora che io sono qui in Fattoria, mi viene detto che stamane per tempo se n'è uscito per la porta di San Polo, con un capellaccio in capo e male vestito, onde dandomi a credere che se ne vada verso Bo- logna, come sempre ha desiderato, ho ordinato che vi vadano dietro due cavalli, E ne manderò due altri verso il Finale se per avventura se ne andasse alla Mirandola, e lo farò condurre per guardarlo poi come fu- rioso Di Ferrara il dì XXVII di Luglio MDLXXVIL CI. Il Conte Cesare Lamhertini a Leonora d'Este. — Ferrara. Questa mattina quasi a giorno, è giunto costi da me il Signor Tasso, qnal era tutto malandato, vestito da contadino, e molto affannatamente mi ha racconto com'è fuggito da Ferrara, e che Vostra Eccellenza Illu- (1) Lucrezia Bendiclio Machiavelli. (2) Altro segretario ducale. XCIX. — R, Archivio di Stato di Modena ; Camera ducale ; Fattor ducale ge- nerale. C. — R. Archivio di Stato di Modena; Camera ducale; Fattor ducale generale. CI. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — 128 — strissima mi commette che li faccia dar modo di andar a Bologna sicu- ramente. Io che aveva già sentito la sua sventura, ho fatto ogni possi- bile per trattenerlo, né mai mi è stato modo, onde che s'è partito ora ora per Bologna. Così n'avviso Vostra Eccellenza Illustrissima per ogni buon rispetto che sarà per fine, supplicandola umilmente a degnarmi della grazia sua, che me l'inchino con questo, e le bacio riverentemente le mani. Del Poggio li 28 Luglio 1577. OH. Guido Coccapani ad Alfonso II Buca di Ferrara. — Belriguardo. L'Eccellentissima Madama Leonora in quest'ora ch'è sonata la XVI*^ m'ha mandato l'inclusa lettera che Sua Eccellenza ha avuto dal Conte Cesare Lambertini ; onde si può pensare che '1 poveretto del Tasso se ne stesse tutto ieri nascosto, e che verso il principio della notte se ne sia incamminato al Poggio, poiché vi è giunto a veduta del dì. Vostra Altezza delibererà e comanderà ciò che le parrà bene, ch'io non le darò altra molestia, se non che baciandole umilissimamente la mano prego Dio per ogni suo contento. Da Ferrara il dì XXVIII di Luglio MDLXXVII. CHI. L'Inquisitore di Ferrara ad Alfonso II Buca di Ferrara. Tornato ieri da Reggio e Modena, dove, come le scrissi, andai per cose de' frati, intesi alla porta di Ferrara che il Tasso era fuggito. Se così è, dubito non vada di nuovo all'Inquisizione per infamare ed almeno dar ombra contro la bontà di molti per semplice sua pazzia, la quale forse non sarà creduta da chi non è ben pratico ; però mi sarebbe grato parlarle sopra ciò, conciossiachè io non ho cosa autentica di quelle sue pazzie che mi depose e le stracciai, ne mai ne diedi avviso a Roma come di cosa vanissima • Dagli Angeli l'ultimo di Luglio 1577. CU. — R. Archivio di Stato di Modena ; Camera ducale ; Pattor ducale ge- nerale. CHI, — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Archivio dell'In- quisizione. — 129 — CIV. Bernardo Canigiani a Ferdinando de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Il Pagano non ha ancor baciato la mano al Dikui per l'indisposizione della gamba di Sua Eccellenza: il che io ho caro, perchè intanto si va raffreddando la piaga della sua carcerazione, ed io vo raffrenando lo sfogo della sua orazione, che se l'avesse fatto subito, siccome egli ne parla troppo spesso, anzi tuttavia troppo mordace e troppo forte, e' ritornava in fondo di torre: che mi fa ricordare di quel poverino del Tasso, che or fa l'anno, con i suoi tanti invidiosi e nemici che s'immaginava, co- minciò a sciorre i bracchi: il che non mi niega anche il Pagano; aven- domi giurato che non dormiva mai, e che stava per impazzar d'allegrezza quando veniva in qua con quelle lettere tanto favorite dall'Altezza Vostra Illustrissima Di Ferrara a' 2G di Novembre 1577. CV. Il Cardinale Domenico Albano ad Alfonso II Buca di Ferrara. Vostra Altezza sa di quanta compassione sia degno l'infortunio del signor Torquato Tasso, essendo egli di quel raro e felice ingegno ch'è noto al mondo : e perchè a lui pare di non poter esser sicuro della vita, se Vostra Altezza non l'assicura d'aver deposto lo sdegno conceputo contro di esso, e se non lo riceve in protezione ; io vengo ora con ogni affetto a pregarla, che voglia in quest'occasione porgergli efficacemente il suo aiuto in quel modo che scrive il Signore Scipione Gonzaga: ed è, che Vostra Altezza si degni di fargli una patente nella quale si con- tenga, che tanto per la giustificazione avuta delle calunnie dategli, quanto per sua clemenza e benignità gli perdona, e lo riceve in grazia per favorirlo contro i suoi nemici. E prego similmente Vostra Altezza, che gli voglia far restituir le sue robe, e particolarmente le scritture che dimanda, avendo animo di finir l'opera sua (1), com'egli medesimo ne avvisa la Signora Duchessa d'Urbino. Di questo favore, ch'io chiedo instantemente in beneficio di persona tanto meritevole, e per cagione della patria e per molti altri rispetti a me carissima, resterò a Vostra CrV. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni ; Filza medicea 2896. CV. — Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 6. — Tasso T., Opere; voi. V, n.° 46, p. 58. - Tasso T., Lettere; voi. I, p. 231 . (1) Il poema, a cui restava sempre a dare l'ultima mano [G.]. Solerti, La vita di T. Tasso, 11. 9 - 130 — Altezza infinitamente obbligato, e lo riconoscerò con vivi effetti sempre ch'ella si degnerà di comandarmi. E per fine bacio a Vostra Altezza le mani, pregandole ogni prosperità. Di Koma a li 30 di Novembre 1577. evi. Alfonso II Duca di Ferrara al Cardinale Domenico Albano. — Boma. Ho ricevuto la lettera di Vostra Signoria Illustrissima del 30 del passato (l), intorno al particolare del Tasso. E perchè con l'occasione che mandasi costà il Cavaliere Gualengo, mio gentiluomo, presente ese- bitore, gli ho commesso che venga a visitarla in nome mio ed a fargli fede del vivo desiderio che è in noi di comprovargli con gli effetti la nostra volontà e singolarissima affezione che le porto; e che insieme li riferisca quanto nel suddetto particolare mi occorre farli sapere. Non starò a dirgliene altro, ma rimettendomi alla sua relazione, la prego a credergli come farebbe a me stesso. E col baciarli la mano, etc. Di Ferrara a' 7 di Dicembre 1577. CVII. Camillo Gualengo (1) e Giulio Mosetti ad Alfonso li Duca di Ferrara. — Ferrara. 11 Signor Cardinal Albano ha fatto due volte grande instanza qui da me, Masetto, se Vostra Altezza mi ha indi mandato la risposta ad una lettera sua, e pure questa sera vi è stato, il suo segretario, e mostra che tanto li prema di esser favorito da lei, in quel particolare che le chiedeva a beneficio e sanità del Tasso, che ha voluto che questa sera io ne supplichi di nuovo Vostra Altezza a nome suo Di Roma li XI di Gennaio 1578. CVIII. Alfonso II Duca di Ferrara al Cardinale Domenico Albano. — Boma. Io non ho risposto prima alla lettera che Vostra Signoria Illustrissima mi scrisse, già molti giorni, intorno al particolare del Tasso, perchè volevo in un istesso tempo mandarle le sue scritture. Ma la grave indì- CVI. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Lettere di Prin- cipi esteri e di Cardinali. È una minuta. (1) Manca nel carteggio, ma è la precedente già edita. CVII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. (1) Inviato estense straordinario a Roma. CVIII. — R. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Minute ducali. — 131 — sposizione della Signora Duchessa d'Urbino, mia sorella, non ha consen- tito che fin ora si siano potute aver tutte; percioccliè esso Tasso ne avea lasciato alcune in mano di Sua Eccellenza, che tuttavia si vanno raccogliendo, e tosto saranno tutte insieme. 11 che ho voluto far sapere a Vostra Signoria Illustrissima; ed anche, che avendo scritto la sorella di detto Tasso alla Signoia Duchessa ed a me, con far particolare in- stanza a Sua Eccellenza di queste scritture, come prima sieno in ter- mine se le manderanno, facendole capitare in mano propria di Vostra Signoria Illustrissima, oppur del Tasso medesimo. Non si mancherà anco di cercar d'aiutarlo non meno con parole, di quel che si è fatto per il passato con gli effetti ; e tanto maggiormente, essendomi racco- mandato con tanto effetto da Vostra Signoria Illustrissima; alla quale baciando la mano, le prego dal Signore Dio ogni felicità. Di Ferrara a' 18 di Gennaio 1578. CIX. Camillo Giialengo e Giulio 3Iasetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. S'è presentata la lettera di Vostra Altezza al Signor Cardinale Albano, il quale li resta a lei in molto obbligo, per la buona volontà che mostra ad intercessione sua verso del Tasso, e la supplica di degnarsi di cre- dere, che si è mosso a raccomandarlo solo a Vostra Altezza per pietà cristiana, parendogli impresa molto pia il procurare che quel povero virtuoso ricuperi l'intelletto, come spera che possa fare, dandoseli spe- ranza della buona grazia di Vostra Altezza e qualche dimostrazione d'effetti; e in questo proposito ha ricordato, che se intanto si mandas- sero qua un suo anello, o collana, o altre cose d'oro, che ha tra le sue robe, per sovvenir alli bisogni suoi e della sorella , saria favore, che tutto si riconoscerla dalla bontà infinita di Vostra Altezza Di Roma li XXV di Gennaio 1578. — R. Biblioteca Estense, cod. I. H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. Ili, p. 407. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino 224. Vi è duplicata; una copia ha la falsa data: XIIII Gennaio. — Serassi, Op. cit; voi. II, p. 8; con la falsa data ora indicata. — Tasso T., Opere; voi. V, n.° 47, p. 59. Si riscontrano parecchie varianti, ma adotto la lezione dell'autografo, seguita già dal Serassi, che la trasse dal copialettere di Maurizio Cataneo, segretario del Cardinale Albano. Questo volume, che appartenne già alla famiglia Albani, è ora in Bergamo, come m'avverte il cortese signor Ravelli; ma io non ho potuto vederlo. — Tasso T., Lettere; voi. I, p. 232 ; anche qui colla data erronea. CIX. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. 132 ex. Aìfoìiso II Buca dì Ferrara a Camillo Gualengo e Giulio 3Iaseiti. — Roma. Direte al Signor Cardinale Albano che si farà vedere tutto quello che si troverà qui del Tasso, e si rimetterà costà per mandarlo alla sorella di lui (Di Ferrara, il primo di Febbraio 1578). 0X1. Camillo Gualengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Buca di Ferrara. Il Tasso è in casa di Sua Signoria Illustrissima (1) e dice di essere pronto d'obbedire a quanto da Vostra Altezza gli sarà comandato. , . Di Koma li XII di Febbraio 1578. CXII. Camillo Gualengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Buca di Ferrara. Il Tasso scrive a Vostra Altezza come la vedrà ; è venuto qui in casa di me, Masetto : è stato raccolto e trattato molto bene. Dice che aspetta la medicina di Vostra Altezza della quale intieramente si fida, e che le fa sapere che il solo male è frigidità di stomaco, però ha bisogno di medicamento callido, che gli conforti lo stomaco e tenga il corpo lubrico, e che il mitridato gli ha giovato: accenna quasi che quell'olio fatto per rimedio di peste, che ha Vostra Altezza, saria buono, ma non vuole averlo detto, come che non vuole dire una cosa più che un'altra, rimettendosi interamente al rimedio che manderà Vostra Altezza, ma che la guardi di cui si fida. Però parendole di mandare qualche cosa può favorire questo pover'uomo con scrivere due righe particolarmente per questo ; acciocché se gli levasse, se però si potesse per questa strada. ex. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Minute ducali agli oratori a Roma. CXI. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Eoma. (1) Il Cardinale Luigi d'Este. CXII. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — 133 — il sospetto ed umori del capo. Scrive il medesimo Tasso anche all'Ec- cellentissima Madama Leonora, che con questa si manda. Con la quale per fine baciamo di nuovo umilissimamente le mani pregandole dal Si- gnore Dio somma felicità. Di Roma li XV di Febbraio 1578. CXIII. Camillo Gualengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. 11 Tasso è qui in casa nostra, e dice di avere acquistato gran miglio- ramento. Non vuole sentire d'altro che di Vostra Altezza e di obbedire a quello che ella comanderà, ne con noi si trattiene volentieri per altro, che non perchè siamo ministri di Vostra Altezza. Però saria bene ch'ella si degni di deliberare quello che le parrà sopra di lui, perchè qui a noi è di qualche ingombro, e quando bisognasse medicarlo, non vi s'avria la comodità né il profitto per lui, che si potrà sperare d'avere costì, dove egli è prontissimo a venire purché ne vegga una minima com- missione di Vostra Altezza; e con un cenno solo della volontà di lei, sarà per lasciarsi governare di tutto quello che sarà necessario alla sua cura. E con questo fine umilissimamente baciandole le mani preghiamo Iddio N. S. che le doni ogni compiuta felicità. Di Roma li XIX di Febbraio 1578. CXIV. Camillo Gualengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. Vostra Altezza si degni consolare con qualche sua particolare com- missione questo povero uomo del Tasso, il quale sta tuttavia aspettando che Vostra Altezza deliberi qualche cosa di lui, altrimenti farà per di- sperazione una riuscita che dispiacerà a tutti Di Roma il dì primo di Marzo 1578. CXIII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. CXIV. — R. Archivio di Stati di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — 134 — CXV, Camillo Giialengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. 11 Tasso vuole che scriviamo a Vostra Altezza che con nissuna cosa più si mantiene, che con la saldissima speranza che ha nell'Altezza Vostra, e che non solo ella abbia da procurargli la salute, ma da co- mandare che quanto prima sia pigliata ottima provvisione Di Koma li V di Marzo 1578. CXVl. Lodovico Tassone (1) a Giulio Masetti. — Boma. Sua Altezza, ritrovandosi fuori di Ferrara otto giorni sono, mi ordina che scriva a Vostra Signoria che dica ciò al Tasso, e che com'ella sia ritornata farà dar espedizione agli olii e altre cose che gli hanno da mandare, e se gli inviaranno quanto prima. Ordina parimenti l'Altezza Sua che Vostra Signoria le dia avviso se '1 Tasso continua tuttavia nel suo umore e come in effetto egli si trovi Di Goro a' IX di Marzo del LXXVllI. CXVII. Giulio 3Iasetti ad Alfonso II Buca di Ferrara. Per obbedirla poi a quanto comanda circa l'avere informazione come si porta il Tasso, sappia che quìi è tenuto il suo male per facile da guarire, purch'egli si risolvesse di ubbidire ai medici; ma qui sta la difficoltà, ch'egli non saria per farlo se per sorte non si trovasse costì in Ferrara, e che Vostra Altezza (i cenni della quale le sariano espres- sissimi comandamenti) le dicesse essere sua mente che si medicasse della tal maniera. Noi alle volte lo mettiamo su li ragionamenti di let- CXV. — E. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Oratori a Roma. — Questo tratto di lunga lettera venne pubblicato come un particolare biglietto dal Muratori (Tasso T., Opere, Venezia, Monti e C, 1738-39; voi. X, p. 238) insieme colla lettera da me qui pubblicata al n." 91. Egli dice averlo rinvenuto nell'Ar- chivio Estense, né sapere a chi attribuirlo; io non so comprendere in qual modo si trovasse a figurare di per sé questo brano. CXVL — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Minute ducali agli oratori a Eoma. (1) Segretario ducale. CXVII. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — 135 — tere, e ne parla con quella sottigliezza e bellezza di concetti ch'abbia mai fatto per sano che sia stato, ma non può durare molto, che dice li viene fastidio al cuore. Nel resto parla di continuo del suo umore, di essere stato avvelenato a Napoli, e di avere un stomaco che non può digerire; e non vuol mangiare altro che un poco di gallina, e bere vini grandissimi, ed ogni giorno pigliare pillole d'aloe, ed aspetta con desi- derio li olii che gli manderà Vostra Altezza. Ma per me giudico vana ogni altra strada, eccetto che il condursi costì, e ponersi nella mano de' medici, e fare quanto da loro gli sarà comandato; e se Vostra Al- tezza ha desiderio della sua salute, per mio giudizio, non vi sarà altra strada che questa; e le bacio umilissimamente le mani pregandole dal Signore Iddio ogni felicità. Di Koma li XV di Marzo 1578. ex Vili. Alfonso II Buca di Ferrara a Camillo Gualengn e Giulio Maseiti. — Roma. Quanto al particolare del Tasso, di che voi scrivete, vogliamo che ambedue insieme gli diciate liberamente, che se esso è in pensiero di ritornar qua a noi, ci contenteremo di ripigliarlo: ma bisogna prima ch'egli riconosca che è pieno d'umore melancolico; e quei suoi sospetti di odii e di persecuzioni, che ha detto essere state fatte di qua, non provengono da altra ragione che dal detto umore; del quale dovrebbe riconoscersi, fra tutti gli altri segni da questo: che gli è caduto in im- maginazione che noi volemmo farlo morire, nonostante sempre l'abbiamo e visto volentieri ed accarezzato; potendosi creder che quando avessimo avuto tale fantasia, sarebbe stato assai facile l'esecuzione. E perciò egli risolva beg prima, se vuole venire, di dover onninamente consentire ed acquietarsi a lasciarsi curar dai medici per sanar l'umore. Che quando pensasse di avviluppare e dir parole secondo ch'egli ha fatto per lo pas- sato, noi non solo non intendiamo di ripigliarne briga alcuna, ma quando egli fosse di qua, e non volesse permetter di medicarsi, il fa- ressimo subito uscir dallo stato nostro, con commissione di non dover ritornare mai piti. E risolvendosi venir, non accade dir altro: quando che non, ordineremo che siano date alcune sue robe, che sono appresso il Coccapani, a chi egli scriverà Di Ferrara, 22 di Marzo 1578. CXVIII. — E. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Minute ducali agli oratori a Roma. — Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 9. — Tasso T. , Lettere; voi. I, p. 233. — 136 — CXIX. Camillo G-ualengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. Già sa Vostra Altezza che il Tasso è qui in casa nostra, e si può dire che sia abbandonato da ognuno, eccetto che da noi, li quali quando per sorte entrasse in sospetto che non lo ritenessimo qui d'ordine di Vostra Altezza, non è dubbio che il pover'uomo capiteria male; e perciò avendo egli tutta la sua confidenza in Vostra Altezza, ci è parso di raccomandarglielo per una delle più pietose opere, che si possa fare, e massime che egli non è grave anche del tutto in termine, che non si possa sperar di ridurlo alla sanità, quando però Vostra Altezza sia quella che si degni porgergli aiuto, essendo egli risoluto di non volerlo d'altra mano, e di volere più tosto morire, che riconoscere la sua salute da altri. E se Vostra Altezza ha da fare cosa alcuna, bisogna che sia presto, perchè egli va tuttavia annichilandosi, e levato che gli siala speranza de' rimedi, che Vostra Altezza ha promesso di mandargli, e del suo venire a Ferrara, non facciamo dubbio, che se ne morirà, e Iddio voglia che anche egli possa aspettare la risposta di questa. Noi per pietà cristiana gli diamo tutti gli aiuti che possiamo, ma tutto è buttato via per suo parere, se non vieiie dalla commissione di Vostra Altezza, dalla benignità della quale speriamo che non sarà in tutto sprezzata la salute di questo infelice virtuoso, il quale mentre era nel suo sano intelletto, era pure servitore di Vostra Altezza, e ora, così privo come è, presuppone di essere più che mai. E con questo fine baciando umilissimamente la mano di Vostra Altezza, le preghiamo dal Signore Iddio la buona Pasqua ed ogni maggior felicità. Di Koma li XXVI di Marzo 1578. CXX. Giulio Masetti ad Alfonso II Baca di Ferrara. Non ho voluto dare al Tasso la risposta che mi ha scritto il signor fattore Coccapane d'avere riportato da Vostra Altezza, circa del suo ve- stire, e del trattenersi qui come servitore di lei e a sue spese, perchè sono certissimo che sarei stato causa della sua morte : non avendo questo CXIX. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — Solerti A., Un episodio della vita di T. Tasso, con documenti inediti, Torino, Baglione 1887; Estr. da La Letteratura, An. II, n.» 7. CXX. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — Solerti A., Op, cit. — 137 — povero uomo che lo tratten<(a in vita, se non la speranza d'avere certi olii che Vostra Altezza gli ha promesso per la sua salute, e d'esser ri- chiamato da lei a Ferrara con intenzione di farlo medicare e ridurre alla sua pristina sanità. E subito che fosse escluso da questa speranza, resterà il meschino privo della vita, e perciò mi è parso di fare sapere a Vostra Altezza il suo stato, volendo anche credere che non sia per sprezzare in tutto la salute di questo infelice, lo l'ho vestito da duolo come servitore di Vostra Altezza, che per tale egli si predica, paren- domi grandissima vergogna, e che toccasse anche alla riputazione di lei, che fosse veduto qui in casa mia, poco meno che nudo e con un abito da pecoraro, e similmente li proveggo per il suo vitto, quello che mi parrà essere a proposito per lui. Se piacerà a Vostra Altezza ordi- nare che mi siano fatte buone queste spese, poi che ella si degna pur di farne qualche altra qui in casa mia, la quale non può avere tanto merito dal Signor Iddio come questa, mi sarà di grandissimo favore, quando ancora no, mi dolerò del danno e d'essere stato troppo facile in credere che il Tasso non fosse del tutto escluso dalla grazia di lei; il che quando pur sia, ardisco dire, di non conoscere scampo alla vita di questo povero uomo, e non essendo la presente per altro, umilissima- mente le bacio le mani, e prego Iddio N. S. che dia alla sua serenis- sima persona ogni suprema salute. Di Koma li XXVII di Marzo 1578. CXXI. Camillo Guàlengo e Giulio 3Iasetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. Del Tasso scrivessimo lungamente col spaccio passato in raccoman- darlo a Vostra Altezza, e ora replicliiamo le medesime raccomandazioni, essendo egli in stato, che abbandonato che sia da lei, si può mettere affatto per perduto. Non ci occorrerà di riferire a Vostra Altezza la risposta dataci da esso a quello che gli abbiamo detto da parte di lei; perchè pur troppo promette egli di stare all'obbedienza sua, e piìi tosto pecca nel troppo che nel poco, volendo non solo nelle cose necessarie, ma nelle superflue, rimettersene alle commissioni di Vostra Altezza; la quale quanto più presto darà ordine per il suo ritorno, e per quei ri- medi, che dice mandargli, tanto meglio sarà per la sua sanità, e s'ella CXXI. — R. Archivio di Stato di Modena ; Cancelleria ducale ; Oratori a Roma. — Solerti A., Op. cit. — 138 — vorrà anche avere un poco di notizia della mente sua potrà scoprirla dall'alligata polizza (1). E le baciamo umilissimamente le mani pregan- dole dal Signore Iddio la buona Pasqua ed ogni altra maggiore felicità. Di Roma li XXIX di Marzo 1578. CXXII. Alfonso II Buca di Ferrara a Camillo Giialengo e Giulio Masetti. — Roma. Quanto al Tasso già avrete veduto con le nostre lettere ch'egli può venire a piacer suo, come crediamo ch'avrà fatto o farà col Cavaliere Gualengo Da Ferrara ai 2 d'Aprile 1578. CXXIII, Camillo Gualengo e Giulio Masetti ad Alfonso II Duca di Ferrara. Tasso verrà con me Gualengo, e potrà trattante Vostra Altezza ordi- nare dove egli abbia ad avere alloggiamento; perchè ha bisogno gran- dissimo di governo, trovandosi senza servitore; e di essere purgato e medicato non per otto o dieci giorni, ma per mesi e mesi. E con tal fine baciando a Vostra Altezza umilissimamente le mani li preghiamo da Nostro Signore Iddio ogni compiuta felicità. Di Koma li IX di Aprile 1578. CXXIV. Giidio Masetti ad Alfonso II Buca di Ferrara. Partì di qua iermattina il Signor Cavaliere Gualengo con il Tasso e l'altra sua compagnia, e io sono restato nella tanto da me desiderata solitudine, nella quale, con il servizio di Vostra Altezza, prego Nostro (1) È spiacevole che mancando tale polizza nella filza, il componimento non si possa riconoscere. CXXII. — R. Archivio di Stato di Modena, Cancelleria ducale; Minute ducali agli oratori a Roma. CXXIII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — Solerti A., Op. cit. CXXIV. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — Solerti A., Op. cit. — 139 — Signore Dio che mi conservi un pezzo; perchè così numerosa comitiva m'apporta grandissimo travaglio d'animo e spesa, e s'io potessi con buona Ljrazia di Vostra Altezza esserne sgravato nell'avvenire, io direi di de- siderarlo grandemente. C'rederò ch'egli sarà giunto costi all'arrivo di questa Di Koma li XII di Aprile 1578. CXXV. Maurizio Caianco a Bartolomeo Albano. — Venezia. Mandai un sonetto del Tasso al Signor Ercole Tasso, e non so se l'abbia avuto: se lo vede gli baderà le mani in mio nome e gli dirà che il Tasso già da dieci giorni partì per Ferrara su le poste, col Ca- valier Gualengo, pieno di grande umore di voler stampare, e lo farà se l'umore non lo leverà un'altra volta a volo. Ed a Vostra Signoria bacio le mani pregandole ogni contento. Da Koma il 19 di Aprile 1578. CXXVI. Maffeo Venterò a Ferdinando de' Medici, Granduca di Toscana. — Firenze. Il Tasso è qui, inquieto d'animo; e sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto segni di afflizione che di pazzia. Sono i suoi umori questi: il principale è, ch'egli vorrebbe essere al servizio di Vostra Altezza, non bramando in ciò altra provvi- sione, se non quanto semplicemente e ritiratamente possa vivere: l'altro è, che vorrebbe che il Signor Duca di Ferrara gli restituisse il suo libro ; di che egli non ha copia. Intorno a questi due capi quasi sempre discorre, e si lascia trasportare dall'immaginazione: in questo ha qualche fastidio in dubitando di non avere il libro; ma però non si dispera, confidando egli di farne un altro migliore in tre anni: ed io veramente CXXV. — Accademia Carrara di Bergamo; autografo. CXXVI. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni ; CI. 27, f." 54. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino 224. — Sgrassi, Op. cit; voi. Il, p. 15; con qualche lacuna. — Tasso T., Opere; voi. XXIII, Appena., p. 41. — Ciampi, Bibliografìa critica delie antiche reciproche corrispondenze ecc. dell'I- talia colla Russia, colla Polonia ed altre parti settentrionali, Firenze, Piatti 1842 ; voi. III, p. 17-8. — Tabso T., Lettere; voi. I, p. 23:3. — Terrazzi, Op. cit., p. 67. — Cfr. in questo volume la lettera n." 89. — no- lo credo, non essendo la poesia in lui niente contaminata; sì perchè la pazzia ed ella siano sorelle, sì perchè siano tanto simili e conformi che non si offendino, anzi reciprocamente si esaltino. Egli ha cominciata altissimamente una canzone sopra il serenissimo principe nato: ed io procurerò di fargliela finire; essendo se non conveniente al soggetto, almeno superiore all'altre sue che fin qui ho veduto. Nell'altro pen- siero, che è di servir Vostra Signoria, in che costantemente persiste, ha qualche diffidenza che l'opprime, di non aver ricetto alla sua corte. Voleva egli venirsene a Fiorenza, ed io l'ho intertenuto a fine di po- terne dar prima avviso a Vostra Altezza; supplicandola, che quando si degnasse dargli intrattenimento (1), si degni anco farmene scrivere una parola, acciò ch'io possa consolare un povero virtuoso con una sua lettera. Certamente io fo, vinto da estrema pietà, quest'officio con l'Al- tezza Vostra, sì perchè questo poverino, quando non avesse da combat- tere con il pane, non avrebbe forse né anco guerra da' suoi pensieri; sì perchè vorrei vedere esercitata quella musa che tanto si fa valere. Di Venezia 12 Luglio 1578 (2). CXXVII. Il Cardinale Domenico Albano al Marchese Filippo d'Este. — Torino. Avendomi il Tasso fatto per sue lettere intendere egli, dopo suoi molti, lunghi e vari errori, essersi ridotto presso Vostra Eccellenza P.lustrissima, con animo e desiderio grande di servirla e di vivere in cotesto parti, io ne ho preso assai piacere per l'amor che gli porto e per la compas- sione che ho avuto ed ho alle sue infelicità; conoscendo che sotto la protezione e favore di lei potrà non solo dar bando a tutti li suoi umori e false immaginazioni e star sicuro che nessuno l'offenderà, né perseguiterà, ma potrà sperare che tutti i Principi lo favoriranno, e beneficheranno. E con tutto ch'io sia certo non essere bisogno di rac- comandarlo a Vostra Signoria Illustrissima, nondimeno per mostrar al Tasso ch'io son suo amico e che desidero il ben suo, io glielo racco- mando di tutto cuore. E se piacerà al Signore Dio che sotto l'ombra (1) La provvisione di cortigiano [G.]. (2) Il Ciampi {Op. l cit.) dice che il Gran Duca rispondesse « che non voleva alla sua cete un pazzo ». CXXVII. — Biblioteca Trivulziana; autografo. — G. Porro Lambertenghi, Com- mendatizie e lettere del Tasso inedite neW Archivio Storico Lombardo, An. IV (1877), p. 251. — 141 — e protezione di lei si risani ed acquisti i suoi umori, sappia che tutti i virtuosi le renderanno infinita grazia; e restando in tutto pronto ai suoi servizi me le olìero e raccomando pregandole ogni felicitiì. Di Roma alli 20 di Novembre 1578. CXXV^lll. Il Cardinale Domenico Albano a Torquato Tasso. — Torino. Non potevate adoprar mezzo più efficace per impetrar perdono, per ricuperare l'onore, e per dar consolazione a me ed agli amici vostri, che confessar l'errore da voi commesso in aver diffidato indifferentemente di ciascuno: il che è stato non meno degno di riso che di compassione. Iddio faccia, che siccome ora v'accorgerete dell'inganno, così ancora il conosciate intieramente per l'avvenire: e dovete omai farlo, perchè io v'assicuro sopra l'onor mio, che non è alcuno che pensi o tenti in niuna maniera d'offendervi; anzi tutti sommamente v'amano e vi desiderano lunga felicissima vita per la vostra singoiar virtù. Dagli effetti avete potuto e potete conoscere, che i vostri timori e i sospetti altro non sono che false immaginazioni; onde è necessario ch'in tutto diate lor bando: e facendolo, sarete altrettanto amato quanto onorato; altrimenti, perde- rete la riputazione insieme con la vita, e dove penserete di fuggir la morte con l'andar errando di qua e di là, voi l'incontrerete senza fallo assai tosto. Quotatevi dunque, ed attendete ai vostri studi, rallegran- govi d'esser appresso il Signor Marchese d'Este, nobile e virtuoso si- gnore. E perchè bisogna sveller affatto la radice dell'umor peccante, e ciò non può farsi senza medicamenti, risolvetevi di lasciarvi purgar da' medici, consigliar dagli amici , e governar da' padroni ; e crediate, in- somma, ch'io sono e sarò sempre fra' primi a favorirvi ed amarvi. E il Signore Dio sia in vostra custodia. Di Roma alli 29 di Novembre 1578. CXXVIII. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze, codd. Palatini 223 e 224. — Ms. Mariani - Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 33. — Tasso T., Opere; voi. V, n.o 50, p. 64. — Tasso T., Lettere; voi. I, p. 316. Qui il Guasti osserva che le varietà che s'incontrano nell'edizione del Serassi e dell' Opere debbono provenire dalle due copie che il medesimo Serassi ne fece e dalle carte del Foppa e dal registro originale delle lettere scritte da Maurizio Cataneo a nome del Cardinale Albano: copie che si ritrovano nei codd. Palatini cit. 142 — CXXIX. Maurizio Cataneo al Marchese Filippo d'Este. — Torino. Poiché la fortuna e il destino hanno condotto il Tasso a ridursi sotto l'ombra e protezione di Vostra Signoria Illustrissima, sappia che tutti i virtuosi n'hanno sentito piacere, sperando che dal presidio di lei sarà sollevato in gran parte dalla sua miseria ed aiutato a risanarsi, e la pregano tutti ad averlo per raccomandato. Io d'ordine di Monsignor Il- lustrissimo Albano, mio padrone, le scrivo la presente, la quale quando fusse partito per Ferrara, siccome nella lettera sua del primo di Di- cembre accennava di voler fare, Vostra Signoria Illustrissima si degnerà per sua cortesia inviarla ad alcuna persona in Ferrara che gliela dia. E qui restando tutto suo divoto servitore le bacio la mano, pregandole dal Signore Dio ogni compiuta felicità. Di Roma alli 15 di Dicembre 1578. CXXX. Maurizio Cataneo al Marchese Filippo d'Este. — Torino. Non vorrei già parer a Vostra Signoria Illustrissima presuntuoso in inviarle queste lettere : ma l'amor ch'ella porta al Tasso, a cui si scrive per consolarlo, se pur in lui può capire alcun conforto, e la divozion mia verso lei, mi scuseranno. La supplico adunque degnarsi fargli avere l'incluse se sarà costì, e non vi essendo mandarle dove si troverà, se pur non sarà partito insalutato hosjnte. E umilmente le bacio le mani pregando il Signore Dio concedergli il colmo d'ogni suo contento. Di Roma alli 29 di Dicembre 1578. CXXXI. Negrone di Negro (1) al Duca Emanuele Filiberto. — Torino. Ho ricercato dal Principe di Massa per avere qualche componimento del Tasso, e vedrà Vostra Altezza per l'inclusa polizza (2) quello ch'egli CXXIX. — Biblioteca Trivulziana; autografo. — G. Porro Lambertenghi, Op. cit., p. 252. CXXX. — Biblioteca Trivulziana; autografo. — G. Porro Lambertenghi, Op. cit., p. 254. CXXXI. — R. Archivio di Stato di Torino; Lettere di ministri. — Vesme A., T. Tasso e il Piemonte, Torino, Stamperia Reale, 1887; Estr. dalla Miscellanea di Storia Italiana, S. II, XII (XXVII), 45; p. 33. (1) Era residente a Genova pel Duca. (2) Non si trova piiì nella filza. — 143 — mi risponde. Ho ricercato anche in altri luoglii, ne lio potuto trovare cosa alcuna del suo. Ho con tutto ciò rivolto in casa mia e trovati due canti della guerra di -Jerusalem, stimati bellissimi da coloro che se ne intendono. Li mando a Vostra Alte/za ancora die non tro]>i>o ben cor- retti; potrà lei cosi farli correggere, perchè sono meritevoli di questa fatica (Da Genova il 9 Gennaio 157!>). CXXXn. Antonio Maria de Peppi detto Marin al Cardinale Luigi d'Este. — Roma. 11 Mercori di notte il povero Tasso furioso, ch'Iddio nostro Signore l'aiuti, fu tornato alla catena in Sant'Anna, e questo è quanto per ora si possa dire Di Ferrara, il dì 14 Marzo 1579. €XXX1II. Leandro Conosciuti al Cardinale Luigi d'Este. — Roma. Qui non vi è più cosa degna delle sue orecchie se non che non ier- sera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'A.nna, per le insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio (1), e che era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato riflferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione Ferrara, alli XHII Marzo MDLXXVHII. CXXXIV. Camillo Ariosto ad Annibale Ariosto (1). — Venezia. Di nuovo non so altro se non che il Tasso è per anco in Sant'Anna, come vi scrissi, mal trattato, e, come dite voi, compassionato da tutti ; CXXXIT. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Particolari. CXXXIII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. (1) Cornelio Bentivoglio, capitano generale del Duca. CXXXIV. — Biblioteca Comunale di Ferrara; Carte degli Ariosti; autografo. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino 224. È copia di mano del Serassi. — Album di Roma, Anno XVIII, 12 .Tuli 1851: Autografi, documenti e corrispondenza della nobile famiglia Ariosti di Ferrara dall'anno 1470 al 1670, in possesso del Sig. Conte Francesco Kiihlen a Roma. (1) Era segretario di Claudio Ariosto, ambasciatore presso la repubblica di Ve- nezia, pel Duca di Ferrara. — 144 — ma non sa cosa farvisi, e nonnostante che sia in tal stato versifica al solito col solito furore, se bene alcuni dicono che nelle sue poesie si comincia a scorgere un poco di non so che d'intelletto corrotto, sì che io non saprei dar giudizio. È vero che io giudico il contrario, cioè che quanto più è furioso pazzo tanto migliori debbano essere i suoi versi, perchè se è vero che la poesia nasca da furore, io tengo che essendo furioso, debba per conseguenza essere buon poeta più che mai; tanto più che ne' suoi versi mi par di scorgere il solito stile, li stessi spiriti e i soliti concetti. Onde mi faccio a credere che, o ciò che ho udito dire nasca da qualche o dotta o invida lingua, o ciò che io tengo nasca da vera affezione che io porto a quel già puro, sano ed alto intelletto; benché può nascere da altro, non avendo io né scienza ne giudizio di tali cose, come ho detto di sopra Di Ferrara il XXI di Marzo 1579 (1). CXXXV. Cristoforo Zahata a' Lettori. [Prefazione']. Avendo il signor Torquato Tasso, graziosi lettori, tra le molte sue leggiadre poesie, trattato in ottava rima l'acquisto che fecero i Cristiani della città santa di Gerusalemme, al tempo di Papa Urbano secondo, il quale pubblicò la crociata contro il popolo nimico di Cristo, per opra del non men pio che valoroso Gottifredo Boglioni, che s'adoperò molto in così giusta ed onorata impresa; ed avendola con molta sua conten- tezza ridotta a perfetto fine, è poscia stato (per quanto si dice) per si- nistro accidente, e con suo gran dolore , di così onorata fatica privato. Ond'io, affine che egli non possa essere defraudato della sua gloria, ho voluto (e questo sia con grazia sua) porre nel fine della presente ope- retta un canto della suddetta istoria, venutomi per buona sorte alle mani, acciocché possino coloro eh' hanno desiderio di vederla, appagarsi per ora di questo picciol saggio, col quale benissimo potranno far giu- dizio dell'eccellenza dell'autore. [Genova, Ottobre, 1579]. (1) A questa lettera è unito il madrigale del Tasso: Vola, vola pensier fuor del mio petto edito ia Opere; voi. XXXII, p. 95. CXXXV. — [Cristoforo Zabata] Scelta di Rime di diversi eccellenti poeti, di mu)vo raccolte e dette in luce. Parte Seconda. In Genova, MDLXXIX, in- r2". — Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 377. — 1 ir> _ CXXW'l. Giulio Mosti (t Marcello Jjuuati ( 1 ). — Mantova. Sono otto giorni che mi venne alle mani questa composizioncella del [loeta Tasso, e «riudicandola de^j^na di Vostra Signoria, mi è stata cara per aver soggetto di baciarle la mano; che tosto l'ho avuta così gliela mando dunque in segno dell'affezione che le porto e per debito di ser- virla. Se sarà a sua sqddisfazione l'avrò molto caro; credo che la rice- verà, e sia sicura se per l'addietro avessi avuto altra cosa a suo gusto gliel'avrei inviata. Ella se la goda in segno dell'obbligo che tengo alla molta amorevolezza sua, e s'io avessi alcuna rima nuova ne farei parte a Messer Curzio (2), ma avendole mamluto (juindici giorni sono quanto mi trovava, che furono tre fogli pieni, non ho altro al presente, essendo il poeta in altro umore che nel comporre. Prego Vostra Signoria a ba- ciargli la mano in mio nome e far questa poca di scusa, che quando avrò novelle, so benissimo di quanto son tenuto. A Vostra Signoria bacio la mano con quel debito che mi si conviene e mi perdoni la brevità perchè il messo mi fa molta fretta, e sarà servita a baciar la mano al Signor Curzio in mio nome e di Monsignor mio fratello. Di Ferrara li 8 di Giugno 1580. CXXXVII. Diomede Borghese a Marcello Donati. — Belriguardo. Ora ch'io so che Vostra Signoria si trova a Belriguardo non vo' man- care di visitarla scrivendo: e ciò faccio tanto piìi volentieri con l'occa- sione della venuta costì del Signor Febo Bonnà, mio amicissimo, col mezzo del quale e del Signor Borso Argenti , io la farò al presente partecipe de' due libri del Tasso più desiderati da lui: e certo saranno tali, che benché ne vadano forse dattorno delle altre copie, niuna ve n'avrà che sia così purgata, ne così corretta. Questo onoratissimo porta- tore oltre all'esser dotato di molto valore, è degno d'esser avuto in molto pregio per essere amatore ed osservatore degli uomini letterati e valo- rosi. Egli avendo inteso da più persone, e specialmente da me, che Vostra Signoria e per virtù e per dottrina è non solo amabile, ma ri- guardevole, è entrato in desiderio di farlesi conoscere per amico e per CXXXVI. — Archivio Gonzaga; Ferrara; E. XXXI. (1) Consigliere del Duca Guglielmo di Mantova e istitutore del principe Vincenzo. (2) Gonzaga. CXXXVII. — Archivio Gonzaga. — G. Campori, Lettere di Diomede Borghesi, Bologna, Romagnoli, 1868; della Scelta di curiosità letterarie inedite o rare, disp. XCII; p. 20. SoLEun, La vita di T. Tasso. II. 10 — 146 — servidore, volendo in premio di ciò, che ella, conforme al mio volére, si vaglia di lui in ogni suo servigio. Ai giorni passati mandai un so- netto al Sei-enissimo Principe: non lo inviai ne a lei, ne al Signor Ar- dizio, per non sapere se eglino si trovavano col Signor loro: mi fo a credere che esso l'avrà veduto. Sforzeromrai di far sì, che quando che sia essa abbia la maggior parte de' libri del poema del Tasso nell'ot- tima forma (1). E ricordando a Vostra Signoria che io mi recherò sempre a grazia il poterla servire, alla sua gentilissima persona mi offro e rac- comando, con volontà che i suoi generosi pensieri producano felice effetto. Di Ferrara a' XXIX di Giugno 1580. CXXXVIIL Celio Malaspina a Giovanni Donato, senator veneto. [Dedicatoria]. Sino in Fiorenza, mentr'io era al servigio del Serenissimo Gran Duca di Toscana , Francesco de' Medici , mi capitorno a sorte alle mani al- cuni canti del meraviglioso Poema di Messer Torquato Tasso, li quali non altrimente che si suole cosa preziosissima, da me sono stati sempre custoditi. Or" io da alcuni Signori e Patroni miei (a' quali tanto devo, quanto più non posso) richiesto, anzi quasi per forza astretto, a volerli mandar alle stampe, dopo infinite scuse, e gagliardissima resistenza da me più volte fatta, per non esser massime l'opera mia, ed intiera, ho voluto, non potendo più in alcun modo scusarmi, ne resistere alle con- tinue domande, per non dir comandamenti loro, compiacerli. Al che sono poi anco così condisceso, perchè benissimo so, quanto sia il desi- derio de' virtuosi di vedere questo già tanto "ascoso parto, uscito in luce: imperciocché a molti prieghi d'alcuni amici miei, ed in Milano, ed in altre città d'Italia, già fui sforzato accomodar d'essi canti alcuni Illu- strissimi Signori che bramavano di vederli Di Vinegia, alli 7 d'Agosto MDLXXX. CXXXIX. Giulio Mosti a Marcello Donati. — Mantova. Certo che a me rincrebbe molto di non poter visitare Vostra Signoria nel suo passare di qua, e tanto più trovandosi indisposta, e sotto la (1) Il Bonnà curò le due edizioni ferraresi della Gerusalemme nel 1581; quando il Borghesi scriveva questa lettera ignorava certo che quel poema si stava allora stampando dal Cavalcalupo in Venezia, vedendo infatti la luce l'anno stesso. CXXXVIII. — Tasso T., Il Goffredo, nuovamente dato in luce con primlegio; In Vinegia, appresso Domenico Cavalcalupo. A instanza di Marcantonio Malaspina, MDLXXX; in-4'. CXXXIX. — Archivio Gonzaga; Ferrara; E. XXXI. — 147 — legge di questo coinun male della cuculucchia (1), nel qual era ancli'io in quei giorni involto, come so clic le fu detto dal nostro Signor Curzio (2), e perciò non mi estenderò in far mia scusa, se non che mi rincrebbe molto. Non credeva poi che Vostra Signoria si pigliasse fatica a farmi certo la seconda volta di quel che è mio debito, come intendo con questa sua de' XXIX del passato, resami questa mattina, che mi è però stata non tanto grata quanto gratissima. Ma ben duole a me di non poter aver altra cosa di questo poeta Tasso a suo gusto, che so quanto volentieri ne le invierei, e fra l'altre prose il Dialogo del Messaggero l)er quante strade io abbia tentato non mi può cader in mano: e sappia ch'io l'ho a memoria, che il Signor Ferrante ne le sarà buon testi- monio, che ieri ne dicemmo per buon pezzo Di Ferrara li 11 d'Agosto del 1580. CXL. Aldo Manuzio a Don Ferrante Gonzaga. Viene a Vostra Eccellenza l'Aminta ornata del nome suo, per pegno della servitù che io comincio seco. Piacerà a lei accettarla con lieto volto, e conservarla nella sua buona grazia. E Nostro Signore Dio la feliciti. Di Vinegia, la vigilia di Natale MDLXXX (1). (1) Pertosse; corrisponde alla coqueluche dei francesi, ma la forma italiana non lio trovata in alcuno dei molti dizionari, anche speciali, da me consultati. Il Littrk, Diciion., alla parola, cita diversi tratti di storici intomo a questo male; notabile ò quello del Pasqcier, Recherches; IV, p. 175: e Nous vismes en l'an 1557 en « plain esté s'elever par quatre jours entiers un reume qui fut presque commun à « tous, par le moyen duquel le nez distilloit sans cesse comme une fontaine, avecque « un grand mal de teste, et une fiévrc qui duroit aux uns douze, aux autres quinze « heures, que plus quo moins: puis soudain, sans ouvre de mudecin, on estoit guery; « laquelle maladie fat depuis par un nouveau terme appclé par nous coqueluche » . (Cfr. addietro la lettera n.° XXII, p. 90). Laveran-Teissier, Nuovi elementi di Pa- tologia Medica-Clinica, Napoli, 1886; voi. II, p, 328. « La pertosse ignota agli « antichi, è stata confusa con la grippe fino al 1578, epoca in cui la distinse « Baillou, etc. >. E nel voi. I, p. 154-5 la descrizione della grippe corrisponde per- fettamente a quella qui data dal Mosti, e a pag. 153 si nota: « La prima grande « epidemia di grippe data dal 1580, si estese a tutta l'Europa », e in nota: « Lut- < tuosa fu la epidemia del 1580 che si estese da agosto fino allo scorso di settembre, < per la quale in Eoma perirono circa 9000 persone ». Il Mosti accenna dunque precisamente a questa medesima epidemìa di grippe. (2) Gonzaga. CXL. — E. Biblioteca Estense; cod. I, H, 15-17; Gonzaga, Lettere; voi. III, p. 186. (1) Con questo biglietto assai probabilmente il Manuzio accompagnava la copia — 148 — CXLI. Sperone Speroni a Felice Paccìofto. — Pesaro. Laudo voi infinitamente di voler scrivere della poetica; della quale interrogato molte fiate dal Tasso, e rispondendogli io liberamente, sic- come soglio, egli n'ha fatto un volume e mandato al Signor Scipione Gonzaga per cosa sua, e non mia; ma io ne chiarirò il mondo Di Padova, a dì 29 di Gennaio 1581 (1). CXLIl. Angelo Ingegneri a Carlo Emanuele Duca di Savoia. {Dedicatoria']. Due anni e mezzo fa, quand' il povero Signor Torquato Tasso, por- tato dalla sua strana maninconia, si condusse fin alle porte di Torino, onde, per non aver fede di sanità, venne ributtato, fui quegl'io, ch'in ritornando dalla messa udita ai Padri Capuccini, lui incontrato, intro- dussi nella città : fatte prima capaci le guardie delle nobili qualità sue ; le quali (come ch'ei fusse male all'ordine e pedone) non però affatto si nascondevano sotto a sì bassa fortuna. L'Altezza Vostra Serenissima fu poi, che l'accarezzò, e favorì; e se non che il Signor Marchese da Este l'avea già raccolto, ed accomodato, occupando in ciò il luogo alla cortese volontà di Monsignor di Torino, son sicuro ch'ella saria stata quella che l'avrebbe ricevuto e fattogli di tutto ben provvedere: tanta in lei si conobbe pietà di così indegna miseria, e tale di sì alta virtù gusto ed ammirazione. Ora io sono il medesimo che la sua Gerusalemme Liberata^ da me in venendo a Parma, ritrovata che, tutta lacera e ben pedon da deverò, per mezzo d'omaggio AdV Aminta \ Favola \ Boschereccia \ Del S. Torquato | Tasso. | Con privilegio. || In Vinetia MDLXXXI | Presso Aldo. Essa ò dedicata appunto: All'IIl*'>o et Ucc"" Slg. Il Big. Don Ferrante Gonzaga, Principe di Molfetta, Sig. di Gua- stalla, etc., in data: Di Venetia, a XX di Dicembre MDLXXX. CXLI. — Speroni S., Opere, Venezia, Occhi, 1740; voi. V, p. 272. — Tasso T., Lettere, voi. I, p. 166 n. (1) Il Pacciotto rispondeva da Pesaro il 20 febbraio 1581: « Vedremo d'aver quella « scrittura che ha il signor Scipione, se sia in servigio di lei » (Speroni, Op. cit.; voi. V, p. 273). CXLII. — Tasso T., Gerusalemme Liberata, etc, in Casalmaggiore, MDLXXXI, appresso Antonio Canacci ed Erasmo Viotti; in-4''. — Tasso T., Op. cit, in Parma, nella stamperia d'Erasmo Viotti, MDLXXXI; in-12». — Tasso T.', Op. cit., in Lione, nella stamperia di Pietro Pioussin, 1581; 111-16". Cfr. Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 378-79 e Guidi, Annali della Gerusalemme Liberata, Bologna, 1868; p. 2-3. — 1 i9 — /ho^ Frincipc di Massa, a Francesco Maria della Bovere, Duca d'Urbino. Messer Febo Bonnà, persona virtuosa e molto meritevole, avendo raccolto fedelissimamente con molta sua fatica il Poema del Tasso, intitolato Gerusalemme Liberata, si è perciò risoluto darla in luce, ma desidera privilegio di Vostra Eccellenza che altri che lui per venti anni non possa far stampare,' ne stampato far vendere il detto poema per tutto il dominio di Vostra Eccellenza, ancor che tal opera fosse stampata ad istanza d'altre persone, poiché nessun altro che lui l'ha in tal perfezione , avendola di man dell' autore proprio. Parendomi dunque che il desiderio di questo giovane sia assai ragionevole ed es- sendone io richiesto da persona, a chi non posso mancare di far questo offizio con Vostra Eccellenza, vengo con la presente a pregarla che resti servita a mia instanza farle questa grazia, assicurandosi che me ne farà favor singolarissimo, ed io aggiungerò questo agli altri molti obbliglii che tengo con Vostra Eccellenza, alla quale umilissimamente baciando la mano le auguro da Dio piena contentezza e felicità. Di Ferrara, li 5 Aprile 1581. CXLVIII. Eur/enio Visdomini (1) a Orazio Ariosto. — Ferrara. Io tengo obbligo infinito alla fortuna, che nell'occasione dell'ammis- sione di Vostra Signoria nell'Accademia abbia voluto eh" io sia segre- tario, affinchè mi foSse imposto dai Signori miei soci quello che d'or- CXLVII. — E. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Div. G; f.» 244. CXLVIII. — Biblioteca Comunale di Ferrara, cod. 172. — Rossi V., BattisUi Guarirli e il Pastor Fido, Torino, Loescher, 1886; p. 279. (V) Detto II Roco, segretario deirAccademia degl'Innominati. - 157 — dinavio in tali occasioni si comanda atjli altri segretari, poiché con questo mezzo io vengo a palesare a lei il desiderio grande che in me vive di poterla servire ed insieme adempire il carico datomi dall'Ac- cademia, mia madre e figliuola. Le leggi della quale intorno agli as- senti sono: che chi entra in essa, per la prova che si ricerca, mandi qualche composizione, mandi il nome suo Accademico ed insieme l'im- presa, e che nell'occasione anco conforme al soggetto datogli per la stessa Accademia faccia pur componimenti, come particolarmente s'è tenuto a fare per lo di natale di lei, eh' è il di di Sant'Antonio di Pa- dova, nel quale si fa ogn'anno orazione pubblica, e quest'anno sarà De hominis felicitate. Sopra il qual soggetto Vostra Signoria ne favorirà di qualche suo onorato e felice parto, e ne favorirà itarimente di farne motto al Signor Cavalier Guarini e pregarlo anco a degnarsi di man- dare la sua impresa e il suo nome, acciò che possa onorarne il luogo suo ; e se del povero Signor Tasso si potesse in questo proposito avere qualche cosa, ne sarebbe carissimo: e questo quanto ai negozi accade- mici Di Parma il dì XXVII Aprile MDLXXXl (1). CXLIX. // Cardinale Litigi (VEste al Conte Ercole Tassoni. — Roma. Iirtendo che il Signor Jacomo ha ottenuto un privilegio da Sua San- tità che altri che Febo Bonnà ferrarese non possa far stampare o stam- pato vendere per tutto lo stato ecc. il poema e rime del Tasso: e desiderandosi aver quanto prima l'espedizione e licenza, che deve na- scere dal Maestro del Sacro Palazzo, che tanto più si crede che dovrebbe aversi presto, quanto che il medesimo libro si dice essere già stato approvato dalli Inquisitori di Venezia, Ferrara e Parma, pregherete Sua Eccellenza a voler anco favorire con l'autorità sua la suddetta espe- dizione, e voi ancora ne farete ufficio con esso Maestro di Sacro Palazzo per mia parte, della maniera che vi parerà piìi a proposito. E il Signor Dio vi conservi. Di Ferrara, alli 18 di Maggio 1581. (1) Nello stesso codice v'è un'altra lettera di Francesco Balestrieri, detto II Rin- novato, principe di questa accademia degli Innominati, e pure diretta all'Ariosto, che termina così: « la preghiamo a fare al Signor Cavalier Guarini ed al Signor « Tasso i baciamani e fare in nome nostro quali essi li raertano, cioè caldissimi el « affettuosissinii « Di Parma il dì XX d'Aprile MDLXXXl. » CXLIX. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; .Letterati. È una minuta. — 158 — CL. Alberto Lavezzola a Biomede Borghesi. — Mantova. Il libro del Tasso, in quarto ed in ottavo (1) stampato, è stato inviato a Verona. Comincia egli qui a perdere della primiera fama e riputa- zione; e, per usar una conveniente traslazione, sopra una lenta testug- gine cerca di aggiungere l'Ariosto, die sopra un valentissimo barbaro corre. L'ho detto, e m'offero sempre renderne la ragione, non per male- volenza, ch'io amo tutti i virtuosi, ma per vero dire. Perchè né la favola, se ben è fatta d'una sola azione, è convenevolmente tessuta e disposta, ne le persone introdotte osservano il decoro, ne le peripezie e conoscimenti sono fatti secondo l'arte, né le forme del dire hanno del grave e dell'eroico, i versi sono scabrosi, le figure affettate, e le rime tolte a pigione e mal collocate, ed in fine l'ordine e tessitura del dire tutta perturbata e confusa. Nel verso era migliore il padre: si leg- gono di lui molte stanze delicate jìqW Amadigi. Egli è vero che tal uomo era privo d'invenzione: che pure il figliuolo trova cose, e finge di suo cervello. Fu nella nostra Accademia recitata il primo giorno di Maggio una comedia pastorale di esso Torquato Tasso (2) da alcuni giovinetti nostri, i quali non fecero parola di recitarla; se non che all'improvviso dopo desinare invitarono gli Accademici con alcuni versi recitati da un pa- store, a ridursi all'ombra de' lauri vicini, e giunti quivi, airimprovviso tra que' boschi vi si scoperse una scena pastorale, ove con nostro gran piacere fu recitata essa favola. Se il Tassa questo sapesse, potrebbe grandemente rallegrarsene ; poiché in luogo così onorato fosse stato rap- presentato un suo poema, con tutto che fosse (per formar anch' io, come avete fatto voi, un nuovo vocabolo) componimento Tassesco. Di Verona il 23 Maggio 1581. OLI. Febo Bonnà a Marcello Bonati. — Mantova. Io parto per Venezia a far, s'io potrò, stampare il Poema del Signor Tasso, in sei od otto dì, a ciò necessitandomi il voler io godere il be- CL. — Tasso T., Opere; voi. XXIII, p. 90. (1) La Gerusalemme Liberata uscì più volte nel 1581, in-4''; ma non se ne co- nosce alcuna edizione dello stesso anno in-S". Forse per questo formato si prese l'edizione in-12'' stampata in Parma dal Viotti pure in quell'anno. (2) Di questa recita àeWAminta non fa menzione il Serassi. GLI. — Archivio Gonzaga. — Ferrazzi, Op. cit; p. 471. — 151» — iieficio di quel privilegio, che m'ha fatto quella Illustrissima Signoria (1 ). Di casa, all'ultimo di Maggio l'.si. OLII. Celio 3Ialaspma a Giovanni JJonato. Senator veneto. [Dedicatori a \. Se l'anno prossimo passato, pervenutomi, per mia buona ventura, alle mani la maggior ]iarte del dottissimo, anzi maravigliosissimo poema, intitolato il Goffredo del Signor Torquato Tasso, io sotto il favore e la protezione di Vostra Signoria Clarissima, a piacere ed a benefizio del mondo, e massime de' virtuosi, lietamente la pubblicai, debito della di- votissima servitù mia verso di lei e degli infiniti obblighi che le ho, ora veramente è, ch'avendo io con molta mia fatica procurato averlo, ed avutolo tutto intiero, tanto più pronto ed allegramente pur lo pubblichi. Di Venezia, alli 28 di Giugno 1581. (JLIII. Giulio Mosti a Marcello Donati. — Mantova. 11 non aver prima che ora mandato a Vostra Signoria l'inclusa po- lizza che le scrive il Signor Tasso, ha causato l'aspettar l'andata di un nostro dottore a Mantova, perchè le faccia aver buon recapito sì come ne son stimolato ogni giorno dal detto Signor Tasso, al quale ho già detto un par di volte avergliela inviata (1); e poi più che più il non saper che Vostra Signoria sia in Mantova, perchè me ne chiarisse il non sentir dal nostro Signor Curzio risposta d'un mio grosso plico che le inviai quindici giorni sono per mezzo d'amico sicuro, ma, come dico, puole avvenire che non siano in città. Avrò caro che Vostra Signoria faccia avvisato detto Tasso d'aver rice- vuta la lettera sua per mio mezzo ed avrò anco carissimo che le mandi il libro suo, che certo egli lo desidera molto, che tanto mi prega a scri- verle. Intanto ella si godrà questi due sonetti fatti da lui nuovamente e ne farà parte al Signor Curzio, salutandolo molto in mio nome, ed a Vo- stra Signoria resto servitore al solito, dicendole che iersera avemmo qua (1) Il privilegio fu pubblicato dal Rossi, B. Guarirli e il Postar Fido, Torino, 1886, a p. 63; ed è da me riprodotto nel primo volume, fra i documenti. CLII. — Tasso T., Il Goffredo, etc. ; in Venetia, appresso Grazioso Perchacino, MDLXXXI; in-4''. Cfr. Serassi, Op. cit; p. 379 e Guidi, Op. cit; p. 3-4. CLIII. — Archivio Gonzaga; Ferrara; E. XXXI. (1) Questa lettera del Tasso è ignota. — 160 — il Cardinale Gambara, e che poi abbiamo la nostra Eccellentissima Duchessa d'Urbino gravemente ammalata, e par che li medici già ne dubitano Di Ferrara a kal. di Luglio 1581. La prego anco quanto più posso a far opera che '1 Tasso abbia quei pochi danari da quel suo debitore. CLIV. Febo Bonnà ad Alfonso li Buca di Ferrara. [Bedicaioria']. La bellezza non isdegna gli ornamenti , anzi suole avvenire alcuna volta che essi sono le parti più riguardevoli di lei. Gieriisaìemme Liberata, Poema Eroico del Signor Torquato Tasso, è, come Vostra Al- tezza Serenissima intende ottimamente, in sommo grado di bellezza e di bontà ; con tutto ciò essendo egli stato venduto alla stampa difettuoso da ogni parte in sé stesso, e spogliato a fatto di quell'onore che poteva accrescere le vaghezze e l'eccellenze sue, e per conseguente non rispon- dendo a quella grande opinione, che Italia tutta avea conceputo delle singolari qualità di esso, quasi muto e senza alcun pregio se ne resta nel teatro del mondo. Ora io, che con mio gran dispiacere mi sono ac- corto quanto d'ingiuria e di danno abbia indegnamente ricevuto questo nobil componimento, avrei avuto per fermo di dovere esser con ragione gravemente ripreso e biasimato, se io non avessi procurato, essendomene prestata larga commodità , di restituirlo nel vero esser suo e di fre- giarlo del suo più nobile ornamento. E pèrche prima si fugge la ca- gione del biasimo, che si pervenga a merito alcuno di lode, ecco, Sere- nissimo Principe, che io, per fuggir questo, ho con le più fedeli scritture del Signor Tasso ridotto il suo Poema in quella miglior forma, nella quale è stato ultimamente lasciato da lui, e tale a confusione dell'altrui malignità ed arroganza rimandandolo a luce, gli ho segnata la fronte del glorioso nome di Vostra Altezza Serenissima, il quale gli ho ritro- vato saldamente scolpito nel cuore, e al quale io l'ho veduto dedicato e consecrato. Però Vostra Altezza si degni di riceverlo in dono da me per nome del Signor Torquato, e di conoscere in me solamente tanto di buon volere, quanto io, senza che altro affetto, che '1 detto, mi muova, ho con questo effetto renduto il Signor Tasso al suo onore, e l'onore al Poema, ed il Poema a Vostra Altezza Serenissima, sotto la cui prote- CLIV. — Tasso T., Gerusalemme Liberata. lu Ferrara, 1581, per Vittorio Bal- dini; in-4». — Tasso T., Op. cit. In Ferrara, 1581, appresso gli eredi di Francesco de Eossi; in 4°. Cfr. Serassi, Op. cit; voi. II, p, 380 e Glidi, Op. cit.; p. 4 5. — IGl — zione egli rimaneiulo per sempre, renderà ceiiissima testimonianza del valore e della magnanimità di essa, e della devozione dell'Autor suo verso di lei. Ed a Vostra Altezza, la quale io tanto desidero die mi faccia degno di servirla , quanto ella ha sopra ciascun altro autorità di comandarmi, fo con questo fine riverenza ed umilmente le bacio le ginocchia. Di Ferrara il dì 2<) di Lucrlio 1581. CLV. Febo lìonnà a Lettori. • [Pre fazione \. Come che io avessi meco stesso deliberato di non consentire, per quanto fosse in mio potere, che la Gerusalemme Liberata del Signor Torquato Tasso passasse non pur di penna in penna per l'altrui mano, ma che né anco fosse conceduto di leggerla a' pochi di que' molti, che di vederla desideravano, affine che (se a Dio piacciuto fosse) il Signor Tasso medesimo avesse potuto mandarla fuori ampiata e arricchita, come era intendimento di lui, e come si deve aver per fermo, che egli avrebbe saputo fare: il veder io nondimeno, che questo mirabile com- ponimento è stato ne' mesi passati stampato assai difettuoso a Parma, e poi co' medesimi difetti ristampato a Casalraaggiore (benché né l'una, né l'altra di queste edizioni, né in tutto, né in parte sia così scorretta, né così manchevole come la prima di Venezia) m'ha fatto mutar sentenza; perocché la stretta amicizia che io ho tenuta e tengo col Signor Tasso, mi ha dato a conoscere che io molto più son tenuto di servire alla ri- putazione di lui, che di compiacere a me stesso. Mandovi adunque in- nanzi, 0 virtuosi Lettori, la bramata Gerusalemme, la quale non sola- mente porta con seco quel più, che mancava nel Goffredo, il tutto senza comparazione, più corretto; ma vi si mostra con l'Allegoria del proprio Autore, e accresciuta d'argomento e di stanze, e abbellita di voci e di locuzioni. Ora se non che io avviso, che le differenze di questa mia presente edizione nel corso tutto dell'opera per sé sole bastino a mani- festarsi e a mostrar che l'originale, ond'io l'ho tratto, sia quello a punto, che questo eccellentissimo Poeta ultimamente ricorresse ed emendò, direi, che particolarmente nel sesto canto, nel duodecimo e ne' seguenti lo giudicaste; ma perciocché queste differenze non sono così picciole, ch'assai grandi non appariscano, ed io tanto giudico accorto ed inten- CLV. — Tasso T., Gerusalemme Liberata. In Ferrara, 1581, per Vittorio Bal- dini; in-4''. — Tasso T., Op. cit.; In Ferrara, 1581, appresso gli eredi di Francesco de Rossi; in-4°. C'fr. Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 380 e Guidi, Op. cit.; j). 4-5. SoLBBTi, La cito di T. Tasso, II. 11 — 162 — dente chiunque di legger questo Poema ha in animo, che benché mi- nime fossero, tuttavia conosciute sarebbono; basterammi d'aver solo ac- cennato questo. E perchè io stimo, che da voi questo mio effetto sarà giudicato buono e lodevole, lascio che qualunque sia stato quello, di chi altramente ha in ciò operato, sia da voi conosciuto. Intanto godetevi questo felicissimo parto, non istroppiato e imbastardito, ma legittimo ed intero; che io m'apparecchio per servire al Signor Tasso di pubblicar fra pochi dì un suo Canzoniere con gli Argomenti, altramente copioso e corretto, che non è quello che avete avuto da Venezia, e vivete felici (1). [1581]. CLYI. Orazio Urbani a Belisario Vinta. — Firenze. Il Tasso mi ha mandato la polizza che Vostra Signoria vedrà, per la quale in sostanza mi dice desiderare che, in conformità del suo pri- vilegio, si possa vendere nelli stati felicissimi del serenissimo nostro Signore il poema eroico composto da lui , e stampato qui in Ferrara, con proibire gli altri stampati altrove, pure in conformità di detto pri- vilegio, il quale per maggior giustificazione mi ha mandato con detta polizza, e parimente sarà allegato con questa. Vostra Signoria deve aver memoria come questo signor Febo Bonnà, che ha fatto stampare il libro, supplicò alli mesi passati a Sua Altezza Serenissima d'averne il privi- legio, che ragionevolmente se li negò, allegando di non volersi centra fare a quello che già si era concesso al Tasso ; e perciò ora ha ottenuto da lui la volontà sua, in conformità della clausola del privilegio, che dice : Ne quis possit venundare, sine tuo iussu et voluntate. Vostra Signoria con la resoluzione potrà rimandarmi indietro il privilegio ; che così ho promesso. E baciandole le mani, prego il Signore Dio per ogni sua prosperità. Di Ferrara lì 24 di Luglio 1581. CLVII. Giuseppe Iseo a Più tardi di quello eh' io desiderava, e Vostra Signoria per avventura aspettava, le giunge il presente picciol discorso fatto da me per dimo- stramento d'alcuni luoghi da Messer Torquato Tasso nel suo poema in (1) L'edizione delle rime clie il Bonnà preparava è quella di Ferrara, Baldini, 1587, della quale riporto la dedicatoria al n.° 160. CLVI. — E. Archivio di Stato di Firenze; Eiformagioni; filza 22. Agenti del Granduca a Ferrara. — Tasso T., Lettere cit. ; voi. II, p. 133. CLVII. — Discorso di Giuseppe Iseo sopra il poema di Torquato Tasso per dimostrazione d'alcuni luoghi in diversi autori da lui felicemente emulati. In Cesena, — 103 — diversi autori o ^'reci, o latini, o toscani felicemente imitati, ovvero emulati. Ne, perchè così tardi le giunga, le dovrà per tutto ciò in al- cuna parte meno esser caro, s'ella vorrà riguardare alle varie solleci- tudini mie, nel corso delle quali è stato veramente mille volte da me tralasciato, e mille volte ripreso; ed anco s'ella riguarderà l'infinita affezione verso lei, con la quale ora da me finalmente accommiatandolo l'accompagno, ed a lei, qual egli si sia, confidentemente l'invi©. Ben mi credo. Signor mio, ch'io non avrò con questa hrieve fatica ufficio in tutto noioso o vano verso coloro operato, che hanno di così fatti studi vaghezza, se oltre le maravigliose altre parti che scorgeranno per entro il poema d'invenzione, d'elocuzione, di purità di lingua, d'altezza di stile, e di sentenze qua e là da diverse scienze sparse in esso, quasi tanti splendori ne' lucidi sereni del cielo, io avrò posto loro avanti agli occhi e quasi in paragone ancor la felicità del Tasso nell'imitare, ov- vero emulare i valenti scrittori ne' luoghi eh' a lui è venuto bene di scegliere, e la varia lezione ov'esso dimostra d'aver la bellezza del suo intelletto impiegata. Il che ho ancora fatto più volentieri , perciocché io so il medesimo essere stato in altri poeti mostrato per loda loro, e particolarmente nell'Ariosto da molti, ed in Virgilio da Eustazio e da Furio Albino presso Macrobio; se bene non m'argomento io già d'aver tutti i luoghi notati, non solo perciocché n'ho alcuni a bello studio sfuggiti per accorciar la lunghezza al mio ragionare, ma perchè può esser molto bene, che anco molti ne sieno fuggiti dall'avvedimento mio; sendo io distratto in molti fastidi, che per cagione delle giurisdizioni mie, com'ella sa, da molto tempo in qua fan la mia vita angosciosa; ed essendo rivolto con l'intelletto a quella sorte di studi e di libri, la quale non che s"adordini a queste lettere piacevoli, ond'io ne possa tut- tavia rinfrescar la memoria, ma di mente mi toglie quel tanto o quanto n'è stato da me veduto ed in altri tempi apparato. Io nondimeno sol di tanto m' appagherò , contentandomi d' aver altrui per avventura col mio esempio eccitato, e data a divedere, almeno con questo piccolo esterno segnale, la mia grande interna divozione verso il valor del Tasso, e servito anche in parte a Vostra Signoria, a compiacimento della quale principalmente nelle ore ardenti di questa stagione, a più faticose e più severe speculazioni togliendola, ho in questa guisa ragionato; ciò ri- chiedendo da me le nobilissime qualità sue, e quella osservanza ch'alia molta sua virtù debbo. E col fine di questa a Vostra Signoria bacio le mani, e me le raccomando in grazia. Da Cesena, a dì XXIV Luglio MDLXXXI. 1646; in-fol. — Tasso T., Opere; voi. XXIII, p. 26:3 sgg. - Galilici G., Opere; Firenze, 1856; voi. XV, p. 202 sgg. Io ho seguito quest'ultima lezione. — 164 CANTO PKIMO In questo canto, Stanza 3, di prima vista s'offerisce a Vostra Signoria quella comparazione bellissima: « Così all'egro fanciul ...» tratta da Lucrezio nel principio del IV: « Nam velati pueris .... » Seguono que' versi della stanza 73: < Intanto il Sol che de' celesti campi » ecc. dove Vostra Signoria vede mirabilmente imitato , ed oserò dire superato Virgilio là nel VII, che più ristrettamente spiegò questo concetto: « seraque fulgent Sole lacessita, et lucem sub nubila iactant. » CANTO SECONDO. — Stanza 61. « Cominciò poscia: e di sua bocca uscieno Più che mei dolci d'eloquenza i fiumi » ecc. Sono più magnificamente spiegati che quel d'Omero, che favellando dell'eloquenza di Nestore nel primo deW Iliade, dice: ToO Koì ÒTTO 'fX6jaar[c, ecc. Cujus et a lingua melle dulcior fluebat sermo. Vegga finalmente Vostra Signoria nella penultima stanza di questo canto, bellissima emulazione di Torquato con l'Ariosto intorno a un luogo di Virgilio, che nella fin del IV dell'opera divina descrive la notte così: « Nox erat, et placidum carpebant fessa soporem Corpora ...» L'Ariosto nell'ottavo, l'imita : « Già in ogni parte gli animanti lassi Davan riposo ai travagliati spirti » ecc. Torquato per poco traduce: < Era la notte allor ch'alto riposo Han l'onde e i venti, e parca muto il mondo » ecc. — 165 — CANTO TERZO. — Stanze 75 e 7(5. Troverà Vostra Signoria presso Ennio nel VI questa descrizione: « Incedunt arbusta per alta, securìbus caedunt » ecc. la quale descrizione trasportata nel VI e nell'XI dell'opera divina, si vede fatta migliore e più eroica senza paragone da Virgilio, in quella guisa ch'esser si veggono resi migliori i dettati del discepolo dal suo maestro. Nel VI lia così: < Itur in antiquam sylvam, stabula alta feraruni, Procunibunt . . . •> Ora è da udire l'emulo di Virgilio in quelle due stanze: < Caggion recise da taglienti ferri > ecc. CANTO QUARTO 11 Concilio de' Dimonì proseguito qui in diciotto o venti stanze, è stato preso dal I della Cristiade di Monsignor Girolamo Vida; ma è stato in maniera adornato ed ingrandito dal Tasso, che secondo me non errerebbe gran fatto chi dicesse che il Vida sia stato lungamente su- perato; perciocché ed è dipinto con maggior eloquenza e con maggior avvedimento ed arte la diceria del Diavolo ai partigiani suoi: e per darne alcuna ragione, ancorch'io nel presente ragionamento non intenda di fare il critico, nessuna cosa fu manco degna della superbia del Dia- volo, che l'attribuirgli parole, ond'ei confessi in faccia dei suoi il ca- dimento suo dal Cielo seguito da Dio, in que' versi: < Quos olim bue superi mecum inclementia Regis ^Etbere dejectos flagranti fulmine adegit. » Fu maggior arte recar la cagione di quella caduta nella sorte, nel caso, 0 in che altro, come qui, stanza 9: « Che meco già dai più felici regni Spinse il gran caso in questa orribii cbiostra. » E più oltre, nella stanza 15: « Ebbero i più felici allor vittoria » 0, secondo il testo migliore: « Diede che che si fosse a lui vittoria. » — 166 — Perciocché era uffizio del Diavolo in questa concione, volendo per- suadere ai suoi che di nuovo imprendesser contesa con Dio, d'attenuar con parole e render picciola la potenza di Sua Divina Maestà, quanto possibil fosse: il che si fa particolarmente, attribuendo le vittorie avute da lui ad altro che alla sua virtù. Poi Vostra Signoria vede vaghissimamente attenuata la condizione delli uomini ed ischernita in que' versi della stanza 10: « Ne' bei seggi celesti ha l'uoin chiamato, L'uom vile, e di vii fango in terra nato. » Semplicemente ed asciuttamente il Vida: « In parteraque homini nostri data regia coeli est. » Ed umil comparazione è quella, in rispetto al tumulto de' Dimonì che intendea di spiegare: < Non tam olim densa sublimes nube per auras Florilegae glomerantur apes ...» Torquato sempre cose più grandi, stanza 18: < Già se n'uscian da la profonda notte, Come sonanti e torbide procelle » ecc. Io non trascriverò l'uno e l'altro concilio, per essere lunghissimo in amendue gli autori, e potendo facilmente vedersi nell'uno e nell'altro. In questo Canto altri potrà far comparazione tra la descrizione delle bellezze e de' costumi d'Armida qui fatta dal Tasso, e quella d'Alcina e d'Olimpia fatta dall'Ariosto. CANTO QUINTO. — Stanza 19. Le parole di Gernando contro Rinaldo sono prese dal terzodecimo delle Mutazioni d'Ovidio in persona d'Ajace contro Ulisse; solo che questi suggerisce forza alle sue ragioni dalla nobiltà sua principalmente : « Teco giostra Rinaldo? or quanto vale Quel suo numero van d'antichi eroi ! » ecc. CANTO NONO. — Stanza 46. Segue la comparazione del Po corrente in mare, latinamente descritta da M. Girolamo Vida nel I della Cristiade così: « Pinifero veluti Vesuli de vertice primam It Padus esiguo sulcans sata pinguia rivo » ecc. — 107 — Dall'Ariosto nel XXXVII, così: « Come il gran fiume che di Vesulo esce, Quanto più innanzi e verso il mar discende, E con lui Lambro ed il Ticin si mesce, Ed Adda o gli altri, onde tributo prende, Tanto più altero e impetuoso cresce » ecc. Dal Tasso qui per avventura con stilo più grande: « Così scendendo dal natio suo monte Non empie umile il Po l'angusta sponda, Ma sempre qui, quant'è più lunge al fonte, Di nuove forze insuperbito abbonda » ecc. Valichiamo alla comparazione del cavallo sciolto, la quale sarà da Vostra Signoria veduta nel VI àe\V Iliade in quei versi: 'Qc, W ore t:? ecc. Veluti cum qui diu stetit equus hordeo pastus ecc. Ennio non fu molto più felice d'Omero in que' versi : € Et tura sicut equus, qui de praesepibus actus Vincla suis magnis animis abrumpit, et inde Fert sese campi per cterula laetaque prata, Celso pectore, sicpe jubam quassat simul altam, Spiritns ex anima calida spuraas agit albas. » Ma l'emendatore di quanti furono avanti di lui diede a questa compa- razione forza e quasi anima nell'undecimo, parlando di Turno: « Qualis ubi abruptis fugìt praesepia vinclis » ecc. Torquato in niuna parte inferiore a Virgilio, ma superiore in ciò ch'egli alla sua descrizione accresce ornamento dal suon del corso, e dalle stalle regali sciogliendolo, più espressivamente palesa la nobiltà del destriero, là dove nella stanza 75 così descrive Argillano: « Come destrier che dalle regie stalle » ecc. CANTO DUODECIMO Vedrà Vostra Signoria parimente in questo Canto trasportati con giu- dizio e con vaghezza mirabile molti luoghi del divin Virgilio, in modo che ad altrui si fa malagevole a scernere in qual de' due poemi steano meglio ; e uno di tali luoghi è il ragionamento di Clorinda con Argante imitato da quello di Xiso con Eurialo. 168 — CANTO DECIMOTERZO Ho solo da ricordar qui a Vostra Signoria che il concetto spiegato in questo Canto vagamente da Messer Torquato di quelle piante recise, da cui poscia uscivano voci e gemiti umani, fu prima di Virgilio nel III dell'opra divina, e poi di Dante nel XIII deW Inferno, ed ultimamente dall'Ariosto nel VI; i quali luoghi addito, perciocch'Ella, volendo, possa vedere bellissima emulazione tra quattro divini poeti nello spiegamento d'una stessa favola. Nella descrizione di quella arsura ha preso alcuna cosa da quella d'Ovidio nel II delle Mutazioni, e di Stazio nel VI della Tébaide. Vostra Signoria potrà vederle. CANTO DECIMOQUINTO In questo Canto Vostra Signoria vedrà una mirabilmente descritta navigazione ; e come che Messer Torquato in tutto il poema sia felicis- simo, e' si vede però in questo e nel seguente Canto più apertamente l'incomparabile elocuzione, e la grandezza del suo stile. S'offerisce di prima vista quella comparazione vaghissimamente spiegata nella stanza V: « Così piuma talor, che di gentile Amorosa colomba il colle cinge » ecc. ove si vede ammollita la ruvidezza di Lucrezio nel II: e Piuma columbarum prò parte in sole videtur » ecc. Quel verso appresso della stanza 23: « La fama, c'ha mille occhi e mille penne » allude a quel di Virgilio nel IV àeW Eneide: « cui quot sunt corpore plumse, Tot vigiles oculi subter ...» Dopo la quale stanza ne seguivano tre, e nell'ultima d'esse v'avea due versi : « Ed ecco di lontano oscuri i colli Scopron dell'umil terra peregrina. » tratti dal III deW Eneide: « Cum procul obscuros coUes, humilemque videmus Italiam ...» — 169 — Or quel luogo è mutato. Seguo la descrizione di quel: € E mostrarsi talor così fumanto Come quel che d'Encelado è sul dosso » ecc. Intende del monte Etna; ed ha voluto seguire la descrizione di Pindaro con tanta lode tolta al Cielo da Favorino ed Eustazio: Tàc, fleÙToviai |u^v il qual luogo di Pindaro in più conosciuto idioma traducesi così: < Cujus ex penetralibus Aethna; montis eructantur inaccessi ignis purissimi fontes, fluviique, interdi a effundunt vorticem fumi ardentein, sed noctu rutila flannna vo- latata, saxa in profandam defert maris planitiem cum vehenienti strepitu. » Ma è anco in ciò Torquato più avveduto dì Pindaro, che soprappone Etna ad Encelado, e non a Tifeo: i Quando mi gioverà narrare altrui Le novità vedute, e dire: lo fui. » Nell'ultime parole di questi due versi della stanza 38, si vede espresso un modo di dire di Dante nel Canto XVI ^q\\ Inferno: « Però se campi d'esti luoghi bui, E torni a riveder le belle stelle, Quando ti gioverà dicere: Io fui; Fa che di noi alla gente favelle. » Il che non essendo stato avvertito, in alcune edizioni della Gerusalemme si legge: e Le novità vedute, e dove io fui. » Ma per tutto questo poema assai chiaro appare che Torquato è molto studioso di Dante, e che non solo non have a schivo alcuni modi di dire, ed alcune locuzioni di lui ; ma si è presa vaghezza di trasportarne gran numero in quest'opera, come quel del XIV Canto: « Ambo le labbra per furor si morse > eh' è verso di Dante nel XXXIII ììéiV Inferno, mutandone sol due voci. E quell'altro del Canto X: « ove non è che luca. > ch'è la fine del IV A%\V Inferno. E quel del Canto XIV: « Dall'antica notizia il mio intelletto Sviato ha sì, che tardi a lui ritorno » — 170 — che è medesimamente di Dante. E quello del Canto XIX: < Ben (lessa io son, ben dessa io son, riguarda; » che è del XXX del Purgatorio: « Guardami ben; ben son, ben son Beatrice. * E mill'altri modi di dire così fatti ha Torquato dalla Commedia di Dante in questo suo poema recato. E di vero, se non solo non è dato a biasimo a Virgilio che abbia presa licenza d'imitare alcuni vizj d'Omero, ma ciò è anzi a lui in certo modo ascritto a loda ; sarà forse da incolpare alcuno, che prenda vaghezza d'imitare alcune locuzioni e modi di dire di Dante, poeta altresì gravissimo, i quali non che siano viziosi, ma serbano in sé leggiadria ed acutezza ? Stanza 42: « Luogo è in una dell'erme assai riposto » ecc. In questa stanza si vede tradotta la descrizione del porto di Virgilio nel I: . « Est in secessu longo locus, insula portum Efficit .... » ed è da riconoscer Torquato felicemente ardito nell'uso di alcune voci. Esso aveva letto appo Virgilio nel III: Turriti scopuli, e nell'VIII: Turritis puppihus, per la somiglianza che rendean di se quegli scogli e quelle navi, e però non ischivò l'usar qui la voce torreggiante ^ e recarla per aggiunto alle rupi ad imitazion di Virgilio, e nel canto seguente alle navi parimente, in quel verso della stanza 5 : « Co' legni torreggianti ad incontrarsi. » La qual voce è molto propria e significante; e come che paia nuova, fu molto prima formata da Dante nel XXXI di^W Inferno : « Però che come in su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona » Siegue Torquato nella stanza 43: « Tacciono sotto i mar securi in pace » ecc. togliendo dal medesimo luogo di Virgilio: < quorum sub vertice late Acquerà tuta sileni » Se Vostra Signoria paragonerà la descrizione di Torquato che s'attiene al dio de' poeti, con la descrizione del porto d'Omero nel principio del XIII dell' Ulissea, vedrà quella di Torquato di gran lunga migliore. Io — 171 — non trascrivo l'altra qui per la molta sua lunghezza; nondimeno ho voluto additarla. Tra la stanza 44, pur del Canto XV, che comincia: « Nò come altrove vuol, ghiacci ed ardori » e quella che comincia: « Quivi di cibi preziosa e cara » secondo gli stampati cadono tre stanze, e secondo un'altra lezione, ch'ho io da un testo scritto, che è molto diverso in molti luoghi dallo stam- pato, ve ne cadono diece; e tra esse una ve n'ha, in cui descrivendosi la pugna d'un mostro si leggon questi versi: « Contro gli armati due sol con sì fatte Difese uscia, né l'orme in terra imprime, E correria sopra le spiche, intatte Lasciando in lor le tremolanti cime; E porteria per mezzo il mar le ratte Piante sull'onda tumida e sublime, Senza punto bagnarle .... » Già per l'apposizione di due iperboli vien superato Apollonio nella ce- lerità di Polifemo nel primo delVArgonautica: Keivot; àvrip -ttóvtgv è-rrì ecc. lUe vir et Ponti in cairulei currebat Fluctu, neqùe ccleres tingebat pedes, sed quasi summis Vestigiis hiurons iluxili ferebatur vite. Udiamo Omero e Virgilio; Omero nel XX deW Iliade: Ai b' ore laèv OKiprtùev ecc. « IsttP autem quando saltabant in fertili agro » ecc. Virgilio nel VII, con la solita divinità: « Illa vel intactic segetis per surama volaret » ecc. Così fatta celerità di corpo fu prima attribuita a quell'Ificlo creduto (come racconta l'interprete d'Apollonio) figlio di Filaco e di Cimene, il quale Esiodo ci cantò essere stato di tanta destrezza e velocità di piedi,* che corresse sopra le spiche del grano senza piegarle. Ed ancor sopra l'onde del mare, dice Demarato. E del medesimo Ificlo fa menzione anco Apollonio nel primo deW Argonautica. Ai quali luoghi avrà, com'io credo, insieme con Virgilio avuto l'occhio Torquato. CANTO DECIMOSESTO Stanza 2: « Le porte qui d'effigiato argento Sui cardini stridean di luci d'oro — 172 - dal II delle Mutazioìii d'Ovidio: « Argenti bifores radiabant lumine valvK, Materiam superabat opus » Ora Vostra Signoria vedrà una felicissima contesa di Torquato col divin Virgilio, il quale descrivendo lo scudo fabbricato da Vulcano ad Enea a preghiera di Venere, intesse questi versi nell' Vili del poema divino : « Hsec inter tumidi late maris » sino a « Neptunia caede rubescunt. » Oda Vostra Signoria in due stanze di Torquato (che sono la 4 e la 5) senz'alcun fallo adeguata la maestà virgiliana: « D'incontro è un mare, e di canuto flutto » ecc. dove vaghissima interposizione è quella del Tasso: « Ecco, né punto ancor la pugna inchina, Ecco fuggir la barbara reina. » La stanza 7 che comincia: « Nelle làtèbre poi del Nilo accolto » ecc. riguarda a que' versi di Virgilio ivi più basso: <■- Contra autem magno moerentem corpore Nilum » con due altri versi. La comparazione della vita umana presa dal Tasso nelle stanze 14 e 15, fu prima da Virgilio presa in quel suo epigramma: « Ver erat, et blando mordentia frigora sensu » ma forse qui più vagamente dispiegata dal Tasso a chi vorrà senza animosità giudicare, il quale finisce appunto co' versi di Virgilio in quel luogo : < Collige, virgo, rosas dura flos novus, et nova pubes. Et raemor esto ?evum sic properare tuum. > « Cogliam la rosa in sul mattino adorno Di questo di, cbe tosto il seren perde; Cogliam la rosa .... » Potrà Vostra Signoria osservare, che lo star di Kinaldo nelle delizie e lascivie con Armida fu concetto dell'Ariosto nel VII Canto, dove de- scrive la dimora lasciva di Euggiero con Alcina, e prima fu di Virgilio nel III , ond' altri potrà prender diletto in paragonando i luoghi. Ed in — 173 — que' versi della stanza 40, dove Armida rimprovera l'ingratitudine a Kinaldo : « Lasciarsi córre il virginal suo fiore » imita Didone nel IV: « te pronte euuJem Extinctus pudor, et, qua sola sederà adibaiii, Fama prior .... » se non che più brevemente Didone: ma Armida avea facoltà di ampli- ficare, come fece, il suo rammarico e l'ingratitudine di Kinaldo, dalla verginitade a lui donata, e dall'essere da lei stato compiaciuto degli amorosi abbracciari ne' cominciamenti dell'amore, rifiutati tutti gli altri più antichi amatori; né si parrà forse men vagamente spiegato questo lamento d'Armida, che quel di Didone, a chi bene paragonerà l'un con l'altro, ecc. Segue Torquato, nella stanza 57, traducendo i soprapposti prossimi versi di Virgilio: € Che dissimulo io più ? l'uomo spietato Pur un segno non dio di mente umana » ecc. poi segue con ironia beffandolo, nella stanza appresso: « S'offre per mio, poi fugge, e m'abbandona » ecc. alla guisa di Didoae, la quale parimente con ironia: « nunc augur Apollo, nunc Lycife sortes. ...» Bellissima è poi imprecazione d'Annida intrapposta dal Tasso: « 0 Cielo, 0 Dei, perdio soffrir questi empj, Fulminar poi le torri e i sacri tempj ? » il qual concetto mostra che sia preso da Aristofane nelle Nuli: « Sì, Jupiter, fulmine perjuros petis » ecc. e in questo medesimo senso si leggono que' versi di Lucrezio nel VI : € Quod si Jupiter, atque alii fulgentia Divi Terrifico quatiunt sonitu ceelestia tempia, Et jaciunt ignes, quo cnique est cumque voluntas Cur, quibus incautum scelura » Seguita poi Torquato nella stanza 59: « Vattene pur, crudel, con quella pace » ecc. — 174 — come Didone nel IV: « Sequere Italiara ventls .... » Né con minor compassione è descritto, nella stanza 60, il tramorti- mento d'Armida, che quel di Didone: e Vircfilio; « Or qui mancò lo spirto ...» « His medium dictis ...» CANTO DECIMOSETTIMO « Musa, quale stagion, qual ivi fosse Stato di cose ...» Invocazione non meno eroicamente spiegata qui nella stanza 3, che da Virgilio nel VII: « Nane age qui reges ...» Ha anco accennato il Tasso a quegli altri del medesimo libro: « Pandite nunc Helicona, Dese ...» CANTO DECIMOTTAVO « Poiché le dimostranze oneste e care » ecc. È quasi il principio del VII del Purgatorio. Il Bembo introduce l'Eremita nel III degli Asolani a ragionar così con Lavinello: Dove tu al fosco lume di due occhi già pieni di morte qua giù, t'invaghì, che si può estimar che tu agli splendor di quelle eterne hellezze facessi^ così vere, così pure, così gentili ? A questo luogo mirando il Tasso, si è qui di questo concetto servito nella stanza 13, e con sì gentil maniera l'ha accomodato, che appena si comprendono i vestigi dell'imitazione: « Fra se stesso pensava: oh quante belle » ecc. ed assai aperto si vede, che Torquato ha mirato anco a quel luogo del Petrarca, e l'ha voluto qui ritenere: « Or li solleva a più beata speme, Mirando il Ciel . . . >: I — 175 — E in quella comparazione nella stanza ^2: « Qual gran sasso talor, clie o hi vecchiezza Solve da un monte . . . > volle gareggiare con (luellu di Stazio: •i Sic ubi nimbiferum inontis latus, aut nova venti Solvit hycms, aut vieta situ non pertalit ictas, Desilit horrendus ...» CANTO VENTESIMO La comparazione delle iGfru, che Vostra Signoria vede presa nella se- conda stanza di questo Canto, tanto è frequente, ch'io posso metterla avanti a Vostra Signoria spiegata da sei autori prima del Tasso. Udiamo Omero avanti agli altri nel principio del III deir/?«a(7e; Tpòec, |uèv KXcY'ffì» ecc. < Troes quidem clangore » ecc. Oppiano nel 1° della Pescagione: ^Qc, ^' 6t' dir' AiBiÓTTUJv, ecc. Sicut autein cura ab .Ethiopibus fluentis altivolans gruura ccetus incedit in aere clamantium Atlantis album gelu et hyeraem fugentium ecc. Virgilio ; quales sub nubibus atris StrymoniiE dant signa grues, atque acthera tranant Cum sonitu, fugiuutque Notos clamore secundo » ecc. Stazio nel V della Tehaide: « Qualis trans Pontum Phariis defensa serenis Kauca Paretonio decedunt agniina Nilo, Cum fera ponit hyems: ili» clangore fugaci » ecc. Dante nel V àéìVInfertio: « E come gli stornei ne portan l'ali Nel freddo tempo a schiera larga, e piena » ecc. (1). (1) L'autore, de' sei poeti che prima del Tasso fecero la riferita comparazione, non ne riporta che cinque. Si potrebbe porre per sesto l'Ariosto, il quale nel Canto XIV se non descrive le gru, favella però d'insetti e di volatili clie vanno a torme. E se ci ha avuto qui luogo Dante, clie parla degli storni e non delle gru, ci può essere la sua nicchia eziandio pel divino Ferrarese: — 176 — Vostra Signoria poi di grazia ponga mente, come il Tasso rinvigorisce la debolezza d'Omero traducendo quei due versi del III dell' Iliade, ove Elena loda l'eloquenza d'Ulisse (1) : óre 6i^ i> OTTO tg jneyóXriv ecc. quando Tocem magnani ex pectore mittebat, et verta nivibus similia hyemalibus. Torquato, parlando della facondia di Gottifredo nella stanza 13 : « Come in torrenti dall'alpestri cime Soglion giù derivar le nevi sciolte, Così correan volubili e veloci Dalla sua bocca le canore voci. » E quella similitudine nella stanza 43 : « Quasi leon magnanimo, che lassi » ecc. è presa dal VI della Tehaide: « Ut leo Massili » E in quell'altra nella seguente stanza 44: « Così lupi notturni, i quai di cani » ecc. allude ad una di Stazio, dove descrive ima simil malizia de' lupi : « Ceu foedere juncto Hybema sub nocte lupi » ecc. E finalmente quelle parole d'ira dette da Tancredi, nella stanza 85, ai soldati cristiani che fuggivano: « Or, tornando in Guascogna, al figlio dite Che morì '1 padre, onde fuggiste vui; » furono prese da Cornelio Tacito, che nel XX degli Annali introduce a favellare Ceriale ai soldati suoi, che medesimamente fuggivano, così: Ite, nunciaie Vespasiano, relictum a vohis in ade Ducem ecc. E tanto basti d'aver con Vostra Signoria ragionato quasi per diporto al presente tempo ; perciocché , se '1 Ciel mi desse di potere ai con- . Qualche tempo appresso il Pigafetta replicava: * Dite al chiarissimo signor Luigi Gradenigo che la Siriade del Bargeo « è stampata qui in Parigi, e credo, che ben tosto il Corbinelli la manderà al « signor Pinelli in-folio: ed esamineremo poi se sarà poema eroico, da paragonare con « quello del Tasso, trattando la istessa materia ed argomento. [Parigi, 1582] >. (Cfr. Tasso T., Opere; voi. XXIII, pp. 85 e 107). La Siriade fu stampata appunto Lutetiae, apud Mamertum Potissonium , etc, MDLXXXII, in-fol. — 198 — CLXVU. Giuliano Goselini a Domenico Chiariti. Ho inteso poi che andò (1) a Ferrara e che vide in uno stato mise- rando il povero Tasso, non per lo senno, del quale gli parve, al lungo ragionar ch'egli ebbe seco, intero e sano, ma per la nudezza e fame eh* egli pativa prigione e privo della sua libertà : fortuna lagrimabile veramente e indegna di sì eccellente virtù Di Villa, l'ultimo di Ottobre dell' 82. CLXVIII. 3Iuzio Manfredi a Don Ferrante Gonzaga. Visitai il Tasso e me ne parlò (1) mostrando gran desiderio di ve- derla; ma fin qui non l'ha veduta. Egli bacia le mani di Vostra Ec- cellenza Illustrissima, ed è assai in cervello. Tosto tosto s'avranno alcune rime sue in istampa non più stampate. Se saranno spedite fin ch'io mi trovo qui, ella le avrà subito Di Ferrara, il dì primo dell'anno 1583. CLXIX. Orazio Urbani a Ferdinando de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. 11 Tasso, come sa Vostra Altezza Serenissima, è qua in carcere, ed in effetto è pazzo, se bene molte volte parla-a proposito, discorre, e fa de' componimenti, i quali tutti sono a poco a poco andatisi divulgando, e stampatisi in diversi luoghi fuori della sua volontà, e per lo più im- perfetti, e ripieni d'infinite scorrezioni ed alterazioni. Ultimamente hanno stampato in Venezia una terza parte dell'opere sue (1), delle quali essendone venuti quattro volumi a uno di questi librai, mi è capitato alle mani il presente, che per fretta mando così sciolto a Vostra Altezza CLXVII. — GosELiM G., Lettere, Venezia, Mietti, 1592; e. 470. (1) Aldo Manuzio, il quale visitava Torquato il 7 settembre dì quest'anno. CLXVIII. — R. Archivio di Stato di Parma. — R. Biblioteca Estense; cod. I, H. 1517: Gonzaga, Lettere; voi. Ili, p. 111. — Serassi, Op. cit; voi. II, p. 86. (1) D-'Ua tragedia del Manfredi, La Semiramide. CLXIX. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni. — R. Biblioteca Na- zionale di Firenze, cod. Palatino 224. — Serassi, Op. cit. ; voi. II, p. 94. — Tasso T., Opere; voi. XVIII, App. p. 42. — Ferrazzi, Op. cit; p. 67. Cfr. qui la lettera n.« 89. ri) Rime et Prose \ Del Signor \ Torquato Tasso, | Parte Terza. \ Nuovamente poste in luce. | Con privilegio. Ij In Venetia, | Appresso Giulio Vasalini | MDLXXXIII; in-120. - 199 - Serenissima, avendo veduto che nel dialogo del Piacere onesto, a carte 115, si contengono parole molto impertinenti e velenose della serenissima sua Casa, le quali non so vedere come da quei revisori possano essere state passate, se non per poca accuratezza e diligenza. Però non mi è parso lasciar di darne conto a Vostra Altezza Serenis- sima: massime che so altre volte da quei signori essere stato provvisto a disordini simili: ed in particolare a tempo mio, quando si stampò l'istoria del Sigonio; perchè contenendo alcuni particolari, ed anche, se mal non mi ricordo, di non molto rilievo, che non piacquero al signor Duca di Ferrara; essi, a requisizione dell'Eccellenza Sua, fecero levar via quelle clausule, e proibire sotto gravi pene tutti i volumi stampati nella prima maniera, de' quali però io buscai e mandai cestii uno, per ordine del secretario Concino buona memoria Di Ferrara 4 Aprile 1583. CLXX. Bernardino Baldi a Pier Matteo Giordani. — Pesaro. Io addimandai con istanza del discorso del Tasso intorno al poema eroico di cui Vostra Signoria mi scriveva, e mai ne ho inteso nulla; se pure non fosse quel discorso che va innanzi al suo poema sotto nome à' Argomento. 11 povero Tasso aveva ultimamente, e come Vostra Si- gnoria deve sapere, impetrato dal Duca, ad istanza della Duchessa no- stra (1), di uscire due o tre volte la settimana fuori dell'ospedale , ac- compagnato da alcuni gentiluomini : ma finalmente, sendo andati due gentiluomini a visitarlo, cioè un signor Torquato Kangoni ed un tale lloviglia , egli , sospettando secondo il solito, pose le mani sulla spada d'un di loro, e trattala fuori, era per far del male : ma però essi due aiutandosi Tun l'altro gli uscirono pur dalle mani con poco danno. Dal che si scoperse di nuovo che veramente il suo cervello è più atto alla sapienza che alla prudenza: e che non basta per esser savio il discorrere delle cose d'Aristotele, e '1 far de' sonetti. Non sarò più lungo per non aver che dire: perchè credo che Vostra Signoria sappia gran pezzo è che il signor Curzio (2) non sta più ai servigi del Duca di Mantova. Però faccio fine, e le prego ogni contento. Di Mantova a dì 11 Ottobre 1583. CLXX. — Biblioteca Oliveriana; cod. 430; p. 23. — Giornale Arcadico, t. IV (Roma, 1819), p. 317: Lettere del Cardinale Bembo e di B. Baldi, ora per la prima volta date in luce da S. Betti. (1) Lucrezia d'Este, Duchessa d'Urbino. (2) Curzio Ardizio. - 200 — CLXXl. Scipione Gonzaga Patriarca di Gerusalemme a Vincenzo Gonzaga Principe di Bfantova. — Mantova. lo non posso credere, che non sia pervenuto se non alla vista, almeno all'udito di Vostra Altezza il Dialogo, che già uno o due anni sono sotto il titolo del Messaggero scrisse e dedicò al nome di lei quello altrettanto infelice quanto mirabile ingegno di Torquato Tasso; ma perchè non sì tosto quella fatica fu fornita da lui d'abbozzare, che gli fu levata dalle mani, e mandata alle stampe, sì come tutte l'altre cose, che fin qui si son potute aver di suo, perciò è avvenuto, non ricono- scendola egli quasi per sua fattura, non abbia in tanto tempo procu- rato mai d'inviarla direttamente a Vostra Altezza. Ora che dall'infermità e da' travagli suoi gli è pur stato concesso tanto di quiete d'animo, ch'egli ha potuto non solamente correggere il già fatto Dialogo, ma mutarlo anco di maniera che si può dir con verità parto nuovo, e vo- lendo perciò appresentarlo all'Altezza Vostra, come cosa dovutale e de- stinatale buon tempo fa, ha eletto me per mezzo a questo effetto, come ch'edi conosce non tanto amico a se di molti anni, e di straordinaria affezione, quanto per debito e volontà divotissimo servitore a lei. Il che non avendo io saputo come negargli, mando con questa all'Altezza Vo- stra il suddetto Dialogo, quale l'ho avuto da lui, e questo dico perchè la copia è veramente indegna di comparire innanzi a lei, essendo poco bella, e meno corretta ; né io ho mancato d'avvertimelo, ma non avendo potuto ottenere ch'egli ne faccia rifar un'altra; sarà ufficio della beni- gnità di Vostra Altezza il condonar questo difetto di creanza al com- passionevole stato in che egli si trova. Nel resto poi m'assicura la bontà e la generosità dell'animo suo ben corrispondente alla sua grandezza, ch'ella gradirà non pur l'effetto, ma molto più la volontà e la devo- zione di quel veramente raro spirito, al quale se fosse piaciuto a Dio di conceder più lunga sanità , non ho dubbio alcuno, per quello eh' io so dell'intenzion di lui, ch'egli avrebbe speso gran parte del tempo e dell'ingegno suo in celebrare e rendere immortale il nome di lei. Bacio umilmente le mani a Vostra Altezza e nella sua felice grazia senza fine mi raccomando. Di Roma a' 7 di Novembre 1583. CLXXI. — Archivio Gonzaga. — Fkrrazzi, Op. cit ; p. 471. — 201 — CLXXII. Annibale Milano ad Alfonso Duca di Ferrara. — Ferrara. È capitato in mie mani il i»riino libro del Tasso tradotto in versi latini, quali essendo stati ,i,àudicati qua ben fatti, li invio a Vostra Altezza ; se uscirà il resto come si crede procurerò di averli per farne il raedesimo Di Parigi il di HIj di Febbraio MDLXXXUlj. (JLXXUI. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. La rara virtìi di Vostra Signoria, che molto prima mi aveva legato il cuore e l'anima nell'amor suo, ora mi scioglie la lingua ed i piedi dell'ardimento in questa lettera. Nella quale vengo ora io a ritrovarla, e ad offerirmele per un di coloro, che non potendo piti lungamente sof- ferire la soave tirannide de' suoi nobilissimi scritti, vien sforzato a par- lare ed a palesarsi. Conoscami dunque Vostra Signoria per tale, e me ne dia segno col comandarmi, se non per bisogno suo, almeno per ne- cessità mia: sendo troppo bramoso del favor suo. E la grazia di Dio, eh' è suo merito singolare in questo mondo, le sia nell'altro sempiterna mercede. Di Mantova [Marzo 1584] (1). CLXXIV. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. La risposta, che Vostra Signoria si è degnata di fare al primo dei miei due sonetti, non è pagamento di debito, ma compimento di grazia; però ne la ringrazio infinitamente, e così della promessa di rispondere al secondo. Ma il cambio mi par tanto disuguale che non giudico che possa essere se non con grande scrupolo di coscienza, e grave peccato; CLXXII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori estensi a Parigi. CLXXIII. — Lettere del Reverendissimo P. D. Angelo Grillo, Abbate di S. Be- nedetto di Mantova e presidente generate delia Congregazione Cassinense ; nuova- mente raccolte dal Signor Pietro Petracci.' In Venezia, MDCXII, appresso Bernardo Giunti e G. B. Ciotti e Compagni; p. 459. (1) Questa è la lettera colla quale il Grillo offeriva al Tasso la sua amicizia. Cfr. T. Tasso, Lettere, voi. II, p. 2G6 e n. 2. CLXXIV. — Grillo A., Op. cit.; p. 238. — 202 — uè mai stimerò io d'esserne bene assoluto, s'ella nelle mie poesie non mi darà tanto consiglio, che dove non vaglio a renderle oro per oro, almeno non le dia piombo o rame. E le bacio la famosa penna. Di Brescia [Marzo 1584] (1). CLXXV. Don Angelo Grillo al P. Don Basilio Zamboni. — Ferrara. Io non fui mai così tentato di vanagloria, come dall'ultima lettera che Vostra Paternità mi ha inviato del Signor Tasso. La qual mi loda tanto, e con tanta soavità, eh' io ho avuto a cader sotto questo peso in un baratro di propria estimazione, se non mi riteneva l'avere scorto già per qualche esperienza una certa libidine o prurito di lingua così nel lodare, come nel vituperare, nel quale è difficile che abiti la verità. Di grazia Vostra Paternità prieghi ad usar meco la sferza, e lasciare star la lode. Che al fine dove mi porterà con la lode, converrà poi che mi mantenga con la ragione, se non vorrà offender tanto se stesso, quanto ha posto me in pericolo. Assicurilo, che non ha chi più di me l'ami, lo riverisca, e gli compatisca: e che a tali sproni non correrò lento nell'ufficio della sua liberazione. Bacio a Vostra Paternità la mano, che Nostro Signor l'abbia nella sua santa grazia. Di Brescia [Marzo 1584] (1). CLXXVI. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. Ninno obbligo ha Vostra Signoria di rispondere a' miei versi, se non quel medesimo che piace alla sua cortesia: la quale è in man sua di restringere e d'allargar meco senza pericolo di diminuirne d'affezione e di osservanza. E tanto più, che un solo de' suoi sonetti sarebbe così so- verchio pagamento a cento de' miei, come lo scudo d'oro avanza di pregio cento quattrini. Debitore dunque son io ; e mi è caro , perchè spero che per questo mezzo Vostra Signoria vorrà valersi di me più CI) Risposta a quella del Tasso, Lettere; voi. II, n.» 271. CLXXV. — Grillo A., Op. cit.; p. 112. aj Cfr. Tasso T., Lettere; voi. IT, n.' 270 e 271. — Il padre Grillo non man- cava di adoperarsi per il Tasso per procurargli intanto qualche miglioramento nella reclusione. Così scriveva a Giulio Mosti, nipote di Don Agostino, priore di S. Anna: € Le raccomando il Tasso se ha per raccomandata la nostra amicizia > (Grillo A., Op. cit; p. 823). CLXXVI. — Grillo A., Op. cit.; p. 822. I — 203 — confidentemente. Credo di non dover indugiar molto a venirla a rive- rire. Intanto il padre Don Basilio nostro le sarà mio vicario in queste opere di affezione e di servigio. Se ne vaglia come farebbe della per- sona mia; e mi ami quanto io l'onoro. Di Brescia [Marzo 1584] (1). CLXXVII. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. Vostra Signoria con l'opere dell'ingegno e col valor della fama si va tuttavia allargando l'imperio e' ha sopra i cuori, onde ogni giorno si scuopre qualche nuovo vassallo della sua virtù. Tra' quali messer Ber- nardo Castello, pittor di stima e mio amico, viene ora a baciarle la mano e, per così dire, a giurarle fedeltà di vassallaggio, portandole in tributo alcuni disegni della sua Gerusalemme, quali pensa di fare in- tagliare in rame (1), se da Vostra Signoria saranno approvati ; acciocché esca il suo poema perfetto non solamente di anima e di corpo per quanto tocca all'allegoria ed alla favola, ma di figure parimente : onde mentre si leggono le parole e gli atti , si veggia insieme e chi parla e chi opera; e che la penna di Vostra Signoria sia così spirito del pennello di messer Bernardo, come la sua pittura sarà corpo della vostra poesia ; e l'uno viva per l'altro, e l'altro per l'uno, ed ambedue eternamente. Ricevalo con fronte familiare, e con quell'animo e con quel sembiante a punto col quale compone le poesie piìi molli ed amorose; perchè egli non meno teneramente l'ama, di quel che riverentemente l'osservi. [Maggio 1584]. CLXXVIII. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. Vien costà il signor Giovan Paolo Oliva, tutto innamorato di Vostra Signoria per fama, per far l'amor con lei di presenza. Vedrà una figura di buona mano, e colorita di sì belli abiti di virtù, e di sì grata no- biltà di costumi, che in qualunque guisa la rimiri, le riuscirà bella, (1) Probabilmente questa è la risposta a quella del Tasso, Lettere; voi. II, n.° 274. CLXXVII. — Grillo A., Op. ctt.; p. 90. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. 257. (1) Gl'intagliarono poi Agostino Caracci e Giacomo Franco, e per la prima volta comparvero nella edizione della Gerusalemme di Genova, appresso Girolamo Bar- toli, 1590; in4». Cfr. Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 89, n. 4, e p. 387; e Gdidi, Op. cit.; p. 12 13. CLXXVni. — Grillo A., Op. cit; p. 91. — Zuccm R., Op. cit.; P.'ell, p. 220. — 204 — e riguardevolo. Onde spero, che non solamente gradirà l'amor suo, ma ohe ne diverrà aneo ella amante. Perciò non glielo raccomando con magL^ior caldezza: trattilo iàmigliarmente, e confidentemente si vaglia di lui. che lo troverà buono amico. Di Mantova 11584] (1). CLXXIX. Giacomo Casielvdro a Lodovico Tassoni. — Ferrara. La gratissima lettera di Vostra Signoria de' XIX di Marzo qui per- venne in tempo che mi ritrovava più dentro nel regno, onde non le dovrà parere strano, se infino a questo giorno ho indugiato a rispon- derle, non ci essendo prima di due giorni sono ritornato. Ora le dico avere in me sentito molto contento dall'essere stato fatto da lei certo, come l'ultima mia lettera col primo libro della Gerusalemme (1) del gran Tasso, fosse stata grata non solo a Vostra Signoria, ma ancora a Sua Altezza Serenissima, che me le rende molto più tenuto di quello, che prima me le fosse, e sarà cagione che per l'avvenire non mi lascierò così agevolmente dalle mani sfuggire l'opportunità di scriverle. Ben le dico, che essendo questa isola un ben picciol cantoncino del mondo, e diviso da ogni altra parte di quello, di rado ci nasce cosa, che meriti d'esserle scritta, perciò non si dovrà maravigliare se alcune volte io mi starò i mesi intieri senza scriverle, perchè senza onesta cagione a me pare che piuttosto si noli altrui, che se gli porga materia di piacere. Il saldo e modesto giudizio fatto da Vostra Signoria sopra il predetto libro, è non pure a me piaciuto, ma eziandio a questo valente giovi- netto; ma le vo' però dire, che stimo, che quando meglio Vostra Si- gnoria l'avrà considerato, che avrà altresì il furto trovato minore; perchè tanta è l'imitazione che questo giovane fa di Virgilio, che da prima ad ognun pare quello, che a lei ne parve : ma trova poi che egli non è cotanto ladro che meriti altro che loda ; pure a lei, come a un ri) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, n.» 284. CLXXIX. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — R. Biblioteca Estense; cod. I, H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi III, p. 422. — TiRAtoscHi, Biblioteca modenese, Modena, Società topogr., 1781; t. I, p. 433; ove erroneamente si trova diretta a G. B. Laderchi , segretario ducale. Il Sgrassi (Op. ci/.; voi II, p. 162) ripeteva l'errore, allegando il Tiraboschi. CI) Scipione Gentili, cui qui si accenna, che si trovava allora a Londra, aveva pubblicalo la sua traduzione col titolo: ^civn (jehiiu?,, Solymeidos libri duo priore de Torriwiti Tassi italicis expressis, in Lione, presso G. Albuseo; ia-4°. Cfr. Tira- boschi , Storia della leti, ital., t. VII, p. 1021. — 205 — più di me pratico nelle lettere, me ne rimetto Né mi resta altro che caldamente pref;farla di favorirmi di scrivermi, se il povero Tasso vada tuttavia componendo cosa alcuna, o no: che Vostra Signoria sappia, che un illustre cavaliere me l'ha domandato, dicendo che Sua Maestà gli ha imposto d'informarsene; e componendo egli cosa che vaglia, mi farebbe un segnalatissimo favore a mandarmene un esempio, onde ne la prego quanto più posso e so, assicurandola che questa reina non stima meno avventuroso il iSerenissimo nostro Duca per avere cotesto gran poeta cantate le sue loda, che sì facesse Ales- sandro Achille, per avere egli avuto il grande Omero; e mi dicono che ella ne sappia di già molte stanze a mente. Con che me le offero, e bacio la mano pregando Iddio per la sua sanità e felicità. Di Londra a' 22 di Giugno 1584, stil vecchio. CLXXX. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. 10 non penso di mettermi in viaggio per costà, se non vengo con la lettera graziosa; però la sto aspettando con desiderio, e non potrà tardar molto. È tesoro spirituale, e de' maggiori che le possan venire dalla nostra congregazione; la quale non dovrà mai in alcun tempo negarle i comodi del corpo, sendole ora sì liberale dei benefici dell'anima. Perciò ella ha da valersene in tutte l'occasioni, come noi ci rechiamo a gran ventura di aver con tal mezzo aggiunto tanto ornamento alla monastica repubblica, quanto è singolare e famoso al mondo l'infinito suo valore. Nostro Signore le conceda quanto desidera. Di Brescia [Giugno 1584] (1). CLXXXI. Don Benedetto Pucci al Cardinale Luigi d'Este. — Roma. 11 Signor Torquato Tasso col favore di Madama Serenissima di Urbino è uscito due volte da Sant'Anna, e l'ha condotto a spasso a Belvedere, e sebbene pare disperata affatto la totale sanità di costui, pure rimosse certe furie che gli vengono certi stanti, ma non così spesso, egli nel resto è più in cervello che mai Di Ferrara il 1° Settembre del 1584. CLXXX. — Grillo A., Op. cit. ; p. 189. (1) Il Tasso rispondeva probabilmente con la lettera del 7 luglio 1584. Cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, n.» 293. Lettera graziosa chiamavano i benedettini la carta d'aggregazione al loro istituto. CLXXXI. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — 2(-H) — OLXXXII. Giachcs Wcrt a (1). Maiuìo a Vostra Altezza le stanze del Tasso con alcune altre com- posizioni mie, come s'è dec^nata comandarmi; e poi che mi favorisce tanto in volersi servire delle opere mie, non mancherò di mandarne a Vostra Altezza, non essendo cosa in questo mondo ch'io non facessi per lei, che la voglio non solo riverire e servire, ma adorare per l'idolo mio, che così sono obbligato per li molti favori ricevuti dall'Altezza Vostra, alla quale con ogni riverenza bacio le serenissime mani. Da Mantova alli 15 di Novembre 1584. OLXXXllI. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. Consegnerò fedelmente l'invoglio al signor Pirro Gonzaga. E se in- tanto ne ruberò con la penna il contenuto, sarà anco maggior fede, acciochè perdendosi l'originale, ne rimanga la copia. Della questione poi dell'altro giorno io so che non son vincitore se non per cortesia di Vostra Signoria, la qual sempre stima doppia vittoria fra gli amici l'aver potuto vincere. E non è ora ch'io so, che ella sa per giuoco e per diporto, quel che gli altri a pena sanno per fatica e per sudore. Della sua liberazione già mi è paruto di veder l'alba nelle parole della Signora Duchessa d'Urbino, Spererò di vederne il giorno chiaro ne' fatti di quella di Mantova, e del signor Principe suo figliuolo. Or viva lieta. Di San Benedetto [Novembre 1584] (1). CLXXXIV. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. L'invoglio è stato fedelmente recapitato: eccone, testimonio autentico, la lettera del medesimo Signor Pirro. Ho parlato al Galvagno: si mo- stra ben disposto, ne quel dell'amico suo fu odio, ma più tosto certo suo costume odioso. Vostra Signoria dunque se n'acqueti. Anderemo CLXXXII. — Archivio Gonzaga; Miscellanea di lett., f.» II, 7. (1) Manca l'indirizzo. Probabilmente a Vincenzo Gonzaga, Principe di Mantova. CLXXXIII. — Grillo A., Op. cit.; p. 822. (1) Risposta alla lettera n.o 310 del Tasso; cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, p. 258, n. 3. V. la lettera seguente. CLXXXIV. — Grillo A, Op. cit.; p. 901. I — 207 - insieme a parlare a ^fadama Serenissima; e speriamo di trar qualche buona conclusione a beneficio del tentativo. Ch' io poi non l'ami non sarà mai. Il suo merito immortale immortalmente nutrisce l'amor mio. immortalmente l'accende. Di Mantova [Novembre 1584] (1). OLXXXV. Don Angelo Grillo a Vincenzo Gonzaga, Principe di Mantova. 11 Tasso, tanto servidore di Vostra Altezza Serenissima, non potendo venire col corpo, invia lo spirito suo umilissimo e devotissimo in questi versi, a riverire le sue realissime nozze. Non starò a pre(?are l'Altezza Vostra che l' accoglia benignamente : perchè essendo principe magna- nimo, suole non solamente ricevere e pregiar le cose rare, come sono i parti del Tasso , ma accettare e gradire le picciolo, che col mezzo delle grandi se le vengono a dedicare, come son io. Che si lontano dal- l'Altezza Vostra di stato e di conoscenza, vengo ora, col mezzo di questi gran componimenti raccomandatimi, a farle sapere che, per mia buona sorte, sono anch' io un di coloro che la fama del suo serenissimo nome e lo splendore degli immortali suoi meriti non hanno sdegnato d'inna- morare, e di obbligarle perpetuo servitore. Di Brescia [Novembre 1584J (1). CLXXXVI. Don Angelo Grillo a Torquato Tasso. — Ferrara. Il Signor Principe di Mantova in niuna parte ricrea più volentieri l'animo che ne' virtuosi ozii di Vostra Signoria. Perciò mi rendo si- curo, che gradirà oltre modo i versi che da parte vostra gli ho man- dati, e che saranno il compimento dell'allegrezza e della pompa delle sue reali nozze. Onde non parrà con questa perfezione Imeneo disceso di cielo in terra, ma passato di cielo in cielo. Holli accompagnati con una mia breve lettera, della quale le mando copia; non per introdurre i versi: ma per introdur me stesso con si bel mezzo nella servitù di sì generoso principe. Ebbi poi l'altr'ieri da un cotal Sorzone di buona grazia, che disse esser parente di Messer Graziano, la risposta centra (1) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, n.» ;;iO. V. l'antecedente. CLXXXV. — Grillo A., Op. cit.; p. 684. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. 257. (1) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, n." 311. CLXXXVI. — Grillo A., Op. cit.; p. 824. — 208 — Toppositor del sonetto. Vegc^io Achille contra Troilo, se bene egli per avventura ò di maggiore et;\ di Vostra Signoria. E riconosco il vigor della lancia , anzi della ragione. Ma veggio ancora la solita modestia, alla (jual basta co' colpi maestri accennar la caduta , senza però sca- valcarlo, lientilissimo signor Tasso: non sa, non sa la forza della virtù chi non vi onora, nò la virtù d'amore chi non vi ama. Di Brescia [Novembre 1584] (1). CLXXXVII. Don Angelo Grillo a Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. 11 Tasso m"ha inviato un suo sonetto, con pregarmi ch'io lo faccia pervenire nelle proprie mani di Vostra Altezza Serenissima, afferman- domi che tra mille altri egli sarà riconosciuto come composizione fatta in sua lode. Io e per l'affetto grande che porto a così segnalata virtù, e per la compassione eh' io ho di tanta miseria e calamità, com'è quella in cui si trova al presente il povero Signor Torquato, volentieri ho ac- cettata l'impresa, per poter con l'occasione di mandarle cotesto sonetto, raccomandarle insieme il suo autore, il quale da Dio in poi ha posta tutta la sua speranza in Vostra Altezza, sì come di puro cuore l'ama, e con devota mente la liverisce. Né io m'arrogerei tanto di raccoman- darle persone, non avendo per alcuna mia passata servitù alcun merito appo di quella, s'io non sapessi che le molte virtù del Tasso possono e supplire al mancamento de' miei meriti nel raccomandarlo, e disponer lei a farle qualche favore col Serenissimo suo cognato. E credami Sua Altezza Serenissima, che se ben la sua libertà non può dipendere se non dalla sua sanità, così la sua sanità non può dipendere se non da qualche temperamento della sua prigionia, il qual temperamento si tien per fermo ch'egli otterrà col mezzo di Vostra Altezza, sapendo di quanta autorità ella sia appresso il Serenissimo Signor Duca di Feirara. E per più non darle noia, umil servitore con ogni affetto di cuore me le dico, pregandole da Dio perpetua felicità. Dal Monastero di San Faustino in Brescia il XVIIII decembre 1584. Non si manda l'originale del Tasso per essere di scabroso carattere e racconcio e depennato in molti luoghi. (l) Questa è probabilmente la risposta a quella del Tasso, Lettere; voi II, n.° 311. CLXXXVlT. — Archivio Gonzaga.— Feurazzi, Op. cit.; p. 472. — 209 (JLXXXVilI. Vincenzo (ionzaga Friìicipc oi.ri;Ti. '■■ •■'■ ■"■■ T T" ■'■ U H — 210 cipe, può rendersi oramai certa della sua liberazione: la quale non è sì caldamente da lei bramata, quanto fervidamente da me procurata e sollecitata; cb'lddio mi conceda di tosto vederne il fine! E me le rac- comando come fauno i miei fratelli che le vivono divotissimi servitori. Di Brescia (Dicembre 1584]. l\l . Don Angelo Grillo a Ippolito Gianluca. — Ferrara. E così ijrande, e così nuovo, e così giusto, e così eloquente si dimo- stra il dolore del Tasso ne' suoi versi e nelle sue prose, ch'io mi rendo certo che non pur sarà udito, ma pietosamente esaudito dalla signora duchessa d'Urbino. La quale nell 'estimare i meriti di sì grande uomo è singolare: onde ogni dolor di lui farà suo proprio, né vorrà mancare a se stessa. Perciò spero che più del solito sarà pronta ad ottenerci da Sua Altezza di scarcerarlo e condurlo a diporto: massime co '1 buon mezzo di Vostra Signoria, nel quale più spera esso signor Tasso, che nel merito d'alcun suo componimento. Sia adunque sollecita : e si ricordi che i prigioni di carnevale patiscono doppia pena (i). Di San Benedetto [Gennaio 1585]. CXCl. Curzio Ardizio a Don Ferrante Gonzaga. . L'avere dappoi l'essere stato assente da Pesaro, ritrovato un piego del Tasso, ed in esso la bellissima canzone che dissi a Vostra Eccellenza ch'io gli faceva fare in sua lode, fa ch'io ora mi sciolga da una pic- ciola particella di quell'obbligo grande ed infinito, che con ogni umiltà mi sento immortale all'amorevolezza sua, e che me gli ricordi servitor che vive per lei più che per se, ad ogni suo cenno e comandamento; supplicandola che il povero Tasso, poiché mi si raccomanda con molta compassione, senta dalla liberalità di Vostra Eccellenza quella consola- zione che ha sentito da lei altre volte, ed ha per glorioso costume di fare con tutti i virtuosi Di Pesaro, il primo di Febbraio 1585. CXC. — Grillo A., Op. cit.; p. 111. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. .339. (1) Uscì infatti col Gianluca. Cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, p. 259 e :539. CXCI. — R. Biblioteca Estense; cod. I, H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. III, p. 132. — Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 121; ove è tralasciata qualche parola in mezzo al tratto stesso che qui pubblico. 211 - CXCII. Don Angelo Grillo a Marcello Donati. — Mantova. Io sono stato tre volte a casa di Vostra Signoria dove la trovai due volte, se ben non mi fé degno di udienza, e la pregai e la feci pregare pei suoi servitori e per miei messi, e per mie lettere del Dialogo della Corte per mandarlo al suo autore (1), che lo ricercava per ampliarlo: sempre m'ha fatto dire che me lo farebbe avere ed ora, mi riferisce il mio servitore, cli'ella no '1 vuol dare, percliè non mi conosce. 11 che facilmente mi dò a credere, perchè se bene l'abito che porto dovrebbe farmele co- noscere per monaco, e degno di qualche fede, ed alcuni ragionamenti avuti insieme e per lettere, e di presenza, in materia del Signor Tor- quato, tuttavia i pari di Vostra Signoria occupati in cose maggiori, non conoscono spesse volte le minori. E qualunque mi sia in questo abito e fuori di questo abito, non mi pareva indegno affatto della amicizia sua, ne degno d'esser così trattato. E mi perdoni s'io parlo alla libera perchè non amai, né onorai mai persona alcuna per disegno, se non per merito e per amore. Con che le bacio le mani, e del Dialogo faccia pure quel che Dio le inspira. Di Corte il XXV Marzo 1585. CXCIII. Scipione Ammirato a Camillo Pellegrino. — Capua. Già io avea mandato a Vostra Signoria quella Cruscata alcuni dì prima, ch'io ricevessi la sua del 24 del passato, alla quale dovendo ri- spondere infìno col passato ordinario, mi fu da molti impedimenti vie- tato di farlo. Veggo che Vostra Signoria per così fatta risposta avrà presa qualche alterazione; e parendomi officio conveniente alla nostra amicizia di dirgli intorno a ciò liberamente il mio parere, non già dico ch'ella se n'abbia a commuover punto: perchè, per la prima, questi della Crusca non hanno avuto animo d'offenderla nell'onore. Tale è il modo che essi tengono con ciascuno, e si vede dal nome, che è chiamata Ac- CXCII. Arcliivio Gonzaga. — Portioli A., Scritti inediti di T. Tasso, Firenze, 1870; Estr. dalla Rivista Europea; voi. Ili, p. 1.3. (1) Il Maìpigìio ovvero della Corte, dialogo di T. Tasso. CXCIII. — Civico Museo Campano di Capua; Ms. originalo del carteggio tra Camillo Pellegrino e la Crusca. Il Serassi {Op. cit.; voi. II, p, 106, n. 1) dicedi aver tratto copia di quelle lettere e tali copie si ritrovano ora nella R. Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino, 224. Valga questa nota anche per le altre let- tere sulla controversia tra la Crucca e il Pellegrino intorno alla Gerusalemme. — 212 — cademia della Crusca : e questi d'i baiiiio letto tre lezioni in pubblico tutte in materie di piacevolezze di burle. Risponderei per questo loro per le medesime consonanze, senza uscir dalla materia letteraria (per dirla così alla pedantesca) e chi sapesse star meglio in sullo scherzo, riporterebbe non meno lode dello ingegno che della modestia. Quando io venni in villa, il Signor Giovanni de' Bardi non era tornato di Ferrara, dove era stato invitato dal Duca, sì ch'io avessi potuto chiedergli la sua lezione, la quale per non essere stata data fuori, non so se me la concederà : ma intanto si può rispondere alla Crusca, assicurando Vostra Sii^noria che qui \ì sono di coloro, che aspettano con avidità grandis- sima questua replica, e intanto a Vostra Signoria bacio le mani. Di Firenze il dì 29 di Marzo 1585. CXCIV. Diomede Borghesi al Patriarca Scipione Gonzaga. — Roma. Mi rendo sicuro, che se le rime del Tasso vostro, che nuovamente son venute a luce (1), fossero state ripolite dalla vostra giudiciosa lima, non si lesfcrerebbe in esse : -so" 1 — 0 bellezza omicida ed innocente 2 — Oltra di ciò tu rigido e severo Il figuri pur sempre 3 — il fosco e nero Velo agli arcani tuoi natura pose che non altronde Spian gli arcani di Cesare e di Pietro (2) 4 — Comhattuto or da tema, or da diletto J/'allice l'un con lusinghiero aspetto E V altra il mio sen spaventoso imbianca. 5 — Per saper da voi nova Se 'Z fuggitivo mio qua giù si trova. 6 — Ne versi alcuna stilla Sopra la mia sciagura . ma le sciagure D'oblio cosperga. CXCIV. — Borghesi D., Lettere Discorsive, Roma, 1701; p. 228. (1) Nel 158.5 ricomparvero per le stampe e di Giulio Vasalini a Ferrara, e di Simon Yasallni a Venezia, tutte tre le prime parti delle Rime e Prose del Tasso. (2) Verso difettuoso nelle sillabe. [Postilla in margine nella stampa cit.]. — 213 — 7 — Un pensiero^ un desire, un puro zelo Rischiari, o imbruni l'uno e l'altro aspetto Che quando il del s'imbruna 8 — Ch'a te 7 guardarmi, /'aitarmi r dato (1). 1 — Perciocché, sì com'io credo che voi ben sappiate, il nome omicida è sostantivo sempre; ove micidiale è sostantivo, ed aggettivo. 2 — Né oltra, nò oltre, da ninno scrittor purgato s'usa con reggimento di secondo caso, cioè non si dice olirà di, né oltre di. 3 — Arcano, che si pone in rima per Dante, il quale usa anche ar- canamente, non è voce di (juesta lingua, e non è ricevuta in componimento di leggiadro lirico poeta. 4 — Allice, significante attrae, lusinga, o somigliante cosa, è voce latina, e dalla popolar gente non intesa; ed è doppio fallo, se- condo che d'arcano ho detto, il venirla usando, senza necessità di servire alla rima. 5 — Benché novella sia nome sostantivo sì come aggettivo, tuttavia nova per ciascun valevole autore si pon sempre aggettivamente. (y — La voce sciagura, sì come ho detto in altra opportunità, serve ai soli prosatori : dove la parola sventura da questi e da' versifica- tori s'usa indifferentemente. 7 — 11 verbo imbrunire, o imbrunare, sì come ho dichiarato altrove, ritiene l'azione in sé stesso, e mai non la trasporta in altri. Il sopraddetto verbo rifiuta sempre la compagnia degli affissi. 8 — Aitando, ed aitarmi, od aitar me, non é di più sillabe, che aita ed aitar. Dice il Petrarca: — Ma celato di fuor soccorso aita. — Quanto più può col buon voler s'aita. — Che s'altri non Vaila — Dir gli altri l'aitar giovane e forte. — questi è corso A morte non Yaitando: i' veggio i segni. — Che possi e vogli al gran bisogno aitarme. — Del quale oggi vorrebbe e non può aitarme. — Potrebbe forse aitarme — Giunto mi vidi e non possendo aitarme. — Né di duol, né di tema posso aitarme. (1) Verso falso. [Postilla e. s.]. — 214 — E il Bembo: Nò ila l'un, uè da l'altro posso aitarmi. E il Casa: Né l'altrui può, nò '1 mio consiglio aitarmi. Altro voci ha questo linguaggio, le quali ancorché s'accresca loro una sillaba, non perciò si vengon punto allungando : di che son io per dovere a suo luogo tenere assai profittevol sermone. Questa è picciolissiraa parte di quelle cose, le quali al parer mio nelle sopraddette Rime son da biasimare. Degnate, glorioso spirito, si- gnificarmi, se vi aggrada, che io debba nel modo stesso ragionar più innanzi nella stessa materia. Ed a comune prò' degli uomini valorosi tranquillamente vivete. Di Padova a' dì Vili di Aprile 1585. CXCV. Don Angelo Grillo a Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova. Io son sicuro di non recar punto di noia a Vostra Altezza Serenis- sima co '1 mandarle lettere del Signor Torquato Tasso, perchè son certo che per la singoiar bontà sua naturale e per la cortesissima risposta che mi fé dare da Firenze, non meno compatisce alle lunghe miserie di cotesto infelice gentiluomo di quello che ammiri l'eccellenza della sua virtìi. Le mando dunque rinchiusa (1), per la quale, sì com'egli a me scrive, chiede grazia a Vostra Altezza che si* degni d'accettare a' suoi servigi il maggiore de' suoi nipoti, giovane certo di grate maniere e di buona indole e di età di anni diciotto in venti ; il quale fu costì per farle riverenza, ma non avendola ritrovata in Mantova, s'ha eletto d'ar- rivare fino a Bergamo e aspetterà là fin ch'io l'avvisi di quanto risol- verà di fare Vostra Altezza, rendendomi sicuro che non mancherà di compiacere in così giusta dimanda ad un tanto suo devoto servitore come il Tasso. E s'io credessi che dopo le sue, dovessero giovare le mie preghiere, ardirei di pregarla che gli facesse questo favore e mi confi- derei tanto ne' meriti del bisognoso, quanto non mi diffiderei dell'antica devozione del cor mio, nata in me verso l'Altezza Vostra, già sono al- quanti anni ch'io la vidi nel monastero di San Benedetto ; ma so ch'è superfluo e che sarebbe quasi un violentare l'innata sua cortesia, quale per sé stessa corre a lunghi passi agli atti della beneficenza. Mi ri- CXCV. — Archivio Gonzaga; E. XLV. (1) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. II, n.» 3ó8. — 215 - marrò dunque dal raccomandare il nepote sicuro della grazia, dovendo dipender*dii loi, e solamente la pregherò per (lualche temperamento alla lunga prigionia dello zio, il (juale con le solite voci di pianto domanda aiuto a' suoi signori e padroni, dimanda soccorso a chi ama, chiede fa- vori a chi riverisce, e si raccomanda a chi chiama quasi suo celfste nume, ed a quello in cui tanto spera, il Serenissimo Signor Principe di Mantova. Un poco di rilargamento basterebhe per ora. N'ho scritto e ragionato a bocca con Madama Serenissima, madre di Vostra Altezza, e vorrò non credere che l'autorità di si grandi intercessori otterrà questa picciola grazia dal Serenissimo suo Cognato: grandissima se si riguarda a chi la brama, ma di poco momento se si ha l'occhio a chi la chiede. E per non più tenerla occupata le bacio le mani pregandola a tenermi nel numero de' suoi devoti servitori, come per allezione e desio di ser- vire a null'altro mi tengo inferiore. Dal monastero di San Faustino in Brescia il di 1.3 Aprile 1585. CXCVI. Don Angelo Grillo a Marcello Donati. — Mantova. Perchè stimo che tutti li favori che il Signor Antonino Sersale, ne- pote del Signor Tasso, ha ricevuti dal Serenissimo Signor Principe col mezzo di Vostra Signoria siano fatti a me, come particolare amico del Signor Torquato e del Signor suo nepote, perciò infinitamente ringrazio Vostra Signoria e me le dedico per servitore, pregandola a concedermi questo loco per ragione del buon desiderio se non per gli effetti e per la presenza. E per cominciarle a dar qualche speranza che mi comandi, la prego esser servita di ragguagliarne se il Serenissimo Signor Prin- cipe ha ricevuto una lettera di Messer Torquato accompagnata con una mia data ai tanti del mese passato, dove raccomandava a Sua Altezza la liberazione dello zio e la raccoglienza del nipote, acciò possa dare qualche soddisfazione al Signor Tasso: il quale dovrebbe pur ormai col favore di tanti principi ritrovar qualche temperamento ad una sì lunga prigionia, sendo sicuro che il mezzo del Serenissimo Signor Principe in tal caso gli potria giovare assai. Caro signore non manchi di esser intercessore per uomo così segnalato e famoso, che oltre che favorirà l'istessa virtù, farà ufficio tale di pietà, che ne sarà da tutti commen- data. Non le raccomando il Signor Antonino perchè so che la cortesia di Vostra Signoria, e li meriti suoi, giustamente lo faranno raccoman- datissimo. Io solo dunque me le raccomando e di nuovo me le offro servitore affezionatissimo. Dal Monastero di S. Faustino in Brescia il dì 4 Maggio 1585. CXCVI. — Archivio Gonzaira; E. XLV. — 216 r CXOVII. Maurizio Calanco a Monsignor Giulio 3faseUi. — Bonia. Non potendo io venir, come debito e desiderio mio era, a supplicar Vostra Signoria per la grazia che il Tasso desidera ottener da Sua Al- tezza Serenissima ad intercessione deirillustrissimo Signor Cardinale Albano, farò questo oggi con la penna, confidando ch'ella non solo mi scuserà, ma piglierà volentieri l'impresa di scriver ' e supplicare il Se- renissimo Signor Duca per consolare il Tasso: il quale insomma desi- dera che Sua Altezza Serenissima si degni favorirlo di dargli udienza, e sta tanto fisso in questo pensiero, che se non ha questa grazia, mo- rirà di malinconia. E s'immagina che questo favore debba esser a lui di tanta virtìi, che l'abbia a risanare o almeno a levargli gran parte della sua infermità: onde spero che Sua Altezza, che ha favorito e favo- risce tuttavia con la sua immensa cortesia il caro Tasso, si degnerà ancora esaudirlo adesso in ascoltarlo e in dar ordine che sia alle volte allargato, condotto per Ferrara, accarezzato e raccomandato al nuovo prior di S. Anna; perchè con simili dolcezze rasserenerà la mente e si rimetterà a scriver cose più che mai belle. E tutti i favori e grazie che Sua Altezza Serenissima farà al Tasso saranno tanto accette al Cardinale Albano, che le ne resterà con infinito obbligo. Le bacio le mani. [Di Koma, Giugno 1585]. CXCVIII. Monsignor Giulio Masctti ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Ferrara. Il Tasso si è servito del mezzo del Signor Cardinale Albano per ot- tenere da lei la grazia che si contiene nell'allegata polizza, scrittami dal segretario (1) di quell'Illustrissimo Signore. Piaccia a Vostra Signoria d'avervi quella considerazione che le detta l'infinita bontà, quando però la pazzia del Tasso non fosse tale, che mettesse più conto di lasciarlo .stare Di Koma 8 Giuf^no 1585. •.A'.\ ii. — R. Archivio di .Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. CXCVIII. — R. Archio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. (1) Maurizio Cataneo. 217 CXCIX. Giovan Battista Ladcrchi a Monsignor friulio Mastiti. — Itoma. Del Tasso dirà airilhistrissimn Albano die Sua Altezza ha ordinato molte volte che gli siano date tutte le comodità possibili, che sia ac- compagnato e per la città, e per altri giardini, perche possa godere dell'aria, e passare gli umori malinconici, ma che non gli giova niente, venendo talvolta il pover'uomo in tanta furia, ch'a pena, chi n'ha cura, il può ridurre al luogo solito. Che l'ha ammesso altre volte alla sua presenza consolandolo con parole grate ed esortandolo a stare di buona voglia e lit^tamente, e che l'istesso ha fatto la Signora Duchessa d'Ur- bino, la quale ha poi talvolta avuta molta paura quando egli è stato al cospetto di Sua Altezza, essendo egli soprappreso da furori. E che si sono tenuti tutti gli altri mezzi per tentare di ridurlo a stato migliore, essendo egli amato da Sua Altezza per le sue virtù, ma che tutto è stato indarno, essendo egli ogni dì più caduto in varie stravaganze. E che Sua Signoria Illustrissima s'assicuri che anco per amor suo s'accre- scerà diligenza a diligenza per vedere d'aiutarlo, sebben si crede che il caso suo sia come disperato, essendo stato quasi sempre talmente oppresso dalla malinconia, che non avea, si può dire, lucidi intervalli in altro che nel poetare, come egli fa anche ora a qualche tempo, per una certa inclinazione naturale Da Ferrara 15 Giugno 1585. ce. Giovan Battista Laderclii a Monsignor Giulio Musetti. — Roma. Darà poi l'alligata lettera al Signor Cardinale Albano che è in cre- denza sua, e gli dirà per parte di Sua Altezza che ella vide quanto Sua Signoria Illustrissima le scrisse con la sua lettera del 22 del pas- sato (1) sopra il Tasso, e che avendo diggià fatto rispondere pienamente CXCIX. — li. Arcliivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Carteggio resti- tuito; Istruzioni agli oratori a Roma. — Documenti storici spettanti alla medicina e chirurgia, ecc., pubblicazione fatta dal Direttore [Foccaro] deìV Archivio di Stato di Modena; Modena, Tip. Sociale, 1885. Ivi ne è dato soltanto un sunto e pub- blicato un brevissimo tratto. ce. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Carteggio resti- tuito; Istruzioni agli oratori a Koma. — Un .sunto e un breve tratto ne è pure pubblicato in Documenti storici cit. (1) Questa lettera del Cardinale Albano, del 22 giugno, non ho potuto ritrovare. — 218 — quanto oooorreva al iiionioriale del segretario di Sua Signoria Illustris- sima ohe lo presentò in questo proposito, poco altro ha che replicarle: ma che le din\ solo che quando il Signor Duca di Gioiosa fu qui, fece, ad istanza sua, dare un poco di libertà al Tasso, e condurlo anche alla presenza sua, ma che in effetto non si conobbe in lui altro che il cervello scemo, instabile e poco atto a ricevere miglioramento; e che l'Altezza Sua si è sforzata di farlo curare e di fare usare ogni esatta diligenza acciocché si riducesse a miglior termine di salute, come gli sarebbe stato grandemente caro. Ma che nondimeno, quando credesse Sua Signoria Illustrissima di avere qualche luogo da portargli ricrea- zione, 0 medico, o altra persona, con la cura della quale si potesse spe- rare di risanarlo, o almeno di ridurlo a termini convenienti di sanità, l'Altezza Sua sarebbe prontissima di concederglielo, sì come sarà pron- tissima sempre a servirla in tutti i tempi e in tutte le occasioni. Che i medici di questa città non sanno però che rimedio farvi, ed hanno il caso suo per disperato Da Belriguardo G Luglio 1585. CCI. Battista Guarini a Sperone Speroni. — Padova. Mi ricordo ben d'aver detto, e quante volte occasione me n'è venuta, che la tragedia Canace è, per mio avviso, spiegata con la più pura e la più scelta elocuzione, che abbia poema alcuno di nostra lingua; e che tanto di leggiadria è sempre paruto a -me, che abbia nell' Aminta suo conseguito Torquato Tasso, quant'egli fu imitatore della Canace: e dico dell'Aminta, come d'opera in quanto alla dicitura da me stimata assai più d'ogni altra sua poesia. Ho anche detto, che nel mio Pastor Fido riputerei d'aver bene le mie fatiche impiegate, se, come in esso per idea di nobilissimo stile la purità della Canace mi son proposta, così mi fosse venuto fatto d'averla ben conseguita e felicemente imitata. Dalla Guarina li X di Luglio MDLXXXV. CGIL Bastiano de' Rossi a Vincenzo Pinelli. — Padova. Oggi sono quindici giorni, ch'io scrissi a Vostra Signoria, e per via CCI. — GvAUììiiB., Lettere, Yenezia, Ciotti, 1593; p. 23. — Tasso T., Opere; Tol. XXIII, p. 108. CCII. — Biblioteca Ambrosiana; autografo. — Tasso T., Opere; voi. XXIII, p. 112. — 219 — de' Giunti inviai a Vostra Signoria una mia Cruscata(l) in difesa del- l'Accademia della Crusca, che era stata imputata dai fautori del Tasso, in quella risposta al Di;ilo)^'o del Pellegrino, d'essersi anzi che no ne' biasimi del Goftredo portata ruvidamente ; ed io mi sono sforzato di mostrare, che ella ha proceduto troppo modestamente, come ella avrà potuto vedere Di Firenze il di 13 di Luglio 1585. coni. Scipione Ammirato a Camillo Fellegrino. — Capua. Ho ricevuta la lettera di Vostra Signoria de' lU del passato, la quale letta a molti, tutti commendano con somme lodi la modestia sua; e quelli della Crusca medesima par che si vadano giustificando, che ciò che si mossero a dire fuor di ragione del Tasso, da cui erano stati punti per conto della lettera del Martelli, come Vostra Signoria dovette ultimamente vedere nella lettera di Bastiano de' Kossi. Ora essi aspet- tano con infinito desiderio la risposta di Vostra Signoria, alla quale si preparano di rispondere con eguale cortesia. Intanto sono venute di Ferrara le allegate repliche così in prò, come in contro del Dialogo suo: il quale comunque la cosa si vada, essendo infino a quest'ora tre volte stato stampato, mi par che abbia fatto più acquisto che perdita, nonnostante le contraddizioni passate. Emmi paruto dovere dimandargliele, acciocché ogni cosa le sia manifesta, e possa ella servirsene secondo la prudenza sua le detterà. Ducimi che non si senta bene, priegolo a con- servarsi massimamente in questi caldi, e se ha qualche amico in Na- poli intendente, potrà questa cura commetterla a lui, sebbene le cose della stampa vorrebbono il proprio autore. Non potrebbe Vostra Signoria di gran lunga stimare con quanto contento sto aspettando le Lagrime di Pietro; poiché in un certo modo posso io chiamarmi causa di questo bene che sieno in luce, avendo confortato il Signor Tansillo poco prima che morisse a metterle insieme: le quali aveva tutte alla mente, o una gran parte in scartocci, che non l'avrebbe rinvenute Apolline. Sicché (1) Lettera di Bastiano de' Rossi, cognominato lo Inferrigno. Accademico delia Crusca, a Flaminio Mnnelli nobil Fiorentino, nella quale si ragiona di Torquato Tasso, dal Dialogo dell'Epica Poesia di Messer Camillo Pellegrino, della Bi- sposta fattagli dagli Accademici della Crusca; e delle famiglie, e degli huomini della Cittìi di Firenze. In Firenze, a stanza degli Accademici della Crusca, 1585. (Cfr. T. Tasso, Opere; voi. X, p. 81). ceni. — Civico Museo Campano; ins. cit. — E. Biblioteca Nazionale di Firenze; od. Palatino 224. — 220 — il cort^sissinio Siijnor Bonaventuri volentieri piglierà questa noia di dar loro recapito, si che mi provengano salve in mano. A Vostra Signoria e al Signor Attendolo, a cui scrivo, senza fine bacio le mani, e priego salute e felicità. A" 3 Agosto di Firenze (1585). OC IV. Scijrioue Gonmga a Luca Scalahrino. — Ferrara. (jià per un'altra mia, in risposta della prima sua, Vostra Signoria avrà compreso come il suo sospetto sia stato non pur ragionevole, ma vero; poiché certissima cosa è, che quegli uomini dabbene che svali- giarono il corriere, non contenti d'aver soddisfatto al loro bisogno con la roba più utile, vollero anco, per mostrarsi begl'ingegni, dare un poco di pastura non necessaria ai loro strambi intelletti coi componimenti del nostro Signor Tasso. E veramente, oltre l'effetto che si vide, d'aver la^:ciato venire la vostra lettera senza il libro alligato, portò la fama a Mantova, siccome a me riferì uno de' miei, che avendo coloro scoperto opera del Tasso, subito fu di loro chi disse: Questo non si lasci per niente, che ci servirà per trattenimento. Il che è pur gran segno della stima e del pregio in che sono appresso ad ogni sorta d'uomini le cose di quell'infelice. Or venendo al caso nostro, io ho ricevuto con la seconda vostra let- tera il primo volume (1) dell'Apologia del signor Tasso, e ve ne resto con tanto maggior obbligo, quanto la cortesia vostra vi ha fatto due volte pigliare il medesimo travaglio. Dell'opera vi direi qualche cosa: ma la verità è, che non ho potuto leggerne se non picciola parte, così mi trovo occupato. In luogo di questo vi dirò, ch'io ho ricevuto una lettera, alcuni dì sono, del cavaliere Salviati; il quale avendo inteso alcune parole ch'io dissi passando per Fiorenza, biasimando in sostanza l'acerbità ed il disprezzo con che quella sua Accademia aveva non par- lato ma sparlato del povero Tasso, mi mandò la lettera stampata di Bastiano de' Rossi, dicendo che sperava che veduta quella, io fossi per mutar opinione circa l'inurbanità de' suoi fiorentini. A questa io ho ri- sposto la settimana passata, e in modo che non so quanto gli sarà pia- ciuto; poiché io non ho rallentato punto (per dir così) la difesa dell'a- CCIV. — Tasso T., Opei-e; Venezia, Monti, 173542; voi. X, p. 380. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 267. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. 341. (1) Si deve intendere per esemplare. — 2-M - mico: anzi, mostrato che col pretendere offesa da lui, iianno più tosto ])eggiorata che fatta miirliore la causa loro nella contesa delle lettere, e che mi jiare strano, che avendo essi , ed il cavaliere specialmente, avuto una volta buona opinione del Tasso, e giudicatolo anche ne' suoi scritti degno di lode nella poesia (1), ora l'abhia mutata secondo la mutazione dell'affetto: il che è manifesta perversione d'ordine in cose simili. Tocco qualc'altra cosa ancora: ed in particolare dello stato d'esso Tasso, atto piuttosto a destar pietii di lui, che desiderio di vendetta: ma però passo il tutto con poche parole, riserbandomi a parlargli in voce nel mio ritorno, acciocché non sfoderassero addosso anche a me qualche cruscata. Desidero sapere come la (au: rm \n>Lii ufgozi prelibati, e che spe- ranza potrò avere di vedervi in queste parti. E con ({uesto vi bacio senza tìne. Di San Martino, a' 13 d'Agosto lòSò. CCV. Nicolò degli Oddi a Camillo Pellegrino. — Capila. Essendo alli giorni passati venuto da Pisa in Palermo il Signor D. Gismondo Ventimiglia, gentiluomo di questa città, e giovane di bel- lissime lettere; portò con seco un picciolo, ma dotto poema drammatico di Vostra Signoria, o vogliam dire Dialogo, il quale è piaciuto sempre a me di addimandarlo l'eccellenza della Gerusalemme Liberata del Tasso, il figlio, colla giunta di una difesa fatta dagli Accademici della Crusca per Ludovico Ariosto: opera non men curiosa e bella, che nuova in questo regno: ove dai belli ingegni molto fu ammirato l'ingegno di lei ; ma da me non solo ammirato l'ingegno, ma l'opera, come prezioso tesoro, tra le cose mie piti care riposta; essendo io sempre stato di questa opinione, che il Goffredo del Tassino sia sola e vera idea nella lingua nostra di vero poema epico. Ma perchè non fu mai per alcun secolo, che la virtìi non fosse invidiata: poiché le persone di loro natura sono più inchinate al riprendere, ch'ai lodare, e quelle massimamente, (1) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. I, n.^ 82. CCV. — Museo Campano di Capua; ms. cit. — Biblioteca Nazionale di Firenze, cod. Palatino 224. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 270. Delle lettere edite già sulla controToràia per la Gcrusaìemme citerò solamente questa .solita edizione delle Opere, Pisa, Capnrro, 1821-o2, come quolla che ò la più completa, sebbene si ri- trovino stampate anche nell'edizione di Firenze. Tartini e Franchi, 1724; di Venezia, Monti e C, 1786; e di Milano, Classici Ital , 1-^04 V. quanto intorno al testo b» detto nell'Introduzione. — 222 — che senza volerne vedere la verità, sopra i rumori della fama, i quali il pili delle volte suonano la menzogna, fondano il loro giudizio; non sono mancati di quelli in questo regno, che hanno avuto a dire, che volere provare il Furioso di Lodovico Ariosto non esser perfetto poema, è impresa temeraria e non riuscibile. A questi per soddisfare io, ve- dendo massimamente che in questo regno l'opere vengono tardi o non mai: e dubitandomi che la risposta di Vostra Signoria (la quale son certo sarà degna di lei) tardi a venire qui da noi; mi son disposto, dico, di fìire in questa materia, e in risposta agli Accademici, un mio pic- ciolo Dialogo, il quale è già quasi condotto a perfezione, e darlo alla luce in questo regno. Ma perchè mi parve temerità il fare ciò senza saputa sua e licenza, ho voluto con questa notificarle, che essendo io venuto nuovo ammiratore delle virtù sue, voglia insieme accettarmi per nuovo e buon amico, e degnarsi che con questa mia picciola operetta della nuova amicizia e servitù, ch'ora le offro, ne dia questo picciolo indizio al mondo. Si degnerà Vostra Signoria, volendomi esser cortese di risposta, inviarla in Napoli al Padre Don Giacomo di Palermo, mo- naco in Monte Oliveto, col cui mezzo mando anch'io questa a Vostra Signoria; con clie pregandole lunga e felice vita, farò fine. Di Palermo li 10 Settembre 1585. COVI. Giovan Mario Verdizzotti a Orazio Ariosti. — Ferrara. Siccome de' moderni di mio tempo da me conosciuti molti sono stati e sono, tra li quali il Dolce, ed ambidue i Tassi sono stati da me amati e più frequentemente praticati come amico loro dei più domestici. Ho cominciato amarla sin dal primo giorno che io vidi il suo nome nella Gerusalemme del nosh-o Tasso, come autore degli argomenti dei libri 0 canti di quel poema: il che è stato non prima che da tre mesi in qua, ch'io fui di passaggio a visitare l'Illustrissimo Signor Erasmo delli Signori di Valvasone, mio amicissimo Signore, a quel suo castello: ove mi fu mostrata da lui l'opera suddetta del Tasso stampata molto CCVI. — Biblioteca Comunale di Ferrara, cod. N. C. 6, n.« 177 (già 439): Orazio Ariosto, U Alfeo 'poema, ed altre lettere. — Cittadella L. N., T. Tasso e G. Verdizzotti negli Atti dell'Ateneo Veneto, Serie II, voi. VI (1871), p. 287. Il Cittadella però non fece che intercalare tratto tratto nel suo articolo qualche periodo di queste lettere del Verdizzotti, e non di tutte quelle che di qui innanzi vengono pubblicate. — •^■^i — meglio in Ferrara, clie non mi pareva essere stata quella, che si pub- blicò in Venezia la prima volta, tutta lacerata in frammenti,»' dappoi accresciuta ed intiera, ma con molte incorrez/.ioni o dej^li stampatori, 0 degli scrittori delle copie : e con tal occasione vidi il nome di Vostra Signoria come autore di detti argomenti, i (|uali aveva veduto giorni addietro sotto nome d'incerto E beato il nostro Torquato, per cosi dire, s'egli avesse avuto per l'avvisamento mio un poco di quella buona opinione, che parmi ch'egli accenni l'aver adesso dell'Ariosto, in quelle sue difese del suo poema, quanto alla maniera del dire: adesso, dico, che da non so chi è stato censurato e morso non so perchè; ma ben crederei che per avventura ciò avvenuto esser potrebbe perchè alcuni suoi amici e laudatori l'hanno troppo levato in aere, laudandolo col morder gli altri scrittori non solo vivi, ma morti ancora; e dichiarando per privi di giudizio chi non sente quello ch'essi dicono sentir di quel poema; il quale certo per mio pa- rere è degno di molta laude, e tanto piìi mi piacerebbe, quando egli si fosse astenuto un poco più di quello c'ha fatto, dal frequentar quelle frasi latine piene di durezza; e dico frequentar, perchè non è parola, né locuzione per latina che sia, la quale per una volta o per due non si possa ammettere in un poema grande e continuato. Ma a quel povero gentiluomo degno di gran compassione per molti rispetti a Vostra Si- gnoria notissimi, s'è aggiunta anche quest'altra disgrazia, che '1 suo poema è stato stracciato e pubblicato senza sua saputa e licenza, per quanto stimo, prima ch'egli v'abbia posto l'ultima mano; conoscendo io l'ingegno del Signor Torquato esser tale, che, volendo alquanto aderirsi alla più comune opinione, potrebbe ridurlo a perfezion maggiore senza alcun dubbio. . 11 che vorrei vedere più d'ogni altro suo amico, paren- domi quasi mia creatura quel poema, poiché io credo esser stato quello, che gli abbia posto in capo quel pensiero; mentre vedendo il suo bel- l'ingegno versar intorno al compor madrigali e sonetti, nel tempo che col padre egli dimorava in Venezia per abitazione, più volte il cominciai a destare alla mira d'un poema continuato delle eroiche azioni, dicen- dogli spesse fiate, che '1 primo loco dei lirici componimenti era stato talmente occupato dal Petrarca, che alcuno, per culto scrittore che .'po- tesse essere, giammai non saria per levamelo di possesso. Così finalmente persuaso da me, si mosse a far per mio ricordo della materia quel suo Rinaldo, mentre io gli avea mostrato il mio Orlando, il quale è un mio poema che essendo io ancora in età di anni sedici non forniti, cominciai, seguendo quanto alla tessitura della favola gli antichi, formandolo d'una sola azione; ed il nostro Ariosto quanto all'imitazione (in quanto posso, perchè mi par di poter molto poco) dello stile; il quale è senza com- parazione più difficile d'imitar che quello del Tasso, come con l'espe- — 224 — rienza in mano a niÌ£;lior occasione darò a vedere. E per tornar a pro- posito, dopo il suddetto suo Kinaldo, il Tasso tolse per soggetto l'acquisto di Torrasanta , per ricordo di Messer Danese Cataneo , scultore eccel- lentissimo per professione, e poeta di bel giudizio, più per diletto e per ingegno naturale, che per professione di lettere; delle quali egli almeno ora tanto tinto, che intendeva bene ogni poema latino; ed era di così bella idea di poetare ch'inspirava, come si favoleggia d'Apollo e delle Muse, l'umor poetico in altri. Così questo gentiluomo da bene, ed ap- jtresso di chi l'ha conosciuto di sempre onoratissima memoria, ricordò al nostro Tasso la materia del suo nuovo poema; il quale credo che appunto in casa sua fosse dal Tasso principiato in buona parte; ed io che allora e d'età più giovane e sfaccendato che io era, aveva tempo di trovarmi quasi ogni giorno con lui in casa del detto Cataneo, ve- dendo che il Tasso mal volentieri prendeva la fatica dello scrivere, gli fui cortese con mia molta soddisfazione di scrivergli di mia mano tutto il primo canto; gli squarciafogli del quale scritti da lui stesso molto alla trascurata, credo d'aver ancora tra le cose mie. Ma diverso era il principio, diversa la dedicazione, diverso il rimanente in molte altre parti di quella forma in ch'ei si trova al presente. Questo io volli dire a Vostra Signoria per mostrarle che non è nuovo l'amor ch'io porto al Tasso, ne piccolo il zelo dell'onor suo, accompagnato col desiderio del- l'immortalità del suo poema. . . , io faccio un certo catalogo di poeti, fra i quali io nomino il nostro Tasso con questi versi: Veggio anche un Tasso al cai sonoro canto Ch'udir si fa dai nostri ai lidi Eoi, Rimbombar l'armi e la pietosa cara Che acquistar di Sion le sante mura! Da questo può Vostra Signoria comprendere la stima ch'io faccio di lui, al quale pregherei ch'ella riferisse mie salutazioni efficacissime, s'io credessi ch'egli più si ricordasse de' fatti miei, dopo molto tempo ch'io non l'ho veduto, e se non è forse diffìcile il praticarlo per queste sue miserabili avversità, dalle quali io vorrei poter cavarlo col proprio sangue. Di Venezia 12 Settembre 1585. 22Ó CCVII. Lo Stampatore delVlnfannato a roloro che lefiffono. I Prefazione \. Stampossi qui in Firenze, insieme con certe rime, un libretto di questo titolo: Il Caraffa ovvero dell'Epica Poetica, Dialogo di Camillo Pf.l- LE(jJiiNO, e diedesi fuori in pubblico di dicembre ultimamente passato. Nel qual Diabolo paragonandosi, e ponendosi innanzi, quasi in tutte le parti, la Gerusalemme di Tonjuato Tasso -aW Orlando Furioso di Lo- dovico Ariosto: o l)iasimandosi il Moryante del nostro Pulci, e privan- dosi delle dovute lodi i poemi dell'Alamanni : proposero gli accademici della Crusca, ai quali alquanti giorni dappoi fu data notizia di quel discorso (non percliì' fosse di mestieri, ma per istorre gli altri da simil guisa di paradossi contra le scritture d'autorità), di ribattere le contro- versie, che si movevano al Ferrarese, e ai nostri poeti insieme: e con alcune brevi chiose poste sotto ai propri luoghi dell'operetta a esso Dialogo contraddire, o adducendo le pniove, o quelle presupponendo, secondo che appunto dalla proposta si faceva di mano in mano. E quan- tim(|ue quella fatica in manco di quattro giorni si compiesse dall'Ac- • ademia, tuttavia per le difficoltà delle stampe, e per lo spazio delle licenze, non prima fu data in luce, che intorno a sette mesi fa, cioè alli sedici di Febbraio, e quindi tre giorni appresso il Signor Giovanni de' Bardi comparì in Fen'ara con alquante copie di esso, stampate, come s'è detto-, dove seppe il secondo dì, che una in mano del Tasso n'era già pervenuta per altra via. Questa difesa dell'Ariosto, per l'essere dagli Accademici stata dettata con doppio sdegno, cioè, e contr'al Pellegrino, per l'offesa del Pulci e dell'Alamanni, e contr'al Tasso, per le sue pub- bliche, quantunque spossate maldicenze, contra questa nazione fu dagli amici d'esso Torquato con artifìcio messa in concetto di maledica scrit- tura e mordace, e quasi per tutta Italia divolgatane la querimonia: la (piale da molti, che il fondamento non ne sapevano, come diritta si riceveva, e se n'ebbe compassione; infìn'a tanto che, per dichiarare il vero di questo fatto, furono come costretti questi gentiluomini della Crusca di comandare al Sindaco loro, che pubblicasse quella lettera, che dallo Inferigno lor segretario, intorno a questi rammarichi, alquanti giorni addietro gli èra stata mandata a Roma. 11 che dall'ubbidiente Sindaco prestamente recato a fine: ed essa lettera a' ventotto di giugno. CCVII. — Dello Infarinato, accademico della Crusca, risposta all'Apologia di Torquato Tasso intorno all'Orlando Furioso, e alla Gerusalemme liberata. In Fi- renze, per Carlo Meccoli e Salvestro Magliani, 1585; in-8'. — Tasso T., Opere; voi. XIX, p. 61. SoLEKTu La vita di T. Tasso. II. ìó — 226 - clic per l'ultimo trapassò, finitasi di stampare, cessarou subito le que- rele; 0 la compassione che dianzi s'aveva al Tasso, si rivolse in male- voijlienza : e quello che nelle chiose della Crusca avevano certe persone cliiamato troppo rigore, troppo dolce vendetta fu riputata da quindi innanzi : e volentieri voluto avrebbono, che col castigo più avanti si procedesse, il che per tutto ciò non avevano gli Accademici in animo di dover fare, immaginandosi che il Tasso, pentito del suo procedere, ne fosse per fare scusa. Quando ecco di nuovo alla fin dell'ultimo Lu- glio, ciò fu alli 29, comparir qui a Firenze per lo corriere xm' Apologia del medesimo Torquato Tasso, nella quale, mentre che prende carico di disputar con gli Accademici di picciola parte di quelle cose, le quali da esse notate s'erano nel suo poema con opportuna cagione della di- fesa dell'Ariosto; invece dello scusarsi d'aver calognata la città nostra, di nuovo torna ad offenderla, con disprezzabili e vane punture sì, ma piene di mal talento. Lasciamo stare il non bastargli di fare opera di salvar se, ma volere anche, mentrechè sempre promette tutto il con- trario, l'Ai'iosto vituperare e sostenere a tutti i partiti (con quanta mo- destia, savio lettore, nella stessa bocca di se medesimo!), che dee il poema suo al poema di quel grand' uomo , così nelle parti , come nel tutto, lungo spazio porsi davanti. Per la qual'opera parendo all'Acca- demia d'essersi appieno certificata, che posciachè il Tasso scrive, o par che scriva, e che si stampano, o par che si stampino le sue scritture ; 0 non è vero (che voglia Iddio che così sia) ciò, che molti per iscusarlo delle sue avversità vorrebbono, che si credesse; o conviene che alcun altro immascherato da Tasso, di suo consenso comparisca iniscena a tassare altrui in sua vece; perciò fu da essa Accademia data licenzia al suo Infarinato, che la chiedeva con grand'istanzia , che alla detta Apologia del predetto Torquato Tasso, o ad altra persona, che fatta l'avesse in suo nome (ed in tal caso per lo nome del Tasso s'intende l'apologista) potesse rispondere a voglia sua. Alla quale impresa ap- prestandosi, e tirandola innanzi, ma con lentezza, e solamente (dirò così) nelle vacanze attendendovi dell'altre cure: il ventottesimo giorno da che qui comparve l'Apologia, con ciò che le fu mestieri a doversi poter imprimere, alla mia stampa la consegnò; e questo dì finalmente, che il tredicesimo è di settembre, s'è fatta pubblica a ciascheduno. 11 che ho io voluto che si registri nel presente ragionamento, contr'al de- siderio dell'autore: il quale anzi voluto avrebbe che si dicesse il con- trario, cioè, che lungo tempo ci avesse speso: affermando che in quel modo non sarebbe stata per avventura di sì picciola autorità, o che pur troppo scoprirà ella la brevità del tempo per se medesima, senza ch'altri la manifesti, e altre cose che non è mio ufficio il risponder loro. Ma io di questi tempi così precisi ho voluto far menzione: posciachè l'altra — 227 - parte altresì nella risposta, pubblicata appena il settimo mese, si gloria della prestezza. Molte altre cose intorno alla giustizia di questa causa, e al contrario dell'altra parte, che parebbono da dirsi prima, procedendo avanti col leggere, da esso medesimo Infarinato ne' luoghi particolari sentirete di mano in mano. Vivete lieti. Di Firenze dì 18 di Settembre 1585. (JCVIIl. Scipione GonziKja, Patriarca di (reriisalcmmc, a Luca Scaìahriuo. — Virmra. ÌAi vostra lettera del XXV del passato m'c venuta a trovare a Koma, dove già quindici dì sono arrivato; e tuttoché ella sia alquanto vecchia, non mi è però stata men cara di quella ch'ella doveva, massimamente l>er le cose che con essa mi scrivete del nostro signor Tasso, a cui liiaccia a Dio benedetto di dare tanto intervallo e sanità di mente, t'h'egli possa attendere al compimento della sua tragedia, che io v'as- >ieuro, che non potrei in simil genere veder cosa più da me desiderata. Mi saria stata carissima la vostra venuta a San Martino per godervi qualche giorno a quei buoni freschi: ma ne bisognerà ora attendere altra occasione di rivedervi, poiché i vostri negozi vi trattengono tuttavia costà, ed a me è convenuto di tornarmene così improvvisamente a Roma. Rallegromi delle nozze che, secondo il vostro avviso, si deono esser fatte della figliuola del signor cavaliere Guarini; siccome, per la molta affezione che gli porto, mi dolgo de' suoi disgusti. Se nel fatto della monaca la quale, come scrivete, vien detta santa, occorrerà alcun par- ticolare da sapersi, vi piacerà di farmene parte; che l'avrò per gratis- simo favore. Ed io con questo fine non debbo lasciare di dirvi, come nell'ultimo concistoro di lunedì Nostro Signore, di mera sua volontà e benignità, me penitus itiscio, mi onorò della dignità di patriarca di Gerusalemme; ed oggi mi son messo l'abito: di che ho voluto signifi- carvi, sapendo che avrete soddisfazione di questo mio onore. E senza più mi vi raccomando ed offero. Di Roma 25 di Settembre 1585. Prego Vostra Signoria a dar questa nuova di me al Signor Tasso, che forse sentirà piacere intendendo ch'io sia successore a quel pa- triarca al quale (jfotifredo doveva raccontare le guerre di Scria e ch'io abbia, se non giurisdizione, almeno azione sopra quel paese che tanto è stato onorato dalla sua penna. covili. — Tasso T., Opere, Venezia, Monti e C, 1737-:^9; voi. X, p. 389.— Tasso T., Opere; voi. XX, p. 268. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. 343. — 228 CCIX. Scipione Gonzaga, Fatri-arca di Gerusalemme, a Luca Scalahrino. — Ferrara. Avrà Vostra Signoria sempre più fatica a farmi credere di non aver sentito che d'avere sentito allegrezza di quel che torni ad onore o sod- disfazione mia. Però, sebben a lei non pare d'avere espresso nella sua lettera tutto l'affetto del suo cuore, assicurisi nondimeno che in assai manco parole io avrei letto intieramente la contentezza dell'animo suo: tanto m'è nota la cortesa affezione ch'ella mi porta. All'incontro, sa- pendo ella quanto io l'ami, non dee ricercare da me lungo testimonio dell'obblisfo che per così fatto piacere le tengo. Lasciando adunque queste cerimonie da canto, verrò a dirle che ben mi è stato caro d'in- tendere, che '1 nostro Signor Tasso si sia anch'egli commosso non poco a questa nuova. Ma non vorrei già, ch'egli da questo avesse preso oc- casione di credere ch'io fossi un gran favorito di Nostro Signore, poiché mi prega a fare uffizio con Sua Santità per la sua liberazione. Benché, quando anche io fossi, sappiamo quanto cotale uffizio sarebbe a propo- sito. Non so come potrò soddisfargli nella risposta ; ma vedrò pure d'an- dare scaramucciando il meglio ch'io saprò. La Risposta della Crusca a\V Apologia io non l'ho per anche veduta, ma so donde averla, sempre ch'io voglia; sebben poco me ne curo, in- tendendo ch'ella non è meno maledica della prima scrittura (1). Quanto poi al Signor Don Ferrante, spero certissimo che farà, o più tosto avrà fatto a quest'ora qualche onorata dimostrazione al Signor Tasso (2); perchè così affermò Sua Eccellenza a me, prima ch'io partissi di Lom- bardia. Ma io spero anco, che questo non sarà solo; perchè il medesimo Signore mi ha dato intenzione, e quasi certa promessa di pigliare ai suoi servigi amendue i nipoti d'esso Tasso ; ma d'uno almeno son sicu- rissimo. E tutto questo per uffizio che ne feci io appunto sul mio par- tire. Sicché il Signor Tasso dovrà contentarsi di me, ancorch'io non gli faccia avere le lettere che pretende da Nostro Signore. E con questo fine, a Vostra Signoria di tutto cuore mi raccomando. Di Roma a' 16 d'Ottobre 1585. Mando a Vostra Signoria l'altra ch'io scrivo al Tasso; il quale dice CCIX. — Tasso T., Opere, Venezia, Monti e C, 1737-39; voi. X, p. 340. — Tasso T., Opere, voi. XX, p. 269. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. 344. (1) La prinna Stacciata. (2) U Tasso aveva dedicata a don Ferrante Gonzaga V Apologia; e n'ebbe in ri- compensa 150 scudi. — 229 — nel fine della sua, che non può avere risposta da lei, sebbene è in Fer- rara, e potrebbe fargli molti piaceri: da che si vede l'umor gagliardo. Tuttavia ella deve procurar di lasciarlo soddisfatto quanto si può nel dargli la mia lettera, CCX. (t. B. Licino a Maurizio Cutaneo. [Dedicatoria]. La iiresente risposta che fa il Signor Torquato Tasso a quella lettera del Rossi di Fiorenza (1), la quale da Vostra Signoria mi fu mandata, molti dì sono, per dar a esso Signor Torquato, indirizzo ora a Vostra Signoria insieme con un breve discorso, pur per lui fatto, sopra il parer del Signor Francesco Patricio, in difesa di Lodovico Ariosto, qual si vede stampato insieme con l'Apologia di esso Signor Tasso, parendomi convenevole che s'ella fu la prima che diede a leggere al detto Signor Torquato la proposta, sia parimente la prima, a cui il Signor Tasso, 0 io in suo nome, dia a vedere la risposta; la quale se per avventura parerà a Vostra Signoria che tardi le si mostri, incolpine non l'autore, ch'in due dì, dopo ricevuta la lettera, se ne spedì: ma la difficoltà, che porta seco l'imprimere. Vostra Signoria legga esse operette con quel- l'animo, con che suol l'altre cose di lui, che per quello, che di queste ho inteso da persone intendenti, confido ch'ella non sia per pentirsi del tempo, che si spenderà in farlo; ed a Vostra Signoria bacio le mani. Di Ferrara a' 25 d'Ottobre 1585. OOXI. Camillo Pellegrino a Scipione Ammirato. [Dedicai or ia\. È molto veramente l'obbligo ch'io ho con Vostra Signoria della di- ligenza usata nel mandarmi tutte le composizioni fatte in materia del mio Dialogo delTEpica Poesia. Ebbi da lei prima la Risposta del- l'Accademia della Crusca al mio Dialogo, la Lettera poi dello Inferigno, CCX. — Risposta del Signor Torì^iato Tasso aW Accnrlemia della Crusca, in difesa del suo dialogo dei l'incer onesto, In Ferrara, nella stamperia di Vittorio BaMini, 1585, in-8». — Tasso T., Op. cit.; voi. X, p. 139. (1) Lettera di Bastian i>e' Rossi, cognominato Vlnferrigno, accademico della Crusca a Flaminùj Mannelli nobile fiorentino cit. CCXI. — Replica di Camillo Pellegrino alla Risposta degli Accademici della Crusca, fatta contro il Dialogo dell'Epica poesia in difesa, com'è' dicono. deW Or- lando Ftirioso deir Ariosto, In Vico Equense, appresso Giuseppe Cacchi, MDLXXXV; in-8». — Tasso T.. Opere; voi. XVIII, p. XXVIII. — 230 — per terzo YApohyfia del Signor Tor([uato Tasso, col parere insieme del Sii?nor Francesco Patricio, e con lopposizioni del Signor Orazio Ariosto; la quale benché smarrita per istrada, ho io nondimeno come ricevuta da Vostra Signoria: e ultimamente la Ris2)ost(( dello Infiirinato a detta Apologia. Ora non mi sarà egli lecito dire, senza peccar punto in am- bizione, che se il mio Dialogo da principio a guisa di picciol rivo len- tamente scaturisca dai greci e latini fonti, oggi accresciuto da grossi torrenti, e anche da piacevolissimi fiumi, soverchia le rive, e inonda le Toscane campagne? Dirò di più, che, siccome avvenir veggiarao di alcun fiume, che ricevendo nel suo letto altr'acque delle sue maggiori, conserva nulladimeno il nome , che prima ebbe dal suo picciol fonte : così per avventura è egli avvenuto del mio Dialogo ; il quale non perchè sia stato accresciuto da tanti, e ta' discorsi di valenti uomini, e di sì dotta Accademia, vien perciò a perderne il nome primiero, anzi con- servandolo, senza dubbio può dirsi ch'abbia fatto non picciolo avanzo, divenuto già testo delle chiose di tanti famosi scrittori; tutto che la maggior parte di essi paia che se gli opponghi. Questo, se non m'inganno, felice avvenimento, non dee attribuirsi a particolar mio valore, ma in parte alla buona fortuna del Dialogo, e in parte al favore, non dirò offesa, ricevuto da' signori Accademici della Crusca, nell'avergli fatto poco meno di duecento opposizioni. Dovrei dunque aver care queste sì belle occasioni, per le quali il mio nome è arrivato in parte, dove per sé non era atto a farsi sentire. Ma nel con- siderar poi, com'io sia stato cagione, quantunque senza mia colpa, di poner rottura fra il Signor Torquato Tasso e i Signori Accademici della Crusca, conviene che lo stesso dolce mi si rivolga in amaro, onde, sic- come ne' giorni addietro scrissi a Vostra Signoria, vorrei, se possibil fosse, cancellar quel Dialogo con parte del mio sangue. Ma lasciando questo vano rammarico, le due ultime composizioni fabbricate sopra il mio Dialogo, dico V Apologia del Tasso, e la Risposta dello Infarinato mi capitarono nelle mani a tempo, che la mia Replica era nel corso della stampa : perlochè, non ostante la cortesia dello Infarinato, non mi fu concesso luogo di pentimento nella riprova che essa Replica contiene; dato che, per quel ch'io mi creda, sia modestissinia in ogni sua parte. Intorno al particolare dell'Apologia io ho da render grazie immortali al Signor Torquato, che abbia voluto non sol rispondere alle opposizioni fatte nel suo poema, ma eziandio difendere in parte alcuni errori, o di voce, 0 di sentimento notati nel mio Dialogo. E di più, ho da diman- dargli perdono, ch'io a caso sia stato stromento a scoprir lo sdegno concetto ne' detti de' Signori Fiorentini centra di lui. E per ultimo ho, non che a compatir le sue doglianze, ma dirò sempre che elle sieno tanto ragionevoli quanto modeste. Se non per aver io poco lodato \ A- — 23i — madigi tlel Tasso ita<ìro, o per avere scoverti alcuni falli nella sua Gerusalemme^ i i|iuili per non aver egli riveduto quel poema, Talli ve- ramente non si.posson chiamare, almeno come caj^ione, benché, come dissi, senza mia colpa, dello contt'se se^ruitt' tra lui e l'Accademia della Crusca. Al dotto e sottil parere del Signor Francesco Patrizio, e alle cortesi opposizioni del Signor Orazio Ariosto, che altro dirò, se non che la loro modestia, che va di pari con la dottrina, inchriandomi di dolcezze l'o- recchie, 0 il gusto usato al fiele, e per se e per l;i dottrina ha vinto di modo l'animo mio, che non mi concede luogo di replicare? Dirò solamente, che se '1 Signor Francesco così di leggieri manda a terra i fondamenti di Aristotele, io non curo, che la fabbrica sopra postavi da me resti parimente abbattuta, poiché nel mio Dialogo mi son servito di queste voci; epica poesia, secondo la mente di quel filosofo; e in- torno al fatto della unit;i dovuta al poema eroico, ho io veduto i poemi di Omero con gli occhi di Aristotele stesso: e che, se 'l Signor Orazio non avesse detto, che nel mio Dialogo appare qualche livore, della ((ual nota mi purga a suo potere la mia Replica, del sicuro potrei cedergli nel rimanente; poscia che il Patrizio, per ragion della patria, ed egli per ragion della patria e del sangue, debitamente han preso il patrocinio di Lodovico Ariosto. Che per avventura in me, come in uomo innamorato delle loro virtii, appariranno jiifi belle le piaghe fattemi senza saldarle, che le cicatrici. Rimane ch'io dica, che se i Signori Accademici si fanno intendere, aver caro che la mia Replica sia pubblicata per le stampe, io avrò ca- rissimo che detti Signori non defraudino il mondo di frutti de' nobilis- simi loro intelletti, che a me non dispiacerìl punto, rispondendosi alla mia Replica, che e' faccino apparir false le mie posizioni, e che pale- sino anche il mio poco sapere. Facendo ciò con egual modestia, sì come Vostra Signoria mi scrisse che erano apparecchiati di fare. Mi proffero con tutto il mio affetto di riservir sempre Vostra Signoria pregando il Signor Iddio che la ci conservi molti anni ad utilità ed abbellimento del mondo. [Ottobre loP.-,]. CCXIl. Bastiano de Rossi a Camillo Pellegrino. — Capua. Nella bottega qua d'un libraio si tiene a mostra un lettera scritta da Vostra Signoria al Reverendo Padre Frate Agostino da Evolì in dì 28 del passato, di Capua, della qual lettera la sottoscritta è la copia. CCXIL — Museo Campano di Capua; ms. cit. — H. Biblioteca Nazional-^ di Firenze; cod. Palatino 224. — Tasso T., Opere; voi XX, p. 271. 2:« * Al M. l\. i'adronc Osserv., il P. Agostino d' Evoli predicatore nobilissimo a Firenze. - Molto Kevereudo P. Padrone osservandissimo. 11 non avere io scritto « a V. P. E. non è cagionato per tepidezza d'amore ; non era io ben si- « curo, ch'ella fosse ritornata a Firenze, dove ho scritto eziandio pochis- * sirae volte al Sig. Ammirato. L'ingrazio io V.S. quanto posso del buono * ufficio, che ha per me fatto co' Signori Accademici della Crusca, i * quali non so con quanta ragione abbiano sfogato l'odio, che avevano v^ con Torquato Tasso, contro di me; pure se, come ella mi scrive, << voglion la pace, io non ebbi mai guerra con esso loro, ne con altra <.< persona del mondo. La mia Replica è nel corso della stampa, e non può « distornarsi , nel rimanente io sono un pretuccio di poco valore , e ^< convien che ceda sempre ai dottissimi ed eloquentissimi Signori Fio- « rentini: ma conh-a l'offese s'aita naturalmente ogni animai terreno. « Son certo che risponderanno; ma non potranno tanto abbassarmi, che « accidentalmente non vengano ad innalzarmi ; perciocché, se non si fosse « opposto al mio Dialogo, non è dubbio che non si sarebbe divolgato « per le più famose città d'Italia. Fra venti giorni al più lungo sarò « a Vinegia a far riverenza a Monsignor Keverendiss. nostro Arcivescovo, « Nunzio di quella provincia. Se per V. S. posso alcuna cosa, me ne « avvisi, che starò là almeno tutto Novembre prossimo. Nel ritorno non « sarà gran fatto, che favorendomi la stagione, venghi ad abl)racciarvi, « e a veder Firenze. Pregate, Signor mio e caro fratello, il Signor « Iddio per me. che mi doni salute in questo viaggio: e vi bacio le « mani, e abbraccio sin di qui. • Di Oapua il di 28 di Settembre 1585. « Affezionatissimo Camillo Pellegrino « Primicerio Capuano ». Da parole della qual lettera si ritrae, che Vostra Signoria, in ciò che pertiene al contrasto, che pende tra lei e l'Accademia della Crusca in- torno airOrlando Furioso ed alla Gerusalemme Liberata, sia stata ri- chiesta di pace a nome dell'Accademia, e ricercata che non pubblichi le sue repliche: di che meravigliatisi essi Accademici, m'hanno com- messo che io intorno a questo fatto scriva la verità, la quale si è questa: Che siccome l'amicizia di persona si degna e sì valorosa, qual è Vostra Signoria molto Reverenda , sarà sempre carissima a tutti loro, e l'a- vranno in pregio ed onore; cosi nella delta disputa desiderano tutto il — 233 — contrario, cior dio Vostra Signoria replichi, e che le repliche quanto prima i>er le stampe sian (livuliù verità che bellezza : e quando pur fosse bello in alcuna parte, è sola- mente bello in quanto egli è vero: non avendo altra bellezza di quella che col vero gli si comunica. Per pagamento di quattordici versi erano pur troppo due righe della famosa mano di Vostra Signoria, ma alla generosità del suo nobile animo non basta d'avermi onorato con una si dotta ed amorevolissima lettera, che anche accenna di volermi rispondere in rima. La tardanza delle Muse non argomenta grado d'ingegno o di dottrina, ma pratica tralasciata di (luelle: ed in Vostra Signoria non è meraviglia; mentre ritirata alla speculazione della poesia, ha cercato di stabilir la sua sede con regole saldissime, perchè ne venga al mondo poi la pratica sicura e perpetua. La promissione che ella fa allo stesso mio sonetto, potrebbe sortire, quando da Vostra Signoria con mano amica venisse collocato in parte, dove per guiderdone di aver detta la verità, partecipasse dell'altrui gloria; ma per se veramente non vai tanto. Ha ben potuto lodar Vostra Signoria, ma non onorarla. L'amor mio verso le sue virtù nobili, come d'obietto nobilissimo e perfettivo, come atto dello intelletto, non ha potuto abbagliarmi, ma illustrarmi: ne forman- domi egli bellezza, me l'ha dimostrata maggiore; ma mi ha renduto quella appunto nelle sue proprie misure, ond'esso è formato. Però se da questo (ch'io noi soj risulta obbligo, non curi Vostra Signoria di pa- garlo con effetto, ma con affetto, pagando amor con amore : e reputi di averlomi pagato e dimostrato insieme nella sua bellissima e cortesissima carta. Sarò io perciò in perpetuo servitore del Signor Cavalier Salviati, a cui è mio debito di servire, non meno per la chiarezza del sangue, che per lo merito del suo molto valore. A Vostra Signoria m'inchino e bacio lo mani, pregando alla sua molto illustre persona salute e vero contento. Di Napoli il di 1 di Febbraio (1585) 1586. CCXXIX. Camillo Pellegrino a Bastiano de' Rossi. — Firenze. Sono tanti i favori e le grazie che io ricevo da' Signori Accademici della Crusca e da Vostra Signoria nelle sue lettere, che quantunque io sia napolitano di patria, benché non in tutto di costumi, in questa CCXXVIII. — Museo Campano di Capua; ins. cit. — Tasso T.. Opere-, voi. XX, p. 277. CCXXIX. — Museo Campano di Capua; ms. cit. — Tasso T.. Opere; p. 218. — 244 — parte di cerimonie mi converrà cedere a persone non molto cerimoniose. Non è la lettera che io scrissi a Vostra Signoria degna di quelle tante lode, che da' Signori Accademici e da lei le si attribuiscono. Questo sì posso con verità dire, ch'ella fu un vero ritratto della volontà e del- l'animo mio verso i Signori Fiorentini; i quali se per avventura s'in centreranno in alcuna parte della mia Eeplica, che ad essi non così soddisfaccia, come la lettera fatto ha, credanmi che l'una e l'altra fu scritta con la mente serena, e non offuscata da passione alcuna, ne per offesa, ne per onor ricevuto; ma della loro diversità è cagione lo stile di procedere altrimenti nelle contese delle dispute, ed altrimenti nelle contese di cortesia, Contuttociò, se io non sapessi di certo che sarebbe stato discaro , non che non grato a detti Signori , avrei per un mio, forse non vano compiacimento, dato al fuoco tutti i volumi della mia Eeplica; de" quali si mandano dieci a Firenze, perchè il Signor Scipione Ammirato abbia a compartirgli secondo il bisogno, ed in particolare ne doni uno a Vostra Signoria. Ora che sono finite queste dispute, quando a me sia caro, i Signori Accademici abbiano intenzione di di- chiararmi di lor Collegio, che altro dirò, se non che questo sarebbe un favore veramente sopra ogni mio merito, poiché il poco valor mio non vale d'essere accolto fra tanto senno ? Bramo pero, che prima che si faccia questa deliberazione, s'intenda un mio pensiero, che potrebbe forse piacere ai Signori Accademici. Restami a dire, che siccome io cedo nella contesa delle dispute e nelle cortesie di detti Signori, che non cederò loro giammai uell'aifezione, la quale, siccome ha avuto co- minciamento da me, così finirà in me, comunque la cosa segua. Avrò sempre i Signori Accademici in luogo di colendissimi padroni, e così Vostra Signoria a cui di pari mi obbliga e la virtù e la cortesia. Mi proffero di riserviila in ogni occorrenza, non meno che tutti gli altri detti Signori, a' quali con lei insieme riverente bacio le mani, e resta pregando il Signore Iddio per la compiuta felicità e gloria eterna di lor nome. Di Capua il di primo di Febbraio 1586. CCXXX. Scipione Ammirato a Camillo Pellegrino. — Càpua. Il Signor Cavaliere SaTviati di propria mano è stato questa mattina a portarmi in casa l'allegata Orazione per mandarla a Vostra Signoria. Beate contese che partoriscono frutti tali ! Avvisimi Vostra Signoria d^lla ricevuta con due righe tinte della solita amorevolezza e cortesia CCXXX. - Pi. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. - 245 - sua, acciocché le possa mostrare a questi Signori. Stassi aspettando il suo libro con infinito desiderio, ed io ho detto, secondo quello ch'ella m'ha accennato per le sue lettere, che ormai non può tardar molto. Saluto il Signor Attendolo e a Vostra Signoria desidero ogni contento e felicità. Se vede il Signor Marchese di Lucido, rallegrisi per cortesia in mio nome con Sua Signoria delle novelle nozze. Firenze, il primo di Febbraio 158i5. €CXXXl. Giovanni Ilomlineìli a Tommaso Costo. — Napoli. Nelle contese, che vegghiano fra alcuni nostri Accademici privata- mente, e 'l Pellegrino, e Torquato Tasso, non permetterà l'Accademia, quanto ella conoscerà, che esca fuor cosa per l'avvenire, che sia per iscemar l'ardor, e l'affezione de' suoi partigiani, né accrescere ardire ai contrari. Viva felice. Di Firenze, dì primo di Febbraio (1585) 1580 (1). CCXXXll. Scipione Ammirato a Camillo Pcller/rino. — Caima. Ieri, venerdì, dopo desinare ricevetti un fagotto entrovi X libri della sua Keplica, due Lagrime di Pietro (1), ed uno di diversi in lode della Signora Duchessa di Nocera. Sono venuti senza lettera di -Vostra Si- gnoria e perchè credo che il Reverendo Evoli abbia ad averne una delle CCXXXI. — Il Pktrarca nuovamente ridotto alla vera lettione; con un discorso sopra la qualità del suo amore del Sir/nor Pietro Cresci. E la coronatione fatta in Campido[/lio di Roma E il suo Privilegio. Di nuovo vi è aggionto un Discorso del Signor Tommaso Costo; per lo quale si mostra a che fine fautore indirizzasse le sue Rime, e che i suoi Trionfi sieno Poema Eroico. Con le Sentenze e Proverbi ridotti per alfabeto. Con privilegio. In Veaetia, MDXCII, appresso Barezzo Barezzi; in-12»; p. 50. (1) Nello stesso volume, a p. 52, è una lettera di G. B. Strozzi allo stesso Costo, in data di Firenze a dì 15 Marzo 1586, ove occorre questo periodo: t Con tutto ciò il maggior numero {degli Accademici della Crusca) è qui : altro « a me non convien dire, e questo ho io detto acciocché Vostra Signoria non creda, € come il Signor Torquato Tasso, e altri mostrano di credere, che l'Accademia della « Crusca sia tutta Firenze » CCXXXll. — Museo Campano di Capua ; ms. cit. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. — Serassi, Op. cit; voi. II, p. 126 n; riporta un Solo periodo di questa lettera. (1) Il poemetto del Tansillo. — 246 — Kepliche, Lagrime, e diversi, clie cosi mi disse die Vostra Signoria li avea promesso, prima che andasse a jiredicare a Fermo, che fu due dì sono, e venne due volte in casa, li riserbo per lui: l'altre Lagrime e K eplica voglio per me, restan 8 libri di Repliche. Ricevuti che l'ebbi ieri e pagato la gabella ch'è una bagattella, andai a farne legar uno volando ; i quali stamattina ho mandato al Signor D. Giovanni de Me- dici fratello di Sua Altezza ed al Signor Iacopo Salviati. 11 Signor Cavaliere Salviati non so come domine se l'avesse ier saputo, prima ch'io fossi questa mattina levato del letto, che mi soglio pur levar per tempo, venne in casa, e ne le diedi uno, come già avea deliberato; ed un altro ne ho mandato ora al Signor Giovanni Battista Deti , console dell'una e dell'altra Accademia. Due ne manderò a Ferrara, uno che sia consegnato in mano del Signor Torquato Tasso, l'altro del Signor Camillo Albizi, Ambasciator di Sua Altezza appresso a quel Principe: me ne rimangono due, che andrò pensando quello che me n'abbia a fare, e questo è quanto per ora posso rispondere a Vostra Signoria che per esser in feste e corteggiamenti non posso esser più lungo. A Vostra Signoria di tutto il cuore bacio la mano. A' 10 Febbraio (1585) 1586, di Firenze. Bacio la mano al Signor Attendolo, di cui il mondo è in desiderio di veder fuori delle sue cose. 11 Signor Bernardino de' Medici, Canonico del Duomo, mi disse iersera mille mali di Sua Signoria. Le Lagrime riescono stupende, ma io ho invidia che altri le abbia avute prima di me. Onorate, coppia felice, a gara la patria vo4ra, e Dio vi conservi sempre nella sua grazia. CCXXXIIL Antonio Costantini a Roberto Titi. — Fisa. Ora tomiamo alli sonetti. Gli ho letti con incredibile mio piacere, e con maraviglia anche direi, se mi credessi che voi non dovessi pigliar CCXXXIIL — R. Biblioteca Universitaria di Pisa: A. Costantini, Lettere a Roberto Titi, autografe. — La pubblicava primo l'Avvocato Gio. Antonio Pisoni per nozze Saccardo-Bolognini — Veronese, Pisa, Nistri, 1869, in-S» gr. ; colla data 17 Febbraio. La ripubblicava poi M. Ferrucci, Dodici lettere di A. Costantini a R. lìti, Pisa, Nistri, 1876; in-16*; per nozze Altoviti-Avila — Toscanelli. È la prima delle dodici, e porta la data 11 Febbraio, né si fa cenno alcuno della differenza colla precedente edizione. L'autografo ha veramente 17 Febbraio, e ringrazio il Cav. Felice Tribolati della cortese verifica. — 247 — qualche 'ombra d'adulazione, dalla ijualo io sono lontanissimo. Sono degni di voi, volete altro? E se non credete a me, eccovi un testimonio, c»unto iersera all'avemaria uscirono di sotto il martello (1). Non sono de' migliori che il Tasso faccia, ma ricordatevi che la luna è scema: e che sia vero, io iersera la campai d'una mana di pugna, che se non me A. Palatino 224. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 279. - 249 — amici, e tra gli altri il Signor Cavalier Salviati , col quale per molte lettere «'era già consigliato sopra le cose del suo poema, avanti che si stampasse: e so io, che essendo egli cortesissimo, volentieri in queste sue difficoltà l'avrebbe aiutato, e trovatoci qualche riparo, che ciascuno ci avesse il diritto suo. Ma egli, o chi scrive in nome di lui, ha sempre fatto a peggio fare, non considerando che della offesa fatta a un po- polo, eziandio agli uomini d'alto affare, non che alle private persone, non è vergogna a scusarsi. Ma lasciando il più oltre parlare di questo, io ringrazio Vostra Signoria di tanti speciali favori a me fatti, e me le dedico per servidore: e supplicandola a non lasciar la mia servitii oziosa, le bacio reverontemente le mani, e pregole suprema felicità. Di Firenze il 22 di Febbraio (1585) 1586. CCXXXV. Leonarilo Salviati a Camillo Pelleynno. — Ca])ua. Vostra Signoria colla sua lettera del primo di questo mese (che non saprei darle più degna lode, che dirle sua) mi va di nuovo strignendo con maggiori obblighi alla rara sua cortesia. Le confesso, che siccome in ogni altra cosa le cedo di buona voglia, così in questa mi lascio vincer mal volentieri. Pure chi sa, che qualche volta non mi si presti occasione di servirla ? L'altra sera in camera del Signor Iacopo Salviati sentii leggere due sue lettere, una al liossi, e l'altra all'Ammirato, ed appresso una del Signor Attendolo pure al detto Ammirato, che tutte furon commendate oltremodo di bellezza, e di cortese procedere e degno di gentiluomo. Rimasi io spezialmente tanto innamorato della gentilezza e della virtù del Signor Attendolo, e per tal maniera obbligatogli per li favori che mi fa in detta sua lettera all'Ammirato, che se non avessi temuto d'esserne reputato prosuntuoso, mi sarei mosso a scrivergli di presente, ringraziandone Sua Signoria. Ma ho avuto per più modesto il pregare Vostra Signoria che paghi per me questo debito: e non so- lamente per parte mia, ma come cosa oramai di sua propria giurisdi- zione, a esso Signor Attendolo mi consegni per servidore, se disutile, almeno volonteroso e conoscente delle qualità sue singolari. 11 Signor Ammirato mi favori a nome di Vostra Signoria di un volume della sua Replica, che fu da me letto subitamente, e parvemi parto di si gran padre. Bacio le mani a Vostra Signoria, prego lei e che mi comandi, ed il Signore Dio che le doni felicità. Di Firenze il dì 22 di Febbraio (1585) 1586. CCXXXV. — Museo Camjpano di Capua; iiis. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 280. — 250 — CCXXXVl. Scijyioue Ammirato a Giovan Battista Attendolo. — Capua. Ho scritto al Sisjnor Pellegrino quel che occorre intorno alla Crusca, e col seguente ordinario ne darò miglior notizia. Io ho da rendere infi- nite grazie a Vostra Signoria delle Lagrime di San Pietro; le quali non ho potuto contenermi di non leggerle in trenta ore, ancorché abbia avuto a dirmi l'ufficio, e fare l'altre cose opportune della vita. Mi han cavate le lagrime dagli occhi in tanta abbondanza, che è una meravi- glia. Ma che tarda il mio Signor Attendolo a far vedere i suoi divini frutti al mondo? Vostra Signoria avrà a quest'ora veduta l'orazione funerale del Signor Cavalier Salviati; però non le dico altro. La sup- plico che perdoni alla brevità: che tra i pesi della quaresima, ed il volere ostinatamente por fine alla mia storia , mi trovo occupato più che io non vorrei, e piti che io non posso. A Vostra Signoria di tutto il mio cuore bacio le mani. Di Firenze il 23 di Febbraio (1585) 158G. CCXXXVIL Giovan Battista Attendolo a Scipione Ammirato. — Firenze. Ora è fatto, o almeno è vicino a farsi un bel sereno, Signor Ammi- rato: del sicuro non è questo senza lo spirito di Dio, che si è servito dell'aura amica di Vostra Signoria e d'interne ispirazioni: liaec est mutatio dexterac Excelsi, fatta in questi animi illustri , atti e soliti a ricevere Iddio e nell'intelletto e nella volontà. Oh quante cose belle son venute ad un tempo da Firenze, paradiso del mondo ! La lettera del molto Illustre Signor Cavalier Salviati, piena d'inespressibile ac- cortezza e cortesia: ove questo uomo divino vieh quasi Luna alle mag- gior vicinanze di quaggiìi, per abbracciarsi col nostro Endimione: il foglio de' Signori Accademici, che si fanno intendere di voler comu- nicar se stessi al Pellegrino, aggregandolo: ed egli dice umilmente, che per se noi vale, e che il salire a tanto grado sarà grazia mera: ed io fo chiosa, che questi Signori si mostrano potentissimi agenti, mentre attraggono alla lor natura superiore una inferiore che non passa, né si megliora senza l'azione della superiore, e con fuoco di amore trasfor- mano in fuoco il Signor Camillo. Ed ultimamente è venuto il foglio COXXXVI. — Museo Campano di Capua; nis. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 281. CCXXXVII. — Museo Campano di Capua; ì\m. cit. — Tasso T., Opere; p. 282. - 251 - di Vostra Signoria die con tanta tenerezza esprime l'atletto del Signor Iacopo Salviati: piaccia a Dio, che rispondano i mezzi a i fini, clie nulla più: e che si esegua ogni cosa con decoro. Io mi ritrovo obbligato in universale ai Signori Accademici per uno o due luoghi, ove vengo fa vorito dall'accademico Infarinato: mi giova sapere a chi abbia obbligo particolare, dico qual sia il nome proprio di ((uesto gentiluomo. Vidi tumultuosamente la Keplica fatta all'Apologia, che fu in poter mio poche ore; ma mi parve vivace e terribile. Mi scuso con Vostra Si- gnoria della tardanza delle Lagrime di S. Pietro; perciocché essendo consegnato, molto ha, al Signor Francesco Bonaventura, non si pensò al porto, del quale poi fatta menzione dallo stesso, per occasione d'a- spettarlo franco, certo per non usar mala creanza non se gli mandò: il Signor Camillo al presente darìl spedizione a quello che non tro- vasse spedito. Per un'altra carta mi riserbo spendere a Vostra Signoria in alcune materie, che scrisse al Signor Primicerio, mirandomi con troppo onore. La ringrazio infinitamente, e mi doglio de' danni della omai patria sua per la morte del Signor Pietro Vettori, maestro comune e de' presenti e degli assenti. Aspettiamo di consolarci coll'orazione funerale, che fa il Signor Leonardo Salviati. Non posso piìi: le bacio con riverenza le mani. Di Capua a 15 di Marzo 1586. CCXXXVIII. Cannilo Pellegrino a Leonardo Salviati. — Firenze. Avend' io Vostra Signoria (così richiedendo il suo merito e il mio dovere) in luogo di singoiar padrone, per debito di riverenza dovrei farle buono quanto ella in questa sua ultima lettera mi scrive. Ma perchè altri potrebbe ciò attribuirmi non a riverenza, ma a presunzione, siami concesso ch'io a lei contraddica in una sola parte. Vostra Signoria con bellissimo artificio di cortesi parole, vincendomi sempre di cortesie, si chiama vinto; e quello che importa piti, vuol fare apparir l'obbligo dalla parte dove non è. E che obbligo può ella aver meco, essend'io soggetto di niun valore ? Ma qual obbligo non posso io aver col Signor Cavalier Salviati, persona di tanto grido e di tante qualità ? Devo io a Vostra Signoria, non solo per la generale obbligazione, che ogni animo nobile dee avere alle sue rare virtù , ma anche per molte gi'azie che nel particolare ho da lei ricevute. In fin da quel tempo che io stampai il mio Dialogo a Firenze, il Signor Ammirato mi scrisse che Vostra CCXXXVIII. — ^luseo Campano di Cnpua; ni?, cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. •_' ops Signoria s'oppose ajjli Ac(?ademici della Crusca, e che fu di parere che non mi si rispondesse con tanto rigore. Or vorrà forse che atto così generoso e degno di lei, usato per uomo non conosciuto, abbia io potuto ]>agare con un sonettuccio ? Con un sonettuccio poi ricompensato con tante preziose righe di due lettere, piene di soprabbondante cortesia e amorevolissime dimostrazioni ? Ed ora ultimamente, pub))licandosi la mia Keplica, non ho io avuto per certissimo avviso, che Vostra Signoria è stata una de' difensori della mia causa, fatta in piena ragunanza de' Signori Accademici ? Questi uffici d'animo nobilissimo fatti per me, dove per avventura ne sono immeritevole, non avendo io a lei fatto servigio ninno, nun mi staranno per sempre fissi nel cuore? Non mi legheranno di catene indissolubili? Dalla mia parte dunque. Signor Cavaliere, è l'obbligo, e non da quella di Vostra Signoria. Oltra dette grazie fattemi, avendo ella degnata la sua famosa mano a far menzione di me, ed a celebrarmi per quel ch'io non sono, segue di necessità, che me n'abbia fatta una maggiore, cioè che il mio nome abbia per lei vita ne' futuri secoli. Or questa è veramente grazia sopra ogn'altra grazia, la quale, sebben io fossi vissuto piìi che Nestore, non avrei po- tuto giammai meritare, ne acquistarmi giammai; ma ho potuto meri- tarla, e farne acquisto col mezzo di Vostra Signoria a cui, come debi- tore d'obbligo eterno, eternamente converrà che resti obbligato. Per adempiere il comandamento di Vostra Signoria feci io dono al Signor Attendolo del suo amore, come di cosa preziosissima e sacra: della quale altri può partecipare, ma non disporre; e però non di mia giurisdizione.il Signor Attendolo ha fatto 'tanta stima del dono, quanto se li fosse stato donato un cappello ; e perchè scrive a Vostra Signoria altro non dico. La mia Keplica, la quale non ebbe tempo di darsi in colpa d'alcuni suoi falli, che per propria passione furono da me giu- dicati modesti : parendomi lecito di averli commessi per ragion di di- sputa, s'arrossa, così per le lodi datele da Vostra Signoria, come per aver per f»adre persona di chiesa. S'ella è incostante, non osservando in ogni sua parte la modestia da lei promessa, si contenta di farne la penitenza. A Vostra Signoria riverente bacio le mani, e prego dal Cielo felicità terrena ed eterna. Di Capua il dì 20 di Marzo 1586. CCXXXiX. Camillo Pellegrino a Bastiano de' Rossi. — Firenze. L'avviso datomi da Vostra Signoria della ragunanza de' Signori Ac- cademici della Crusca in lor residenza, per cagion della lettura della CCXXXIX. — Museo Campano di Capua; ms. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 284. - aó3 — ima Replica, la quale ascoltata con pace dopo lungo ragionamento fu ronchiuso di voler preporre la cortesia al riguardo della contesa, mi ha veramente portato grandissimo piacere: polche dalla tolleranza di (|ualche mia, per ragion di disputa, dirò così, comportevole arditezza, son fatto sicuro di ]iotor continuare la mia servitù co' detti Signori, e che l'amor tra noi cominciato abbia a crescere di giorno in giorno, e non a mancare. Ho io memoria solamente della cortesia usatami da Vostra Signoria e da tutta l'Accademia: e specialmente dell'onor fat- tomi dallo Infarinato nella risposta all'Apologia del Tasso, ove mi ce- lebra per quel ch'io non sono. Però o egli, o altri che avrà il carico di rispondere alla mia Keplica , potrà non solo ribatter tutte le mie ragioni, ed abbatter la forza degli argomenti, ma richiedendo cosi il bisogno, in alcun luogo di essa Replica rintuzzare anche il mio ardire; che a me basta che Vostra Signoria, il quale ragiona col fiato e collo spirito dell'Accademia, m'abbia tratto dalla schiera dei volgari. Avrei voluto, che la mia Replica non avesse avuto niuna delle qualità che Vostra Signoria le attribuisce, purché ne avesse avuto una sola, che io pensava dovesse avere. Ma se da un canto posso dolermi, che il proprio affetto m'abbia in parte offuscati gli occhi della mente, posso da un altro rallegrarmi , che la imperfezion mia abbia ritrovato qualche di- fesa ed iscusa appresso la bontà e gentilezza d'alcun Signore Accade- mico, il cui giudicio, senza fallo, farà apparire il mio fallo minore. Scrissi al Signor Scipione Ammirato, che dovendosi dar fine alle con- tese tra me e l'Accademia, avrei desiderato che avessero avuto fine eziandio le contese tra l'Accademia e il Tasso. Scrissi ciò, non come interessato del Tasso, ne per porre condizione, ma come zeloso di pace ed uomo di Chiesa ; che so pur bene, che tuttoché simili gare tra' let- terati possono da un animo composto esercitarsi senza incorrere in no- tabil peccato, nulladimeno di mandarle a lungo, e l'accrescere sdegno sopra sdegno, può cagionar l'offesa dell'onor del prossimo, ed il diservizio del Signor Iddio. La prudenza è virtìi, come Vostra Signoria sa meglio di me, della quale può valersi sol colui che per abito la possiede. Il povero Tasso non si ritrova in istato di potersene valere; né io voglio entrare, se innanzi la sua disgrazia se ne sia valuto, o se no: dirò sol questo, che benché chiaramente appaia, aver egli offeso i Signori Fiorentini nell'orazione da lui finta, e attribuita al padre, che oggi, come poco prudente sia degno di qualche scusa, e come persona valo- rosa, ma miserabile, sia degno di pietà. Però s'egli alla sua piaga non ricerca, né sa ritrovar la medicina dalla lancia d'Achille, il perdonargli (dicendo ciò con ogni riverenza) sarebbe la vera vendetta d'un animo generoso. Non dico perciò, che perseverando il Tasso, o altri per lui nell'ostinazione del contendere, che l'Accademia non debba fare a difesa. — 254 — non ad olVesii, quel che a lei conviene. Per questa ultima risposta, che si Airi» alla mia Keplica, finiranno di sicuro le nostre contese: ed allora io dimostrerò ai Signori Accademiii, quanto dal Signor Attendolo e da me si tenga a gloria l'esser descritti in lor Collegio. E se io sarò loro inutile servo, il valore del Signor Attendolo ricompenserà la mia de- bolezza. Himane, che Vostra Signoria mi favorisca di baciar le mani in mio nome al Signor Giovan Battista Deti, degnissimo Consolo d'amendue rAccademie, e cesi al Signor Infarinato; di cui io non so il vero nome, ed a tutti gli altri Accademici, a parte de' quali io non solo sono in obbligo per buona creanza e cortesia usatami di parole, ma per effetti e chiarissime dimostrazioni d'un vero amore. A Vostra Signoria non so che dirmi, se non che allora che ella mi adoprerà in alcun suo servigio, riprenderò ardire di adoprar lei: le bacio le mani, con pregarle da chi può darglielo, ogni bene. Di Capua il dì 20 Marzo 1586. CCXL. Giovan Battista Attendolo a Leonardo Salviati. — Firenze. L'umanità di Vostra Signoria molto Illustre ha tolti alcuni riguardi, che impedivano per ora il desiderio, quantunque ardente, che io avea d'entrare nella servitù di lei ad un giogo col Signor Camillo. Questi, eseguendo il suo comando, ridusse prima le sorti cortesissime dello scriver di lei a quei termini di riverenza, che poteano uscir dalla sua lingua, e riceversi dalle mie orecchie: qXieste e quelle osservanti del suo glorioso nome, e mi disse, come io avessi fatto acquisto della grazia di tanto uomo, e poi mi comunicò la sua umanissima e cortesissima lettera. La ringrazio infinitamente del dono, che mi fa grandissimo e doppio ; perciocché, oltreché l'amicizia sua, che ricevo come di maggiore, può onestar la mia vita: la sola sua carta famigliare, ove si è degnata .sentir di me quel che io non sono, mi renderà sempre vivo, già sicuro che viveranno sempre i parti del Signor Cavaliere e quelli, ove spira maggior vita, e quelli ove minore; non potendo la più regolata penna del secolo, o all'appensata, o pure impensatamente delineare altro che immortalità. All'incontro comincio io con questa ad obbligare Vostra Signoria tutto l'esser mio, con servitù cos'i perpetua, come anco imma- colata negli scritti, nelle parole e ne' pensieri; tuttoché la reputi per CCXL. — Museo Campano di Capua; rns. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 286. — 255 — sempre inutile a darle il tributo di rispetto e di Miat,'<,noraiiza che deb- bono al gran Salviati non solo i letterati della Italia ed oltra. ma co- loro eziandio, che sono amatori delle lettere. Chiamerolla maestro co- mune, e Signor mio porticolare, nel valor di cui, non meno che nella orazion funerale, può consolarsi la patria e il mondo, dopo la perdita di Pier Vittori. Per cosi buone novelle desidero piìi che mai all'appor- tatore felice riuscita co' Signori Fiorentini : e già mi rallegro del pro- porzionato mezzo a tanta aspettazione, essendo già stata accettata la sua Replica con generosa tolleranza ed iscusa, come opera, se non amica, almeno d'amico. Ora sì che spero, che l'Accademia con quelle braccia erculee, colle quali ha ella abbattuto Camillo nel Dialogo, risorto ora con forza per avventura maggiore nel replicar della lutta, contra forze nondimeno insuperabili l'abbia indietro a vincere (ma più nobilmente, I' col impor fine alla lite) estogliendolo <* levandolo in alto a guisa d'Anteo: e la sua morte sarà preziosa, quasi la morte che vien detta del Ijacio. Giacche si riceve graziosamente nella loro amistà per conse- guenza si riceverà eijli onorato: sempre intendendo col decoro di chi il riceve. E perchè il merito di questo non i>uò nascere in tutto dalla condizione della Replica scritta nell'amaro delle sue piaghe, e ritrovata, (quando cominciarono ad addolcirsi, sotto il torcolo, e (quel che importa più) inalterabile sotto il suggello dei Padri riveditori, ma dalle piene ed umanissime giustificazioni dell'autore, che appaiono per lettere scritte a diversi; queste potrebbono mostrarsi radici di quel frutto, che hanno elleno veramente prodotto negli animi delle Signorie Vostre. Si protrebbe adunque (così parendo a tanto senno, ed il Signor Pellegrini sei rice- verebbe a favore) far pubblico quel ch'è privato, collocando quelle fa- migliari dietro al volume. In questo modo conoscerebbe il mondo, senza più aspettare processo infinito nella lite, e la creanza dell'uno e la ma- gnanimità degli altri, in corrispondere di vantaggio ad una buona vo- lontii ; la qual sola sia fatta degna di cortesia nella Risposta, come questa ]>er sé stessa degnissima, e per la dottrina e per la maniera che venga seguita da silenzio di venerazione. A Vostra Signoria bacio le mani, ed a dottissimi e gentilissimi Signor Giovan Battista Deti e Si- gnor Accademico Infarinato, a cui debbo e per ragion dell'amico e di me stesso, quantunque non ne sappia il nome; ed a tutto l'onorato cerchio fo riverenza di tutto cuore. Di Capua a' 20 di Marzo 158rj. — 256 — CCXLl. Giovan Battista Attendalo a Scipione Ammirato. — Firenze. lo non ebbi tanta fortezza clie non m'inbiancassi nel viso, mostran- domi il Signor Camillo la lettera di Vostra Signoria nelle parole del Signor Leonardo Salviati , che quei Signori ritrovassero poca soddisfa- zione nelle maniere della Keplica; perciocché in ogni modo si dee te- mere lo sdegno d'un'Accademia. Per quel che ne tocca a me, ringrazio molto Vostra Signoria che andasse di nuovo benignando gli animi: e ringrazio Iddio, che in quel giudicio rigoroso della congregazione sor- gessero amici per lo amico (come scrive il Signor Segretario) e venisse conchiuso, che si avesse a risponder cortesemente. Signor Scipione, giuro a Vostra Signoria che se ho la speranza d'alcun frutto di molte fatiche negli studi di trent'anni, dubito che non svanisca in tutto; che uscendo la Eisposta dell' Accademia al Dialogo del Pellegrino, mi parve di veder con gli occhi i funerali del mio nome prima morto, che nato: e por- tarsi miserabilmente per la Italia, ovunque fosse portato quel libro. E pur Vostra Signoria mi esorta a mandar fuori le opere mie ? Non sa che han minacciato il Museo? Ed in cento luoghi rispondendo, han fatte le prime impressioni delle mie debolezze nella credenza di chi non le sapea ? Non so per questo, se debbo chiamar buona, o mala for- tuna che il Signor Accademico l'Infarinato, o perchè distratto in altro, 0 pure perchè ritratto da immensa gentilezza, abbia la primiera volta ricusata la cura del rispondere; che l'ho osservato nella propizia al Pellegrino ed a me, ne' moti e ne' lumi nondimeno orribili della Re- plica all'Apologia. Io desiderava di sapere il suo caro nome, e ne scrissi già per l'altro procaccio a Vostra Signoria, e non ne ha, rispondendo al rest^, tenuto ricordo. Ma se all'Infarinato non tocchi, e sortisca ad altro figlio d'Apollo d'accettar questo peso, il quale non recandosi per avventura a giustizia, o pure non curando usar meco generosità, mi lasci per li luoghi della prima risposta dilacerato quasi Ipolito; voi, Signor Ammirato, principe degli storiografi del secol nostro, non de- gnerete nella storia fiorentina, con destro appicco, farmi un bel epitaffio? Dite di grazia, che i Signori Accademici della Crusca, prorompendo talora ad ira, non degna d'intelletti nobilissimi, uccisero uno innocente: uccisero colla penna l' Attendolo, mentre se ne stava osservando le bellezze non mai appieno osservate, del Petrarca, per guadagnarsi, fra gli altri fini, la grazia della nazione. Bacio a Vostra Signoria ed al Signor Don Bernardino de' Medici le mani; a cui, se in qualche modo piacciono le mie rime, piaccia anco in ogni modo accettarmi per servitore. Di Capua a' 20 di Marzo 1586. CCXLI- — Museo Campano di Capua; ms. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 287. — 257 — L'CXLII. ( riardi} 'Mario Verdinzotii mi Orario Ariosti. — l' errata. La ringrazio poi degli utìizi cli't'lla promesse di far per me con co- testi gentiluomini nostri comuni amici; e tanto più s'ella, come penso, li avrà fatti fin ora, e sj)ecial monte col Tasso, dello stato del quale desidero intender bene, dopo inolto tempo che nulla n'intendo. E s'egli fosse in que' termini che chi Tania può o deve desiderar di lui, crederei che fosse bene esortarlo in mio nome a por l'ultima mano al suo poema, perch'egli si ristamjiasse più corretto e purgato di (luellc imperfezioni, le quali per la maggior parte con ragione gli vengono opposte, come ho più volte per me stesso giudicato, ed ultimamente letto ne' libri usciti fuori contra di lui. E questo avrei caro ch'egli facesse, perchè quelle parti d'eccellenza, che in lui sono, non restassero in certo modo oscu- rate dal difetto delle men perfette. La maggior parte delle quali io stimo non poter avere ragionevole difesa ed escusazione, come sono quelle in materia della durezza dello stile, sì per le parole 'particolari, come per la frase. Taccio di dir alcune altre delle materie: perchè non vorrei che queste mie lettere gli nuocessero, se pur altri non se ne è avveduto, intendendo dell'oppositore: il quale io non so chi egli si sia, ma convegno amarlo e tenerlo per valentuomo, e specialmente molto del mio umore nell'opinione dello stil del nostro Messer Ludovico Ariosto. Di Venezia, 22 di Marzo 1586. CCXLllI. Giulio Vasalini a Marco Pio di Savoia Signore di Sassuolo. \I)edicatoria\ Largo e spazioso campo da discorrere, secondo che talvolta ho io compreso da' ragionamenti de' letterati, porge altrui la questione, quale meriti più lode, e all'altro debba esser preferito, o uno eccellente e perfetto poeta, o uno oi-.-rdlente e perfetto oratore. E perciò ho sentito CCXLII. — Biblioteca C'HTiunale di Ferrara; AniosTi 0., Op. cit. — Ciitadklla L. N., Op. cit.; }). 287. CCXLIir. — Delie Rime et Prose del Signor Torquato Tasso. Parte Quarta. Di nuovo posta in luce, con gli Argomenti dclVistesso Autore. Con Privilegio. In Venetiu, MDLXXXVI. Appresso Giulio Vasalini. — Rime et Prose dei Signor ToRQCATo Tasso. Parte Quarta. Ristampate, et corrette, etc., aggiuntovi i Discorsi dell'Arte Poetica. Con Privilegi. In Venetia, MDLXXXIX. Appresso Giulio "Vasalini. SoLKUTi, La vita di T. Tasso, TI. 17 — 258 — lodare ed esaltare tra' Greci Omero e Demostene (sciecflierò un poeta e un prosatore d'ogni lingua) tra' Latini Virgilio e M. Tullio, tra' Toscani Dante e *1 Boccaccio, per sovrani. Ho ben sentito affermare, che se uno de" sopradetti autori avesse scritto, e scritto eccellentemente e perfetta- mente in versi ed in prosa, per modo che le lodi dell'ottimo poeta e dell'ottimo oratore insieme gli si potessero attribuire: quegli senza dubbio, come divino, sarebbe da esser vieppiìi lodato ed anteposto al- l'altro. Quinci è, che considerando io, che il Signor Torquato Tasso ha dati e dà tuttavia poemi epici, tragici, comici e lirici, e orazioni e dia- loghi, ed altre diverse prose di sommo pregio e di somma ammirazione: stimo perciò che la nostra età possa a ragione grandemente gloriare d'avere uno spirito così ingegnoso, da cui nascano d'ora in ora parti più gloriosi, i quali mal grado dell'invidia, della morte e del tempo, abbiano da essere eterne maraviglie del mondo, ed eterni simulacri del valore del loro autore. Il quale, poiché per la qualità del suo poco av- venturoso stato, non può esser quegli che, come benigno padre, li faccia comparire nel teatro del mondo; è ben ragione, e pietà insieme, che altri di ciò fare si prenda amorevol cura. Conciossiacosaché oltre alla gloria che ne risulta al Signor Torquato, ufficio cotale rechi diletto e giovamento grandissimo a tutti li studiosi: poiché di diletto e di gio- vamento incredibile son pieni li scritti di lui. Pertanto avend'io. Illu- strissimo Signore, non senza molta mia fatica, e d'alcuni virtuosi (a' quali pare gravissimo danno e peccato che i componimenti d'ingegno così raro vadano a male, o stieno sepolti) raccolte molte sue Rime e Prose, dall'une e dall'altre delle quali niuna ancora non è stata stam- pata; per non defraudare il Tasso dal dovuto onore delle sue fatiche, e gli amatori delle belle lettere del piacere e dell'utilità, che da tal lezione possono trarre; seguendo l'ordine dell'altre opere stampate, con- tenenti simiglianti composizioni, ho voluto pubblicarle sotto il titolo di Quarta Parte, e sotto la felicissima scorta di Vostra Signoria Illustris- sima. Il che tu per due cagioni: l'una si è, che sapendo io quanta e quale sia la riverenza e la divozione che a lei porta il Signor Tor- quato, come a Signore, che per sangue, per dominio e per virtìi è no- bilissimo: mi rendo sicuro che il detto Tasso, a cui desidero far cosa gratissima, avrà contentezza, e si recherà a favore, che questi suoi componimenti portino in fronte il benignissimo nome di lei. L'altra è, che desiderando io sommamente d'acquistarmi in qualche maniera ser- viti! con Vostra Signoria Illustrissima, e sgomentandomene le basse mie qualità, spero che a ciò mi potrà grandemente giovare mezzo ed introdotto cotale, quale è quello dell'opere del Signor Tasso, il quale so d'altra parte, che non poco è amato da lei: conciossiacosaché se- guendo ella, come fa, l'onoratissime vestigia de' suoi generosissimi an- — 2b0 — tecessori. non pure ama e stima i valorosi nell'armi, ma coloro eziandio, che di qualmuiue altra bella dote sono adornati, e specialmente di let- tere. Piaccia dunque a Vostra Illustrissima Signoria di riguardare •• ricevere le presenti opere volentieri, e con benigna fronte; si come confido che ella farà: si perchè esse il vagliono, si perchè ella nella sua grandezza a tutti è umanissima; e degni insieme d'accettare l'u- mile ed affettuosa divozion dell'animo mio, la quale col libro le offero e consacro. E qui baciandole con ogni maggior riverenza l'onoratissima mano, prego il Signore Iddio a concedere il fine de' suoi nobilissimi desideri. 11 ili jirimo d'Aprile lóSi'i. CCXLIV. Criovan Battista Licino «' Lettori. [Prefazione]. Questa è, cortese lettore, la quarta parte delle liime e delle Prose del Signor Torquato Tasso , per la quale potrai chiarirti , se non ne se' certo, che la sua penna è altrettanto infaticabile, quant'è gloriosa. Di questa parte mi confido che tu rimarrai non pur soddisfatto e contento, che tu sii rimase dell'altre. Accettala dunque e leggila volentieri e col solito applauso, attendendo di vederne dell'altre dopo questa, cos'i belle e maravigliose, che loderai il Cielo, che a' tuoi giorni sia vivuto e viva autore così famoso. E renditi sicuro che se bene in alcun luogo son mirate l'opere sue con occhio benigno, egli però non resta, né resterà d'arricchire il mondo del tesoro, di che cotanto abbonda: tanto più che s'uno 0 invidioso, o poco giudizioso biasima i suoi componimenti: son mille amatori del diritto e giudiziosi che li lodano ed esaltano al cielo. E Dio ti feliciti (1). [Aprile, 1586]. CCXLIV. — Delle Hiine et Prose del Signor Torviato Tasso. Parte Quarta. Di nuoco pofita in luce, con gli Argomenti deìVistesso Autore. Con PriviK'<,'i. In Venetia, MDLXXXVI. Appresso Giulio Vasaliiii. — Rime et Prose del Signor Torquato Tasso. Parte Quarta. Ristampate, et corrette, etc, aggiuntovi i Discorsi dell'Arte Poetica. Con Privilegi. In Venetia, MDLXXXIX. Appresso Giulio Vasalini. (1) Il Sgrassi (Op. cit.; voi. II, p. 466-7) citando l'edizione della Quarta Parte nella Bibliografia delle Einie, così annota a proposito di questa Prefazione. « Io « consei'vo l'originale di questa lettera alquanto più difiuso, ove non solo promette e di dare frappoco la quinta parte; ma anche la sesta e la settima, e più innanzi < ancora, purché la vita basti all'autore. Ci sono toccati eziandio i malevoli del « poeta più vivamente che nello stampato, eJ accennate altre particolarità in questo — 260 — CCXLV. Pietro Tini a Gherardo Borgogni. [Dc(ìicaioria'\. Il Yornmeiite miserabil caso, del non mai compiutamente lodato Si- criior Torciuato Tasso, gentilissimo signor Borgogni, è stato cagione, che molti componimenti del suo felicissimo ingegno siano gran tempi an- dati errando per le mani degli uomini: cosa in vero degna di molta compassione. Finalmente, per la cura d'alcuni gentilissimi ingegni, ven- nero pur alla luce del mondo le sue bellissime Rime, i suoi dottissimi Dialoghi della Nobiltà, del Padre di famiglia, il Messaggiero, e il suo non mai abbastanza lodato poema eroico della Gerusalemme. Era ancor degna cosa, che questa dottissima Lettera in forma di Discorso (1) in- sieme con queste bellissime Rime venisser anch'elle in luce; acciocché tutti coloro, che ragionevolmente si compiacciono della dotta e vaga lezione di questo miracoloso scrittore, non restassero privi di così degni e fe- lici componimenti: che, per giudizio degli uomini intendenti, sono de' pili rari che siano usciti dal suo purgatissimo ed elevato ingegno. Avendo dunque ad illustrar le stampe con questi suoi parti, spinto dalla molta affezione ch'io ragionevolmente porto alle molte virtù e de- gnissime qualità di Vostra Signoria, ho voluto con buona pace dell'Au- tore (avendomene lei fatto dono) farle uscir sotto la protezion sua ; come quella che sopra modo si mostra affezionatissima al detto Signor Tasso, compiacendosi infinitamente della vaga e dotta lezione delle sue degne e leggiadre composizioni ; e anco per il saldo giudizio che del continuo fa di questo gran poeta e oratore, ornato di tutte quelle scienze che € modo: Ti so dire, che per ben cWegli abbia visto che con vini occhio in alcun « luogo sian belle le sue opere, non per questo si spaventa, o punto si rimove dal * suo proponimento d'arricchire quest'età del tesoro di ch'egli cotanto abbonda. € Tuo officio sarà di non ti lasciar torcere, per parole che tu senta, dalla fondata « e giusta affezione che tu porti air opere di questo chiarissimo scrittore; il quale < ■<^pera di dover essere agevolmente scusato da te, s'egli ben tarda alquanto a dar < fuori certe risposte; poiché pur vedi ciò non avvenire, se non perchè egli s'oc- € cupa in cose di rilevo, e d'onde a te può venire più diletto e più utile, ed a « lui maggior gloria: e se Tingegno gli basta in questi componimenti, pur di qualche « ìnomento, già non dei dubitare che sia per mancargli nelle cose leggere ». Io non ho potato ritrovare quest'originale, già posseduto dal Serassi. CCXLV. — Delle Rime, et Prose del Signor Torqvato Tasso. Nuovamente poste in luce. Parte Quarta. Al Signor Gherardo Borgogni. Con Privilegii. In Milan>, pres-so Pietro Tini. MDXXCVI. Con licenza de' Sig. Superiori. — Tasso T., Opere; voi. XXIII, p. 118-20. (1) Lettera del Sig. T. T. al Sereniss. Duca d'Urbino, etc. (Cfr. Tasso T., Lettere; Tol. I, n.o 109). — 2<)l - si possono desiderar in qual si voirlia felici>simo ini^egno. Cosi piacesse all'infinita bontà del Si^^nor Iddio, che dall'impedimento, che già il mondo sa, non gli fosse ingombrata la mente; perciocché dalla sua dot- tissima penna, malgrado anco de' gl'invidi e maligni , uscirebbono del continuo cose da far istupir il mondo. In questo proposto non voglio lasciar di soggiunger, che 1,^11 scritti del Signor Tasso non sono cibo salvo che da pellegrini e elevati ingegni: tra quali veggo, che Vostra Signoria lui onoratissimo grado, in modo che non lia da invidiar molti dell'età nostra ; sì come ne i)Otrebbono far chiarissima fede gli scritti, ch'alcuna volta per suo diporto va tessendo, che finalmente sarebbono chiaro e evidente segno della felicità del suo bellissimo ingegno. Ap- paghisi duniiue Vostra Signoria jier ora della prontissima volontii del- l'animo mio, con l'accettar questa picciol dimostrazione della molta affezione cli'io le porto. Così Nostro Signore la faccia lungamente lieta e felice. In Milano li i:» d'Aprile 158(5. CCXLVl. Xiccolò degli Oddi a Camillo Pellegrino. — Capila. Avrà per avventura Vostra Signoria Reverendissima occasione di la- mentarsi della mia poca sollecitudine e diligenza in rispondere alla sua cortesissima, e similmente dottissima lettera delli 10 Febbraio. Perdo- natemi, Signor Camillo mio, che non fu negligenza, ma diligenza di voler vedere impressa e nelle mie mani la Replica sua; acciò meglio potessi dall'opera conoscere, con quali titoli dovevo onorare la persona. Agli ultimi di Marzo ebbi per via di filuca la Replica agli Accade- mici, nella quale ammirai e la dottrina e la modestia di lei nel rispon- dere, 0, per dir meglio, replicare al paro di quanti motti ed arguzie usarono i Signori Fiorentini: e mi compiacqui non poco in vedere quanto il giudicio mio, o, per dir meglio, il Dialogo mio, era conforme, nelle principali materie, alla Replica sua: e se in cosa alcuna sarà alquanto diverso il parere vostro, sarà ove lei concede, il Tasso nella sentenza essere inferiore all'Ariosto; che invero (salvo però sempre il giudicio suo), se la materia delle sentenze sono le cose appartenenti alli costumi, ed altro non sia sentenza che un modo di parlare convenevole alli costumi, avendo lei provato l'Ariosto nel costume esser inferiore al Tasso, non so come nella sentenza sarà superiore, il che accenna anche lei nella Replica, dicendo, che forse si ha a domandare perdonanza. CCXLVl. — Museo Campano di Capua; nis. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 288. — 202 — Nel rimanente stia sicuro, il mio s^entilissimo Signor Camillo, che la maiTgior parte dei veri letterati, lontani da passione, odio, ira o parti- colare interesse sono, e saranno dell'istesso parere con lei: e non poca grazia le ha ad avere il mondo, che colle belle e dotte ragioni sue abbia messo in campo lite almeno tanto giovevole a' professori di poe- tica e delle belle e scelte lettere. Il Dialogo mio appresentai alli 22 di Novembre all'Illustrissimo Signor Don Giovanni Ventimiglia Marchese de' Gieraci, scritto di mano mia; a persuasione del quale mi ritenni di stamparlo, parendo a quel Signore, ed a molti altri miei Signori e padroni , ch'io nel rispondere agli Accademici, alquanto acerbamente mi fossi portato, lo a persua- sione di questi lo ritornai a rivedere, levai alcune maldicenze, le quali erano bene soverchie per la modestia nostra, ma non già per l'arroganza di questi Signori Accademici, mostrata in persona sua e del Signor Tasso. Ora avendo il Signor Filippo Paruta, gentiluomo Palermitano, fatt€ le bellezze della Gerusalemme liberata, colla prima comodità, che sarà fra quindici giorni al più, anderanno in compagnia del mio Dia- logo in Venezia a stamparsi a tempo, che sarà già passata la collera ai Signori Cruschisti. Sto però facendone una copia a mano, e colla prima comodità di filuca gliela invierò. In questo mentre mi ami, e mi tenga per buon servitore ed amico affezionato, con che fine le bacio le mani. Di Palermo, 15 Aprile 1586. CCXLVII. Leonardo Salviati a Camillo Pellegrino. — Capila. Sabato non potei rispondere a Vostra Signoria per l'essermi trovato un poco indisposto: e oggi, che mi sì è raddoppiato l'obbligo, mi convien farlo con brevità, per dovere andare a incontrar questo Eccellentissimo Principino di Parma; dico raddoppiato l'obbligo, per l'avermi richiesto gli Accademici della Crusca , che trovandosi fuor di qua il lor segre- tario, che però tosto che sia di ritorno, io le rescriva parecchie righe per lui. Vegga adunque, che sufficiente pagatore io sarò, di due paghe farne una sola, e quella non solamente tardi, ma scarsa; benché in ogni modo ella m'abbia ridotta a tale colle cortesie e vivezze de' suoi concetti, che unica risposta mi sia rimasa solo il tacermi. Così far po- tessono gli Accademici il simigliante, intorno alle cose della sua Re- plica, come sarebbono dispostissimi a così generosa risoluzione di rinun- rCXLVII. — Museo Campano di Capua; ms. cit. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 289. — 263 — ciare alla lite, por non perdere seeo in tutto di cortesia. M;i jioìcIh'' i loro ordini non lascian far loro, in (iues:a jiarte, ciò ch'e" vorrebbono, studieraiiiio almeno che si conosca, che l'hanno desiderato. E perchè il riguardo della modestia e dell'amicizia leverà una gran parte della vivezza alla Kisposta, che è stata commessa allo Infarinato: a quel medesimo Infarinato, dico, che rispose all'Apoloi^ia di Torquato Tasso, si seguirà in ciò il consiglio del nostro Signor Attendolo, poiché egli ci assicura che Vostra Signoria ne sarà contenta, e. stamperannosi dietro al libro le lotterò di cortesia, le quali escuseranno l'Accademia, ed a Vostra Signoria per mia credenza faranno non poco onore. Ho chiamato nostro il Signor Attendolo, quando per mezzo di lei mi trovo novella- mente seco a parte nella possessione di tesoro sì prezioso, sicché saranno pure, Signor Pellegrino, tutti gli obbligi dalla mia parte; in ricompensa de' quali, se più oltre non potrò fare, avrà Vostra Signoria una pron- tissima corrispondenza d'affezione e di volontà, non da me, ma da tutti gli amici miei, e per conseguenza da tutto il corpo della privata nostra Accademia; per la quale non istarò d'accettare il consiglio ch'ella ne dona, intorno al por fine alle contese con esso Tasso; delle quali ad ogni modo, com'ella disse per altre sue, resteranno api)0 molti sempre diverse l'opinioni, essendo queste cose probabili o dialettiche e senza certa definizione. E vedrallo Vostra Signoria in esso medesimo Infari- nato, il quale in altre sue scritture, dove da senno favellerà di cose di poesia, sarà in molte cose contraria a quelle che avrà detto per ragion di disputa, sostenendo i detti dell'Accademia. Bacio le mani a Vostra Signoria e pregole felicità. Di Firenze il dì 10 d'Aprile 158G (1). CCXLVIII. Leonarrlo Snlviati a Giovan Battista Attendolo. — Capua. Perché io non rispondessi subitamente, e ora risponda con brevità alla lettera di Vostra Signoria, ella il saprà dal Signor Camillo; che son certo che s'accumunano non pur le lettere, ma i pensieri. C^uanto io mi reputi arricchito per l'acquisto fatto dell'amor suo, quanto io stirai la sua persona, quanto il suo senno, la sua dottrina, il suo valore, lo CCXLVIII. — ^lusGo Campano di Capua; ms. cit. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. — Tasso T.. Opere; voi. XX, y. 291. (1) Si tralascia la risposta a questa lettera, perchè non riguarda neppur lontana- mente né il Tasso né la controversia. Essa, in data 2 Maggio 1586, fu però accolta finora nelle edizioni. Cfr. Tasso T., Opere; voi. XX, p. 291. — 264 — splendor della fama sua, la sua nobiU;i, con tutte l'altre sue condizioni tutte rare, tutte solenni, tutte chiarissime: quanto io resti confuso per tanto sue cortesie, per le sue lodi, per le sue ,i,a-azie, m*in<;egnerò di manifestarlo in qualche poche mie ciancio, che io spero tosto di pub- blicare : nelle quali, di quanto io faccio stima del Si<,nior Attendolo e del Sii,nior Pellegrino, farò se non eftìcace, almeno volonterosa testimo- nianza: e quanto di me medesimo, si possono promettere corrispondenza d'atVettuosissima volontà dell'Accademico Infarinato. Seguirassi il con- siglio di Vostra Signoria nello stampar le lettere dietro alla Eisposta che ora si darà fuori: nella quale penso, che resteranno soddisfattissimi nel fatto della modestia, lo son sul montare a cavallo per andar ad incontrar questo Principe, e alle tante cose che io vorrei scrivere a Vostra Signoria non sarebbono assai due giorni, non che mezza ora. Non voglio però lasciare di dirle questo che a me preme fuor di mi- sura, cioè che le sue fatiche sopra '1 Petrarca sono aspettate qua con grandissimo desiderio, e sono in altissima opinione; però donile per Dio al mondo senza piìi indugio, e aspettine da questa patria, non sola- mente grado e obbligo, ma pubblica riconoscenza, e pubblica commen- ilazione. Conservimi nella sua grazia , nella quale riverentemente mi raccomando, e viva sempre felice. Di Firenze il di 10 d'Aprile 158C. OCXLIX. Giovali Mario Verdizzotti a Orazio Ariosii. — Ferrara. In resto tutto quel suo bel discorso m'è sempre piaciuto per ogni rispetto: come anche in quella parto, nella quale alquanto mi offende, egli non mi può dispiacere , avvedendomi che Vostra Signoria mode- stissima e cortesissima, ha forse piìi l'occhio ad escusar il Tasso amico suo, che a diffondersi piìi gagliardamente in esaltar quel suo caro pa- rente tanto da me amato ed ammirato con ragione Vorrei saper come sta e ciò che fa il Tasso, e il Signor Francesco Pa- trizio: all'uno e l'altro de' quali Vostra Signoria mi farà molto favore farmi raccomandato; con che facendo fine le bacio le mani con molto affetto. Di Venezia li 15 di Maggio 1580. CCXLIX. — Biblioteca Comunale di Ferrara; Akiosti 0., 0/a cU.. — Ciita- DELLA L. N., Op. cit.; p. 287. 265 CCL. Leonardo Sahuiii a Giovun Buitista Attcndoìo. — Cnjiiia. È dovere, che come io gli cedo nelle iiltre cose, cosi ceda al Signor Attendolo di cortesie. Sono tale quale ella vuole, perchè cosi volendo mi fa esser Vostra Signoria, ma il mondo non sari\ egli così agevole a lasciarsi persuadere, come sono io, per riverenza che porto a ciò che da lei si determina. Ma lasciamo il più ragionarne. La risposta alla Keplica del Signor Pellegrino è finita già buona jiezza; ma non s'è messo mano a stamparla prima che ora, per aspettare questo Messer Giulio Ottonelli, che ora è uscito contr'alla Crusca, se forse avesse detto alcuna cosa di nuovo oltre a quelle del dottissimo Signor Camillo, il che agli Accademici non è paruto. Signor Attendolo, queste disputo dialettiche se ne andrebbono in infinito, e sempre parrebbe che l'ultimo avesse la ragione egli. Ma quello che io ne senta da vero lo dichiarerò (ma tuttavia con modestia) nel mio commento della Poetica, L'Infari- nato in più luoghi della risposta, che ora si stampa, significa espres- samente l'onoratissimo concetto, in che tiene il Signor Camillo e Vostra Signoria, e più il farà ancora, dove ne parlerà senza maschera. Ralle- gromi, che le fatiche sopra il Petrarca sieno ormai a buon termine, e me ne prometto cose stupende, e così gli altri più intendenti della mia ]»atria-, che oramai quasi a tutti ho letta la gravissima lettera che mi scrive Vostra Signoria, alla cortesia della quale è già questa patria sì obbligata, che come proprio figliuolo considera e ama il Signor Atten- dolo, e come proprio ornamento lo riverisce. Andrò pensando di pro- porle qualche soggetto da ricevere il favore, che Vostra Signoria pro- mette a essa mia patria, in materia di gentildonne da venire in com- parazione con Madonna Laura. Ho consegnato qui al molto reverendo Padre frate Agostino d'Evoli due copie stampate del secondo volume de' miei Avvertimenti sopra la lingua, ora di nuovo venuti in pubblico; perchè Sua Reverenda mi s'è offerta di mandarne una a Vostra Signoria e l'altra al Signor Camillo: ad amendue i quali riverentemente bacio le mani e prego intera felicità, I>i Firenze il dì 14 Giugno 1580. CCL. — Museo Campano di Capua; in<;. cit. — Tasso T,, Opere; voi. XX, p, 293, — -ilRÌ — C'CLl. Cdìiìino Aìhi::i a Bianca Capello Gmììiìnchcssa di Toscana. — Firenze (1). Torquato Tasso ha contratto con me molta domestichezza, fondandola nell'esser io ministro qui di Vostre Altezze, dalle cui spera molto, e particolarmente da lei; onde tutte quelle volte che, invitato da me con occasione de' forestieri, o per sé stesso invitandosi per ricreazione (come dice) se ne viene a mangiar con me (avendo concesso il Signor Duca, che mi sia dato quando voglio) non cessa mai di pregarmi ch'io preghi Vostra Altezza ad aver misericordia di lui, scrivendogli molte lettere sopra a ciò; ma perchè non fosse fastidita da' suoi umori, si è fìnto che sieno state intercette, come anche in vero fanno, d'ordine del Signor Duca. Ma iermattina invitatosi a desinar con me, e dopo datomi l'in- cluse lettere e sonetto, mi ha supplicato al fargliene avere: tal che non ho possuto schifare all'Altezza Vostra la venuta di esse ; le quali poi rhe avrà lette, potrà, se gli pare, con una sua rallegrarlo e consolarlo; perchè invero è divenuto predicatore a tutti quelli che lo visitano, del valore, virtù e cortesia di Vostra Altezza : avendogli sempre date buone risposte da sua parte, senza però dargli appicco a dimanda alcuna ch'egli facesse; ma solo dicendogli che Vostra Altezza tiene molta memoria della virtù e valor suo, e che a ogni occasione che se le porga gli farà conoscere la stima che ne fa, e che spera dovergli giovare più di quello ch'egli forse desiderarebbe Di Ferrara all'ultimo di Giugno 158G. Poscnita. M'è stato forza compiacere il Tasso, che con molta istanza m'ha pregato ch'io mandi a Vostra Altezza la copia d'una lettera che scrive a Ippolito Campana. Ma Vostra Altezza non lo compiaccia già di quello che chiede, salvo se gli vorrà dare li 25 ducati che desidera, per fare quest'opera di pietà e per mostrare d'aver aggradito il sonetto. CCLII. Camillo Alhizi a Bianca Capello Granduchessa di Toscana. — Firenze. Segnalatamente ha Vostra Altezza soddisfatto a Torquato Tasso con- fortandolo con amorevolissima lettera, com'egli la reputa, aggiungendoci C'CIJ. — R. Archivio di Stato di Finanze; Carteggio di Bianca Capello; f.* XV, e. 7.32. — Tasso T., Lettere; voi. II, p. 503. {1} Cf.-. Tasso T., Lettere, voi. II, n." 526; questa ne è raccompagnatoria. CCLII. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carteggio di Bianca Capello ;£." XV, e. 945. — Tasso T.. Lettere; voi. II, p. 504. il, quasi a lui bisogno, donativo de' 25 ducati, e' quali non già pagatigli, ma (ho) ritenuti a sua instanza finche ritorni da Mantova, dove ier da notte, col serenissimo principe di Mantova imbarcatosi, se n'è ito a quella volta; dove, per sollevargli l'animo, lo riterrà otto o dieci giorni, e poi lo rimanderà, o meglio o peggio acquietato de' suoi umori, che sono di fuggirsene: del che non dubiti Vostra Altezza che jier pensa- mento gli iiicessi parola d'aiutarlo, non che di farlo; e se gli è tagliata e se gli taglierà ogni strada per dove camminar possa a pensare r-he Vostra Altezza voglin, iir da bcITi'. iir da veni, sentir ]t;irlar<' ih'lhi sua f«gii Di Ferrara, 14 Lui,dio ló^f.. COLUI, Leandro Conosciuti al Cardinale Luigi d'Esie. — lioma. Ritornarono dalla Mesola il Signor Duca ed il Signor Principe (1) sabbato a mezzo dì, e la notte parti il Signor Principe per Mantova, avendo dimandato in grazia il Tasso che li fu concesso, e l'ha condotto seco con obbligo di averlo a ritornare donde lo leva [Ferrara, Kl Luglio 158(3]. CCLIV. Biomede Borghesi a G, F. M. Né in Ferrara, dove ho famigliarità con più letterati, e conoscenza di qualunque spirito valoroso, ho mai conosciuto, né udito ricordar Messer Giulio Ottonelli; né in piìi altre cittadi e di studio e di corte, dove oltre a ventitré anni ho sempre usato amichevolmente con persone scienziate, ho sentito in alcun tempo mentovarlo. Il perché dal solo titolo del Discorso di costui , che a Vostra Signoria piacque di man- darmi l'altr'ieri, subito argomentai che egli debba essere intorno alla lingua più dovizioso d'ardimento, che di sapere. E chi, se non se al tutto animoso, potrebbe far diverso argomento ? 11 Tasso vive, ed è co- tanto ingegnoso, e nelle scienze ammaestrato, che egli, con tutte le sue disavventure, é più bastante a prender la difesa delle sue composizioni, che non è FOttonelli. E l'onoratissima Accademia della Crusca é for- CCLIII. — E. Archivio di St\to di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. (1) Vincenzo Gonzaga principe di Mantova. CCLIV. — Borghesi D., Op. cit.; p. 246. — 268 — luta di tanti e sì peregrini intelletti, che è da stimar confidente a sé stesso, chi non essendo ornato d'esquisita dottrina ed eloquenza, ardisca a voler di lettere questionar con essa Di Padova a di XVIll di Luolio 1586. Oc'LV. Camillo Albi :i a Bianca Capello Granduchessa di Toscana. — Firenze. Aspettasi d'ora in ora il ritorno di Tor(juato Tasso, prestato per a tempo; al quale, com'egli venga, pagherò li ducati 25, delli quali son depositario fino al suo ritorno, non fidando egli il suo ad ogni uomo. Di Ferrai-a. 2'^ Ludio 1586. CCLVI. Giovan Battista Boti a Camillo Pellegrino. — Capita. A' mesi passati fu da un certo messer Giulio Ottonelli da Panano, castello posto nell'Alpi tra Pistoia e Modena, pubblicato un Discorso, la metà del quale insegna la lingua toscana a chi non la sa e l'altra metà abburatta d'un sant'ordine la nostra povera Crusca; ma ella, per la qualità dell'uomo, non ha tenuto conto veruno. È venuto^ una da parte, com'ella potrà vedere, ed ha risposto, e, secondo che mi pare, molto acconciamente all'opposizioni e maldicenze di cotal uomo. E oggi uscita quest'operetta dal torchio, oggi ne -invio due volumi a Vostra Signoria, uno per lei, e uno perchè mi favorisca di darlo al Signor .\ttendolo: al quale e a Vostra Signoria baciando le mani, prego loro, da chi può dargliele, suprema felicità. IM Th-fìv/.Q il di K> di Settembre 1586. CCLVII. Giovan Battista Deli a Camillo Pellegrino. — Capua. Egli mi jiareva mio obbligo, essendosi stampata e pubblicata una cosi lefjcriadra e bella operetta, nella quale vien nominata Vostra Si- CCLV. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carteggio di Bianca Capello; f.» XV, e. 863. - Tasso T., Lettere; voi. II, p. 504. CCLVI. — Museo Campano di Capua; ras. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. 294. CCLVII. — Museo Campano di Capua; ras. cit. — Tasso T., Opere; voi. XX, j.. 294. « — 269 — gnoria, di far sì, che ella le capitasse in mano prestamente. Il Fioretti, e per sua propria disposizione, e perchè ha conosciuto l'animo della Dostra Accademia verso di lei, gli ò piaciuto d'onorar questa sua fatica col nome di Vostra Signoria e di farne, so non (luella menzione onorata che meritano il suo valore e le sue virtù, almeno quello che per lui si sapesse fare, sapendo bene, essendovi nominata Vostra Signoria, quanto il suo libretto n'acquisterebbe riputazione. Le cagioni, perchè ancora non si è pubblicata la Replica, le scrive il Salviati al Signor Atten- dolo; però io non le dirò altro. Uicevetti le lettere, e ringrazio som- mamente Vostra Signoria di cotanta amorevolezza, e ilella noia ch'ella s'è presa: di quelle che mancano, l'abiìiamo ritrovate appo il Segretario dell'Accademia: il quale siccome io fo, bacia le mani a Vostra Signoria: e siccome io, anch'egli desidera che ella gli comandi: e Nostro Signore Iddio le doni intera felicità. Di Firenze il dì S di Novembre 158(5 (1). COL VI li. Giulio Guastavini a Giovan Agostino Burone. [Dedicatoria]. Se infin' a qui, illustre Signor mio, si rendea dubbioso nelle menti degli nomini, se gli ingegni de' nostri tempi, particolarmente per quanto tocca al valore de' poeti , fossero da paragonare , ed uguagliare a quei degli antichi secoli , ora certo che quella nostra felicissima età, per sin- goiar favor de' cieli, è stata arricchita del nobilissimo spirto di Torquato Tasso, è la cosa in maniera a tutti aperta , che non v' ha più luogo dubitatione alcuna; perciocché questi col suo meraviglioso, e stupendo ingegno ha prodotti in questa nostra fioritissima lingua italiana , così rari e pregiati parti di poesia, che l'hanno potuto meritamente condurre a (juel sublime grado di dignità, al quale la sua alzarono que' tanto celebrati poeti Omero e Virgilio. Ma sì ben di Virgilio è tanto più da lodare il Tasso, quanto ch'egli seguendo le lodatissime vestigia d'Omero, non ebbe alcuno che lo sviasse da così fidata e sicura scorta , là dove il nostro Tasso venne a tempi ne' quali l'eroiche materie, o erano trat- tate in modo diverso da quello ch'aveano fatto gli antichi ed in molte (1) Dopo questo Capxwni a Pietro Usimhardi. — Firenze. Il Signor Torquato Tasso alloggiò qui da me la sera di Tutti i Santi, e se ne va a Roma: e ragiona, e discorre, e sa non meno, anzi forse più di prima che cadesse nella infermità; ma gli restano ancora ombre vane di sospetti, e particolarmente dal Signor Duca di Ferrara ; ed aveva estremo contento di questa assunzione del Serenissimo Padrone nostro (1) Di Macerata 6 Novembre 1587. CCLXXl. Il Patriarca Scipione Gonzaga a Cesare Riva. — Mantova. La lettera di Vostra Signoria col comandamento di Sua Altezza mi ha liberato di un grandissimo travaglio, ma postomi in un altro poco minore. 11 primo travaglio era che, essendo il Tasso capitato qui Gio- vedì sera, il dì innanzi che arrivasse l'ordinario, e smontato per antica usanza in questa casa, io mi trovai tutto confuso e dubbioso di quel che io dovessi fare, perchè subito mi cadde in pensiero che egli fosse fuggito; e ricever io persona che con simil atto si fosse renduta poco grata a Sua Altezza non mi pareva in modo ninno conveniente alla mia divotissima servitù verso di lei; d'altro canto non constandomi an- cora della verità, e mosso insieme a compassione della sua miseria, perchè egli capitò senza servitore e senza altri panni che una pelliccia, mi risolsi di tollerarlo, finché dalle lettere di Mantova, io comprendessi meglio il fatto. Né restai frattanto di comunicare questo mio sospetto col Signor Camillo Strozzi, come agente di Sua Altezza, e di chiedere il consiglio ed aiuto suo per levarlo di qui, caso che io intendessi lui essere partito con mala grazia e senza licenza di Sua Altezza. Ora di questo travaglio mi ha liberato interamente la lettera di Vostra Si- gnoria perchè per essa sapendo io il fatto, non ho più dubbio di quel CCLXX. — Archivio di Stato di Firenze; Lettere al Granduca Ferdinando I; f.* CXXXIII, e. 144. Questo tratto che io riporto è un poscritto alla lettera. — Tasso T., Lettere, voi IV, p. 1. — Bettucci E., T. Tasso che sottopone al giudizio deir Accarlemia dei Catenati in Macerata la Gerusalemme Liberata, Macerata, Cortesi, 18^5; p. 95. (1; Ferdinando I succedeva in questi giorni al defunto fratello Francesco. CCLXXl. — Archivio Gonzaga; E. XXV. .3. — Portigli A., Op.cit.; p. 18-19. - 281 — che mi convenga di fare. Ma l'altro in che la medesima mi ha posto, è che Sua Altezza comanda, cho io invìi il suddetto Tasso indietro a Mantova, con l'occasione del Signor Marco de' Pii, o con uomo espresso che il conduca: e io per molto che, da ieri sera che capitarono le let- tere in qua, v'abbia pensato sopra, non trovo modo sicuro da eseguire il comandamento, se già non fosse per via della t'orza, la quale io non userei senza ordine espresso. La causa della diftìcoltà è che già il Si- gnor Marco è partito di tre o quattro di, »• il dar io il Tasso ad uno che '1 conduca, son più che certo che non gioverebbe a nulla, jterchè avendo io già compreso, dalli suoi ragionamenti, che egli è risolutissimo di non tornar di buona volontà a Mantova, almeno fino a tanto che egli non abbia dato fine a certi suoi umori vani, veggo troppo bene che egli scapperebbe presto dalle mani di questi tali, anzi non mi assicuro che, al primo annunzio del dover tornare, egli non si mettesse subito in fuga: il che facendo, siccome jtotrebbe esser sua ultima mina, cosi non sa- rebbe servizio di Sua Altezza che tanto più tarderebbe a ricuperarlo. Desiderando io adunque di ubbidir all'Altezza Sua come è debito mio, nel miglior modo che per me si può, ho pensato non poter far altro che avvisar Vostra Signoria di questa ditììcoltà ed aspettare ordine più particolare del modo che io ho a tenere in mandarlo, trattenendo lui qui fra tanto quanto più potrò, senza sospetto, acciocché non si dia di nuovo in gambe. A me certo par difficilissimo, per non dir quasi im- possibile, che un solo il conduca, se già quello non è tale per autorità 0 per forza che egli tema di contravvenire agli ordini suoi. Pure Sua Altezza delibererà secondo la sua prudenza, e tutto quello che coman- derà, sarà da me eseguito senza ninna replica o dilazione. Intanto mando a Vostra Signoria per suo trattenimento una lettera che il medesimo Tasso venendo, mi scrisse da Fano (1), ma ella non mi è capitata se non questa sera, e in quella Vostra Signoria comprenderà in parte i suoi umori, si ben veramente nelle parole egli ha mostrato assai maggior risoluzione; l'istesso ha scritto oggi a Sua Altezza ed io mando volen- tieri in mano di Vostra Signoria la sua lettera, acciocché da quella si possa pigliar piti ferma deliberazione a' casi suoi, degni certo di pietà per più cause, ma principalmente per non conoscer esso l'onore e il co- modo che gli viene dalla benigna protezione di si gran principe. E con questo restandomi, bacio a Vostra Signoria senza fine le mani. Di Roma a' 7 di Novembre 1587, (1) V. la lettera in questo volume, P.'' I, n.' LXXIX. -- 282 — CCLXXU. Cesare Riva al Patriarca Scipione Gonzaga. — Fonia. 11 Signor Antonio Costantini fu quegli che da Bologna avvisò Sua Altezza della fuga che il Tasso si avea presa verso cotesta città, offe- rendosi, se ella avesse così comandato, di seguitarlo e ricondurlo ; a che Sua Altezza rispose che non solamente si contentava, ma l'avrebbe ri- cevuto in molto piacere, pregandolo ad avviarsi, che subito gli avrebbe fatto rimborsare il danaro speso, e sarebbe facil cosa che di già esso Costantini fosse giunto costì per questo effetto. Onde Sua Altezza Se- renissima mi ha commesso ch'io scriva a Vostra Signoria Illustrissima che se egli non è comparso, ella si contenti di inviar detto Tasso in carozza, sotto la custodia di uno, due, o tre, se tanti faranno di bisogno; che farà prontamente pagare ogni spesa. Ed in caso che detto signor Costantini sia comparso. Sua Altezza prega Vostra Signoria Illustrissima a volerlo consigliare ed aiutare, affinchè detto Tasso sia quanto prima ricondotto in qua, siccome l'Altezza Sua desidera ; con che a Vostra Si- gnoria Illustrissima bacio le mani umilmente, pregandole ogni felicità. Di Mantova alli 21 di Novembre 1587. CCLXXIII. Antonio Uhertelli a Luigi MelcJiiorri (1). — Oderzo. 11 Signor Melchiorri (2), né V. S., può temere di non essere servito per sollecitudine della risposta del sonetto mandatomi, ma l'aver a fare con matti come il Tasso, che le cose sue, e di quelle che comandate gli sono dall'Altezza di Ferrara e di Mantova , le vuol far quando li ne viene voglia dalla pazzia sua, e perciò Vostra Signoria col Signor Francesco si compiaceranno di compatire ancor loro a questo manca- mento di questo infelice, che infelice chiamar si può; e pazienza ave- ranno persino che servito si sarà, ch'io spero sarà di breve: e questo per le lettere che ha scritto il Signor Conte di Langasco al Signor Conte mio per questo effetto. Le quali mi riserbo mandarle con altre lettere per tale effetto a V. S. quando gli rimetterò l'uno e l'altro so- netto Di Ferrara 12 di novembre 1.587. CCLXXII. — Archivio Gonzaga; Minute ducali. — Portigli A., Op. cit.; p. 18-19. L'CLXXIII. — E, Biblioteca Laurenziana; cod. Ahsburn.-Laurenz., 1782: Let- tere autografe di vari. (1) Noto letterato di Oderzo. (2) Francesco, zio di Luigi. — 2X3 CCLXXIV. // Patriarci Scipione Gomafja a Cesare Riva. — Mantova. Non dubito che Sua Altezza avrìl accettato in buona parte quanto io scrissi a Vostra Signoria con l'ordinario passato, in materia del rimandar costà il Tasso, poiché dalla venuta del gentiluomo che ella ha mandato per ricondurlo, veggo esser caduto nella Altezza Sua il medesimo pen- siero, che non bastasse a questo ufficio qualsivoglia persona. La qual cosa io confesso essermi stata di incredibil soddisfazione, per quel dubbio che io avea di poter servir bene Sua Altezza in ({uesta occorrenza. E che il mio dubbio non sia stato irragionevole, il dimostra questo stesso che è venuto, il quale diffida, con tutta l'amicizia che tiene col Tasso, di poterlo indurre a pigliare seco il cammino di Lombardia, se non s'aiuta con qualche inganno, piacevole però. Questo aduntjue si attende a or- dire, per poter poi con tal mezzo mettere in esecuzione il comandamento di Sua Altezza ed a far a lui quel beneficio che egli per ancora non interamente conosce. F]d io frattanto bacio a Vostra Signoria di tutto cuore le mani. Di Roma a' U Novembre L587. CCLXXV. Antonio Costantini a Vincenzo Gonzaga Duca di Mantova. — 3Iantova. In effetto corre molto più forte chi fugge che quello che tiene addietro. Non è stato possibile, con tutta la diligenza usata, poter arrivare il Tasso per cammino, essendo egli giunto a Roma prima di me, dove l'ho trovato subito al mio arrivo, ed in loco appunto dove mi era im- maginato, cioè col Signor Patriarca di Gerusalemme, al quale ho esposto la volontà di Vostra Altezza e l'ordine datomi a ciò egli aiuti questo negozio quanto potrà. Egli mi ha risposto che di già per parte di Vostra Altezza gliene aveva scritto il castellano Olivo (1), e che perciò farebbe ogni possibile sforzo, affinchè si riconduca indietro quest'uomo, ma che ci conosce grandissima difficoltà, anzi dubita che bisognerà usar violenza, se non riusciranno alcuni disegni, ch'abbiamo fatti insieme. Io ho detto al Tasso che voglio menarlo a Genova, dove l'invita di nuovo quella Accademia, e per meglio darglielo ad intendere, gli ho presentata una CCLXXIV. — Arcliivio Gonzaga; E. XXV. 3. — Portigli A., Op. cit; p. 21. CCLXXV. — Archivio Gonzagra; E. XXX. 3. — Portigli A., Op. cit.; p. 22-23. (1) Vuol dire Cesare Riva. [Nota del Portioli]. — 284 — lettera fiutn. perchè, levandolo di Koma, e conducendolo sino a Firenze almeno, si può dire che sia poi in Mantova, dando l'Altezza Vostra or- dine che col;\ sia ritenuto quando capiterà; e se questo non riescirà, bi- sognerà pensare qualche altro stratagemma, ovvero ricondurlo a forza, perchè altrimenti non è possibile mai, non volendo egli pur sentire a nominare né Ferrara, né Mantova. Ma il venire alla violenza non si farà senza espresso comandamento di Vostra Altezza, che, se così vorrà, si farà con quella maggiore destrezza e con manco strepito che sia pos- sibile, mettendolo in una lettiga, o come meglio si giudicherà. Starò aspettando quello che piacerà a Vostra Altezza di comandare; intanto non perderò tempo in vedere se' io possa con inganni, con lusinghe, con speranze, con promesse, o con altro artificio rimoverlo, il che seguendo, ne darò ragguaglio minutamente a lei, che per fine riverentemente in- chino, e le prego il colmo di ogni vero contento. Di Roma il U Novembre 1587. CCLXXVI. Diomede Borghesi a Don Ferrante Gonzaga Princix>e di Molfetta. È venuta fuori la tragedia del Tasso da lui fornita, e fatta stampare in Bergamo, mentre che egli era in quella città. Ho fatto sopra essa alcune annotazioni. 1 falli di lingua della quale son di due sorti: cioè d'una, che forse non sono stati considerati da altri che da me, e d'altra, che da Vostra Eccellenza son conosciuti e schifati, e ch'io ho notati, acciocché ella veggia quanto vaneggi l'aura popolare. Manderò queste ed altre scritture, secondo le occorrenze, in Mantova a Messer Pietro Paolo Cataldo: il qua! mi scrive che per sicura via manderà il tutto a Vostra Eccellenza Di Padova a di 14 Novembre 1587. Nel primiero Atto della Tragedia del Tasso si legge a e. 2. E mi scacci dal letto e mi dimostri Perch'io vi fugga da sanguigna sferza Un'orrida spelunca Spehnca e non spelunca si dice : il Petrarca disse spelunca per far la rima ad Arunca. Ed altrove in questa Tragedia pur si legge spelunca. CCLXXVI. — R. Archivio di Stato di Parma; Carte di Guastalla. — R. Biblio- teca Estinse; cod. I. H. 1.5-17: Gonzaga, Lettere; voi. IH, p. 9-21. — Nuovo Giornale dei Letterati d'Italia TModena); t. XXV, p. 229. — 285 - Ed è da notare che talvolta aggravai) jiiìi questi piccioli falli che i grandi, poich'essi sono prova di grandissima ignoranza in ciii li com- mette. Dicesi, per esempio: io ti scaccio da me, e io ii scaccio di Ietto, di casa, di cJdem, e non si può dire: io ti scaccio da casa, come non si può dire: io ti scaccio di me. Questi sono falli notabili e che ver- gognerebbero ogni bella opera. E altrove: e. 19. 0 forza discacciar dal ìiohil corpo. e. 4. 7:,' ^^/m (gelata Che dura neve in orrido Alpe il verno. Alpe e nel numero del meno ed in quel del più è sempre del ge- nere della femmina. Ed ho detto nel numero del piìi, perchè non pure in detto numero si trova appo il Tetrarca ed il Boccaccio: Al2n, ma appo i due primi Villani: Alpe. Dice Giovanni Villani, lib. 1: che passato Annihalle ?'Alpe Apennine; e Matteo Villani, lib. II, cap. 17: come le più serrate Alpe. E che? una frulla usare un genere per un altro: e questa è cosa da purgato scrittore? e. 8. Ben mi ricordo i detti, i modi e l'opre Oììde voi mi scorgeste Si dice : io mi ricordo di qttesto, e non : io ricordo questo. Egli non è dubbio che il verbo ricordare, e noti ciò Vostra Eccellenza, regge questo caso, ma in altro significato che di rimembrare, e senza affissi ; perchè si dice: io ricordo i tempi passati, e significa: io mi ricordo etc. e. 16. E però questo error che posto in libra Fer sé non fora di soverchio peso. Libra per bilancia o perchè che qui a punto si ponga, s'usa pessi- mamente perchè non è di questa lingua, che con sì fatte voci divente- rebbe mostruosa, e. 1<». Non soggiacete a non dovuto incarco. Debito così sostantivo come aggettivo disse il Petrarca sempre, ed i regolati rimatori; oltre che non dovuto ma devuto avrebbe avuto da dire. e. 16. Sia lunge e sevro Da questa opra e da noi titolo indegno. Scevro e scevrare si legge in tutti i versi del Petrarca. A' nostri dì alcuni, troppo toscani, dicendo, e fra questi il Muzio, che sevro si dee dire, e sevrare, biasimano scevro, ed affermano scioccamente che sevrare è sincopato da separare. Imperocché se intendessero la lingua toscana saprebbono ch'ella ha il \'qx\)o 'sceverare, che importa separare, il quale accorciato fa scevrare, e scevro vai separato. E perciò è detto per l'uso del Petrarca e di Dante, e per la ragione, pessimamente sevro. — 286 — e. IS. M(i nei moto inegual de vostri affetti. Non sempre la iti aggiunto a parola la fa significare il contrario. 11 contrario d'eguale e iVnfjguagìianza è disegnale e disagguaglianm e non imguaìc e inaggiiagìianza. e. IS. La cederò qua! concubina a drudo. Si dice : io cedo a te, ma non : io cedo a te la tal cosa, che è gra- vissimo fallo, e. 20. D'Alvida anzi nel core e ne le fibre. Tutte le lingue nobili hanno delle voci, e queste son le più, che son comuni alla prosa ed al verso , di quelle che son proprie de' prosatori , e di quelle che solamente servono a' poeti. Ma oltre a queste la nostra lingua ha di quelle (e forse v"ha un'altra distinzione) che s'adoperano solamente in rima. Fibra è voce da essere sbandita da ogni toscana poesia, come è detto non sia costretto il poeta da necessità di rima, come fu il Petrarca. e. 21. E da' stellanti chiostri al lago Averno. Sanno fino i fanciulli che qui era da dire dagli stellanti. E questi sono alquanti degli errori del primo atto. Perchè il tempo mi manca essendo l'ora che suol partire il corrier di Mantova, non posso trascriver gli altri che io ho notati. Il farò in altra occasione, e li manderò a Vostra Eccellenza, a cui bacio di nuovo con riverenza la generosissima mano. Falli della Tragedia del Tasso (1). Nel secondo Atto si legge : e. 23. Me di seguire il mio Signore aggrada. Puossi arrivare alla costui tracotanza e (il pur dirò) ignoranza nella nostra lingua? Si dice: a me aggrada fare o dire, o: di fare o dire una cosa, ma non: me aggrada. e. 24. 0 memoria, o tempo, o come allegro. Questo verso zoppica in mala maniera. e. 20. Pur tnal mio grado serbo i giorni integri. e. 29. Di mia verginità serbarmi integra. Intero, intera e non integro si dice sempre da chi conosce la natura di questa lingua, salvo se la rima non lo forza a così fare. (\) Senza alcuna altra lettera accompagnatoria si trova unito il seguito. I — 287 — c. 28. Tolga Iddio che per me sospiri o pianga. Or chi non sa che i poeti purgati dicon sempre Dio, e che Iddiu è de' prosatori, che anche talvolta usano Dio ? e. 29. Uesperieìiza al ben oprar maestra. Dicesi Diaesiro d'una cosa, o di fare una cosa, e non maestro ad una cosa, od a fare una cosa. Dice il Boccaccio : Era maggior maestro di beffare altrui. — Gran maestro di compor veleni: e '1 Petrarca: Fra primi tutti Arnaldo Daniello (jran maestro d'amor c. 29. A sopportar ciò che natura o 7 caso. Sopportare non è de' poeti, né ha luogo negli scritti buoni del Boc- caccio. 1 poeti dicono sofferire, sostenere e simili; il che fanno anche i prosatori, e. 31, La povertà, Z'essiglio e gli altri rischi. Non pure i prosatori ma i poeti dicono essilio, e non essiglio se non per necessità di rima, e. 32. Che Luna somigliò di puro argento Almen somiglierò sciolta vivendo Libera cerva Dicono simigliare sempre i poeti ; i prosatori somigliare e simigliare. Perchè non sa queste cose benché frivole, tanto maggiormente dee ignorar quelle di momento, e. 33. A la xmtria, al germano, a vecchia madre. Germano non è voce toscana, ne ricevuta in iscritture autorevoli, né monta punto che più d'una volta l'usi l'Ariosto, e. 35. Altri sopra le funi i passi stenda E sospeso nel del si volga e libri.. Librare in altro significato che di ptesare, propriamente o metafori- camente non si usa da ninno scrittore toscano, ne dalla nostra lingua. Atto Terzo. e. 40. 0 possente fortuna a me pur anco Che fui dal tuo favor portato in alto. Con sembiante fallace or tu lusinghi. 0 questa è bella: il galantuomo che disse me aggrada, invece di a me aggrada osa dire sconciamente a me lusinghi. Signor mio, giuro a Vostra Eccellenza che io non credo che ninna persona in tutto idiota potesse prendere così fatti granchi. — 2SS — e. 43. ./v s'altro sorge tanto, o tanto inaspra Lungi (ìa noi famoso orrihil monte. Inasprire s'usa ben senza affissi ([iiando è uscente, o come dicono i «rraininatici latini, transitivo; ma (}uando è stante, o vogliam dire in- transitivo, non s'usa mai senza affissi, da scrittor che non sia simile al Tasso, cioè che non s'intenda punto di questa lins^ua. Qui era da dire: E se cotanto sorge altro o s'inaspra, o in somigliante modo, e. 44. Né men possente poi vibrando apparse. Appare non è di questa lingua, ed i poeti se ne vaglion solamente per la prestezza della rima; ma nel verso sciolto l'usarlo in qualunque giacitura è sempre fallo. e. 46. Chi gliela diede ? Chi gliele diede è da dirsi, e, 46. 0 piuttosto odiar, perch'ei non odi. Questo verso è falso, cioè manca d'una sillaba, perchè diar in odiar si tratta di poeti giudiciosi sempre per una sola sillaba. e. 48. E se gli piace odiosi e lui un'adorno. Chi dice che il Tasso fa versi falsi è in errore: perchè se nel sopra- nominato manca una sillaba, in questo ne è una soverchia, perchè i buoni poeti contan dio in odioso per due sillabe. Atto Quarto. e. 50. Ponno pur stabilir la pace eterna. Ponno s'usa solamente in rima o in parte del verso dove non possa star posson senza mutare altra voce di detto verso. e. 67. Voi se cedete i mesti giorni al pianto. Cedere non regge questo caso, e dicesi: io cedo a te; — la quercia cede air alloro, e somiglianti. e. 71. Ed al vostro voler concorde e fermo Il nostro non discordi Dicesi che una cosa o una persona discordi da un'altra e non ad un'altra. Molti altri vi sono di tali errori da cavallo, de' quali non può esser scusato il Tasso perchè egli si trovò in Bergamo, mentre che quivi si stampò la tragredia. i 289 — Cose segnate pei; mai. dktte nei discorsi di poetica del Tasso. I poeti dicono hiasimo o biasnw indifferentemente, ma i prosatori (e noti Vostra Eccellenza che quando io dico che i prosatori usino o non usino una cosa, intendo di quegli che sieno autorevoli) dicono hiasimo e non mai hiasnw, cosi nome come verbo. E [tur ne' Discorsi del Tasso si legge, e. 1 : « In quello si hiasma l'elettiont' ....»; ed altrove, e. 83: « biasmeuole »; — e. 59: * Nò può esser hiasmnta cosa . . . »; — e. 59: « E guardisi Vostra Signoria dal hinsmo ... ». E sappia Vostra Eccellenza che è notabil fallo il ricevere in prosa quello clic è sol del verso: sì come è gravo errore il dar luogo in verso a quello che è sol della prosa. Convertire^ verbo, secondo l'uso de' poeti ha convertì nella prima persona del preterito perfetto, e nel participio converso o conversa, ma secondo l'uso de' prosatori ha nel preterito perfetto convertii e convertì, e nel participio convertito e convertita. E pure il Tasso dice, e. 58: « Ch'egli converse lor la nave in uno scoglio ... », e e. 2, ovvero 3: « Di quelle navi converse in ninfe ... ». Nel primo esempio era di dire convertì e nel secondo convertite. Dicesi conclicsioììe e non conchinsione. E per contrario si dice con- chiudo, concìiiuso e somiglianti e non mai concludo, concluso, e somi- glianti. E nella detta opera si legge, e. 2 : « Da altri è stato concluso ... », — e. IG: « Si concluse esser la medesima spetie ... ». I prosatori hanno concedette nel preterito perfetto, e nel participio conceduto e conceduta, e non concessi, concesso e concessa ; e '1 Tasso dice, e. 4: « è concessa questa libertà ... », — e. 8: che è concesso alla grandezza dell'epopeia . . . ». Bando dicono gli scrittori purgati toscani e non rancido, che lo la- sciano a' latini e a' fidenziani. Il Tasso dice, a e. 5: « Come cosa vieta e rancida ... ». Visto e vista come veduto e veduta dicono i poeti indifferentemente nel participio del verbo vedere; ma i prosatori dicono veduto e somi- glianti e non mai visto e somiglianti. E "1 Tasso ciò ignorando dice, e. 5: « l'hanno viste », — e. 39: « s'a quest'ora avrà visto lo Scala- brino. . . », — e. 61 : « visti », — e. 02: « msto »^ — e. 71: « viste », — « non essendo ancora revisti da me. . . ». E qui è da dire riveduti. I prosatori dicono avoli, ed i poeti per ordinario avi. Egli è ben vero che questi hanno detto alcuna volta avoli, ma quelli non mai avi. Ed il Tasso dice, e. 5: « de' padri e degli avi ». 1 poeti usano alcuna volta di sincopare il verbo sofferire e dir sof- SoLEnn, i/j vita di T. Tmso, II. 19 — 290 — ftirc. ma i prosatori non raccorciano mai; ed il Tasso dice, e. 5: « Non posson soffrir gli uomini ... ». Impudenza non è ricevuta e non è da riceversi in pure scritture to- scane ohe hanno in sua vece sfacciatezza, arroganza, e somiuflianti; ma il Tasso dice alla fidenziana: « che dicendoti alcuna vergogna non sia impHtIenza . . . >^. I poeti usano mcdcsmo e medesimo indifferentemente, ma i prosatori dicon sempre medesimo, fuorché i pari del Tasso, che dice, e. 5 : « Che per sé nmìcsmi sanno ... ». Regale non dicono gli scrittori di prosa né quei di verso, ma reale; ed il Tasso dice, e. 7: « e di dignità regale. . . ». I prosatori dicono ninno ed alcuna volta nessuno, ma non mai nis- sano, che è special difetto del popolo della mia patria. E il Tasso dice, e. 7: ^< Nissan altro », ed altrove spesso spesso. Né in prosa né in verso (come altrove ho detto a Vostra Eccellenza) si può dire dojyo che in luogo di poiché, di posciachè, e di dapoichè, e pure il Tasso dice, e. 8: « Dopoché è stato ». 1 prosatori dicono infero ed intera; i poeti fanno il medesimo e di- cono alcuna volta intiero, ma in fin di verso. Ma nò gli uni, né gli altri dicono intiero, siccome ha fatto il Tasso che dice tre volte intiera a e, 10 ed altrove. Confutare è voce latina, e non toscana. 1 nostri scrittori dicono in sua vece riprovare, il che non sapendo il Tasso dice, e. 12: « ma questa opinione è confutata da' dotti del nostro secolo ... », — e. 17 : « è co' fondamenti della stessa ragione si possono confutare ... ». I prosatori nella terza persona del più, del presente dimostrativo del verbo dovere, dicono deono; ma né essi né i poeti dicono mai devono siccome il Tasso, e. 20, 24 ed altrove: « Si devono accomodare. . . ». Nella mia patria, dove non si parla bergamasco, si dice gozzo e non goso, cosi dicono gli scrittori: ma il Tasso secondo l'uso di Bergamo, dove sono assai, dice, e. 20: « che belli paiono i capi aguzzi ed i gosi ». Imperizia é voce fidenziana con buona pace del Tasso che dice, e. 21: ^ si dee credere che piìi tosto imperizia dell'artefice che difetto del- l'arte ... ». Versare non è della nostra lingua nel significato che lo viene usando il Tasso, e. 23 : « e quelle all'incontra le quali mancano di questa per- turbazione versano intorno all'espressione del costume ...>'. Con biasimevole ardire usa il Tasso, interseriti che è latino invece di traporre 0 di trasmettere che è toscano, e. 24: « nella quale tali episodi sono interseriti ... ». Serio e sèria non è della nostra lingua che ha graie e somiglianti; e il Tasso dice, e. 28: « nelle cose serie. . . ». — 291 — Quandoché appo niun prosatore o poeta purgato si pone in significato della semplice quando, ma in signitìcazione di quandunque. E il Tasso, ed è fallo di grandissimo biasimo, dice: « ed allora intorre in quel vizio, che alla lodevole mediocrità è vicino, quandoché con la frequente aftettazione di sì fatti ornamenti induce sazietà e fastidio ... ». Si legge: « L'opinione de' buoni retori antichi, che subito, che il concetto nasce, nasce con esso lui una sua proprietà naturale ... », nel qual luogo il secondo nasce è mal detto: dovendosi dire quivi, se- condo il buon uso degli scrittori, nasca. lo non posso non maravigliarmi che vi abbia delle persone così igno- ranti e così animose, che ardiscan di levar con somme lodi al cielo questa opera: alTermando che ella è scritta in purissimo e nobilissimo stile. Ma per dirne a Vostra p]ccellenza quel che io ne sento, mi par»\ che dalla lezione di questo libro non si possa apprendere altro che scrivere senza regola e barbaramente. Attenda Vostra Eccellenza il ri- manente dell'annotazioni, le quali dovranno alleggerirla di molte fatiche, e esserle carissime poich'olla scrive così puramente prose come versi, e poiché è più malagevole a dettar prose purgate che purgati versi. Sopra altre prose del detto Tasso ed intorno a di quelle di altri scrittori di grido farò delle annotazioni non volgari a soddisfacimento di Vostra Ec- cellenza, mio unico padrone e singoiar protettore e benefattore. OCLXXVII. Antonio Costantini a Vincenzo Gonzaga Buca di Mantova. — 3Iantova. Domattina, piacendo a Dio, mi invio alla volta di Firenze con il Signor Tasso, quale ho disposto con bello inganno a venire sino là, avendo finto che il Serenissimo Granduca lo inviti per volersene servire in fargli fare una qualche composizione per l'esequie del Granduca morto, e per la coronazione del successore. Ed a ciò osso Tasso lo cre- desse facilmente, il Signor Patriarca ha pregato il Signor Ambasciatore di Firenze, che lo inviti per parte del Serenissimo Granduca, e così si è fatto: e la cosa è riuscita sin ora molto leggiadramente. Potrà Vostra Altezza Serenissima mandare uno dei suoi fino a Firenze, che nel nostro arrivo sia pronto quivi, mostrando di essere mandato da Vostra Altezza a pregare il Granduca, che, capitando il Tasso, lo consegni a lui, per ricondurlo a Mantova, poiché ne è partito senza licenza di lei, ed in- sieme scrivere al Granduca che aiuti a ricoprire l'inganno, con mostrare CCLXXVII. — Archivio Gonzaga; E. XXX. 3. — Portigli A., Op. cit; p. 24. — 292 — al Tasso, ohe Tinvito fosse vero, ma die non possa trattenerlo, perchè TAltozza Vostra Serenissima lo rivuole. Con che taccio fine e prego il Siijnore Dio che dia a Vostra Altezza Serenissima tutta quella felicità, che io suo devotissimo servitore le desidero. Di Koma 18 Novembre 1587. CCLXXVIll. Il Patriarca Scipione Gonzaga a Cesare Riva. — Mantova. Se non fosse qui il Costantini mandato da Sua Altezza per ricondurre a Mantova questo povero Tasso, ormai io sarei mezzo disperato vedendo riuscir vane tante invenzioni, tanti stratagemmi, quanti fin ora abbiamo usati esso ed io per metterlo in cammino. Prima si finsero lettere che lo chiamassero a Genova, ad una lettura che già gli fu proposta in Lombardia, e gli piaceva il partito. Ora non ha voluto sentir parola, dicendo voler prima risanar dalla sua infermità. Poi si è cercato di imbarcarlo almeno sino a Firenze, fingendo che il Granduca lo deside- rasse nella occasione delle esequie che si preparano al Granduca morto, per avere da lui poesie, imprese, motti e cose simili; ma ne anche questa invenzione ci è riuscita, altro che al principio egli paresse di- sposto all'andare. Finalmente, vedendo mancarci ogni altro rimedio, si è ottenuto dal Signor Strozzi, agente del Signor Duca Serenissimo, che gli venga a parlar in persona, mostrando aver ordine con queste lettere di Sua Altezza di farlo andar a Mantova in tutti i modi; e qui non si è perdonato né a lusinghe né a minacele per indurlo al partire; ed insomma niente ha giovato. Gli ho ancora fatto dire che Sua Altezza non ha voluto mandare questo ordine a me, perchè sta mal soddisfatto ch'io l'abbia ricettato in casa, essendo fuggito da lei, e ciò ho fatto perchè, vedendosi mancar questo alloggiamento, egli sia tanto più fa- cile al consentire; ma tutto indarno, dicendo egli risolutissimamente di non voler partire di qua, e che si maraviglia che Sua Altezza voglia usar con lui questo rigore, non essendo egli suo suddito, né avendo mai accettato d'essere servitore stipendiato. E dicendogli che si guar- dasse molto bene, che gli converrebbe poi andarvi per forza, a questo non ha mai risposto altro se non: « Sarà quel che piacerà a Dio: •« almeno di buona volontà io non v'andrò mai, se prima non son gua- « rito >^. E con questa nuova gli è cresciuto di maniera l'umore, che sarà gran cosa poterlo ritenere che non faccia qualche scappata e non CCLXXVm. — Archivio Gonzaga; E. XXV. 3. — Portigli A., Op. ciL; p. 25 e 28. Il Portioli pubblica divise e incomplete questa e la seguente lettera. — 293 — pigli nuova fuga. Già ha fatto un memoriale al Papa, nel quale prega Sua Santità a volerlo assicurare qui ila ogni violenza: ma il Costantini gliel' ha tolto, e non sarà ch'io l'aiuti a presentarlo. Insomma da tutto questo Vostra Signoria può vedere, che come io immaginai la prima sera del suo arrivo, è impossibile senza forza di farlo tornare, e questo, come già parve a me, così pare al Costantini, di non dover usare senza ordine espresso ; egli sta dunque aspettando ciò che con le prime let- tere gli sarà comandato da Sua Altezza, ed io gli ho compassione perchè si strugge di desiderio d'ubbidire, e non sa come. Né essendo questa per altro, bacio con questo fine a Vostra Signoria le mani e le prego ogni felicità. Di Roma a' 21 di Xoveraljre 1587. OCLXXIX. Antonio Costantini a Vincenzo Gonzaga Duca di 3Ianiova. — Mantova. Io sapeva bene clie '1 Tasso era matto, ma non già tanto come ora ho conosciuto. Egli aveva promesso all'Ambasciatore del Serenissimo Granduca, al Signor Patriarca, ed ultimamente all'Illustrissimo Car- dinal Albano, di volere andare sino a Fiorenza, ed accettar l'invito che quella Altezza gli faceva, come con un'altra mia ne ho dato raggua- glio alla Altezza Vostra: e già ci eravamo messi all'ordine per partire il giovedì mattina, quand'ecco che in un subito gli diede volta il cer- vello, e cominciò a dire che si accorgeva della trappola, e che indovi- nava molto bene quello che noi volevamo fare di lui, e che non voleva in modo alcuno andare ne a Ferrara, né a Mantova, né a Fiorenza, e da questa opinione non è stato mai possibile a poterlo smovere. E ve- dendo io che non giovavano con lui né belle né buone parole, né pro- messe né speranze, ho pregato il Signor Patriarca Gonzaga che gli dica chiaramente che bisogna che egli si risolva a ritornare a Mantova, perciocché l'Altezza Vostra così vuole in tutti i modi; e che se egli verrà volentieri, sarà facil cosa che ella gli dia buona licenza, vedendo quanto sia stato pronto in obbedirla; ma che altrimenti bisognerà che venga a viva forza, e perdere in tutto e per tutto la sua grazia. Ma il Signor Patriarca ha fatto fare questo ufficio dal Signor Strozzi, agente di Vostra Altezza, acciò esso Tasso più facilmente credesse, che «Ila avesse così comandato ohe si facesse. Ma in effetto é poco valso, perchè non solo si è punto rimosso dalla saa opinione e risoluzione, ma vi si è tuttavia piii ostinato, ed è saltato nelle furie sì fattamente CCLXXIX. — Archivio Gonzaga; E. XXX. 3. — Portioli A., Op. cit.; p.26 e 29. — 294 - che fa strane pazzie, e si è lasciato intendere elio più presto vuole ammazzarsi da sé stesso che ritornare a Mantova. Questa mattina ò stato a Palazzo e voleva udien7.a dal Papa, e non avendola potuto avere, ha fatto una supplica, quale ha data a me, che mai lo lascio, acciò la fa- cessi presentare a Sua Santità; ma io per servirlo bene, la mando qui inclusa a Vostra Altezza, acciò ella vegga a che termine sia il ne- gozio (1). E niuno (2) se non si riconduce per forza, come io aveva pensato di metterlo in una lettiga, e legarlo anche se bisognerà, non veggo in che modo si possa venire a buon fine di questa pratica. E perchè di questo particolare spero vederne la volontà di Vostra Altezza col primo ordinario, per ora non mi accade dirle (3), salvo che per fine le faccio umilissima riverenza. Di Roma il 21 Novembre 1587. CCLXXX. Antonio Costantini a Marcello Donati. — Mantova. A dura impresa mi sono esposto e molto più aspra che non credeva, e Dio voglia che me ne sortisca quel fine che io vorrei, per soddisfa- zione del Serenissimo Signor Duca; pure farò con le mani e con i piedi, quanto sia possibile a fare ; e perchè dubito che bisognerà menar que- st'uomo per forza anzi che non, e non essendo io venuto provvisto di quella quantità di denari che bisognerà, pensando che la cosa mi do- vesse agevolmente riuscire, come avevo disegnato, prego Vostra Signoria che dica a Sua Altezza che faccia ordinare che mi siano dati qui trenta o quaranta scudi, che insieme con "quelli che ho meco, tirerò a fine il negozio, con quella maggiore destrezza che sarà possibile. Ed a Vostra Signoria bacio le mani. Di Roma il 21 di Novembre 1587. CCLXXXI. Camillo Strozzi (1) a Cesare Eiva. — Mantova. Ho ricevuto la lettera di Vostra Signoria delli 14 del presente che mi è stata carissima ed ho dato recapito alla lettera di Sua Altezza (1) Qnesto memoriale è ancora nella filza. Fu pubblicato già in Tasso T., Lettere; voi. IV, n." 943; con la data erronea del 20 Dicembre. (2) Pare avesse cominciato la costruzione: E niuno eie. modo veggo, la quale per l'inciso yenne appresso mutata. (3i È da supplire certamente: altro. CCLXXX. — Archivio Gonzaga; E. XXX. 3. — Portioli A., Op. cit.; p. 31. CCLXXXI. — Archivio Gonzaga; Residenti a Roma. (1) Residente a Roma del Duca di Mantova. — 295 — Serenissima per il Sif^nor Cardinale Illustrissimo di Ascoli, ciie mi ha tenuto un gran pozzo ragionando delle cose di Mantova o di Sua Al- tezza, alla (luale si vede che è molto devoto. Ho dato ancora recapito alla lettera di Vostra Signoria per Monsignore Illustrissimo Patriarca Gonzaga, al quale ho servito nel negozio del Signor Tasso conforme all'intenzione di Sua Altezza. Se in alcuna cosa posso servire che sia di proprio servizio di Vostra Signoria non mi sjiaragni perch'io la ser- virò sempre di tutto cuore Di M^ma XXI di \ov.;ini.n' lóftT. CCLXXXll. Vincenzo Gonzaga, Duca di Mantova ad Antonio Costantini. — Roma. Dalle due vostro dalli 14 e delli 18 del presente ho compreso quanta fatica vi prendiate per condurmi in qu;\ il Tasso, di che vi ringrazio, pregandovi, se ])erò non poteste con (jualche lusinga incamminarlo, a fermarvi (*ostì, tinche io possa avere certa risposta, che sojìra questo particolare aspetto da Ferrara, e con ciò vi prego ogni prosperità. Di Mantova a' 28 di Novembre 1587. CCLXXXll I. Il Patriarca Scipione Gonzacja a Cesare Riva. — ^[antora. Ho mostrato al Signor Costantini quel che Vostra Signoria mi scrivo per la prima sua di 21, e siamo già restati insieme quasi in ultimo appuntamento del modo che si può tenere per ricondurre questo povero Tasso, già che per artifìcio che fin ora si sia usato non si può indur la sua volontà a consentire a questo suo ritorno, ma di ciò avviserò poi Vostra Signoria con l'effetto istesso. Intanto le rendo infinite grazie di quanto ella mi scrive per la sua seconda, assicurandomi che Sua Altezza abbia sentito bene quel eh' io ho scritto in questa materia, poiché come non ho maggior obbligo uè maggior desiderio che di servir all'Altezza Sua, cosi ninna cosa deve essermi più cara che il sentir ch'ella resti soddisfatta delle azioni e de' pensieri miei. E qui por ora resto, baciando a Vostra Signoria senza fine le mani. Di Roma a' 28 di Novembre 1587. CCLXXXll. — Archivio Gonzaga; Copialettere, lib." .397. — Portigli A., Op. cil.; p. 30. CCLXXXIII. — Archivio Gonzaga; E. XXV. .3. 296 LX'LXXXIV. Cesare Riva al Patriarca Scipione Gonzaga. — Roma. Là prim-ipale cagione che muove Sua Altezza a procurare il ritorno del Tasso, è per poterlo restituire al Signor Duca di Ferrara, dal quale l'ha ricevuto costà in consegna. Onde intendendo ella quello che Vostra Signoria, colla sua del 21 del presente, mi scrive intorno alla resistenza che esso Tasso fa di ritornare, ha risoluto, prima che mandi altro or- dine costà, di aspettare di intendere quello che su ciò ne sente esso Serenissimo Signore, al quale ora scrive, ed in caso che non faccia più che tanto stima del ritorno di quest'uomo. Sua Altezza facilmente si risolverà di porlo in libertà. Tutto questo l'Altezza Sua mi ha com- messo che io scriva a Vostra Signoria Illustrissima , finché con l'ordi- nario seguente, le potrà far sapere l'ultima risoluzione sua. Di Mantova ai 28 di Novembre 1587. CCLXXXV. Il Patnarca Scipione Gonzaga a Cesare Riva. — Mantova. lo pensava che a quest'ora il Tasso dovesse esser incamminato a cotesta volta, essendosi per noi questa settimana fatto, come si dice, l'ultimo di potenti; ma insomma tutti i partiti sono stati scarsi, e, quel che è peggio, alla via della forza non occorre più pensare, poiché di ciò avendo Monsignor Governatore di lioiua voluto far motto a Nostro Signore, solo per intendere la sua inclinazione, ma non già dicendo in alcun modo, che Sua Altezza l'abbia ordinato. Sua Santità ha mostrato di sentire che ciò non converrebbe alla dignità di questo luogo, dove par onesto che ogni uomo possa viver sicuro. Come poi questa pratica sia passata per le mani di Monsignor Governatore, ancor che il Costan- tini dovrà scriverne più pienamente, dirò però anch'io questo solo, che non essendo riuscita alcuna arte per tirar il Tasso né anco fuori delle mura, e dubitandosi che posto o a cavallo o in carrozza, egli, come vinto dall'umore e dalla disperazione, noji si mettesse a gridare, o far atto che desse occasione di correre alle genti , si prese espediente di farne jjarola al suddetto Monsignor Governatore, e ciò per due fini: l'uno perchè succedendo alcuna cosa tale, non potesse egli pretendere che fosse fatta senza sua saputa, l'altro perchè egli stesso interponesse l'au- CCLXXXIV. — Archivio Gonzaga; Minute ducali. — Poktioli A., Op. ci(.; p. 30. CCLXXXV. — Archivio Gonzaga; E. XXV. .3. — 297 — torità sua in disponer questo infelice, il che veramente egli fece con ogni efficacia per servir al desiderio di Sua Altezza. Ma infatti n(' con le lusinghe né con le minaccio fu possibile di persuaderlo, e per questo stesso venendo egli in sospetto, che questo uomo essendo violentato po- trebbe far (|ualche scajipata, comandò seriamente al Costantini che non facesse altro fin ch'egli non avesse parlato a Nostro Signore; il che avendo poi fatto n'ebbe la risposta già detta. Tutto questo mi è paruto debito mio di far sapere a Vostra Signoria perchè piacendole possa ri- ferirlo a Sua Altezza; da che ella potrà comprendere ch'io ho carissima la risoluzione dell'Altezza Sua di aver rimesso questo negozio alla vo- lontà del Serenissimo di Ferrara, immaginandomi che ([uell'Altezza non farà gran caso del ritorno di esso Tasso, e facendolo saprà il Serenis- simo Signor Duca nostro esser necessario di passar per la via del Papa. Che sarà il fine di questa, con che a Vostra Signoria bacio mille volte le mani. Di Koma a' .'» di Dicembre 1587. CCLXXXVI. Antonio Costantini a Vincenzo Gonzaga Buca di Mantova. — 3Lantoi'a. Avrà Vostra Altezza inteso per l'ultima mia l'ostinazione del Tasso, risolutissimo di non volere uscire ne anche fuori delle porte di Roma. La qual cosa benché mi avesse tronca ogni speranza di poter fare alcun profitto, nondimeno non m'era affatto perso d'animo, s'i che andai a tro- vare il Signor Patriarca Gonzaga, .e mi consigliai con lui se fosse stato bene far parlare al Tasso da qualcuno di questi principali ministri di Sua Santità, acciò l'autorità lo movesse, giacche nessun'altra cosa era stata bastante; e risolvemmo che il Signor Governatore sarebbe stato molto a proposito a fare questo ufficio. Laonde domenica mattina il Signor Patriarca pregò Sua Signoria Reverendissima, dopo aver esposto con debiti modi la volontà e il desiderio di Vostra Altezza, che volesse esser contento di esortare il Tasso, e quasi costringerlo al ritornare a Mantova. Onde egli si offerse prontamente a volerlo fare, e lo fece in effetto, ma però con termini dolci ed amorevoli , come amico, non come Governatore di Roma, dicendo a noi che non aveva voluto usar parole imperiose e ne valersi della autorità sua neanche con le pa- role, se prima non ne avesse fatto motto a Sua Santità, e che però voleva a buon proposito parlargliene; e cosi fece mercordi mattina, CCLXXXVI. — Archivio Gonzaga; E. XXX. 3. — Portigli A., Op. cit.; \k 33. — 298 — che fu il i:i."»riio della sua udienza. E tornando io la sera da lui, per intendere quello che aveva operato, mi disse che il Papa non vuole, in modo nessuno, che si usi pur una minima violenza per levar di qui quest'uomo, se egli non vuol venire di sua volontà; il che udendo io risposi che non si farebbe se non quanto piace alla Santità Sua: che tale era e sarà sempre la mente del Serenissimo Signor Duca di Mantova, mio Signore, e con queste parole mi licenziai da lui, con ri- soluzione di partirmi di qui quanto prima, per venire a dar conto a Vostra Altezza minutamente di tutto il seguito. Ma essendomi comparsa la sua lettera del 28 passato, nella quale mi comanda che io mi fermi qui sino a tanto che ella abbia avuta la risposta che aspetta da Fer- rara, non mi muoverò sino a suo comandamento. Con che facendo fine, me le inchino umilmente e le prego dal Signore Iddio lungo e lieto corso della vita. Di Koma il 5 Dicembre 1587. CCLXXXVll, Federico Miroglio (1) a Marcello Donati, — Mantova. Per l'ordinario passato scrissi a Vostra Signoria in risposta di quello che esso mi scriveva d'ordine del Serenissimo Signor Duca, suo e mio Signore, in materia del particolare del Tasso, che essendo Sua Altezza a Goro io non poteva per allora dirle altro. Ora, supplendo con la pre- sente, dico che avendo fatto sapere alla Altezza Sua ciò che conteneva la suddetta lettera di Vostra Signoria, per intendere ciò che risolvesse, ha risposto che codesta Altezza si può ricordare che quando ella condusse seco il detto Tasso, le disse che era facil cosa che egli se ne fuggisse, e che quanto a lei non se ne cura più che tanto, lasciando che cotesta Al- tezza faccia ciò che le piace, onde non accadrà che il pover'uomo sia fatto altrimenti prigione per simil conto Di Ferrara li 5 Dicembre 1.587. CCLXXXVIII. Diomede Borr/hesi a Don Ferrante Gonzaga. A' giorni passati scrissi lungamente a Vostra Eccellenza Illustrissima e le mandai alcune annotazioni fatte sopra de' falli della Tragedia del Tasso CCLXXXVll. — Archivio Gonzaga; E. XXXI. :3. — Portigli A., Op. cit. ; p. .^1. (1) Agente mantovano a Ferrara. CCLXXXVIII. — R. Archivio di Stato di Panna; Carte di GuastaUa. — R. Bi- blioteca Estense, cod. I. H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. Ili, p. 21. — Lettere di D. Borghesi per cura di G. Campori, Bologna, Romagnoli, 1868; della Scelta di curiosità letterarie ined. o rare, disp. XCII; p. 36. — 299 — Mando a Vostra Eccellenza Illustrissima altro annotazioui fatte pur sopra falli della predetta Trap^edia (1), le quali dovranno a mio ^Mudizio piacerle, sì perclit' ne possa trarre giovamento, e si perchè ella cono- scerà che avanzo di gran lunga di purità di stile uno scrittore che dal mondo è tanto stimato Di Padova, a' dì '> Dicembre lóS7. CCLXXXIX. Cesare Ulva al Patriarca Scipione Gonzacja. — lioma. La risposta che Sua Altezza ha avuto da Ferrara sopra il particolare del Tasso, è tale che non occorre far forza s'egli non s'acquieta a la- sciarsi condurre, onde non potendosi indurre a ciò, vuole Sua Altezza che egli sia posto in libertà, e che Vostra Signoria Illustrissima non se ne dia piìi lungo impaccio. Tutto questo m'aveva commesso ch'io scrivessi a Vostra Signoria Illustrissima, quando è sopravvenuto il cor- riere con la lettera di lei delli 5 del presente, la quale è stata veduta da Sua Altezza, che tanto maggiormente persiste nella risoluzione sud- detta. Mi ha aggiunto solo che io scriva a Vostra Signoria Illustrissima pregandola a scrivermi liberamente il suo parere sopra quello che l'Al- tezza Sua avrà a donare, oltre alle spese, al Signor Costantini. [Di Mantova Dicembre 1587]. CCXC. Il Cardinale Scipione Gonzaga a Cesare liiva. — Piantava. Ho inteso per la lettera di Vostra Signoria dei undici, la risoluzione che Sua Altezza ha fatto circa la persona del Tasso, il quale stando tuttavia sulli primi suoi umori, resterà tanto piìi libero del corpo quanto è più legato della mente. Il Costantini mi par giovane di bellissimo animo, e così si confessa favorito da Sua Altezza con quello ch'ella gli ha comandato, che questo istesso egli stima vero premio. E per me credo certissimo ch'egli non ne pretenda alcun altro, tanto più che da certo invito, ch'egli ebbe già, di dover venire a Mantova, non è senza qualche speranza di poter essere impiegato in qualche servigio di Sua Altezza; ma dato anche che questo non sia, pochissima cosa credo che gli sarà grandissimo favore e massimamente se avrà più forma di dono che di (1) Non si trovano unite alla lettera. Potrebbero esser quelle unite all'altra let- tera, n.° CCLXXVI. V. p. 286 e n. CCLXXXIX. — Archivio Gonzaga; Minute ducali. CCXC. — Archivio Gonzaga; E. XXV. 3. — Portigli A., Op. cU.; p. 34. — 3lX) — mercede. Tutto questo lio voluto, se ben con grandissima incomodità, scrivere a Vostra Signoria di mio pugno per dirle insieme (1) quel me- desimo che ella avrà inteso per le lettere di ieri, ma che io non potei scrivere a lei per difetto di tempo, cioè che la maestà di Dio ha voluto che i tanti favori del Serenissimo Signor Duca nostro non siano vuoti d'eftetto. avendo inspirato nell'animo di Nostra Santità di farmi Cardi- nale, non per li miei, ma per li meriti di Sua Altezza; dalla quale ri- conoscendo io perciò questo grado, avrà Vostra Signoria doppia ragione di rallegrarsene, come di cosa di (2) airAltezza Sua e d'onore a me che son tutto suo di tanti anni. Col qual fine salutandola di tutto cuore, le prego ogni felicità. Di Roma a' 19 di Dicembre 1587. CCXCI. Diomede Borghesi a Don Ferrante Gonzaga. Quindici giorni fa inviai a Vostra Eccellenza Illustrissima alcune mie annotazioni sopra la Pastorale di . . . . le quali per avventura le dovranno in più cose esser di qualche giovamento. Ora avendo io deliberato di voler darvi molte regole di lingua , le quali vo' trarre dagli errori di quegli scrittori, ch'oggi son di grido, ho notati alquanti falli delle nuovissime rime del Tasso; e quindi prendo argomento di formar delle regole a soddisfacimento ed util nostro. Mandole a Vostra Eccellenza Illustrissima, a cui significo che vo' andar notando nell'altre Kime del Tasso l'altre imperfezioni della favella, e nella medesima guisa ve ne farò partecipe. E sappiate che finalmente ridurrò in uno tutti questi errori altrui, e tutti i miei insegnamenti, e con tavola copio- sissima e chiara ne farò dono a voi, acciocché delle cose di lingua di cui vi potesse nascer dubbio, vi possiate di subito e pienamente chia- rire. Ben supplico Vostra Eccellenza Illustrissima che ne di questa né di altre mie somiglianti scritture non voglia far parte ne motto a persona. [1587] (1). (Ij L'ori^nale qui ripete: di mio pugno. (2) V'è neU'orijrinale un'ablìreviazione poco intelligibile. Il Portioli stampò féli- citatione, ma con poca probabilità di vero. CCXCI. — R. Biblioteca Estense; cod. I. H. 15 17: Gonzaga, Lettere; voi. Ili, p. 27. — Borghesi D., Op. cit.; p. .38. (1) A qnesta lettera non si trovano unite l'annotazioni. Il Tiraboschi nota che essa dev'esser scritta nel 1.587, per la pubblicazione allora avvenuta dell'ultima parte delle Rime del Tasso. [Gioie di rime e prose del Sig. TuRguATo Tasso. Nuo- — [m — CCXCIl. Ihomcde IJon/hesì a Doìi Ferrante Gonzaga. In cotesta città sono venute ultiinuinente a luce un libro di Rime del (1). Ora per mostrare a Vostra Eccellenza che non è oro tutto quello che risplende, e che gli effetti non risiiondono alla fama popolare: vi mando parte di quelle annotazioni che ho fatto intorno a' detti componimenti. Se punto vi sovviene di quanto io vi rafjionai a Guastalla, dovrete conoscer ch'io, per vero dire, e non per animosità, venni affermando che il commette spesso di gravi falli nelle voci e nelle locuzioni toscane. M'inchino a Vostra Eccellenza le cui composizioni e nei concetti e nello stile son degnissime di maravigliosa loda, E prego il Cielo che conservi lungamente la vostra eroica persona in felicissimo stato. [1587J. Errori delle rime rtEi Nel primo sonetto si legge: fac. 1. Poi quasi messaggier che porti avviso liiede e ferma nel cor gli spirti erranti. Avviso in questo sentimento che ha luogo negli scritti di prosatori del nostro tempo, non è voce da poeta: e specialmente non è da ricevere in nobil sonetto. Oltra che a me pare che tal voce sia qui soperchia, poiché messaggiero non significa altro che persona che porta avviso, ambasciate, novelle e somiglianti. fac. 2. Misero et io la corro ove rimiri Fra le brine del volto e 7 bianco jìetto Scherzar felice invidiata mano. fac. 1on risoluto a far prova d'indirizzarvi al- cuna delle mie povere coserelle, e massimamente di quelle che più di fresco sono stampate, e una che ora si stampa. Le arrischierò alla ven- tura, per non caricar di spesa gli amici: e se non verranno, chi le avrà farà poca preda. Non è un'ora, che da me si partì il nostro Signor Bul- gari ni il quale ha molta brama di servire al Signor Attendolo. di cui l'Oddi gli mandò le rime, quando anco a me; e per le spesse e gravi occupazioni non ne piglia il tempo, ma lo troverà e scriverà. Fra tanto, a suo nome, e lui e la Signoria Vostra saluto con ogni affetto. E io di me, che dirò? che sono di tutti e due sviscerato, per molte cagioni che me ne danno ; e prego loro dal Signore Iddio vita lunga, sana, al- legra e tranquilla. Di Siena il 22 Novembre 1589. OCCXXV. Ferdinando I De Medici G-ran Duca di Toscana, al Cardinale Francesco Maria del Monte. — Boma. AI Tasso, che mi scrive l'alligata (1), potrà Vostra Signoria Illustris- sima sovvenire sino alla somma di altri scudi cinquanta, ma a poco a poco, poiché egli suol gettare in un tratto tutto quel che se gli dà. . . . (Di Firenze, Dicembre 1589) (2). CCCXXV. — Guasti C, Op. 1. cit. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 109. (1) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. IV, n.» 1202. È del 22 dicembre. (2) Il Cardinale del Monte replicava: « Al Tasso si farà quello che la scrive », [Guasti, Op. l. cit.]. 330 CCCXXVl. Bcniarch Maschio a Francesco Maria della Bavere Duca d^ Urbino. Non è parsa a quei ministri di sì poco rilievo la lettera regia in favor del Tasso che, s'egli avrà chi negozi per lui in Napoli, non sia per giovargli. Io poi feci quel ch'egli mi scrisse; e gli avrei ben di buonissima voglia procurato qualche pecuniario aiuto presente: ma quando ne cominciai a trattare, qualcuno se ne rise. E così spesse volte succede a un virtuoso povero (Di Madrid 3 Febbraio 1590). OCCXXVII. Fabio Gonzaga a Bernardino Baldi. Per mia fé Vostra Signoria non poteva venir in miglior modo per avere informazione di Antonio Costantini, poiché niuno la può dare né più certa, ne più vera di lui stesso; ed egli stesso appunto la darà, benché io sia quello che parlo. 'Antonio Costantini è mio segretario, amato da me quanto dee amarsi persona, in cui appaiono alcuni vestigi di virtù. Egli è in anima e in corpo servitore del Signor Torquato Tasso, e fra l'uno e l'altro passano continue lettere; e in molti ragionamenti che abbiamo fatto di Vostra Signoria si mostra di esserle affezionatis- simo servitore, benché non la conosca di presenza, e fa grandissima stima delle sue composizioni che dice aver vedute. E questa fu la ca- gione, che l'indusse a pregarla di qualche suo componimento per la sua Raccolta in lode del Papa, la quale non é per ancora stampata , ma tosto ch'egli avrà avuto da lei alcuna cosa, farà dar principio alla stampa (1). Favoriscalo dunque volentieri : che ancor io ne la prego e le ne resterò con obbligo. Con che per fine le bacio le mani e le prego dal Signore Iddio ogni vera contentezza. Di Mantova li 10 Marzo 1590. CCCXXVl. - R. Archivio di Stato di Firenze; Carte d'Urbino; CI. I, Div. G., f.» 185. — Tasso T., Lettere; voi. IV, p. 230. CCCXXVII. — Affò I., Vita di B. Baldi; p. 127. — Ferhccci M., Op. cit.; p. IX n. — Ferrazzi, Op. cit; p. 93. (1) Cfr. qui addietro la lettera n.'^ CCCXI. — 331 — CCCXXVIII. Belisario Vinta al Cardinal Francesco Maria del Monte. — lìotna. Avendomi il savio pazzo Torquato Tasso scritto l'inclusa lettera (1), Sua Altezza mio signore mi ha comandato di mandarla a Vostra Si- gnoria Illustrissima. Costui una volta in certi dialoghi suoi, che sono stampati, disse assai ben male della casa de' Meilifi, con s^ìirito assai non so se furioso o maligno, o che gli fosse fatto dire allora che bolliva la controversia di i)rei'edenza con Ferrara. Basta, ch'io ho voluto che Vostra Signoria Illustrissima lo sapjiia; e forse potrebbe ora Mwere ^m- linodiam. E non avendo da dirle altro con questa, le fò affettuosissima riverenza; e prego Iddio che la feliciti ogni dì più. Da Livorno a '^ di aprile 15it0. CCCXXIX. Giovan Battista Elicona (1) a Belisario Vinta. — Firenze. Mi scrive il Tasso con molta soddisfazione l'accoglienza fattagli da Sua Altezza, e che gli rende un forziero di libri. Quando non era furioso, sempre desiderò servire il signor nostro, e ci si conferma ancora; io giudico che il signor don Giovanni (2) lo possa incitare e movere ad ogni impresa: sì perchè l'ha per confidente, come non ha don Vir- ginio (3), sì per esser di lettere. E perchè ho trattato l'onore (4), mi par bene darlene notizia; e sia certa che, per molto che talora quel- l'umore lo predomini, parlandosi di lettere o poetiche o filosofiche, sta saldissimo. Disegna ristampar tutte l'opere sue, e di accomodare la Ge- rusalemme sotto l'ombra del serenissimo padrone. Ed a me piace che la sua benignità lo protegga, come desidero che tutti gli illustri cigni cantino le glorie sue Di Roma li 27 di aprile 1590. CCCXXVIII. — Ms. Mariani.— Tasso T., Opere; voi. V, n.» 168, p. 152. — Tasso T., Lettere; voi. IV, p. 231. (1) Cfr. Tasso T., Lettere; voi. IV, n." 1234. CCCXXIX. — R. Archivio di Stato di Firenze ; Carteggio del Granduca Ferdi- nando I; 4°, Lettere di particolari da aprile 1590 a tutto dicembre di dotto anno; e. 284. — Tasso T., Lettere; voi. IV, p. 315. — Terrazzi, Op. cit. ; p. 69. (1) Agente Granducale a Roma. (2) Figlio naturale di Cosimo I. (3) Don Virginio Orsino duca di Bracciano, nipote del Granduca. (4) Cosi ha l'autografo. — 332 — OCCXXX. Girolamo Giglioli ad Alfonso II Buca di Ferrara. Ferrara. 11 (.ìian Duca lui fattx) venire qui il Tasso, il quale giunse tre giorni sono, e Sua Altezza l'ha fatto alloggiare nei Frati di Monte Olivato, dell'Ordine di San Giorgio di Ferrara; ed il convento loro è fuori della città; lo fa spesare, e gli ha fatto riverenza; e da Sua Altezza gli è stata fatta bonissima cera, per quello che mi è stato rifferto, e si dice, che l'ha fatto venire per volere far fare una prova nella persona sua d'un medicamento, per vedere se si potesse risanare, o ruinarlo a fatto. . . . Di Firenze il primo di Maggio 1590. CCCXXXI. Girolamo Gilioli ad Alfonso II Duca di Ferrara. Ferrara. Mando qui incluso a Vostra Altezza Serenissima un sonetto e due canzoni fatte dal Tasso dopo ch'è qui (1), il quale ora è assai in cer- vello, ed ha ogni giorno gran concorso di questi fiorentini virtuosi, ed il Gran Duca vorrebbe che facesse una comedia, per farla poi recitare al battesimo, che si dovrà fare, se sarà maschio (2) Di Firenze li 5 di Maggio 1500, CCCXXXI 1. Roberto Titi a Belisario Bulgarini. — Siena. Sappia Vostra Signoria che il Tasso è ancor qui, in istato di mente certo infelice, i)0i che l'allegrezza istessa non avrebbe forza di ralle- grarlo un poco ; in somma, actum est de eo ; e non accada parlarne, se non in quanto si leggono i suoi scritti Di Firenze li 4 d'Agosto 1590. CCCXXX. — E. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Firenze. CCCXXXI. — K. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Firenze. (1) Non si ritrovano nel carteggio. C2j Si allude alla prossima nascita d'un figlio del Granduca Ferdinando di To- scana: nacque infatti Cosimo. CCCXXXII. — Biblioteca Comunale di Siena; cod.C. II, 25; e. HO. — Tasso T., Lettere; voi. IV, p. 315. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 69. — 333 — CCCXXXllI, Tullio Peiromni {ì ) a Momi(jnor Matteo Briomini. — lìoma. Avendo il Signor Torquato Tasso scritto a Sua Altezza che, conforme al desiderio qual essa ne iia, egli si trasferiril qii;\, mi ha ordinato l'Al- tezza Sua che dica a Vostra Signoria Reverendissima ch'essa faccia sa- pere al detto Signor Tasso come le è stata di gran soddisfazione questa risoluzione di Sua Signoria, e che starà aspettandolo; e perciò Vostra Signoria Keverondissiraa intenda dal Costantini , qual si terrà costì, quanti denari bisogneranno per il viaggio: con farglieli provvedere, se- condo che dirà esso Costantini, de' denari di Sua Altezza che si trovano in cotesta città, quando non siano stati levati, ovvero in altra maniera, quando non vi se ne trovino più. E Vostra Signoria Iteverendissima assicurerà il Tasso che può venire allegramente e che di Sua Signoria e della sua salute sarà da Sua Altezza fatta tenere quella cura che si suole delle cose ben care Di ^lantova li 26 Gennaio 1591. CCCXXXIV. Monsignor Matteo Brumani a Tullio Petrozani. — Mantova. Ho parlato e col Signor Tasso tuttociò che Vostra Signoria mi ordinò nella sua delli 2(') del p. p. ed anco al Signor Costantini per quello fìa bisogno per condur a Mantova detto Tasso; e spero che non passerà carnevale, che saranno costì, avendo ordine detto Costantini dall'Illu- strissimo Signor Fabio di condurlo, ed il Tasso pare che venga di buona voglia, se non muta il tempo della volante volontà sua Di Koma li 2 Febbraio 1591. CCCXXXV. Giovati Mario Verdizzotti a Orazio Ariosti. — Ferrara. Ma il Signor Tasso, che crede aver imitato Omero e Virgilio, e su- perato l'Ariosto, tantum abest che lo faccia bene, che non lo fa né bene ne male: ma se ne vien alla cieca a dar dentro nella narrazion CCCXXXIir. — Archivio Gonzaga. — Ferrazzi, Op. cit. ; p. 475. (1) Consigliere del Duca di Mantova. CCCXXXIV. — Archivio Gonzaga. — Ferkazzi, Op. cit.; p. 475. CCCXXXV. — Biblioteca Comunale di Ferrara; Ariosti 0., Op. cit. — Cit- tadella L. N., Op. cit; p. 287. — 334 — principale della sua favola senza aver detto altro, che quelle poche pa- role della proposizione, o non prepara in alcun modo il lettore alla fa- cilitai della co,!]:nizion di quello, ch'egli è per dire in quel poema: dovendo informarlo dello stato, nel quale si trovavano le cose de' cristiani nel- l'Oriente: ciol^ quelle miserie, quelle indignità, quei travagli, quei danni, quei pericoli che circondavano i fedeli abitatori di quelle parti. Le quali cose risapute dai nostri mossero a giusto sdegno i principi e popoli cri- stiani del ponente, a muoversi per trar quelle povere anime, e quei santi luoghi fuor di miseria e di servitù. Le quali cose narrate che fossero brevemente come occasione e cagione dell'opera, si poteva poi venir più convenevolmente a dir: Già 'l sesto anno volgea ecc. Tacerò di lui qualche altra impertinenza; come è il preporsì di cantar di Goffredo € poi far che Rinaldo cavaliero avventizio (per così dire) e che anche non si trovò in quella istoria, fa tutta l'importanza del fatto; poiché senza esso non si poteva espugnar la città di Gerusalemme ; onde nasce che il mirabile del valore, che si dovea trarre dalla persona di Goffredo, si cava da Rinaldo; e s'egli doveva cavarla da Rinaldo per onorar la casa d'Este, bisognava proporsi di cantar di lui, e non di Goffredo, con dir di voler cantar di quel cavaliero, senza il valor del quale non si poteva espugnar quella gran città, e far quel santo acquisto, e simili cose Come anche il Tasso per lo stile in molte cose mi par eccellente, quando per altro è senza decoro in molte cose da lui introdotte nel suo poema per averle tolte di peso quasi ... (1) da luoghi d'altri e piantate nel suo potere senza radici, per dover rimaner, secche quando il sole del giudizio di chi non si voglia lasciar ingannar dal fuoco della bellezza de' suoi eleganti versi, faccia restar secco il verde del suo dir peregrino e la vivacità e il colore de' versi suoi. Preterisco l'addurre a Vostra Signoria gli esempi perchè questo non è mio proponimento Di Venezia li 7 di Febbraio 1591. CCCXXXVl. Monsignor Matteo Brumani a Tallio Petromni. — Mantova. Il Signor Tasso partirà Lunedì per Mantova con mille lusinghe trat- tenuto. 11 Costantini ha avuto ducati 100, de' quali ne darà il conto costì Di Roma li 23 Febbraio 1591. (1) Per esser logoro l'autografo in questo luogo non potei leggere che: . . . ute. CCCXXXVl. — Archivio Gonzaga. — Ferrazzi, Op. cit.; p. 475. — 335 - OCCXXXVIl. Marcello Donati a Monsignor Pomponazzi (l). Venezia. Il Tasso comparve finalmente qua in cervello, e ravvedutosi dell'er- rore, essendo stata la sua la più stravagante immaginazione del mondo, non solo vera, ma lontana dal verosimile e semplicemente proceduta da umor melanconico, il quale piaccia a Dio che non gli faccia nuovo assalto Di Mantova li 28 Marzo 1591. (JCCXXXVllI. Tommaso Paohicci, in nome del Cardinale Vincenzo Gonzaga, a Torquato Tasso. — Mantova. Io avrei certo veduto voleiitieri Vostra Signoria innanzi ch'ella par- tisse per Mantova, come quegli, che l'ho sempre tenuta in grande stima ed onore, e desiderata occasione di farle ogni servigio per l'infinito suo merito, e per la particolar affezione, ch'ella ha mostra di continuo verso la casa nostra, e verso me specialmente. Ma poiché ella fu sforzata ad affrettar la partenza, e non potò aspettare il mio ritorno di villa, io confesso d'averne sentito duplicato dispiacere per suo e mio disgusto: accetto nondimeno la scusa sebben poco necessaria, eh' ella fa meco, perchè mi conferma maggiormente nella certezza che ho, eh' ella sia tutta bontà ed amorevolezza, e che da lei non si scompagni mai la buona creanza dalla virtù sua singolare. Io ne ringrazio assai Vostra Signoria e l'assicuro che conserverò, dovunque ella si troverà, la me- desima volontà che le ho portata, e porto tuttavia, per l'eminenza del suo valore ; anzi sarò non men pronto a certificamela con gli effetti, di quel che suonino le presenti parole, acciochè vegga in qual maniera io corrispondo alla benevolenza degli amici miei, fra' quali ella avrà con- tinuamente il luogo che se le conviene. Nostro Signor Dio k guardi, e prosperi. Di Koma a '30 di Marzo 1591. CCCXXXVII. — Archivio Gonzaga. — Ferrazzi, Op. cit; p. 476. (1) Ambasciatore del Duca di Mantova, CCCXXXVm. — ZcccHi B., Op. cit; P.'« I, p. 165. — 336 — CCCXXXIX. Muzio Manfredi Giugno 1592 (2). CCCXLIX. Giulio Guastavini a CamiUo Pellegrino. — Capua. Già molti anni fa, cioè fin quando lessi la prima volta il Dialogo di Vostra Signoria in favor della Gerusalemme del Tasso, cominciai ad CCCXLVll. — Biblioteca Comunale di Ferrara; cod. 172. CI) Dal Cardinale Cinzie Aldobrandini, di cui parlasi più addietro in questa lettera. CCCXLVIIl. — Biblioteca Comunale di Ferrara; cod. 172. (1) Il Cardinale Cinzio Aldobrandini, ricordato. (2) In una lettera successiva del 9 gennaio 1.593 scriveva il Patrizio all'Ariosto: « e lanedì desinato -col Signor Cinzio, a cui Vostra Signoria è bene nota « e per relazione del Signor Tasso, e mia, e de' dialoghi del Signor Pocaterra, a « cai ne diedi uno » . Qui si accenna al libro di Annibale Pocaterra, Due Dia- loghi della vergogna, Ferrara, Mammarelli , 1592; in-8"; dove appunto sono inter- l'jcutori Orazio Ariosto, Alessandro Guarini ed Ercole Castello. CCCXLIX. — Museo Campano di Capua; ms. cit. — Pi. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. — Mi — amininir la dottrina ed il valor suo, ed a portarle infinita alVezione e riverenza; la quale si accrebbe più dappoi, (juando nella Eeplica fatta all'Accademia della Crusca, a tanta dottrina vidi contjiunta tanta mo- destia: la quale in siffatto tempo si sarebbe potuta trovare in pochi. Ma quando Vostra Signoria ultimamente scrisse al Padre Don Anjjelo Grillo, e facendo così onorata menzione di me, così cortesemente mi salutò, le rimasi infinitamente obbligato; stimandomi troppo più ch'io non meritava, come in effetto era da lei carezzato. E volli fin allora scrivere a Vostra Signoria e ringraziarla di tanta cortesia, com'era quello invito alla sua amicizia; ma standosi giorno per giorno, setti- mana per settimana, per istampar certe mie fatiche sopra il medesimo poema del Tasso, giudicai che quelle avessero ad essere buona o scorta 0 compagnia delle lettere. Vero »'• che indugiò la stampa più di quello ch'io credeva, ch'altrimenti non avrei tardato tanto a far quell'ufficio, ch'ora faccio, e molto prima dovuto; ma da che quell'inganno che le stampe sogliono fare, io sono stato tirato fino a questo giorno, ora e non prima faccio riverenza con lettera a Vostra Signoria e la ringrazio di tanta cortesia usata verso di me; e le faccio parte delle medesime an- notazioni. So che il libro ed il dono non pagano una minima parte dell'obbligo che le tengo; anzi ch'io a lei rimango di nuovo e maggior- mente obbligato, se degnerà accettarlo e mirar sì basso; e per questo a tal fine glielo mando. E le offerisco ancora me stesso e quanto io vaglio e posso: benché conoscendo il poco o niun valor mio, so che o poco 0 nulla le vengo ad offrire; pur tuttavia cosa tale che da lei me- desima è contata in qualche considerazione. Prego Vostra Signoria a salutar per mia parte ed offerirmi egualmente al Signor Attendolo, la cui dottrina io ammiro e riverisco infinitamente ed a nome ancora do- nargli uno de' libri mandati. Bacio le mani all'uno ed all'altro di loro, e me li raccomando. Di Genova a di 18 di Ludio 1592. CCCL. Monsignor Francesco Panigarola, Vescovo d'Asti, a Maurizio Cataneo. — Boma. Ma qual ventura fu la mia die il Signor Tasso, gioia della nostra età, sopravvenisse al fine della lettera, per se stessa ricchissima, con sue cortesissime parole. Io gli scrivo una qua inclusa e prego Vostra CCCL. — Lettere di Monsignor P.\xigarola, Vescovo d'Asti, Milano, per G. B. Bidelli, 1620; p. 289. — 342 — Signoria a lare che egli mi voglia bene per grazia, che il volerne a lui è per debito : e chi non gliene volesse , meriterebbe ohe l'italico suolo, come ingrata faccia, lo cacciasse da sé Di Asti 18 Marzo 1593. CCCLI. Monsignor Francesco Patiigarola, Vescovo d'Asti, a Torquato Tasso. — Roma. Ho avuto collera in vedere il principio delle parole che Vostra Signoria per farmi grazia ha sottoscritte alla lettera del nostro Signor Maurizio , e ho detto fra me: dunque mi fa fede d'esser vivo chi è immortale? Morto sarei io, o degno d'essere, se io non sapessi che '1 Signor Tor- quato Tasso non può morire, ne morrà mai. E oltre a quello che appar- tiene all'immortalità della fama, sarei anche ingratissimo amico, se della salute di Vostra Signoria io non cercassi sovente con curiosità, e se dello stato di lei io non avessi non interrotta cognizione. So ch'ella vive (la Dio mercè), e che è ove convien che sieno i pari suoi, cioè in Koma. So di più che dall'Illustrissimo Signor Cinzio vien raccolta e favorita; e che quest'azione, fra molte altre, rende testimonianza al mondo, della bellezza e dell'animo di quel signore, e assicura la corte e "1 mondo, che in lui le dignità non verranno a supplire per li difetti de' costumi, ma a ricevere ornamento dalle doti dell'animo. Intendo anche che Vostra Signoria è per dare alle stampe di nuovo rifatto il suo poema : anzi, per dare alle stampe sopra la medesima azione un nuovo poema. Il che a me da una banda è carissimo, per dover vedere nuovi parti di lei ; la quale ove gli altri credono che sia la mèta, quivi prende le mosse; ma per un'altra ragione mi dispiace: che non vorrei che per questo rifacimento si credessero d'acquistar lei dalla parte loro quelli che non hanno ammirato il primo poema, come ho fatto io, e fanno tutti i non tumultosi ingegni dell'Italia. Oltre che vi concorre ancora alcuna cosa di mio interesse: perciocché avendo io per tre anni interi sudato attorno ad un mio pensiero, nel quale mi vaglio di molti luoghi della Gerusalemme; non vorrei o valermene indarno, o aver ap- portato per eccellente, cosa che dall'autor medesimo fosse o rifiutata o non pregiata. Io penso insieme (come so il meglio) un libro della Elo- cuzione sacra, nel quale se bene mio principale scopo sarà l'accommo- dare i precetti della elocuzione alla nostra ecclesiastica, e mostrare l'eloquenza de' nostri di gran lunga superiore a quella de' Gentili, inci- CCCLI. — Pasioifìola, Op. cit.; p. 290, — Zucchi B., Op. cit; P.'« I, p. 257. — Tasso T., Lettere; voi. Y, p. 243. - 343 — (lentemente nondimeno mi conviene ant'he far conoscere, che in materia d'elocuzione non sono stati punto interiori a' latini e a' greci scrittori i nostri italiani: e a questo proposito conferendo co' luoghi latini e greci una buona moltitudine de' luoghi della Gerusalemme , aiuto grande- mente la mia intenzione: che forse non mi verrebbe fatto cosi ampia- mente, se Vostra Signoria con la correzione di questi medesimi luoghi venisse quasi a dar sentenza contra loro. Benché, all'ultimo, tutto ri- tornerà a vantaggio; e se i luoghi di lei, che a lei non piacciono, avranno avanzati quelli ove altri hanno costituita la gloria loro: ben maggiormente avranno a farlo quelli che da lei con ultimo calcolo verranno approvati. Comun(|ue si sia, non usciril questo mio libro, chf Vostra Signoria non l'abbia avuto per le mani, e lette (luellc parti al- meno ove si tratta di lei. Alla quale trattanto rendo mille grazie per la memoria che ha tenuta di me. E l'abbraccio carissimamente. D'Asti a' 18 di marzo 1593 (1). CCCLll. Diomede Uorghesi al Signor Matteo Jìotti. Ho per lettere di alcuni miei non volgari amici, e per vivo sermone di più gentiluomini inteso che Vostra Signoria Illustrissima in diverse Provincie di Lamagna, in Polonia e in Transilvania (ove ella, siccome ambasciador principale in servigio del nostro serenissimo e singolar- mente glorioso Gran Duca Ferdinando , e con Cesare e con altri grandi e possenti regnatori, ha trattato rilevanti affari) si è fatta conoscere da tutti per Signore larghissimo, ed abbondante di quel valore e di quella prudenza onde si pervien con agevolezza ad eterna reputazione e ad. onore immortale: di che mi sono io, che porto affettuosa riverenza alla sua degnissima persona, infinitamente rallegrato. A me pare invero, che il parere di Vostra Signoria Illustrissima sopra il poema del Tasso, accresciuto, alterato e tramutato in tanti luoghi, e dal proprio autore ultimamente pubblicato (1), si conformi in tutto all'approvata general conseguenza degli uomini straordinariamente ingegnosi, e d'ogni sorta di nobil poesia fuor della comune usanza intendenti. Il perchè di giorno in giorno io vo discernendo più chiaro, che Vostra Signoria Illustris- sima ne' liberali studi, per cagion de' quali io la vidi già con riguar- (1) Cfr. la risposta in Tasso T., Lettere; voi. II, n." 1452. CCCLII. — Borghesi D., Op. cit. ; p. 257. — Tasso T., Opere; voi. XX, p. .307. (1) Di Gerusalemme Conquistata del Sigtior Torquato Tasso, libri XXIIII. AlViUustrissvno e reverendissimo signore il signor Cinthia Aldobrandini cardinale di San Giorgio; In Koma M. D. XCIII, presso a Guglielmo Facciotti in-4^ — 344 — devol ma«jnilìcenza dimorar buon tempo in Padova, è profittevolmente dottrinato. Senza dubbio io tengo il Tasso per solenne letterato e per jjran poeta: ma non reputo già che esso, versificando o prosando, scriva in tutto secondo le regole e con intera purità di lingua, siccome ardiscono d'aflermare alcuni ignoranti o stampatori o soprastanti alla stampa, e come si fanno a credere alcuni altri, i quali (a parlar modestamente) non intendono a pieno la forza e la proprietà del nostro eccellente idioma; anzi ho per fermo, che egli in prosa ed in verso talvolta si mostri ar dito smisuratamente, e fuor di modo riesca impuro ed irregolato. Ma perchè non si possa portare opinione che io parli a caso, intendo al presente di manifestare alcune poche di quelle molte voci, che nel poema predetto riprendevolmente si trovano usate. 11 verbo accampare, quando ei non regge il quarto caso, di necessità si vuole accompagnare con gli affissi. Ma notisi, avantichè d'altro io ragioni, che anco i verbi a cui necessariamente s'affiggono le particelle mi, ti, si, ci, ne, vi, possono a voglia altrui senza quelle, come con quelle, adoperarsi negli infinitivi, ne' gerundi, e nelle voci partecipanti, colle quali s'accompagni il verbo essere espresso o sottinteso. Impetrare (ancorché vanamente, siccome ho dimostrato a suo luogo, imprendesse già l'Ottonelli a voler provare il contrario) è stante, e giammai non trasporta l'azione in altri. Annidare non è mai transitivo in veruna approvata composizione. E l'usar questo verbo, secondo la sua natura intransitivamente, ma senza gli affissi, è contro all'uso di qualunque autorevole scrittore. Il verbo confidare (e tacciomi, che egli non sia forse ricevuto in componimenti poetici illustri ) è biasimevòlmente scompagnato dagli affissi. La voce comunque, stranamente e sconsideratamente si aggiunge alla particella che, cioè non poco s'erra dicendosi comunque che. Quantunque talvolta regolatamente si dica desto per destato, cerco in cambio di cercato e simili ; tuttavia non si può dire altro che fuor di regola, principio in luogo di principiato, comincio in iscambio di cominciato, 2)resto in vece di prestato, e somiglianti. Dia nel verbo invidiare, appo qualunque valevol rimatore è d'una sillaba sola. Da tutti i versificatori non affatto impuri, la parola micidial si conta per tre sillabe appunto, e per quattro micidiali e micidiale. Da ciò si comprende agevolmente, come il Tasso gravemente falla, ove egli dice: — Già dentro al muro il fier nemico accampa. — Qui 1 pio Goffredo accampa, ivi Roberto. - 31Ó — — E vincitore in varie parti accampa. — La 've, come si narra, e rami e fronde Silaro impetra con mirabili onrìe. — Jia nell'ora, che 7 Sol di raggi adorno Scioglie i destrier, e in grembo al mar gli annida. — E nel silenzio insidie e fraudi or cova Quasi tra jìiuma, e 7 tradimento annida. — D'intorno alla gentile antica stirjìc. Ove l'aquila annida — E non resta città, castello o monte Contra Tancredi, ove 7 nimico annidi. — Se nella tua virtù tanto confida. — E nel comun nemico ella confida. — Dove costui non osa, io gir confido. — Ora, soffri e confida — Né sé da maggior forza alfin sottrasse, Comunque che si copra^ o volga, o mova. — e sia fornito Il ben comincio assalto, e Tempia setta. — (^7^'invidiato i suoi nemici avversi. — Euccisor delle donne or ti disfida D'eroi micidiale, e 'n guerra affida. — Fu del micidial, che non elegge. L'ultimo de' sopradetti versi, e '1 penultimo e il quart'ultimo, per mancanza di sillabe, son falsi. Niuna cosa , virtuosissimo Signor Botti , per avventura importa co- tanto, né tanto è necessaria, a chi desideri poter nobilmente parlar scriver toscano, quanto l'aver cognizione isquisita di que' verbi che ora son transitivi, ed ora intransitivi ; e di quegli altri, che intorno all'es- sere uscenti, 0 stanti, vengon sempre conservando la stessa natura. Né si può da' poeti e da' prosatori moderni in materia di lingua commetter così grave inescusabile errore, come in usar voci e locuzioni in guisa, che direttamente sia contraria all'uso degli antichi nostri eccellenti autori. Insomma il prender baldanzosamente larga inconsiderata licenza, come fa spesso il Tasso, che ha di molti compagni, non è altro che voler confondere, adombrare e contaminar l'ordine, la chiarezza e la pu- rità di questa pregiatissima favella. Tosto che dalle mie cure pubbliche mi sia permesso d'allontanarmi da questa contrada, io son per venire a visitare Vostra Signoria Illu- strissima, ed a goder quattro o sei di nel suo splendido palagio i gra- ziosi frutti della sua mirabil gentilezza. Intanto la prego a dovere, — 346 usando in qualche cfuisa l'opera mia, notabilmente compiacermi e fa- vorirmi e le bacio le generose mani. Di Siena a' dì 30 di Luglio 1593 (1). CCCLlll. Matteo Parisetti ad Alfomo li Duca di Ferrara. — Ferrara. È veramente degno il Signor Torquato Tasso d'esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua poesia, ed è parimenti degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con raill' altre cerimonie e spese, come dicono, che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra lo più degne ed antiche cerimonie, acciocché il popolo si possa gloriare avere avuto uomo tale, ed egli di esser esaltato da così nobil spirito ed amico di virtù Di Roma li 21 Agosto 1598. CCCLIV. Girolamo Giglioli ad Alfonso II Buca di Ferrara. — Ferrara. L'Illustrissimo Signor Cinzio quale ho visitato , come faccio spesso, fa l'umilissima riverenza a Vostra Altezza Serenissima e la supplica a favorire il Tasso di quanto ella vedrà dal congiunto memoriale (1), che è in materia del suo poema, che si crede uscisca (sic) sotto il nome di Sua Signoria Illustrissima, più tosto guasto che racconcio, come sti- mano quelli che sanno quanto possa ora fare il Tasso. E Vostra Altezza non si maraviglierà perchè il Tasso passi per le mani del Signor Cinzio in ottenere questa grazia da lei : perchè ora è il suo vero Mecenate, e tratta di farlo coronare della laurea in Campidoglio a questo settembre (1) In un'altra lettera a Pietro Usimbardi, datata da Siena a dì 30 di Ottobre 1592 [Op. eit.; p. .375) criticando l'uso di progresso di tempo per processo di tempo; slargare per allargare; parso per paruto; medesmo per medesimo, il Bor- ghesi soggiungeva: « Ma che importa che tal parole sian così appunto, sì come « afferma il Signor Acqnaviva , nelle prose dal Tasso ricevute ? Non usa costui « per avventura e prosando e rimando assai voci oscure, ignobili e sopra modo irre- « gelate ? » CCCLIII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. CCCLIV, — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. (1) Non 8i ritrova nella filza. — 347 prossimo, ma il Tasso dato all'avarizia, e più parco che mai, vorrebbe più tosto esser regalato di soldi, eh' di (|uesto onore, quale non mostia di prezzar molto Di Roma XXVIII d'Agosto 1593(1). (XCLV. Matteo Parisctti . CCCLV. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. CCCLVI. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. È copia di mano del Serassi: ignoro se l'originale si trovi nell'Arch. di Stato, tra le carte d'Urbino, ove dovrebbe essere. (1) Il Cardinale Cinzio aveva preso al suo servizio l'Ingegneri sopratutto perchè aiutasse il Tasso in copiar e correggere la Conquistata. Ma l'Ingegneri scrivendo a Don Ferrante Gonzaga il 3 d'aprile 1-593, invertiva le parti: «... Il Signor Tassso, « mio ospite, qui presente, si ricorda a V. E. divotissimo servitore » . (Cfr. Serassi, Op. cit; voi. II, p. 279 n.). — 34S spondoro alla sua buona volontà, desidero e supplico l'Altezza Vostra a conceder volentieri il detto privilegio all' Ingegneri , poiché la sua grazia deve principalmente risultare ad onore del medesimo Tasso. Ed a Vostra Altezza bacio umilmente le mani. Di Koma li 23 di Ottobre 1593. OCCLVII. Don Fcrranie Gonzaga a Torquato Tasso. — lioma. Ho tardato fin ora a ringraziarvi della memoria che avete tenuta dell'anima nostra, e dell'occasione con la quale vi è piaciuto mostrar- mela, facendomi parte della vostra Gerusalemme (1); perchè ho voluto prima leggerk, come ho fatto, e con maggior gusto del solito per ve- nirmi da voi, e per esser mirabilmente arricchita dalla vostra mano. Ora ve ne dò molte grazie, e v'assicuro che niuno potrà mirarla con occhio più amico di quel che ho fatto io, né far maggior stima della virtù vostra di quello che farò io sempre: assicurandovi intanto, che potrete con ogni confidenza e in ogni occasione disponere della persona e della casa mia, la qual v'offero con ogni affetto; e mi vi raccomando di cuore, pregando Nostro Signore che vi dia felicitìi. Di Guastalla, 6 di Marzo 1594. CCCLVIII. Girolamo Giglioli a Giovan Battista Laderchi. — Ferrara. Ho veduto quanto Vostra Signoria Illustrissima mi scrive nel partico- lare del Poema riformato del Signor Tasso, intorno a che ho cercato d'informarmi diligentissimamente, ed ho inteso da quelli stessi coi quali lui ha trattato di questo, che è stato mosso a levare la casa d'Este totalmente, e sì dall'aver veduto che non era stata aggradita, dice lui, la sua buona volontà, sì anche per acquistarsi nuovi padroni li quali lo soccorressero nelle presenti miserie e necessità. Non voglio anche CCCLVII. — R. Biblioteca Estense; ood. I, H. 1517: Gonzaga, Lecere; voi. I, p. 2. — R. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. — Seràssi, Op. cit.; voi. II, p. 312, n. 3; il quale la trasse dairArchivio di Guastalla. — Tasso T., Lettere; voi. V, p. 246. (1) Di Gerusalemme Conquistata del Signor Torquato Tasso, cit. CCCLVIII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — 349 — restarli di dire che questo suo ultimo poemu non è letto quasi da al- cuno, e da' più intellii^enti ì' t^nudicato inferiore di crran luniù non si può, secondo il diritto uso approvato, fare il detto mutamiMito, bisognando che si dica necessariamente datisi, fansi, celarsi, fermarsi, fersi, e somiglianti. Scrjìc (siccome io mi ricordo aver dichiarato altre volte), in (|ualunque corretta composizione di valevole :iutort\ si v;i soiiipn^ di fciiiiuinil l""'*- nere usando. Fuor/o per foco, o per fuoco, tanto disacconciutamente od in hiasi- mevol maniera si dice, quanto si direbbe rogo in cambio di reco e giogo in vece di gioco o di giuoco. 11 verbo cedere (la cui natura altri dovrebbe a costo del Caro aver molto bene approvata) non si usa con reggimento di quarto caso da nessun prosaico ovver poetico intendente scrittore; che non può la per- sona (per cagion d'esempio) irriprendevolmente dire: io cedo il campo: a te convien di cedermi il primo arringo: egli m'ha ceduto lo imperio: voi gli cederete il pregio e l'onore. Da nullo eccellente rimatore (siccome io pur, dannando il Tasso, ho detto altrove) si conta micidial per quattro sillabe. Zia, ne' verbi straziare, saziare, spaziare, ringraziare e simiglianti, appo qualunque puro e grazioso versificatore è di una sillaba sola. Tio, in Etiopia, in Etiopo ed in Etiopi, secondo il costume di cia- scuna leggiadra poesia di pregio, per due sillabe si vien contando. Il perchè si conosce assai di leggeri, che il Tasso scrive irregolata- mente ed è da biasmar forte, ove egli dice: — e innanzi di fu desto. Cercando ove la fera empia rinselva. — Appresso gli apparian quasi congiunti Tre seggi e quattro, in cui nessuno asside. — E fra' suoi duci Imperador devoto Nel tempio che fumava arali incensi. — E l'insegne, o i trofei sospesi in voto Fra mille trombe e mille lumi accensi. — Non toglie alla sua luce, e non /'imbruna. — Non so chi tanto i frutti adugge e prema, Ch'indi si miete odio e furor discorde. — 358 — — Ter ìscìicrno iratiar Vurmi oinicido. — Così gir mgionaìulo, infiH che furo Là 've presso vedean le tende alzarse. — E con aspetto tenebroso e scuro In varie forme ivi la morte apparse. — Giunsero inaspettati ed improvvisi Sojìra i nemici, e 'n paragon inostrarse. — E da lor tanti far guerrieri uccisi E d'arme d' ogn' intorno e rotte e sparse. — A tutti allora impallidir le gote E la temenza a mille segni apparse. — Né cotanto ragione e valor puote Cliosin di gire innanzi o di fermarse. — Qual serpe fier, ch'in nove spoglie involto. — E le colombe e i serpi in un sol nido. — L'umil plebe fedel, che scosse il giogo D'aspro servaggio e le catene ha rotte. — Quando tema, che ferro o laccio o fuogo jRecasse agli occhi lor perpetua notte. — Poiché tal cura il pio fratel gli cede. — E degno erede ci fu d'imperio esterno Cedendo del natio l'alto governo — che lor cedesti Sì spesso il campo — E l'imperio di sé libero cede Al duol già fatto impetuoso e stolto. — J/a non cedano il passo ancora i Franchi. — e non cedea con pari sorte Il loco 0 quello a questo, o questo a quello. — Che invendicato ritornar dall'onte Non debbo, altrui cedendo arme e divise. — Ladron micidial, non cavaliero. — Partendo saziar poteami a pieno. — Spaziavano i Franchi in verde riva. — I neri Etiopi a visitar s'invia. Son falsi tutti e quattro i sopradetti versi, ciascuno dei primi tre d'una sillaba è difettoso; e nell'altro (or questi debbon pure stimarsi gravissimi falli) una di soverchio se ne ritruova. Mi rimango al presente (e non è guari, che io scrivendo al gentilis- simo Signor Matteo Botti, presi a riprendere certe voci nel Poema pre- detto biasimevolmente riposte) di torre a segnar più altri somiglianti — 350 — errori del Tasso: sì perchè io, clie non uso lasciarmi in tali aflari volgere o piegare alla comune aura popolaresca, nò di curar punto d'avere a dispiacere a pochi, ove io creda poter colla mia faticosa in- dustria esser di giovamento al più della gente, mi riserbo a volere in più opportuno tempo liberamente scoprirli: e si perchè io mi rendo sicuro, che Vostra Eccellenza Illustrissima, per cui la poesia toscana, siccome l'italica milizia, riceve mirabile accrescimento di splendore e di rei>utazione, basti per se stessa a dovere intt-ramente discernerli e notarli. Supplico a Vostra Eccellenza, che si degni farmi itartecipe talvolta di riguardevoli frutti che suole abbondevolmente producere il suo peregrino ingegno; e colla dovuta riverenza le bacio le valorose mani. Di Siena a' di primo d'Aprile 1505. CCCLXIX, Girolamo Gùjlioli ad Alfonso II Luca di Ferrara. — Ferrara. Ieri mattina morì Torquato Tasso nel monasteri© di Sant' Onofrio. Di Koma 20 Aprile 1595. CCCLXX. Giuseppe Malatesta (1) ad Alfonso II Buca di Ferrara. — Ferrara. Il povero Torquato Tasso, dopo aversi lungamente pronosticato la morte, in ultimo verificò il suo pronostico tre dì sono (2), che passò ad altra vita molto presto, se si mira al suo valore degno di viver sempre, ma tardi se si considera la strana sua infermità che per tanti anni l'ha tormentato. Poco prima che morisse fu a visitarlo il Signor Marco Pio (3), ricordandogli come amico e cristiano tre cose : l'una di confes- CCCLXIX. — R. Archivio di Stato di ^[odena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. CCCLXX. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. (1) Era un corrispondente da Roma. (2) Moriva il 25 aprile; dunque il giorno precedente alla data di questa lettera. Forse era corsa voce della morte anticipatamente. (3) Signor di Sassuolo. — 360 — sarsi e ooinunicarsi, l'altra di far testamento, la terza di provveder che i suoi scritti restassero ben custoditi; dico i non stampati, ovvero i ri- mutati da lui. Al primo rispose d'aver già soddisfatto, al secondo che non ne voleva far altro ; e quanto agli scritti, cli'era il terzo punto, disse (iie li teneva un suo servitore, né gli premevano più che tanto. Il Signor ^larco li richiese al servitore, il quale disse ch'erano tutti in un forziere (1), della cui chiave disponeva il maestro di casa del Cardinale San Giorgio (2). Mandò il Signor Marco al maestro di casa, che, colto all'improvviso e poco accorto, diede essi scritti al messo, ben con averne poi un gran rabbuffo dal Cardinale, il quale mandò subito a richiederli dal Signor Marco, ed a dolersi insieme ch'egli avesse voluto metter mano in quel modo, dovendo pur sapere che il Tasso era servitore di Sua Signoria Illustrissima e che però a lei, non ad altri, toccava la cura di tali scritti, con altre parole in questo senso. Dalla quale ambasciata il Si- gnor Marco si liberò con far dire che non era in casa, tutto che il messo lo stesse aspettando fino alle quattro ore di notte; né da ieri in qua che successe questo io ne ho poi saputo altro. Se non che pur ora mi vien detto da un gentiluomo che il Papa, ad istanza forse di San Giorgio, ha voluto in ogni modo nelle mani i detti scritti; de' quali non essendovi inventari o consegnazione alcuna Dio sa quanti in- tieramente siano stati resi, massime che il cercar di ritenersi cose si- mili pare ad alcuni non furto, ma desiderio e gusto del bello. Ho vo- luto così particolarmente riferir questo successo, poiché le cose di quel raro spirito del Tasso e cosi gran servitore, mentre conobbe sé stesso, dell'Altezza Vostra, son per la morte dell'autore loro cresciute di fama e di riputazione Di Roma a di 26 Aprile 1595. CCCLXXI. Monsignor Antonio Querenghi a Giovan Battista Strozzi. — Firenze. Due gran nuove in un medesimo tempo. Il Tasso morto e sepolto in S. Onofrio e '1 Signor Cardinale Borromeo, Arcivescovo di Milano. {\) Il forziere si osserva ancor oggi nella stanza di Sant'Onofrio a Roma, dove il Tasso mori. (2) Cinzie Aldobrandini. CCCLXXI. — E. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Magliabechiano Vili, 1399 fgià Strozziano 973): Lettere autografe di G. B. Strozzi; e. 58-100. — Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 322-3 n. e 327 n., riproduce qualche tratto citando il cod. Strozziano. — :ìoi _ Quanto al povero Tasso son sicuro che Vostra Signoria ne sentirà par- ticolar dispiacere, m:i non basta questo: bisoLjna anco delirar qualche poco sopra cosi i^ran perdita. Monsij^'nore Illustrissimo S. Giorf,MO non se ne può dar pace, nò v'ò cosa che possa più consolarlo, che sentire o veder qualche verso in (piesta materia. E chi può scemar^rli più il do- lore che la musa di Vostra Signoria? Mostri adunque, la supplico, che se bene il favore della pensione è stato poco a' suoi meriti, tien però memoria dell'ottima volontà e non dia riputazione a chi la dipigne per mal soddisfatta di Roma. La morte del Tasso ò stata accompagnata da una particolar grazia di Dio benedetto, perchè in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime e i ragionamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse affatto guarito dal- l'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse accostato al naso l'ampolle del suo cervello. Gli fu fatto un grand'onore di lumi, di com- pagnie e di encomii nel portarlo alla sepoltura , ma il Cardinale gli apparecchia di piìi nobilissime esequie, con orazion funebre, con versi, con lapide e con epitaffi. L'oratore non so chi sarà, ma dice il Cardi- nale che se Vostra Signoria era qui l'avrebbe pregata ed astretta a far quest'onore alla poesia e all'Accademia. S'è pensato al Cavalier de' Pazzi, ma dubito che non accetterà. Fosse almen qui il Signor Rinuccino, che, e l'affezione da lui portata al Tasso, e la vivacità de' suoi concetti, e la presenza, e la lingua e tutto il resto lo farebbon riuscire meravi- glioso Di Roma 28 d'Aprile 1595. CCCLXXII. Girolamo GìglioU ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Ferrara. 11 Signor Marco Pio essendo avanti la morte del Signor Torquato Tasso ito a visitarlo, in ragionando lo pregò, quando Iddio lo chiamasse a sé, di voler lasciare a lui le sue scritture, promettendogli di farle rivedere e subito porle alle stampe. A che il Tasso rispose che voleva allora attender all'anima sua : che il resto era vanitade, e che si pi- gliasse pure quante delle sue scritture gli piacevano, che ne gli faceva un libero presente, con patto però che guarendo gliele restituisse. 11 Signor Marco gli promise ogni cosa, e subito mandò uno de' suoi in- CCCLXXII. — K. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma. — 302 — sieme col servitore di detto Tasso a pigliare le suddette scritture che erano in un coftano serrate, nelle stanze del Signor Cardinale San Giorgio, in mano del suo maestro di casa: il quale senza pensar altro diede loro quanto gli addimandarono. 11 Cardinale presentito questo la mattina, entrando in grandissima collera, ne fece una grandissima passata col Signor Cardinale Farnese; dicendogli che il Signor Marco non dovea proceder di questa maniera con lui, ed in tutt' i modi, essendo il Tasso morto suo servitore e tanto beneficato da lui. Il Signor Cardinale Far- nese fece poi l'ufficio col Signor Marco, il quale mandò prima il suo maestro di casa con quelle scritture del Tasso che volle, per consegnarle al Signor Cardinale, e scusarsi con Sua Signoria Illustrìssima, ed ella fece pigliar le scritture, nò volle ascoltare detto maestro di casa. Vi fu poi il Signor Marco stesso, né parimente, ancorché aspettasse nelle ca- mere due ore buone, potè mai aver udienza da Sua Signoria lllu- sti'issima Di Roma 29 Api:ile 1595 (1). CCCLXXIIL Den (1) ad Alfonso II Duca di Ferrara. — Ferrara. ^ilartedì il Signor Torquato Tasso poeta famosissimo e degno d'esser laureato se ne passò a più felice vita, avendo lasciato di sé perpetua fama per le tante felicissime composizioni in prosa ed in rima, essen- done restate molte imperfette : favorito in questo suo ultimo fine dal- l'Illustrissimo Signor Cardinale Cinzio, che personalmente sì trasferì a Sant'Onofrio, ove è morto, a visitarlo e portargli la benedizione che Nostro Signore gli mandava; avendo detto Tasso fatto il suo testamento nel quale istituisce erede di quel poco che si trovava il Signor Marco Pio Conte di Sassuolo Avendo il Signor Cardinal Cinzio avuto cura particolare del Signor Torquato Tasso nella sua malattia, di servitù e di ogni altra cosa che (1) Il 6 maggio successivo anche l'altro agente G. B. Malatesta avvisava : « Il Car- € dinaie San Giorgio riebbe dal Signor Marco Pio tutte le scritture del Tasso. . . » . CCCLXXIII. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Oratori a Roma, — Campori G., Memorie storiche di Marco Pio di Savoia, Signore di Sas- suolo, Modena, Vincenzi, 1871 ; p. 73-4. Il Campori però confonde con questo avviso la precedente lettera del Giglioli. (1) Non si leggono della firma del dispaccio che queste jjrime sillabe; probabil- mente è un Denaglia, agente a Roma. (Cfr. Campori G., Op. cit.; ]i. 74). — 363 — sia stata possibile: dal (piale si racconta che in questo suo ultimo fine sia stato sempre iu cervello, e con la mente volta a Dio chiedendo misericordia de' suoi errori , gli ha parimenti nella sua morte tatto quell'onor funerale che conveniva a così famoso scrittore, facendolo ac- compagnare da tutte queste fraternite e compagnie con tutta la sua famiglia, al quale fa fare una bellissima sepoltura con la sua statua, alla quale sarà posto l'epitaffio che egli, ricercato da que' frati si fece, cioè; Hic iacet Torquatus Tassus (1) |Ui Roma 20 Aprilo 1505]. CCCLXXIV. Maurizio Cutaneo ad Ercole Tasso. — Bergamo. Con la morte del Signor Torquato Tasso è caduta la gloria dei poeti del secol nostro, e la patria nostra e Casa Tasso hanno perduto il mag- gior lume che avessero. Ma si può con ragion dire che non sia morto, poiché i suoi scritti non moriranno mai, ed il nome e la fama sua an- deranno sempre piìi pregiati, e più sublimi, e al paro del Petrarca e di Dante. È mancato nel quinquagesimo })rimo anno di sua età, nel di 25 Aprile, all'undecima ora, nel qual giorno, e quasi nella medesima ora morì ancora quattro anni sono la degnissima memoria del Signor Cardinale Albano. Morì, dico, il Tasso confessato, comunicato, ed unto del sacro olio con chiara mente, e col Crocifìsso in mano contemplando e baciando la spietata stampa , chiedendogli con cristiana contrizione e devozione perdono de' suoi errori, nel convento di Sant'Onofrio vicino al gran Vaticano, dove egli si ridusse per finire tra padri spirituali la sua vita. Ognuno pianse la sua morte, e la piangeranno tutti i virtuosi, che l'udiranno per li preziosi frutti, che di tempo in tempo uscivano da quel divino intelletto; e Nostro Signore che poco dinanzi l'aveva favorito d'una buona pensione, quando gli fu da parte sua dimandata la benedizione, ingemì e sospirò sopra un tanto uomo, concedendogli plenaria indulgenza in remissione dei suoi peccati. La cagion di sua infermità è stata l'immaginazione, che per sospetti s'avea concepita di (1) Dipoi non fu fatto più nulla. Cfr. Serassi, Op. cit.; voi. II; p. 328-29. CCCLXXIV. — Biblioteca Comunale di Bergamo; cod. Lancetti-Sozzi: Memorie della famiglia Tasso. — Copia nella Raccolta di cose di storia patria del Signor Giuseppe Ravelli , proveniente dalla libreria di D. Carlo Walcher di Bergamo. — Ms. Mariani. — G. Bottari, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed archi- tettura, scritte dai più celebri professori che in dette arti fiorirono dal secolo XV al XVII, et. Roma, 1754-73; voi. V; p. 49. Io riproduco la lezione del ms. Ravelli, cortesemente favoritomi, la quale varia in qualche cosa dalla lezione del Bottari. — 364 — dover morirò ili Gfiorno in sjiorno, da' quali sospetti, ed inganni tirato, imniajj:inandosi di potersi preservare con medicarsi da si"» stesso, ]ìigliava or triaca, or aloe, or cassia, or reobarbaro, or antimonio, che gli ave- vano arse e consumate l'interiora, e condottolo finalmente a morte. Nella sua infermità l'Illustrissimo Signor Cardinal San Giorgio, nipote di Sua Santità, vero e cristiano Mecenate, usò verso di lui tutti quelli più amorevoli e pietosi uffici, che maggiori aspettar si potessero da Principe sacro e liberale: lo visitava, lo consolava, mandandogli non solo i suoi medici, ma quelli del Papa: mantenevagli assistenti e ser- vitori fedeli e diligenti: facevagli con somma cura provvedere di tutte quelle cose, che immaginar si potessero dover essere profittevoli per la ricuperazione di sua sanità, desiderata ed ambita da tutti. Nella morte gli fece fare quelli onori , come se fosse nato del suo sangue, e che alle virtù del Tasso si ricliiedessono, portandosi il corpo suo per Roma con solenne pompa, accompagnato dalla sua famiglia, e da molti nobili e letterati, correndo ognuno a vederlo, siccome corsero anche i pittori a ritrarlo: e ora si vede la sua effigie posta da loro a gara in pub- blico. E di poi fu portato alla Chiesa di Sant'Onofrio, e quivi sepolto; al quale il Signor Cardinale farà fare solenni esequie e orazion funebre , ed eriger di poi un bel sepolcro di marmo, in testimonio dell'amore e onore che portava a quel sublime ingegno. Ha il Tasso lasciato in mano al predetto Signor Cardinale Santo Giorgio due opere da stam- parsi : l'una è la Creazione del Mondo, descritta da Mosè per bocca dello Spirito Santo, e da lui cantata in versi sciolti, col proprio senso e dichiarazione de' Padri Greci e Latini , e^ ornata di molti colori di eloquenza e poesia, opera che sarà ammirata per esser cosa sacra e alta. L'altra è il Giudizio (fatto da lui) sopra de' due suoi poemi della Gerusalemme Liberata e Conquistata, opera desiderata da dotti e da curiosi; alle quali opere si tien per fermo, che Sua Signoria Illustris- sima vorrà dar la vita col farle stampare. Io so che Vostra Signoria resterà trafitta dal dolore di tanta perdita, ma convien rassegnarsi al voler del Signor Iddio. So ancora che il Reverendo Licino rimarrà smar- rito e stordito d'aver perduto un amico di tanto valore. Sarà bene che si faccia una colletta e scelta delle lettere sue, poiché tutte le parole sue furono tante gioie, sopra di che aspetterò avviso da lei, alla quale, e alla Signora Cavaliera sua Madre bacio le mani. Roma, 20 Aprile 159.5. — 365 — CdJLXXV. lìuttista (ruariui (i Monsignor Crescenzi. — lìoma. ^V\ duole della perdita del nostro Tasso, ma ciii considera bene, la sua vita era una continua morte, in modo che si può dire heatus Uh postqiiam ohiìormivit in Domiuo, ed è uscito di stenti (3 Maggio ir)05). CCCLXXVl, BaitisUi Guarini a Giooan Domenico Albani. — Roma. La morte naturale del Signor Tasso, che sia in cielo, della quale Vostra Signoria mi dà parte, se '1 nostro affetto non facesse ostacolo alla ragione, a me parrebbe più tosto fine della sua morte mondana, ch'avea sembianza di vita, poich'egli ò vissuto poco al desiderio nostro, troppo alle sue miserie, e molto alla sua gloria di poesia, nella quale Vostra Signoria si lascia troppo ingannare dal molto affetto ch'ella mi porta, comunicandola a me; ancor che questo sia stato sempre, non so, s'io debba dire, onore o carico, che mi ha fatto il mondo, riputandomi al mio dispetto parallelo di lui nella poesia, che può ben essere stata una volta mio trattenimento, ma professione non mai. Certamente quanto non ci abbiamo a dolere della sua perdita, tanto ci dobbiamo pregiare d'averlo avuto a' dì nostri, perchè nel vero egli è stato un gran poeta. Ed a Vostra Signoria col fine bacio la mano e prego molta felicità. [Maggio 1595]. OCCLXXVII. Don Angelo Grillo a Maurizio Cataneo. — Roma. 1/araara novella della morte del Tas^o m'ha di maniera abbattuto e mortificato, che aggiunta alla poca sanità in che mi trovo, non mi lascia senso ad altro che al dolore. E se quando lessi la lettera di Vostra Signoria il mio cuore fosse anco stato di ferro, sarebbe ella certo stata possente calamita a trarlomi per gli occhi in un rivo di pianto. CCCLXXV. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. — Rossi V., Battista Guarirne il Pastor Fido, Torino, Loc?cher, 1886; p. 74, n. 1. CCCLXXVl. — GiARixi B., Lettere; Venezia, Ciotti, 1615; p. 178-9. CCCLXXVIL— Grillo A., Op. cit. ; p. 836. — Zcccdi B., Op. ciò.; P.<^ II; p. 221. Iddio abbia raiiima sua in Paradiso, come il mondo ha ed avrà sempre il suo irlorioso nome in venerazione, potendosi ragionevolmente dire, che nel sepolcro stesso così morto troverà l'immortalità del nome, e "1 sommo pregio di sublime poeta, come vivo trovò ne' cuori di tanti grandi somma umanità e fruttuosa compassione. Aveva superata l'invidia: or morendo l'ha morta ed affatto annullata: che l'uman favon^ e la fama comincia a viver dalla morte degli uomini, e '1 fin della vita è prin- cipio della gloria Di Genova 11 Maggio 1595 (1). CCCLXXVIII. Don Angelo Grillo a Gianettino Spinola. — Genova. Or ora ho da Eoma la morte del Tasso: m'ha morto. Eterna piaga ha ricevuto la poesia, estrema perdita il mondo. Ma tale è stato il Tasso, e tanto in ogni genere di lettere, che la sua erudizione e la sua eloquenza piti conosceran gli uomini col mancarne, che prima non fa- cevano col goderne. È morto di continui rimedi contra veleno, del quale l'umor malinconico lo fé sempre scioccamente sospetto. È stato sepolto in Sant'Onofrio con ouor di sepoltura, ma non di sepolcro fin qui. Dal- l'Illustrissimo San Giorgio, sotto la cui protezione è passato, egli aspetta magnanima pietà. Vostra Signoria si doglia di questo colpo, che non fu mai pili giusto dolore. Di Albaro (1) [Maggio 1595] (2). CCCLXXIX. Bartolomeo Zucclii a Vespasiano Aiazza. — Vercelli. II Signor Torquato Tasso passò già alcuni giorni sono a miglior vita, lasciando privo il mondo del maggior lume di poesia e di belle lettere che abbia avuto la nostra età; siccome dimostrano i suoi dotti e vaghi componimenti, coi quali non mi terrò quasi di dire, che egli abbia (1) La data è solo nella stampa dello Zucchi. CCCLXXVIII. — Grillo A., Op. cit; p. 203. (\) Ltio^o della riviera di levante presso Genova. (2) Anche al fratello Paolo, il padre Grillo scriveva intorno a questo tempo: «... Di nuovo il Tasso è morto, ed io mal vivo per la perdita di tanto uomo e « di tanto amico. Iddio l'abbia in gloria, e noi conservi in sua santa grazia ». (Op. cit.; p. 202). CCCLXXIX. — Lettere del Signor Bartolomeo Zucchi da Moma^, Milano, MDCII; P.'« li: p. 1.5. — 367 — tolto il pregio ed onorato il nome di qualunque altro s'è piìi famoso scrittore e di maggior grido. IO chi vide mai nt'Ua nostra lingua il più maestoso e veramente eroico ed insieme il più dolce verso del suo? Ha Vostra Signoria letta la sua Gerusalemme variata in tanti modi die ò cosa da stupire, come in tanta varietà f numero di cose avesse sempre vena più piena ed abbondante senza mai mancargli. I/ha ultimamente riformata e rinnovata, si può dire, e in quanto tempo? in men d'un anno. Sieno gli altri affezionati ad altri poemi di moderni scrittori ch'io non so volger gli occhi (eccettuato quello del mio Signor Cavalier Gua- rini) fuori che a questo, anzi a questi che abbiamo del Signor Torciuato. Spirito certamente elevato e peregrino miracolo de' nostri tempi, e che empirà d'ammirazione quelli che dopo noi verranno. Ma della filosofia come fu egli padrone? E che dico io della filosofia: quale scienza v'è, della quale egli non fosse in tal possesso che non paresse d'avere in ciascuna di loro separatamente consumati tutti gli anni suoi ? Grande- mente io mi dolgo della perdita che ha fatto l'universale, e gli amici suoi in particolare, fra' quali io era numerato ne' primi luoghi. Piaccia a Dio d'avergli data l'immortal gloria del Paradiso, avendosi egli acqui- stata con l'opere sue la temporale di questo mondo Di Roma a' 20 di Giusrno 1595. OCCLXXX. Don Angelo Grrillo a Maurizio Cataneo. — Roma. L'orazione poi in morte del Signor Tasso, che Vostra Signoria mi scrive esser in punto, non solo ricerca, ma stimola le mie lagrime, le quali già sarebbono prontamente uscite dalla penna come sono calda- mente stillate dagli occhi, s'io sapessi così bene esprimere il mio dolore, come so perfettamente dolermi. Piango frattanto di tardar tanto a piangere. Di S. (liuliano agli 8 di Settembre 1595 (1). CCCLXXXI. Don Angelo Grillo a Maurizio Cutaneo. — lìoma. Ecco che con la mia facella m'appresento anch'io all'esequi-' del nostro Tasso, face di molto poco valore, se si mira a chi la manda, ma di CCCLXXX. — Grillo A., Op. cit; p. 837. — Zccchi B., Op. cit.; P.t? H; p. 691. (1) La data è solo nella stampa dello Zucchi. CCCLXXXI. — Grillo A., Op. cit.; p. 691. — 368 — tanta niac:c:ior pietade se si ha rio-nardo a chi l'accende. Se le pare deirna della vista di cotesto Illustrissimo Signore gliele faccia appre- seutare co' miei divoti baciamani, e viva felice. Di Genova [1505]. CLX'LXXXll. Don Angelo Grillo a Padre Girolamo Ciampolo. — lìcggio. La morte del nostro Signor Tasso mi par materia più tosto di la- grime che di parole : però non ne dico più. Mando solo alla Paternità Vostra il mesto dono ch'io faccio alla sua sepoltura. Ma chi potrà più poetar bene se la buona poesia è morta con lui ? Di Genova [1595]. CCCLXXXIII. Isabella Andreini a (Della morte del Signor Torquato Tasso). La vostra lett^era affettuosa e lamentevole mostra veramente quanto eravate amico e ammiratore delle virtù singolari del Signor Torquato Tasso, onor di questo secolo e gloria del suo nome; poiché tra molte lagrimose ragioni da voi addotte scrivete questa, che vi par cosa pur troppo strana da sopportare, che un uomo, il cui valore ha fatto ma- ravigliosamente rinverdir le già secche palme latine e greche, un uomo il quale con la felicità del suo stile tanti ha tratti dall'oblio e ha data loro l'immortalità, sia morto non men di quello che si iaccia uno ve- nuto in questa vita solamente per far numero a' vivi , se vivo però si può chiamar colui che non opera mai virtuosamente. Certo che. Signor mio, io non so riprendere il vostro pietoso dolore, né so accusarvi se così tosto non terminate i lamenti, perchè è diffìcile nelle gran perdite l'impor presto silenzio alla doglia, la quale stimo che sia in voi gran- dissima, come quegli da cui si riputava malamente impiegato quel tempo, che non era speso nella cara ed util compagnia del Signor Tasso. Scrivete ancora che se innanzi al suo fine gli aveste veduta bianca l'una e l'altra tempia, vi sarebbe più facile tollerar l'affanno: ma che essen- d'egli morto allora che 1 suo nobile ingegno ne prometteva parti glo- riosissimi, non potete impor tregua non che pace alle lagrime, paren- dovi ingiustizia di natura, che un uomo sapiente non abbia alcun CCCLXXXII. — Grillo A., Op. cit; p. 692. CCCLXXXIII. — Lettere ch'Isabella Andreini, Padovana, Comica Gelosa, et Accademica Intenta nominata l'Accesa etc.; In Venetia, appresso Marc'Antonio Zaltieri, MDCVII, ad instantia di Gieronimo Bordon; j). 107. — 369 — privilegio di più vita che un ignorante. Finalmente la vostra lettera mandatami è tutta piena di coso degne di memorie, le quali, perchè tutte versano nel lamentarsi dell'immatura morte del Signor Tasso, mi sforzano a ricordarvi che il nostro caro amico nacque mortale, e che l'esser mortale non è altro che un non essere, posciachè l'uomo comincia a morire quand'egli comincia a nascere. Io credo che la sua hell'anima gioisca d'aver abbandonato il mondo, poich'egli (e sia detto con pace dell'istesso mondo) non era degno d'averla. Non sapete dunque, che siccome il nocchiero ad altro non intende, che ad andar al porto, cosi vivere non è altro che incamminarsi alla morte ? Volgete gli occhi del pensiero a tutto quello, che '1 gran giro della terra in se chiude, e vedrete, che la falce letale del tempo e della morte, miete universal- mente ogni stame di vita, come chi ne' larghi prati miete l'erba; e non pur vedrete della forza dell'uno e dell'altra l'umana messe atterrata: ma i più superbi tempi, e i più alti palazzi , e non solamente questi, ma le ville, le castella, le città, le repubbliche, i regni, l'imperi, e che ciò sia vero vedesi, che d'una gran città rimane appena un picciol grido per far ch'altri sappia ch'ella già fu al mondo. Bisogna dunque aver in mente, che non pur li uomini, le cittadi e i regni si ridurranno in polvere, ma che questo gran mondo che par che non possa cadere, cadrà auch'egli, riducendosi ogni sua delizia in cenere ; però se cosa al- cuna non può esser sicura dell'armi del tempo e della morte, non vi maravigliate se 'l Signor Tasso non ha potuto andarne esente, nell'istesso modo che non dee maravigliarsi un particolare, quando la città va tutta a sacco, se la sua casa non s'è salvata. Non bisogna dunque che di- spiaccia tanto tanto, e principalmente ad un uomo prudente come siete voi, se un solo sopporta quello che ognun sopporta; perchè tutto quello che più infelice è quaggiii, con l'esser comune, si fa tollerabile, e la morte addolcisce l'amaro della sua severità col far la sua funesta legge eguale ad ogn'uno. Però, Signor mio, benché la morte del celebratissimo Signor Tasso non possa esser pianta abbastanza da voi, né da tutto il mondo, vi prego nondimeno a darvi pace, ed si rasciugar le lagrime, le quali voglio ch'abbian servito sin qui per far conoscere che voi avete sentita cosi gran perdita, e che avete pianto la sua morte se non quanto si doveva, almen quanto si poteva. Discacciate la tristezza, e lasciate che la ragione abbia suo luogo, considerando ch'è di necessità il soffrire un mal necessario, e che non ci è modo migliore per vincer la sorte che disporsi a voler ciò ch'ella vuole. Voi fate torto all'amico ed a voi stesso, se volete piangerlo come si piangono quelli che vanno intera- mente ne' sepolcri, e che non lasciano altro di loro che le ceneri e l'ossa. Egli non è morto così, attesoché la sua fama, sopravvivendo alla sua morte, tiene e terrà sempre animata la sua gloria; e s'egli non vive SoLEBn, La vita di T. Tasso, li. 24 — 370 — col corpo, vive con quella parte che '1 faceva esser uomo, e, quello che più importa, ohe '1 faceva esser il Tasso. Al qual conforto potete ag- giungere che se gli onori dati a quelli che muoiono addolciscono gli affanni degli amici che rimangono, il cuor vostro ha grandissima occa- sione di mitigare, anzi pur di discacciar affatto i suoi tormenti, poiché morte d'alcuno non fu mai tanto onorata di pianti (non di pianti del volgo ma della nobiltà, e della nobiltà vera) com'è stata la sua : avendo i più candidi cigni dopo lui pianto di maniera, che se un Dio, per dir così, fosse morto, non s'avria potuto pianger altramente. Voglio terminar questa lettera sperando che voi ancora terminerete il dolore-, ricordan- don che morto non si può chiamar il Signor Tasso, essendoché morto non si può dir colui che alle sue ceneri sopravvive. Morte non è altro che un perpetuo oblio, dunque il Signor Tasso non morirà mai, poiché l'oblio non gli avrà mai forza sopra. Egli col suo sapere ha dato ad altrui tal esempio di vita, che chi vorrà lungamente vivere, bisognerà che lungamente muoia nella nobil lettura de' suoi dottissimi scritti. [1595]. CCCLXXXIV. Don Angelo Grillo a Maurizio Cataneo. — Boma. Circa l'opere del Tasso fui sempre del medesimo parere di Vostra Signoria e non niego qualche parte di mia fatica intorno ad esse. . Di Genova 1 Marzo 1590 (1). CCCLXXXV. Muzio Manfredi a Vincenzo Gonzaga Buca di Mantova. — Mantova. Le mando ora un mio sonetto (1), in morte del mio povero Tasso, il quale so che a lei era cosi caro servidore, come egli valoroso scrittore. Di Nancv 11 Marzo 1596. CCCLXXXIV. — Grillo A., Op. cit; p. 839. — Zucchi B., Op. cit; P.t^ II; p. 230. (1) La data è solo nella stampa dello Zucchi. CCCLXXXV. — Archivio Gonzaga. — Ferrazzi, Op. cit; p. 476. (1) Comincia: Più che dormir cantasti, o nobil Tasso. — 371 — CCCLXXXVI. Giuseppe Bosnccio a' devoti Lettori. [Prefaziouel. Per tanto, avendo a' mesi passati fatto stampare alcune composizioni del Signor Torquato Tasso , avute dall' istesso avanti che lasciasse la terrena spoglia alla gran madre antica; ed ora di nuovo capitatomi alle mani le Lagrime della (ìloriosa Vergine e di Nostro Signore fatte dal- l'istesso, quando dimorava appresso 1' Illustrissimo e Reverendissimo Cardinale S. Giorgio, sopra un' immagine di Nostra Donna in pittura, tenuta con molta riverenza nella projiria camera dall'illustrissimo detto: e perchè stimai queste essere delle inh belle e squisite ottave , che giammai così famoso uomo mandasse alla pubblica vista, sì perchè si tratta della Regina e Ke de' Cieli, come anco per il pio e devoto dire: per tanto acciò che i pii e devoti Cristiani non restassero privi di così bell'opera, ho voluto rimandarla alla stampa [Milano 159G]. CCCLXXXVIl, Don Ferrante Gonzaga ad Angelo Ingegneri. Io non mancherò di scriver due versi al Signor Cardinale suo in ma- teria del libro del Tasso come ella mi ricerca con la sua delli 13 del corrente , e delle altre cose di che mi ragiona farò parimente quanto potrò con la prima occasione eh' abbia di venire a Mantova; in ogni altra cosa, che potrò adoperarmi per serwzio suo, lo farò sempre vo- lentieri. Della partita sua di costì pigli lei il suo comodo, e vada fe- lice, che non occorrendomi altro per ora qui finisco, e Nostro Signore la contenti. Di Guastalla a' 15 del '97. CCCLXXXYIII. Domenico Chiariti a Camillo Pellegrino. — Captua. Oh quanto mi piace di sentir Vostra Signoria vivacemente viva, quando quasi tutti gli altri sono sepolti, che in qualche maniera in- tervennero in quella contesa di poetiche lettere , che gli Accademici Cruscanti vollero dal vostro Dialogo pigliare. Morì il Salviati, che con CCCLXXXVI. — Le lagrime della Beata Vergine e di Nostro Signore del Signor Torquato Tasso, Milano, Rosacelo, 1596. — Tasso T., Opere; voi. XXIII, p. 127. CCCLXXXVIl. — TI. Biblioteca Estense; cod. I, H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. I, p. 3. CCCLXXXVIII. — Tasso T., Oj^ere; voi. XX, p. 306. — 372 - troppo soverchio affetto ci si infarinò. Morì il Patrizio, che per servire alla Crusca scrisse contro a' precetti della Poetica : e volendo anco scriver altro pur contro Aristotile, gli fu ciò dalla morte degnamente im- pedito. Morì ristesso Tasso: e per quel ch'io ne voglio credere, ne fu cagione l'error suo intorno al suo poema, avendolo da Ferrara, ov'egli era indirizzato, rivoltato a Koma. Morto è anco il Mazzoni, clie in altrui vana difesa con impertinente abbondanza così trattò della Poetica, come se ella fosse la Politica. Deve ancora nell' opinione degli Accademici esser morta quella troppo assoluta e da loro replicata sentenza, che da istoria non si potesse far poema ; poiché oltre alla ragione, ed a molti antichi esempi, lo Stigliano col suo Colombeide ha modernamente mo- strato, che pur d'istoria, di cui le particolarità non sian note, può il poeta valersi. Ma non dee aver maraviglia, che Vostra Signoria viva, essendovi ella in que' poetici trattati sempre portata con infinita inge- gnosa modestia, e non avendo preso a sostenere altra cosa che il vero: cioè, che la Gerusalemme del Tasso sia più fatta secondo i precetti di Aristotile, che non è l'Orlando dell'Ariosto. Ciò è così chiaro, che non potrà esser mai da tenebra alcuna offuscato. Ora quel che io in questo proposito vado osservando delle poetiche cagioni, per le quali si muoia, non fa forza che pur sia in vita colui, che in dispregio delle tragiche regole ha introdotto in iscena pastori; perciocché essendo l'osservanza mia solamente di coloro che furono, o in tutto o in parte, in quei poe- tici romori, questi in essi punto non intervenne; che in quel tempo non era il nome del Guarini ancor a notizia della fama. Tuttavia certa cosa è, che Vostra Signoria vivendo vive meritamente. E della sua vita e del suo merito io infinitamente di cuore rallegrandomi, me le offero a doverla sempre onorare e servire. E con sincero affetto baciandole le mani, le desidero lunga e felice vita da Nostro Signore Iddio. Di Lucca, a' 12 di Dicembre 1598. CCCLXXXIX. Bernardo Davanzali a Baccio Valori. Finalmente io crederei che come gli Eoliani, gli Joni, i Doriesi e i Comuni greci non biasimavano gli Ateniesi de' loro atticismi, così non dovessero i forestieri appuntar noi de' nostri fiorentinismi ; informarsene più tosto da' Fiorentini in loro contrade: non volendo per ciò venire a CCCLXXXIX. — Opere di Cornelio Tacito con la traduzione in volgar fioren- tino del Signor Bernardo Davaxzati; In Fiorenza, nella stamperia di Pietro Nesti, MDCXXXVII; ],. 463. — 373 — Firenze, come il Bembo, l'Ariosto, il Castifjlione, il Caro, nuovamente il Chiabrera, e con occasione onorata il Guarino, eil altri di questa in- clita patria, fondamento della volgar lingua, illustri celebratori : con- trari al Tassino, che si sbracciò per avvilirla. Ma il caso suo merita compassione : Ella s'c filoriosa, e ciò non ode. State sano. Di Firenze il dì 20 di Magcrio 1599. 'ot^' CCCXC. Atu/elo Ingegneri a Giovanni Battista Laderchi. — Modena. 11 Illustrissimo Signor (ìiovanni Paruta , primogenito dell'Anton', a cui io feci aver il privilegio d' Urbino, s'è parimenti raccomandato al- l'affezion mia in quello di Modena, altro non glie ne mancando di tutta Italia, e mi ha volentieri dato il libro bell'e legato per donarlo a Vo- stra Signoria Illustrissima, la quale adunque io supplico ad impetrargli il bramato favore dall'Altezza Sua ; e ricordevole di ciò che Vostra Si- gnoria Illustrissima mi disse già in Ferrara in proposito del privilegio del Mondo Creato del Tasso , le mando la copia d' uno di questi altri già ottenuti che le servirà per minuta, sottoposta tuttavia alla dottrina sua e prudentissima correzione. Degnarassi Vostra Signoria Illustris- sima inviar a me, pur per la via del Signor Ariosti, la spedizione, con farmi dire quello che si dovrà mandare per gì' inferiori ministri della segnatura, i quali non è onesto che si rimangan frodati delle regalie loro, che saranno, s'a Dio piacerà, di maggior momento assai nel fatto della moltiplicazione del pane, di cui in breve invierò a Vostra Signoria Illustrissima le scritture, operando, per quanto me ne scrivon da Roma gl'interessati , che il negozio sia per riuscire di grandissimo commodo a tutto cotesto felicissimo stato, e di molto e molto emolumento alla Serenissima Camera Ducale. E a Vostra Signoria Illustrissima bacio umilmente la mano. Da Venezia il dì 3 di Settembre 1599. CCCXCI. Monsignor Giulio Brunetti a Francesco Maria della Rovere Buca d' Urbino. Venuta voglia al Cardinale San Giorgio di pigliare il Tasso, perchè fu detto che questi (1) intendeva la sua mano, e poteva maneggiarlo. CCCXC. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancelleria ducale; Letterati. CCCXCI. — Biblioteca Oliveriana; cod. 405. — Cfr, Serassi, Op.cit.; voi. II, p. 279 n. 2. (1) Angelo Ingegneri. — 374 - entrò con quel Cardinale; il quale era ai dì passati nelle maggiori furie del mondo: e scrisse a Monsignor Nunzio lettere di fuoco, dolendosi che gli tosse stata tolta una copia del poema del Mondo Creato, la quale egli voleva vendere al Ciotti , ma mentre disputavano del prezzo, so- praggiunsero lettere dal Cardinale che lo guastarono del tutto. . . . 1)1 Venezia 2 di Settembre 1600. CCCXCll. Maurizio Catanco a Giulio Giordani (1). — Pesaro. Così l'obbligo mio si raddoppierà con esso lei, alla qual bacio le mani, mandandole un sonetto (2) del gran Tasso, nel qual descrive la sua vita, in occasione d'essergli mostrato il ritratto della sua effigie Di Roma il primo dì di Maggio 1602. CCCXCIII. 3Iaurizio Cataneo a Giulio Giordani. — Pesaro. Io so che cotesta Serenissima Corte è solita sempre abbondare dei più preclari e felici ingegni d' Italia: se Vostra Signoria potrà muoverne alcuno a cantar qualche verso latino o toscano in lode di Torquato Tasso, si farebbe gran favore a certi giovani virtuosi, che ne vanno raccogliendo per farli stampare in onore di quel maraviglioso e sublime spirito. . Di Roma 29 Giugno 1602. CCCXCIV. Angelo Ingegneri a Don Ferrante Gonzaga. In somma credami che la sua Enone vive per me così gloriosa a Torino, come in qualsivoglia altro luogo, e s'io avessi ventura di po- terne mostrare al Serenissimo Signor Duca mio padrone qualche scena, CCCXCn. — Biblioteca Oliveriana di Pesaro; cod. 430, e. 72. (1) Segretario del Duca d'Urbino. (2) È il notissimo Amici, questo è il Tasso, io dico il figlio. Il sonetto è unito alla lettera. (Cfr. Tasso T., Lettere; voi. V, n.» 1444 e p. 242). CCCXCIII. — Biblioteca Oliveriana di Pesaro; cod. 430, e. 73; Autografo. CCCXCIV. — Pi. Biblioteca Estense; cod. I. H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. 1, p. 119. — 375 — ciò riceverei per larghissima mercede del Mondo Creato, eh' io prometto di mandar questa primavera a Vostra Signoria a ciò fare eccitato dal cenno datomi dal suo Signor Abate ... Da Mantova il d'i 27 ottobre 1<"»02. CCCXCV. Maurizio Cutaneo a Giulio Giordani. — Pesaro. Nell'impresa che da' virtuosi spiriti si procura di fare il Sepolcro al Signor Torquato Tasso, avrà, Vostra Signoria molto illustre la mag- giore e più onorata parte: poichò da tante nobili parti ha procac- ciato e tuttavia va procacciando gemme e gioie finissime per illu- strarlo e nobilitarlo, sì come s'è veduto dalla prima e seconda raccolta delle poesie latine e toscane mandatemi, le quali sono a questi virtuosi ingegni molto piaciute. Ma s' ella con 1' autorità delle sue preghiere potrà, come si spera, impetrar dall' Eccellentissimo Signor Guarini, che si degni con due suoi sonetti onorare questo Sepolcro, si stimerà per compimento d'ogni pregio ed onore che venire gli potesse. Ed egli no- bilitando un nobile emulo suo, il luminoso lume che dal raggio di tal sua lode uscirà, rifletterà tutto in onore del famoso nome di esso Signor Guarini, non mai abbastanza lodato ed onorato. Gradisca Vostra Signoria la copia del Rogo d'Amore, fatto dal Signor Tasso nella morte d'una Signora di casa Orsina, parente del già Monsignor Fabio. Son certo che ella lo leggerà con occhio amorevole e pietoso, e gradisca insieme l'a- nimo mio divoto di lei, e pronto per servirla dovunque io vaglia. Le bacio le mani, pregandole lunghi e felici anni. Di Roma il di ultimo di novembre 1602. CCCXCVI. 3IaurÌ2Ìo Cataneo a Giulio Giordani. — Pesaro. Dopo che mandai a Vostra Signoria molto illustre ed eccellente il Rogo d'Amore del Tasso non mi è parso di visitarla con altre mie lettere, per non aggravarla inconvenientemente nelle sue grandi occu- pazioni: correndo ella massimamente da sé stessa con lieti passi in fa- vorire il degno lavoro del Tumulo del Tasso, preziosa memoria. Ma le CCCXCV. — Biblioteca Oliveriana; cod. 818. Questo ms. contiene anche la copia del Rogo cVamore ricordata nella lettera. CCCXCVI. — Biblioteca Oliveriana di Pesaro; cod. 430, e. 74. La sola firma è autografa. — 376 — dirò ben ora che questi elevati spiriti, che n'iianiio cura, si promettono che r intercessione ed autorità di Vostra Signoria sarà stata di tanto valore presso rEccellentissimo Signor Guarino, che volentieri sarà con- disceso a gratificar lei, ed a mostrarsi all' incontro al gran Tasso in morte, quel benevolo amico che gli fu anco in vita, poiché ambi vivendo, concorsero insieme in amarsi ed onorarsi affettuosamente, siccome anco con egual laude e gloria loro concorsero nell'emulazione degli studi e delle particolari virtù. Stando dunque questi virtuosi ingegni con ferma fede di esser favoriti almeno di due bellissimi sonetti, che saranno le preziosissime gioie del Tumulo ; e ne rimarranno molto obbligati a Vo- stra Signoria, alla quale bacio la mano, pregando la Divina Bontà, che la faccia sempre più lieta e più felice. Di Roma li 30 di Gennaio 1G03, giorno felicissimo, poiché oggi comincia il 12' anno che fu creato papa Clemente Vili che se ne sta, grazia di Die, tutto prospero e gagliardo. CCCXCVII. n Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovati Battista Licino. — Bergamo. Ho tanto più cara l'offerta che Vostra Signoria mi fa di quel che ella si ritrova delle composizioni del Tasso, quanto vedo che è spontanea ed accompagnata da segno di particolare amorevolezza. Io l'accetto con altrettanta gratitudine e vedrò volentieri ciò che le piacerà di parte- ciparmi, che sia di quell'autore, e le resterò Qon obbligo delia cortesia, offerendomele all'incontro con tutto l'animo. Di Roma 24 di Gennaio 1604. CCCXCVIII. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Mi è stata tanto più cara la canzone che Ella mi ha mandata del Tasso, quanto men posso celar l'affetto e la stima in che io tengo quella memoria e l'opere sue. E tanto maggiormente ne la ringrazio quanto per darmi più gusto, le è piaciuto di privarsi dell' originale medesimo dell'autore. Alla sua cortesia, e nuove offerte ch'ella mi fa d'altre com- posizioni, non vedo di pot^r rendere maggiore gratitudine, e mostrare CCCXCVn. — Ms. Mariani. CCCXCVIII. — Ms. Mariani. — 377 — quanto io deva, che con accettarle. Però quando con sua comodità potrà compiacermene, io son per riconoscere sempre con accrescimento d'ob- bligo ogni nuova dimostrazione della sua amorevolezza, e me le offero di cuore. Di Koma 28 di Febraio 1(304. CCCXCIX. Giannettino Spinola a Don Ferrante Gonzaga. Mi ricordo con queste due mie righe servitore di molta volontà ed obbligazione a Vostra Eccellenza e per tale la prego che mi tenga con onorarmi de' suoi comandamenti. Mando a Vostra Eccellenza la Geru- salemme del Tasso con li argomenti di Giovanni Vincenzo Imperiale, che per essermi nipote e giovane, ho avuto animo d'inviarli a Vostra Eccellenza, tanto più che c'è un sonetto del Marino, e del Cella, fatti a Bernardo Castello, che non son venuti male. Vostra Eccellenza mi facci grazia dirmene liberamente il suo parere e conservarmi in sua grazia che è quello che stimo. Bacio a Vostra Eccellenza la mano e le prego ogni maggior felicità. Di Genova li 12 Marzo K304. CD. // Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Ho ricevuto l'altra canzone del Tasso, che Vostra Signoria mi ha in- viata, e con essa nuova cagione di ringraziarla. Riconoscerò medesima- mente ad abbondanza di sua cortesia quel più che disegna di fare dell'altre opere che tiene, con le quali vedrei volentieri quel Dialogo, che ella accenna. 11 debito sarà sempre mio verso di lei, e maggiore il desiderio di poter meritare le dimostrazioni che si compiace d'usarmi, e me le offero di cuore. Di Roma 27 di Marzo 1604. CDl. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Di quello che Vostra Signoria mi à mandato ultimamente del Tasso, le rendo tanto maggiori grazie , quanto più mi son soddisfatto delle CCCXCIX. — Pi. Biblioteca Estense; cod. I. H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. I, p. 101. CD. — Ms. Mariani. CDI. — Ms. Mariani. — 378 — annotazioni, elio vi sono del medesimo autore, e auderò crescendo il mio debito col nutrimento che olla si propone di darmene ogni settimana. Già io lo risposi i giorni addietro, che avrei veduto volentieri il Con- vito de' Pastori (1), onde ne aspetto la cortesia che ella toi-na ad esi- birmene, e me le oflfero di cuore. Di Eoma 3 di Aprile 1004. t'DU. Il Cardinale Cinzio AMóbrandini a Giovati Battista Licino. — Bergamo. Mi è rincresciuta molto l'indisposizione di Vostra Signoria, o mi rallegro egualmente che si vada riavendo; ma è stata tanto soverchia la scusa di non aver potuto per tal impedimento, continuar a mandarmi quell'opere, quanto ella sa di parteciparmele di sua spontanea cortesia. Però non l'avTà da fare se non con ogni comodità se non dopo che si sarà ben riposata, che altrimente mi sarebbe di peso la sua amorevo- lezza, e me le offero con tutto l'animo. Di Roma 17 di Aprile 1604. CDIII. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. In confermazione di quanto io scrissi a Vostra Signoria questi giorni, non può essere di mio gusto, che ella con suo incomodo, massime in convalescenza, ritorni nella fatica già cominciata per amor mio, dovendo ella preferir la sua salute a qualsivoglia rispetto. Questa sua cortesia verrà sempre in tempo, e con mio obbligo; ma poiché ad ogni modo l'è piaciuto di mandarmi il secondo quinterno, io ne rendo le solite grazie alla sua amorevolezza, e me le offero di cuore. Di Koma 24 di Aprile 1604. CDIV. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Ideino. — Bergamo. Col Dialogo de' Pastori, e terzo quinterno delle Rime, che Vostra Signoria mi à mandato con quest'ordinario, s'accresce molto alla par- (1) Cfr. Tasso T., Opere; voi. IV, p. 128 sgg. CDII. — Ms. Makiasi. CDIII. — Ms. Mariani. CDIV. — Ms. Mariani. — 370 — tita del mio debito, il quale tanto raen credo poter soddisfare quanto più lo conosco. Ne rincfrazio almeno come si conviene la sua cortesia, certificandola che il nutrimento di simili composizioni, è quello che ha forza di rendermi presente l'autor loro, ch'io tanto amai. E a voi mi oftero con tutto cuore. Di Roma 15 di Manilio IGOl. *^o' CDV. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Don Ferrante Gonzaga. L'amor ch'io devo con ogni ragione alla memoria di Torquato Tasso, mi obbliga di metter pensiero in tutti i suoi componimenti, e special- mente in quei che non essendo per ancora andati in luce possono de- siderar qualche revisione e diligenza, clie avrebbero forse aspettata dal- l'istesso autore. Tra le quali premendomi sopra modo l'opera intitolata il Mondo Creato, che come poema sacro, non l'ho totalmente sicuro da qualche imperfezione, che si può sospettar particolarmente da chi sa- peva il male che travagliò negli ultimi suoi anni l'autore, mi è rin- cresciuto grandemente d'intendere che dall'originale, che si trova ap- presso di me, se ne sia cavato, non so come, (gualche copia che va attorno con pensiero d'alcuno di farne edizione. Il che sarebbe di tanto mio pregiudizio quanto, oltre ai suddetti rispetti, conviene a me, più che ad altri, questo pensiero, ch'io tengo come per ereditato da quella buon'anima, che alla sua morte mi confidò tutte le sue scritture. Onde, intendendo che si pensi di far capo a Vostra Eccellenza perch(' sia favorita la stampa del suddetto poema, vengo a supplicarla instante- mente che si degni di ricusar la sua protezione per qualunque si sia, poiché non intendo di comunicar questo parto al mondo, se non dopo che sarà ben sanato d'ogni mancamento che vi fosse, e che io saprò di poter assicurar da ogni minimo neo la fama e nome di quella memoria, e dall'Eccellenza Vostra ne riconoscerò special grazia, bacian- dole per fine di questa le mani. Di Roma a' 15 di Maggio 1(504. CD VI. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Accuso a Vostra Signoria la ricevuta del quarto quinterno delle Rime, e quello che mi si accresce di debito verso la sua cortesia, alla qual CDV. — R. Biblioteca Estense; Cod. I. H. 15-17: Gonzaga, Lettere; voi. I, p. 117. — E. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 224. CDVI. — Ms. Mariani. — 3S0 — desidererei di poter corrispondere più con affetti , che con altro testi- monio di parole. Gradiscane intanto il buon animo con che me le of- fero e accomando. Di Koraa 5 di Giugno 1604. CDVIl. Il Cardinale Cinzia AWohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Vedrò volentieri quel sonetto di che Vostra Sis^noria mi scrive, poiché ella tuttavia si compiace di pensar a questo mio gusto, e ricevo con argomento di debito il quinto quinterno, che mi ha mandato ultima- mente, offerendomele al solito con tutto l'animo. Di Roma 3 di Luglio 1604. ODVIII. H Cardinale Cinzia Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Ho da accusar con questa a Vostra Signoria ricevuta del sesto quin- terao e del Dialogo, che ebbi prima, e ringraziarne al solito la sua cortesia, che si carica tuttavia di tanta briga. L'Ingegneri, che ella dice esser capitato costì, è stato al mio servizio alcun tempo, e gli ho affe- zione per questo e per altre sue qualità. Intorno al pensiero ch'egli abbia di mandar in luce composizioni del Tasso, io non credo che s'in- durrebbe a questo senza mia partecipazione, e sa egli medesimo se mi si farebbe dispiacer grande da chiunque trattasse di far stampar special- mente un'opera intitolata il Mondo Creato : pretendendo io che questo debba esser solamente e con ragione carico mio, per avermi l'autore in morte sua fatto erede e raccomandato tutte le sue scritture. Io non voglio già defraudare quella gloriosa memoria della laude che se le può accrescere per quest'altra sua fatica, né il mondo del benefizio che ne potria cavare. Ma conosco di doverne soprasseder l'edizione per ben assicurarmi prima di qualche errore che si fosse potuto fare per l'oscu- rità dell'originale, o presupporre, da chi sapeva l'infermità in che diede ultimamente l'autore. Questo è il mio senso, onde io riceverò da lei particolar cortesia se starà vigilando in caso che si tentasse di farmi questo pregiudizio, in che anco mi ricordo d'essermi raccomandato a codesto Monsignor Vescovo, e me le offero di cuore. Di Roma l'ultimo di Luglio 1604. CDVII. — Ms. Mariani. CDVIII. — Ms. Mariam. — 381 CDIX. Il Cardinale Ciucio Aldubruìidini a Giocan JUitlista Licino. — Ikriiainu. Non lio mai pieteriuesso d'avvisar Vostra .Si(,Mioria della ricevuta de' quiuterui secondo che ella me gli ha mandati. Bisogna però che se al- cuna mia lettera non l'è capitata abbia avuto mal recapito. Keplico dunque la ricevuta del sesto quinterno, e del settimo, che mi ò venuto con la sua ultima, di che la ringrazio. Non vorrei che ella si obbligasse a nuove faticiie se non ritorna intieramente sana, massime richiedendo la stagione e il male che accenna aver patito : sempre avrà tempo d'u- sarmi simili cortesie o obbligarmi. E Nostro Signore Iddio la conservi. Di Roma 21 di Agosto 1G04. CDX. // Cardinale Cinzio Aldùhrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Dall'ultima lettera di Vostra Signoria de' 17, vedo il pensiero che si è presa di trasferirsi a Milano per conto dell'opera del Mondo Creato, e benché io ne resti con obbligo alla sua amorevolezza, nondimeno mi rincresce che ella si sia presa questa fatica forse soverchia, poiché e nella suddetta città e in tutte l'altre stampe di Lombardia feci già alcuni mesi usar l'istessa diligenza. Conosco bene che è per giovar non poco l'occhio aperto di Vostra Signoria, e così la prego che veda di star sull'avviso d'ogni motivo che se ne faccia, certificandola che non è per mostrarmi in ciò poca cortesia. Ho piacere che le siano capitate l'altre mie lettere, e me ne otlero di cuore. Di Roma 27 di Asrosto 1G04. CDXI. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. È venuto l'ottavo quinterno con quel di più che Vostra Signoria mi ha mandato. In ringraziamela, se bene è offizio ch'io fò seco di ordinario, la prego nondimeno a credere che non si restringe a questo solo la CDIX. — Ms. Mariani. CDX. — Ms. Mariani. CDXI. — Ms. Mariani. — 382 — corrispondenza che le devo della molta sua cortesia, e che tanto mag- gìove sia il mio desiderio di poterla conoscere, quant'ella mi pone in debito ]HÌi lungo, e me le offero di cuore. Di Eoma 18 di Settembre 1604. CDXU. Il Cardinale Cinzio Aìdohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Mi è stato reso ultimamente il nono quinterno delle Rime, che Vo- stra Signoria m';\ mandato, ne può essere che ella non conosca di ec- cedere in cortesia, mentre si scusa di non poter far più se crede di usarmi queste amorevolezze di sua propria elezione. Io le ne rendo grazie, e a me più tosto converrebbe di far più, ma a questa parte mi sforzerò di supplire sempre che mi si porgeranno occasioni di suo ser- vizio, e me le offero di cuore. Di Roma 13 di Novembre 1604. ODXIII. Il Cardinale Cinzio Aìdohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Ho la lettera di Vostra Signoria de' 15, con quella parte che mi ha mandato dell'undecime quinterno, aspettando il restante con l'occasione che ella accenna, e piuttosto con sua commendatizia vorrei poter com- mutare in alcuna cosa di suo giovamento, l'officio ordinario ch'io fò di ringraziarla, ma siccome ella sa bene l'obbligo che m'impone, così con- fido che mi chiamerà a soddisfarlo sempre che le ne verrà occasione, e me le offero di cuore con tutto l'animo. Di Roma 25 di Dicembre 1604. CDXIV. Il Cardinale Cinzio Aìdohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Col resto dell 'undecime quinterno vien la cortese promessa che Vostra Signoria mi fa dell'altre buone cose che dice d'aver del medesimo au- tore, le quali io vedrò col solito gusto e obbligo dell'onor che le piace CDXII. — Ms. Makiani. CDXIII. — Ms. Mariani. CDXIV. — Ms. Mariani. — 383 — di accrescermi. Col medesimo debito conservo il desiderio, che le ho altre volte espresso di potermele mostrar fibrato nell'occasioni. 11 difetto de' quali è adempito frattanto dall'animo, con che me le oflfero e rac- comando. Di Koma S di Gennaio lt".(»5. CDXV. Don Michelangelo lion'haverti da Ferrara al Fadrc Don Angelo Maria Alchiggi da Milano. abate del Monastero di Villanova. [Dedicatoria]. 11 Montoliveto del Signor Torquato Tasso, pregiatissimo jiarto delle Muse, passava già quasi furtivo di mano in mano, e così lacerato e sì mal scritto, che non si potea godere, non che gustar ed ammirar la sua bellezza; quand'io, compatendolo, procurai con ogni industria di rimirarlo con pazienza, e trarne fedelissima copia dal vero originale. Il quale, se bene per sua disavventura non ebbe dal proprio facitore l'ul- tima mano, tuttavia per essere stato e letto e commendato da Vostra Paternità molto reverenda, non tanto intenditor dell'una e l'altra poesia, quanto gran maestra dell'umane e divine scienze e valorosa nei grandi aifari, ho preso ardire di farlo stampare in compagnia del Dialogo fiitto da me per gli novizi della nostra Congregazione; ed ho stimato bene l'appoggiarlo alla persona sua, e pubblicarlo sotto la scorta del suo chiaro nome, bramando che non pure in vita, ma in morte ancora, resti alcun vivo testimonio della mia divozione verso di lei, alla quale rive- rentemente inchinandomi, le prego dal cielo il colmo d'ogni vero bene. Di San Giorgio di Ferrara li VI d'Aprile 1G05. CDXVI. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovati Battista Licino. — Bergamo. Pili suppliche si trovavano già date per altri, quando giunse la lettera di Vostra Signoria con la vacanza della sacrestia di S. Alessandro, ed oltre la prevenzione, alcuni d'essi erano portati da parenti di Nostro CDXV. — Il Montoliveto dei Signor Torquato Tasso, Nuouamenie posto in luce. Con aggiunta d'un Dialogo, che tratta VHistoria delVistesso Poema. Con licenza de' Superiori; MDCV. In Ferrara, per Vittorio Baldini, Stampatore Camerale; in-S". CDXVI. — Ms. Mariani. — 384 — Signore, e benché il Signor Cardinale Datario mostrasse di volerla con tutto ciò aiutare, ha nondimeno toccati da poi impedimenti che non gli è stato possibile di rimovere. Può ella credere che altrettanto me ne sia dispiaciuto, quanto sa che io ho causa di desiderare e premere in oj^ni cosa di suo beneficio, e me le offero di cuore. Di Koma 11 di Giugno 1605. CDXVII. Il Cardinale Ginzio Aldohrandini a Criovan Battista Licino. — Bergamo. Ho ricevuti gli ultimi fogli che Vostra Signoria mi ha mandati con sua di 3 di questo, e insiem cogli altri si conservano in memoria par- ticolarmente della sua cortesia, verso la quale essendole tuttavia atte- stato il mio obbligo, sarà mia buona fortuna se in alcuna occasione potrò soddisfarlo in suo giovamento. La ringrazio frattanto della sua amorevolezza, la qual ricambio almeno d'altrettanta volontà, con che me le ofiero e raccomando. Di Roma 20 di Agosto 1605. CDXYIII. Il Cardinale Cinzia Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. L'ultima lettera di Vostra Signoria de' 5 di questo con la quale ho ricevuto il quinterno che mi ha mandato, .non mi è stata resa prima che questa settimana, ond'è che tardi io vengo a ringraziamela. Il Mondo Creato non è altrimenti in stampa in Koma nò altrove ch'io sappia, e sinché io non abbia fatto usare alcune diligenze intorno a quell'opera, non potrò appieno soddisfarmi che vada in luce. Se fosse uscita com'ella ha inteso, le ne avrei fatto parte come era dovere, e come io le son tenuto d'ogni maggior soddisfazione, e me le offero di cuore. Di Roma 26 di Novembre 1605. CDXIX. Il Cardinale Cinzio Aldohrandini a Giovan Battista Licino. — Bergamo. Tuttavia Vostra Signoria mi tien cibato di nuove cose del Tasso, e quella composizione che mi ha inviata ultimamente mi è tanto più cara CDXVn. — Ms. Mariani. CDXVIII. — Ms. Mariani. CDXIX. — Ms. Mariani. — 385 — (juanto era più desiderata da altri. Io ne la rin. CDXXIX. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carteggi del segretario A. Cioli; f.» IX, e. 34. — Tasso T., Lettere; voi. IV, p. XXXVI. CDXXX. — Le Opere di G. Galilei, prima edizione completa sugli autentici manoscritti Palatini, Firenze, 1842-56; voi. Vili, p. 325. (1) Il Beni teneva in casa a proprio uso una stamperia. — 394 — cho vi pong;! l'ultima mano, perchè ha pur inteso che Sua Signoria Ec- cellentissima ha commentato l'istesso poema, onde ha dubitato d'essere prevenuto neiredizione, e di vedersi così da lei tolta la gloria (1). . . Da Roma 5 Luglio 1014 (2). CDXXXl. Monsignor Giulio lìruneifi, in nome del Duca Francesco Maria della Rovere Duca d'Urbino a Paolo Beni. Veggo sempre con molto gusto i frutti dell'ingegno e dell'erudizione vostra, e tanto più volentieri leggerò queste vostre composizioni, che ora mi avete mandato sopra la Gerusalemme Liberata del Tasso, quanto oltre all'onor dovuto a quel nobilissimo poema, feci sempre singolare stima dell'autore, e l'amai molto, fin da' primi suoi anni, e miei; es- sendo egli stato lungamente in questa casa, e posso dire, che s'allevasse meco, onde grandissimo piacere mi avete fatto ad affaticarvi intorno a quell'opera, e in maniera tale, che quanto d'ornamento ad essa s'ac- cresce, tanto di laude siate per riportarne da ciascuno [Di Urbino 1616] (1). CDXXXII. Giovanni Battista Marini a Bernardo Castello. — Genova. L'opera che Vostra Signoria ha per le mani, è ben degna del suo valore, ma l'impresa ch'ella mi propone, non è proporzionata alla mia attitudine (1) (1) È questo, annota l'Alberi, senza dubbio uno scherzo del Gualdo, perchè non solo non consta che mai venisse in mente a Galileo il concetto di una tale pubbli- cazione, ma consta per lo contrario ch'egli non facesse caso veruno di quelle sue considerazioni sul Tasso da lui scritte nel 1590, in età di 26 anni quand'era lettore a Pisa; tantoché richiesto nel 1640 da F. Rinuccini , non potè fargliele conoscere per averne perduto il manoscritto, una copia del quale fu ritrovata dall'ab. Serassi soltanto alla fine del secolo scorso. (2) Il Galileo rispondeva il 16 agosto: « Il commento del Signor Beni viene « aspettato ansiosamente da tutti gli eruditi » [Op. cit; voi. VI, p. 207). Ma il commento non apparve che dopo due anni per altro accidente. (Cfr. Op. cit.; voi. Vili, p. 3.34-5). CDXXXl. — Lettere scritte in nome del Serenissimo Signor Francesco Maria di Montefellro della Rovere Duca Sesto d' Urbino, da Monsignor Giulio Bru- netti, etc, Napoli, Roncagliolo, 1632; p. 51. CI) Cfr. Serassi, Op. cit.; voi. II, p. 391. CDXXXII. — Lettere del Cavalier G. B. Mahino; In Venetia, MDCLXXIII, per gli eredi di Francesco Babà; p. 279. d) B. Cast-ilio preparava le incisioni alla Gerusalemme , e aveva proposto al il — SOS- IO, se ben non son tale, che possa inipromettere di me nulla di buono, ho però data qualche aspettazione delle cose mie, e vorrei pur corri- spondere al concetto che ne ha fatto il mondo; il quale se dopo tanti anni e tanta opinione, sperando qualche scoppio soL,Mialato, vedesse alla fine i monti partorire un topo, dico quattro ar-ati, ne pigliarono tanta e squisita cura di guardare nell'ordine della favola, ovvero azione, negli episodi (per usare il vocabolo greco famigliare a questa scienza), ne' riconoscimenti, ne' rivolgimenti e nelle passioni, che sono le parti ne- cessarie al poema eroico, lo stile de' poeti buoni antichi insegnato, come è detto, da Aristotile. Or, qual sìa la differenza fra il poema eroico e il romanzo tralascicito (ad altro più comodo tempo riserbandomi, che sarà, piacendo a Dio, nel trattato che vò tessendo dell'origine de' versi e delle rime, e de' poeti antichi Provenzali, Italiani, Francesi e Spa- gnuoli, e della maggioranza di queste tre lingue, le quali tutte il suo fondamento traggono dalla latina), ritorno a dire che, benché gli autori suddetti non abbiano composto eroici poemi, tuttavia altri italiani si sono impegnati di farlo, seguendo le pedate del signor Giovan Giorgio Trissino, scienziato oltramodo in ogni dottrina, e intendente la greca e le altre lingue più belle. Questi fu il primiero che in italiano abbia usato e saputo dettare il poema tiagico, l'eroico ed il comico al modo antico degli eccellenti Greci, colla scorta di Aristotile, e camminare per sentiero erto non più calcato da verun altro dal tempo antico in qua, scrivendo in verso dalla rima sciolta, con avventuroso ardimento, la Sofonisha, tragedia, e V Italia liberata, poema eroico. Ad esempio di lui, molti altri da poi hanno provato di fare l'istesso, togliendosi per guida Aristotile, come il Giraldi che divisò VErcoleide; l'Alamanni, VAvar- chide, prendendo il titolo da Avarico, città di Gallia, famosa nei Com- mentari di Cesare; il Bolognetti, il Constante; l'Uliviero, la Alamanna; ed ultimamente il Tasso nostro, il suo poema eroico, e nomollo Gof- fredo, ovvero Gerusalemme Liberata; perciocché porta nella fronte am- bedue questi titoli in cinque stampe che si veggono. E per certo, se vogliamo drittamente giudicare, non ha per avventura egli stesso ne anco insino a qui determinato giammai, qual di questi due sia il mi- gliore, stranamente da miserabile infermità e crudele trafìtto; nondi- meno, se riteniamo l'uno de' titoli, puossi difendere collo scudo di Vir- gilio, avendo egli eziandio con tale intenzione scritto forse quell'altro volume nomato liinaldo. Se ameremo meglio il secondo, sarà pur lo- devole, appoggiandosi all'autorità sua propria e del Trissino. Ma ben dee essere pregato ciascun gentile spìrito che leggerà quel poema, a scolpare in ogni maniera nobilmente l'autore, se alcun picciol difetto vi scorgesse, ovvero non riuscisse così di sua piena soddisfazione; sti- mando egli non l'aver possuto riveder compiutamente, ne porgli l'ultima m in... ;T,,ii,r, p tanto che la rea fortuna cangi quell'infelice stato in — 4:s — cui questo ammirabile poeta è caduto, e lo renda al mondo; di che (juando interveniva, dovranno i mortali tenere obbli<,'o eterno alla molta liberalità e ma'^niticeiiza del S'renissirao sii^nor Duca di Ferrara, il quale seguendo l'orme de' suoi predecessori, veri Mecenati delle Muse, la sua salute con oì,miì carità e dili<(en/a di continuo va procurando. Di Vicenza, alli i:? d'Aprile i:)8-J(l)- CDXCVlll. Camillo Pellegrino a Matteo di Capita Principe di Conca. — Napoli. Se è vera (come già è verissima) la sentenza di quel poeta, che disse la mediocrità a ni un modo doversi concedere alla poesia, a gran ragione verrò io poco lodato dalla Eccellenza Vostra, poiché ardisco, e più d'una volta, comparire innanzi a lei co' miei versi, non che mediocri, ma per avventura ignudi affatto d'ogni arte, e privi di quella evidenza, senza la quale un componimento non può essere né riguardevole, ne vago; e di più ardisco tanto, a tempo eh' ella ha in casa il signor Torquato Tasso, rarissimo, anzi unico poeta dell'età nostra. Pure chi volesse scu- sarmi, potrebbe dire che questo mio ardimento non nasce perch'io non conosca la mia debolezza, o che presumi sopra le mie forze di far quello che pochissimi conseguiscono con felicità, ma così addiviene solamente per la troppa voglia, ch'io ho di ubbidire a' comandamenti di tanto signore. Le scrissi già una lettera di versi al modo d'Orazio confortato a ciò fare dal signor Alessandro Pera (1) e di vero mi riuscì felice- mente, avendola l'Eccellenza Vostra degnata di così bella, dotta ed ingegnosa risposta, la quale avanza di gran lunga la mia lettera di candidezza di stile, di rarità di concetti e di maraviglioso artifizio; ri- spondendo vieppiù per le rime consonanti, che mostrano felicità d'in- gegno lungamente versato in queste pratiche del rimare (2). . . . Di Capua. (1) Questa lettera si legge colla data nelle eilizioni della Geriarilemme, Venezia, Francesco de' Franceschi, 1582, e Vinegia, Altobello Salicato, 1593. Il suo luogo sarebbe adunque dopo il n." CLXI. CDXCVIII. — Museo Campano di Capua; Ms. di lettere di Camillo Pellegrino. (1) Capuano anch'osso e poeta stimato in quel medesimo tempo. [Notizia favori- tami, con questa lettera, dalla cortesia del Reverendo Signor Gabriele lannelli, direttore del Museo '.'ampano di Capua]. (2) Cfr. Tasso T., Opere, voi. VI, pp. 206-213. Il capitolo del Pellegrino comincia: Signor, s'io non ardisco di presenza. E quello del Tasso in risposta, fatto in nome del Principe di Conca: Già preso avea lo stil senz'arte e senza. — 436 CDXCIX, Gioraii Battista Marini ad Antonio Bruni. — Roma. i>i ricordoià che nr ha più volte in presenza di molti anche detto stimar egualmente l'incanto d' Ismeno nella Gerusalemme, e quel di Falsirena nelFAdone, anzi poche settimane sono, ella medesima mi scrisse sentir altrettanto maggior il gusto della lettura del secondo, che del primo, quanto che il secondo è piti copioso, ed è sparso di colori più vivi e spiritosi di poesia. Or come adunque affermare che tra parte e parte dun poema con l'altro non si possa far parallelo e paragone ? È così povero il mio poema dell'Adone , che non abbia cento e mille luoghi da paragonar con altrettanti della Gerusalemme? Il discorso in lode d^lla vita pastorale, che introduco in bocca di Clizie non è simile a quell'altro del Pastore che parla ad Erminia? È così gran bestemmia il dir che si possa comparar un membro all'altro, benché i poemi siano fra loro diversissimi ? Io non ebbi mai pensiero d'emular il Tasso in questo mio poema, ma ne meno ho per isproposito che un letterato amico voglia far parallelo fra scrittura e scrittura, in quelle parti, che fra loro, o per il soggetto, o per lo stile hanno somiglianza. . . . Di Napoli. D. Giovan Battista Marini ad Antonio Bruni. — Urldno. Mi si riferisce che vi fu (1) anche Torquato Tasso, unico e singoiar fenice dell'epopea, e se la memoria mi aiuta mi par d'aver altre volte inteso che compose quel grandissimo poeta in Firmignano, villa poco distante da Urbino, la bellissima Canzone, che comincia: 0 del grande Appennino Figlio picciolo il, ma glorioso la qual composizione, benché imperfetta, e non finita, è però per l'af- fetto, e per <^ento bellezze poetiche, una delle più nobili canzoni che uscirono da quella famosissima penna Di Napoli. CDXCIX. — Marini G. B., Op. cit. ; p. 150. D — Marini G. B., Op. cit; p. 241. (1 1 .\lla corte d'Urbino. - 437 - DI. Sortono (^>uutt romani a Torquato Tasso. Quanto a quello ohe mi pret^ate con tanta instanza che io dia una occhiata al vostro primo canto, e che noti quelle cose, che non mi piacciono, che voi poi mi manderete ad uno ad uno tutti gli altri canti e rassetterete tutte quelle cose che io noterò come non ben dette, vi rispondo che io non sono per mettermi in questo ballo, sì perchè so che voi sosterrete mal volentieri che altri tenti di accorgervi di qualche errore, che vi fusse scorso dalla penna, e so io, che non sono molti mesi che voi diceste al signor Duca di Nocera che non conoscevate persona al mondo che potesse notare pur una minima cosuccia nelle vostre rime, come mal detta: ma maggiormente perchè avete ragionato della mia patria con pochissima amorevolezza, ed io non son per far servigio a chi ragiona con sì poco riguardo della patria mia. Pure per non mo- strare che io voglia rompere con voi ogni legame di amicizia in ma- niera che io non sia per raddolcirmi con voi, ne invio alcune poche cose, che io ho segnate nelle due prime stanze. Se vi parranno vere e reali procacciate di rassettarle, se le giudicarete vane e di ninno momento, stracciate subito questa carta, o ne fate un presente a . . . . (l)che in ogni modo la perdita sarà assai poco e l'avrò sommamente caro. Molto egli oprò col senno e con la mano Molto soffrì nel glorioso acquisto. Che modo di dire è questo? E come si legano queste clausole insieme? Abbiateci pur qualche riguardo. Ora che maraviglia, che un capitano abbia fatto ed oprato così, e col senno e con la mano, in una impresa così grande e così faticosa ? Il poeta ne' suoi principi ha a promettere cose grandi e maravigliose, il che non fate voi qui. Né è simile questo a quel di Virgilio : Multam ille et terris iactatur et alto Multa quoque, etc. Ed è maraviglia che un uomo così giusto e così da bene sia così aspramente travagliato dalla potenza de gli Dei, e che egli malgrado loro vinca tutti questi perigli e malagevolezze, e s'acquisti eterno nome, con esser vittorioso in ogni sorte. P] i lettori aspettano di udire maraviglie grandi, poiché egli corre tutti quegli infortuni per cagione dell'odio che aveano in lui gli Dei, e poi che egli combatta coi fati e vince ogni malagevolezza e viene a capo de' suoi desideri malgrado DI. — Cod. Vaticano— Regina 1603: Lettere del Quatf romani. (1) Le lacune che s'incontrano sono nel ms. — 438 — de' fati. N^ vi scusa quel che dice Dante: Fece col senno assai e con ìa spada, perdio Dante in quel luogo parla d'un cavaliero particolare, che volea. e col consicflio e con la mano, e non ha voluto adombrare quel di Sallustio: Bonus Consilio, strenuus manu; e non dice ciò Dante in proposta di poema, e di cavaliere, che egli avea a formare per essempio d'ogni valore, ma dicelo in prova, che egli loda di passato, e come per incidenza. Ma in van rinfenio a lui s'oppose L'inferno non può opporsi ad impedire l'azioni di Gioffredo, perchè sta fermo al suo centro. Ma egli prende la cosa, che contiene per la contenuta, cioè, l'inferno per gli demoni, ma ciò non può farsi qui, perchè non possono usarsi figure nelle proposizioni de' poemi, che è di me- stiere, che si spieghi ogni cosa puramente, e con parole semplici, perchè i lettori comprendano di che ha a trattarsi in tutto quel poema; mag- giormente hanno a fuggirsi i modi di dir figurati, e ciò forse perchè il poeta non ha ancora chiamato l'aiuto delle muse, e non è pieno, come esse dicono, di spirito divino e non può parlare altamente e fuori dell'uso comune ; oltre che il dire è oscuro e non isprime chiaramente quel che intende di dire l'autore, e la voce inferno è bassa, perchè appresso i latini non si usa se non per aggiunto di nomi. E il Poeta s'aiutò con l'aggiunto, ed in un luoco disse de' vivi inferno, e chiamò figuratamente questo mondo pieno di affanni. e ia vano S'armò d'Asia e di Libia il popol misto. Le parole popolo e misto sono di nocumento al concetto ed alle lodi di Gioffredo, perchè la mescolanza de' soldati è poco lodata, e maggior- menti quando ella è di popoli poco esperti nella guerra. Né mi si op- ponga Annibale il quale ebbe uno esercito di genti diverse, perchè le tre parti di quello era di suoi Africani, soldati svelti ed esperimentati in molte guerre, ed i forastieri, che egli avea meschiati ne' suoi, erano ancora vecchi e adoprati in molti fazioni, e poteasene egli fidare, perchè aveano molto odio nei Romani. Il Ciel gli die favore Questo scema la maraviglia e scema anco il valore di Gioffredo, poiché ciò, che egli fece fu favore del Cielo, ed il Cielo può inalzare un tronco da e porlo fra le sue E la locutione è bassa ed indegna d'esser ricevuta in verso. e sotto a i santi Segni ridusse i suoi compagni erranti. Non fa motto della vittoria avuta in Gerusalemme, e nell'Asia, e nell'Africa, e delle azioni fatte in guerra, che è il principale soggetto — 439 — di questo poema, ma dice solamente, che GiolìVedo radunò i suoi com- pagni erranti sotto l'insegne de' Cristiani, il che la credere ai lettori che egli non sia stato vincitore in (|uesta guerra, e che non abhia fatta altra azione che questa: il che quanto sia convenevole si lascia al giudizio dei lettori. E se Omero dice, che Ulisse volesse sostenere di molti aftanni per agevolare a se stesso ed a' compagni il ritorno alla patria, ciò dice e disse in tempo, che Troia era già presa, arsa e distrutta, e che egli non avea a faticarci in altro che in tornare alla patria, e non intende di ragionare di altro in (juel libro che dei viaggi di Ulisse, e delle molte fatiche, e fortune che vi corse, che furono fuori di ogni suo intendimento. Ma che fo io? Voi dite pure che egli liberò il sepolcro di Cristo e che sotlerse molto in questo accjuisto. lo me ne era dimenticato e vi rispoudea in cosa che non dovea. Ma veggiamo se lo Muse vi sono stati favorevoli piii in ([uesta seconda stanza che non vi sono stati nella prima. 0 Musa, tu die di caduclii allori Non circondi la IVoiitt' in Eliconii. Che savio consiglio è il vostro a chiamare la V'ergine beatissima musa? Non sapete voi che nomi così bassi e così profani non convengono a quella altezza, che è sovra tutte le sublimità, che fu eletta ad esser madre del fìgliuol di Dio ? Potevate dire Donna del Cielo con avanzo e del verso, e del vostro giudizio, ed avreste con ciò imitato il Tetrarca che disse, ragionando, alla Vergine : Donna del Ciel, che i nostri lacci hai sciolto. Ora chi non sa che la Vergine non si adorna le chiome di alloro, e che non sognò mai di essere in Elicona? Che pensieri sono questi? Sono cose da dirsi di una tanta divinità? In oltre se voi sete poeta, e se scrivete poema, e se intendete di farvi grazioso al mondo per questa via, che pensiero è il vostro di biasmare tanto la poesia? Non fanno così i poeti migliori, ma l'innalzano insino al cielo; Orazio: Quod si me lyricis vatibus iiiscres Sublimi feriam sidera vertice (1). Virgilio: ^le vero primum dulces ante omnia e tutto quel che segue in quei versi divini, e quel :J6 - (2) El., I, IV. — 440 — Se la beata Vorcjino non ha vaghezza di poesia, o la rifiuta, e la sprezza, a che fine la pregate che rischiari il vostro canto e che vi faccia atto e sufficiente a poetare. Questo sarebbe cosi a punto, come se altri dicesse ad un uomo: Messere, voi che avete tanto in odio la guerra, per grazia insegnatemi l'arte di guerreggiare", lo per me non intendo che arte oratoria sia questa. e tu perdona E dove si intese mai che altri cerchi perdono di quegli errori che egli ha da commettere. Cercasi perdono dei fatti passati perchè non possano tornare indietro, e non di quelle cose che hanno a farsi, perchè può l'uomo raffrenarsi, e non farle. Pensate, per grazia, a queste op- posizioni. E tu perdona. Vi manca la persona, alla quale ha a perdo- narsi, e non si dice mai perdona se non si dice a chi ha a darsi questo perdono. E questo è guastamente di lingua, e troncamento di concetto, e poca intelligenza di questa favella. Se intesso fregi al ver Che intendete voi di dire con questo vostro intescimento di fregi al vero. S'imbellisce il vero quando egli si adorna coi fregi dell'eloquenza. Or come si cerca perdono di ciò alla Donna del Cielo se l'eloquenza fu sempre lodevole, e lodata in ogni secolo, e da tutte le nazioni, da pochi in fuori che ebbero del rozzo e del ferrigno, e se i santi glo- riosi, non che altri, desiderano di essere eloquenti sopra tutti gli altri, perchè possano abbattere i nemici di santa chiesa. Ma se voi intendete di dire, perdonatemi se io aggiungo cose false al vero, e se io intendo di dire delle bugie, parlate di poco accorto, e di poco intendente dei secorsi della poesia, e non mostrate di essere quel grande uomo che siete. Perchè se bene è concesso a' poeti di potere spargere qualche bugia nei loro poemi, non è loro concesso che l'abbiano a palesare, né a dirla in maniera che possano essere colti in fraude, e che possa loro rinfacciarsi dai lettori. Ora quel poeta, che fa professione di esser bugiardo, e che chiede perdono delle bugie che ha a dire, non che altro merita di essere scacciato dal consorzio delle Muse, sì come fu fatto a Murra nei tempi che elle fiorivano come uomo, che fece quello che non hanno a fare i poeti. Ma se ne cercate perdono, adornate una istoria sacra di ornamenti e di lumi, sete degno di altro che di re- prensione, perchè fate una grande ingiuria alle cose sacre, quasi che elle non abbiano a ricevere ornamento, e che sempre abbia ad essere racconte con stile rozzo ed incomposto, e con modi vulgari e plebei, e quantunque elle non abbiano mestieri di così fatti ornamenti, perchè la verità piace cosi ignuda, e non ornata, pure non ha a rifiutargli. - Ili — E so io molti che allettati dalla va<,'liezza del dire da maestro Jacopo Passavanti, e da maestro Domenico Cavalca, si sono posti a studiare le cose sacre, e sono venuti ciliari in (|uesto mestiero, e sensi avanzati di gran luni^^a nella pietà cri~;tiana. .Ma dove si trovano jtiìi ornamenti, che nelle odi di quel <,^ran Troteta ciie cantò le lodi di Dio con stile grande e magnifico. Ben lo sanno coloro che hanno cognizione della lingua Ebrea, e della poesia, e ben lo sanno anche (juei valenti uomini, che si sono ingegnati di tradurle, e di vestirle di quegli stessi, o di non minori ornamenti, che sono vestite nella loro lingua natia. s'adorno in parte D'altro diletto, che de' tuoi le carte. Il lodare la Vergine è la meglio cosa che possa tarsi, e non sola- mente gli uomini, ma gli Angeli, e la chiesa santa cantano spesso le lodi di quella gloriosa Donna. Ma non perciò ha da esser biasimato chi prende altro soggetto ed ha egli a cercar perdono del suo misfatto, perchè si può anche scrivere e cantare delle altre cose, che si bene non aggiungono all'altezza di questo soggetto, sono nondimeno sante e celesti, e care a Dio, ed alla i stessa Vergine. E chi fa ciò con aftetto ha ad esser commendato, e non ha egli a cercar perdono di questo fatto, ma a darglisi premio e guiderdone. E per certo che è impossibile a parlar sempre di uno istesso soggetto, e la chiesa santa or loda la Vergine, or loda Dio, ed ora i Santi del Cielo, ed ora prega Dio per impetrar grazia e perdono, ed ora, che egli difenda i suoi diletti da i nemici, e dai perigli del mondo, ed or racconta l'azioni, che essi fecero in terra. Così abbiamo a far noi, ed allettare i lettori con la diversità delle cose che si trattano. Questo è quello che mi occorre in queste due stanze. Procederei all'altre, ma non lio ne tempo né agio da potere ciò fare, e vi bacio le mani. Dll. Sertorio (^aattromani a Giovanni Maria Bernardo. — Cosenza. Con la signora Margherita [Sarrocchi] trovai alcuni letterati che di- scorrevano di molte cose, e fra gli altri ve ne fu uno che ebbe a dirmi che volea farmi udire la più nobil cosa che fosse mai udita da orecchio mortale; e prima che io gli rispondessi cosa ninna, cominciò a recitarmi questi versi del signor Torquato Tasso, che sono al diciottesimo canto della sua Gerusalemme, dove ragiona della cintura di Armida (1): DII. — Cod. Vaticano— Regina 1603: Lettere del Quattromam. (1) Sono invece al XVI. st. 24-25. - 442 — Ma bel sopra ogni fregio il cinto mostra Che nò pur nuda lia di lasciar costume. Die corpo a chi non l'ebbe; e quando il fece, Severi (1) sdegni, placide e tranquille Kepulse, e cari vezzi e dolci paci Sorrisi, parolette (2), e dolci stillo Di pianto, sospir tronchi e molli baci : Fuse tai cose tutte, e poscia unille Ed al foco temprò di lente faci: E ne formò quel sì mirabil cinto Di ch'ella aveva il bel fianco succinto. Intesi i versi e risposegli che io non avea udito concetto più strano di questo, perchè la poesia ama il credibile e il verosimile, e questa cosa è non credibile insieme e lontana d'ogni verisimile. E che il Tasso in ciò merita più tosto biasimo che loda, e che non ha bene imitato Omero. Perchè Omero dice ciie nel cinto di Venere vi era l'amore, il desiderio, l'eloquenza e gli allettamenti e gli inganni che involano il sentimento eziandio ai prudenti. Ma il Tasso dice che tutte queste cose che non hanno in sé senso, furono fuse e unite, e che se ne fece una cintura, o cintola a monna Armida: il che è tanto impossibile, che nulla più. Né mi si alleghi quello che dice Plauto: Monstrum ex variis sycopliantis conflatum, o quel che dice M.' Tullio di Catilina: Neque ego unquam fuisse tale monstrum in ferris ullum puto, tam ex con- irariis diversisque inter se pugnantihus naturae stiidiis cupiditatibusque con fiat u7n{o); perciò che l'uno e l'altro il sentì in sé stesso, e i lettori il ricevono volentieri, e può l'uomo dire una cosa impossibile o per iperbole o per soprabbondanza di affetto nei primi impeti ; ma non può ciò dirsi cosi vero da animo ozioso, e che non sente in sé quel che egli intenda di far credere ad altri (1) La volg. : Teucri (2) La volg.: Sorrise parolette . . (?j) Orat. prò Cnelìo. § 5 in fine. AGGIUNTA ALIA l'AUTE PKIMA LETTERE DI TORQUATO TASSO KITROVATK KIKAMK LA STAMPA XXIII bis. A Parlai ieri con un cugino di Vostra Signoria, figliuolo del signor Conte Antonio Bevilacqua, in quel modo che da lui Vostra Signoria potrà intendere: e certo molto mi rincrebbe d'avere occasione di cosi ragionargli, perchè tanto rispetto debbo portar a quel Cavaliere, per rispetto della signora sua madre, e del signor Conte Palla (1), e degli altri co' quali ha parentado, quanto ne porterei al signor Conte Antonio per rispetto della illustrissima Signora, vostra madre sorella (2), se non fosse che la necessità mi sforza a così ragionare. Vostra Signoria sa che l'opinione ch'io ebbi di quel (3) son precipitato in molte mi- serie, e perchè Vostra Signoria insieme col signor Ippolito e col Conte Antonio partirono da Sua Altezza eletti a provvederci, se la mia opi- nione non è ne fu falsa, posso affermar ch'essi siano stati cagione della mia ruina (4), e mi pare ch'in coscienza ed al giudizio d'Iddio e degli uomini siano obbligati a molto, per (5) de' miei danni, e quando altro non dovessero, o non potessero fare, dovrebbono almeno adoprarsi per trarmi di prigione, perchè le provisioni ch'io addi mando in questo caso son si facili, che non veggo cagione perchè il signor suo padre non debba con ogni sollecitudine procurar ch'io rimanga sodisfatto. In quel poi che appartiene al rimanente, ricordo a Sua Signoria la sua fortuna e la mia, e come alla mia condizione mancano molte cose che colui abbia tutto (0). Ed a Vostra Signoria bacio le mani. Di Ferrara il IR di Gennaio 1581 (7). XXIII 6/v. — R. Biblioteca Estense; cod. II. F. 18, e. 131. \l) Palla Strozzi, cameriere seiy^reto di Alfonso II. (2) Non si sa che cosa il T. intendesse: o madre o sorella. (3) Non si legge una parola. (4) Segue una cassatura sotto cui par si leggesse : e se non credono. (5) Seguono forse due parole indecifrabili; la seconda parrebbe: loro. (6) Quest'ultima frase non è chiara. (7) Essendo nell'originale una cassatura sull'ultima cifri non può esser certa la lezione, ma credo debba essere proprio 1581. — 144 XXX IX /'/.-. .1 Luca Scalahrini. — Ferrara. Supplicai l'altro giorno il serenissimo signor Duca di Ferrara, che mi tacesse grazia di molte cose, e particolarmente di rendermi le mie robbe, le quali fosser consegnate a Don Giovan Battista ed a voi : né debbo dubitar da Sua Altezza la grazia ch'ò molto piccola a la sua clemenza ed a la mia calamità. Però vi piaccia di parlarne al signor Crispo ed al signor colendissimo. Ora vi mando per Don Giovan Bat- tista Licino cinque lettere d'opposizioni e di risposte, le quali vorrei ohe si stampassero con l'Apologia. Non vogliate vi prego mancarmi de la vostra promessa: e questo vi scrivo non per dubbio ch'io vi abbia, ma per desiderio d'un altro anello. Serbate- per l'ultimo foglio la dedi- cazione (1), ed amatemi. Di S. Anna il VII Maggio del 1585. Poscritta. — Mio nepote vorrebbe una berretta : fate che la sia fatta, che de l'altro anello parlerò poi. XLI his. A G. B. Licino. — Bergamo. Nel foglio giunto temo che vi sia corso un errore di penna, ma non sono ben sicuro: comunque sia avvertite che si legga così, e che non esca altrimenti: « Se la felicità è premio, l'infelicità è pena; ma la '< felicità è premio intrinseco de la virtìi j dunque l'infelicità è pena « interiore del vizio ». E mi vi raccomando. Di S. Anna il XXVI [Novembre 1585]. 0 his. Agli Ambasciatori straordinari di Venezia a lìoma. Torquato Tasso desideroso di dare alle stampe la sua Gerusalemme., da lui tutta mutata e tanto accresciuta, ch'ella è ridotta al numero di XXIIII canti: per non allontanarsi dalla servitù dell'Ili'""' signor Cinzio Aldobrandini, nepote di Nostro Signore, da cui egli viene trattenuto onoratissimamente, e per poter assister in persona a fatica che tanto XXXIX 6ts. — Coraonale di Ferrara; Autogr. in vetrina. ''1) L'autografo ha l'abbreviazione : ded.'*^. XLI few. — BibL Comunale di Ferrara; Autogr. in vetrina. C bis. — Arch. di Stato di Venezia; Dispacci da Koma; f.» 80. — 415 — importa alla propria riputazione, è costretto di farlo in Roma. Ma te- mendo che il libro «rli possa esser incontinente ristampato a Venezia, con perdita di quell'utile che il suo padrone, il (|uale farìi la spesa dell'impressione, intende che sia tutto il suo, vorrebbe assicurarsene con un privilegio della Serenissima Signoria, che per dieci anni proibisse in quella città, e in tutti i luoghi del suo felicissimo stato, lo stam- parlo senza espressa licenza dell'autore, non ostante qual si voglia pub- blica constituzione contraria, nò alcuna privata facoltà di quei librari 0 stampatori: alle quali per questa volta sia derogato, come s'è fatto altre volte, e particolarmente in occasione del Decamerone del Boccaccio, riformato dal Cav. Leonardo Salviati, e del Fido Amante del sig. Curzio Gonzaga: la prima a contemplazione dell'Ecc"" sig. Duca di Sora, eia seconda in favore del sig. Curzio istesso. Della qual grazia il medesimo signor Cintio, che non cede a veruno dei detti Signori d'affezione verso quella eccelsa Repubblica, nò di volontà di servirle, sentirà obbligo infinito a Sua Sublimità ed alle Signorie Vostre lll.'"° ed Ecc."®, con desiderio di poterne loro sempre in universale ed in particolare mostrare ogni maggior gratitudine. E '1 Signor Iddio conservi e prosperi il lor Serenissimo Dominio (1). [Roma, Novembre 1592] (2). CII16/^■. A (1). Nell'amicizia non si può far dono maggiore che l'amicizia istessa: però non volendo riserbare a me stesso alcuna parte di me de la quale Vostra Signoria non possa disporre, ho voluto donarle e quasi consa- crarle questa quasi immagine de l'amicizia espressa col mio stile, qua- lunque egli sia, ma assai simile a quella nobilissima forma che ne (1) La firma è cosi: « Dì Torquato Tasso raccomandato dall' IH."' ^/ C'inthio Aldobrandini ». (2) È allegata alla seguente lettera di Paolo Paruta al dogo Pasquale Cicogna: « Dal signor Cintù», nipote di Sua Santità, mi sono stati mandati li due inclusi € memoriali, perchè li invii a Vostra Serenità, avendo delle medesime cose parlato « alli 111.°' Signori Ambasciatori Straordinari, mentre si trovavano qui, perchè le « rappresentassero il suo desiderio intorno a quanto in essi si contiene < Di Eoma, alli 7 di Novembre lò92 ». CHI hU. — Autografo in vetrina a S. Onofrio nella celia abitata dal Tasso, e copia su un quadro appeso alla parete. (1) Certamente al M.*'= Giovan Battista Manso dal cui nome intitolava il dialogo deW Amicizia, mandatogli con lettera del 9 Marzo 1593 (cfr. Lettere, V, n." 1448). Questa è forse la dedicatoria. - 446 - avea concoputa ne l'ani mo. La prego dunque non voglia disprezzare quel che io posso offerirlo, che se '1 dono fusse più utile al donatore che al ricevitore, V. S. vorrà ricevere non che dissimulare la sua liheralità e cortesia, con la quale non suol ricusare .l'incoramodo che porta seco l'amicizia degli uomini ed anche l'occasione de la fortuna, e da lei persegua la (1). Vorrà dunque Vostra Signoria gentilissima e ve- neralissima hen prendere in grado quel ch'io le mando, io, se non libe- rale almeno non inutile nel donarle. Laonde vorrei con questo dono giovare non solamente al signor Giovanbattista, ma a tutti quei prin- cipi e cavalieri co' quali potrà esser fatto comune. Rimetto pure al suo arbitrio o il ristringere il dono e l'amicizia tra' pochi , come è parer d'Aristotile, o il farne parte a molti, come fu l'opinione di Plutarco, acciocché ninna cosa manchi alla sua virtù ed alla felicità generale, benché molto potesse mancare all'altrui promesse o alle mie medesime speranze. [Di Koma, 1593]. CVIII bis. A (1). — Ferrara. Non manderò mai sonetto mio alcuno a Vostra Signoria (2), che non l'accompagni con alcun mio prego e ricordo. La prego a far ufficio tal con Sua Altezza ch'io e della clemenza e cortesia di Vostra Signoria debbo rimanere altrettanto soddisfatto quanto sono pentito e compunto d'ogni mia colpa; e le ricordo il mio passato stato e la mia presente infelicità, e sopratutto le parole che in nome di Vostra Signoria mi fur dette, ch'io avrei grazia da Sua Altezza, la quale non posso aspet- tare se non degna della sua grandezza e della mia fede. CIX. A Cesare Trotti. — Ferrara. Prego Vostra Signoria a ricordare particolarmente a Sua Altezza la grazia de' libri e delle scritture mie, e dell'altre mie povere robicciuole, la quale confirmatami in ogni tempo ed in ogni luogo, mi sarà caris- (1) È logora la carta e non si legge. CVIII 6i8. — Univ."» di Bijlogna, Ms. 1072, Caps. XII. n.» Ili, e. 105. (1) Forse a Cesare Trotti, come la seguente: nel ins. sono unite. (2) Precedo il sonetto: Di mia favola lunga il filo incerto. CIX. — Bill. Univ.'" di Bologna, Ms. 1072, Caps. XII, n." Ili, e. 105 v. — 447 sima, ma particolarmente qui sarebbe d'alcuna consolazione, se bene mi giova di sperare che questa (1) non debba essere mia stanza né perpetua, né lungra. CIX bis. Lettera scritta a nome hel Prin'cipe di Conca. È piaciuto al Siua solita malattia nel cervello Di Ferrara, il primo di Settembre 1578. CXXVI ■'. Vincenzo Gonzaga Principe di Mantova a Scipione Gonzaga. — TIoììui. Dal signor Ercole dall'Armi ho avuto li cinque canti del poema del Tasso mandatimi da Vostra Signoria, quali letto ch'io avrò, farò conse- gnare 0 inviare dove ed a chi le piacerà, come farò anco dell'altro se il signor Ferrante, suo fratello, me lo farà avere. Fra tanto promettasi da me tutto ciò che io vaglio, perchè dagli effetti conoscerà ch'io l'amo molto. Nostro Signore Dio la feliciti. Di Mantova, il primo Agosto 1578. CXXXIV bis. Vincenzo Gonzaga Principe di 3fa?ilova al Conte Ercole Tassoni. — Ferrara. Io desidero, come sa Vostra Signoria, il poema del Tasso, per passare la noia del caldo di quest'estate col leggerlo: però ricercai Vostra Si- gnoria che pregasse il signor Duca di Ferrara a farmene grazia, e ne ebbi risposta conforme al desiderio mio. Ma non l'avendo ancora avuto, con l'occasione del Mandello, che se ne viene costì, ricordo a Vostra Signoria di farne di nuovo motto al signor Duca suo, quale restando servito che io l'abbia, potrà farlo consegnare al suddetto gentiluomo, che me lo porterà fedelmente. Nò essendo questa per altro finisco con offerirmele di cuore. Di Porto, a' 9 di Luglio 1579. CXXVI '. — R. Archìvio di Stato di Firenze; Riformagioni; Filza medicea 2896. — Tra le lettere di Bernardo Canigiani se ne trovano alcune di Lorenzo, suo tiglio, che resse per alcun tempo l'ambasciata durante una gita in Baviera e negli ultimi mesi della permanenza di Bernardo a Ferrara. CXXVI ^. — Archivio Gonzaga; Copialettere del Principe Vincenzo, libro n.» 383. CXXXIV bis. — Archivio Gonzaga; Copialettere del Principe Vincenzo, libro n.'SSS. — 452 CXXXIX bis. Diomede Borghesi a Marcello Donati. — Mantova. Minulo a Vostra Signoria riiltinio canto del poema del Tasso, nel quale sono sedici stanze clie non si trovano in quello del serenissimo Principe. Sono nella fine del canto Di casa, a dì xxj d'ottobre 1580. CXLVI bis. Febo Bornia a Francesco I de' Medici Granduca di Toscana. — Firenze. Corre l'anno che in Venezia fu stampato il Goffredo del signor Tor- quato Tasso, dift'ettosissimo da ogni parte in sé stesso, ed ora essendo pur anco stato dall'opera d'un medesimo curatore ristampato e in Parma e in Casalmaggiore, se bene assai più copioso e corretto, non però alla sua vera e perfetta lezione ridotto, io mi sono posto in cuore di voler rimediare, con la comodità che m'ha data dipoi il signor Tasso delle sue scritture, alla riputazione d'un cosi degno componimento. E dopo una lunga mia fatica, avendolo ridotto in quello stato, che l'autor suo lo lasciò prima che gli sorvenissero i fortunosi suoi accidenti, ho riso- luto di darlo a leggere nelle stampe in tale maniera. E perchè io ho ritrovato che V. A. Serenissima per altro tempo onorò questo poema d'un amplissimo suo privilegio, io, poiché il signor Tasso non è in termine di godere della sua grazia, non ricercando che a quanto Ella già restò servita di concedergli sia derogato per tempo alcuno, supplico l'A. V. S,""* che voglia degnarmi della grazia medesima, affine che altri che io non possa far stampare nel felicissimo suo dominio, o stam- pato altrove, che da me venderlo: come ha già fatto Sua Beatitudine per tutto Io stato suo, il Ser."° signor Duca di Ferrara, e come me lo promettono i Seggi di Napoli, i Senatori di Milano, e l'EcC"" signor Duca d'Urbino. E tanto addimando a V. A. Ser."^ per grazia singolare. [1581] (1). CXXXIX bis. — Archivio Gonzaga. — Bertolotti A., Varietà archivistiche e hihhofjrafiche nel Bibliofilo, An. IX (1888), n." 12, p. 182. CXLVI bis. — R. Archivio di Stato di Firenze; Carteggio universale di Fran- cesco I; f.» 746, n.o 161. (1) E dojjo una del 6 aprilo e priiia di un'altra del 18 aprile. — 45:^ - CXLIX his. Orazio Urbani a Francesco I de Medici (han Duca di Toscana. — Firenze. Il signor Duca h;i avuto questa settimana vari avvisi della venuta del siffnor t'ardinale Farnese S' intende ancora che l'inten- zione di Sua Sij^jnoria Illustrissima, arrivando qui il giorno sopradetto è di partire per il sabato 11 tenendo la strada di Loreto. Ma il signor Duca farù, ogni sforzo perdio deferisca due giorni da vantaggio, e la domenica vegga una pastorale del Tasso, che si prepara con poca ma- nifattura, dovendosi recitare alla Montagnola di giorno, in uno di quei boschetti, che servirà per scena e per teatro. Si dice che insieme con 'S. S. HI.'"* vengano qua i signori Principe di Mantova e Ranuccio di Panna Si trovano qua il signor Scipion Gonzaga ed il Conte Alfonso da Xuvolara che dicono esser venuti per far riverenza al signor Cardinale Di Ferrara, li 22 di Maircfio 15S1. r>r>' CLXVII his. Il Prevosto Trotti al Cardinale Luigi d'Este. — Roma. La serenissima Duchessa d'Urbino mi ha detto avere uno sonetto fatto dal Tasso sopra la signora Machiavella, qual a suo gusto è bel- lissimo, ed ha data licenza che lo possa vedere. S'io lo posso avere in tempo lo manderò per questo ordinario, se non, sarà per l'altro Di Ferrara, alli 19 Novembre 1582. CLXXl bis. Vincenzo Gonzaga Principe di 3Iantova a Scipione Gonzaga. — Poma. lo vedo sempre volentieri i frutti dell'intelletto di M. Torquato Tasso, come di persona amata molto da me per la felicità del suo mirabile ingegno, e perchè piglio infinito gusto delle sue composizioni, come ho fatto di presente della lezione del Messaggiero, suo dialogo, e manda- tomi da Vostra Signoria. 11 quale, sebbene ancor che sotto altra forma era prima capitato in mia mano, mi è stato nondimeno gratissimo l'a- CXLIX bis. — R. Archivio di Stato di Firenze; Riformagioni ; Filza irtedicea 2900. CLXVII bia. — R. Archivio di Stato di Modena; Cancell. Ducale; Particolari. CLXXI bis. — Archivio Gonzaga; Copialett'/re del Principe Vincenzo, lihro n." 388. — 4M — verlo dall'autore medesimo, col mezzo della persona di Vostra Signoria, tanto stimata da me, quanto si conviene alli molti suoi meriti ed alla parentela nostra. Per i quali rispetti mi sarà sempre gratissima ogni occasione che mi si presenti di poterli far servizio; come anco non lascierò di mostrare al Tasso segni della gratitudine dell'animo mio, e della conoscenza che ho del valor suo : quale se non fosse oscurato dalla disgrazia dell'infenuità di lui, penserei a cosa che tornerebbe molto a beneficio suo, a soddisfazione mia, ed a piacere di Vostra Signoria. Alla quale con tutt ) il cuore mi raccomando pregandole da Dio ciò che ella desidera. Di Marmirolo, li 23 di Dicembre 1583. CLXXI ter. Scipione Gonzaga a Vincenzo Gonzaga Frincipe di Mantova. — Mantova. Dalla benignissima e libéralissima natura di Vostra Altezza non po- teva io aspettar altro, se non che Ella e da me accettasse in buona parte l'ufficio fatto d'inviarle il Dialogo del Tasso, e di lui non sola- mente gradisse l'atfetto, ma ancora pensasse di riconoscer la fatica con alcun atto degno della grandezza sua. Dell'una e dell'altra cosa io le bacio con ogni riverenza le mani, dolendomi che l'infermità di lui teglia a Vostra Altezza il poter dare anco segno maggiore al mondo della sua generosità e della stima in che ella tiene gl'ingegni virtuosi; ma sì come io non dubito che manchi a lei , essendo Principe così grande, occasione di mostrare la bellezza dell'animo suo, così piaccia alla bontà di Dio di render a lui la sanità, acciocché con suo benefìcio egli possa esser istrumento delle glorie di lei. Con che raccomandandomi umilis- simamente nella buona gratià di Vostra Altezza, le prego ogni desiderata felicità. Di Roma, l'ultimo del 1583. CLXXXVl bis. Ercole Zinzani, Governatore della Garfagnana, a G. B. Laderchi, Segretario ducale. — Ferrara. Conforme a quanto mi ha ordinato V. S. molto 111.''" in nome di Sua Altezza con sue lettere dei 27 del passato, non ho mancato vedere se tra questo popolo si potevano trovare tre fanciulli ed un uomo della CLXXI t€r. — Archivila Gonzaga; Corrispondenza da Roma; E. XXV, busta 932. CLXXXVl bis. — K. Archivio di Stato di Modena; Arch. ducale segreto; Casa; Drammatica. — 455 — qualità che in dette lettere si contiene, per esser atti da recitare in scene; ed ho, fra <*;][ altri, trovati tre fanciulli di l(') o 17 anni d'assai bel viso e buon garbo. E sebbene non hanno piìi recitato altra volta, nondimeno credo ciie riusciranno assai bene, e saranno atti a tare la parte di Ninfa, come mi scrive: poiché nella Pastorale del Tasso, che feci mettere all'ordine l'anno passato per farla recitare, sebbene l'occa- sione de' rumori cnn i Lucchesi l'impedì, li detti fanciulli, nel pro- vare ch'ella si fece molte volte, riuscivano benissimo, (guanto poi al- l'uomo d'et;\, di buona presenza, che abbia buona voce e lingua, e sappia recitare, (jua non è alcuno che sia meglio e tanto buono, come è messer Baldassarre Mentessi, quale credo che V. S. lo conosca, e ha tutte le qualità ch'ella mi scrive, se il non esser molto grande non disdice. Ma in simile esercizio, qua ò tenuto molto idoneo, e ((uasi raro, e senza altro riuscirà benissimo. Ed ho detto si ad esso, come ai fanciulli, che stiano in pronto per venirsene a Ferrara se saranno richiesti, siccome faranno tutta volta che Sua Altezza si compiaccerà di comandare che vengano. E se fra tanto le paresse bene che s'avessero qua da esercitare, potrà avvisarmene, che non mancherò sì in questo, come in ogni altra cosa che concerni il servizio di Sua Altezza, e di V. S. molto illustre particolarmente, d'obbedirla. Alla quale frattanto bacio le mani, e resto servitore al solito, pregandole da Nostro Signore ogni prosperità. Di Oastelnuovo di Garfagnana il dì 4 di Dicembre 1584 (1). CXCI his. Don Angelo Grillo a Marcello Donati. — Mantova. 11 signor Tasso mi fa grandissima instanza ch'io debba ricu[> Settembre 1585). OCXLIX bis. U Inquisitore di Aìesmndria ni Duca di Terranova Governatore di Milano. In esecuzione di quanto Sua Eccellenza fu servita commettermi per una sua delli 4 del presente, ho riveduto con quella maggior diligenza che ho saputo il libro di Gierusalera liberata, tradotto dal signor Giovan Sedeno di lingua italiana in castigliana (1); e con il poco giudizio mio non gli ho ritrovato cosa per cui non si possa meritamente stampare e insieme esser favorito col privilegio ricerco da Sua Maestà Cattolica, avendone anco di ciò partecipato ed al lungo ragionatone col signor Governatore di cotesta città (2). E con questo pregando il Signore per conservazione di Sua Eccellenza farò fine. Di Alessandria, alli 21 di Aprile 1586. , CCLXVIl his. Don Angelo Grillo a Bernardo Castello. Sacrificate a Vulcano i miei sonetti, or che il valor vostro ha consa- crato al tempio dell'eterna fama altra tromba, che non è la mia, la CCXLIX bis. — R. Archivio di Stato di Milano; Autografi: Tasso. (1) La traduzione del Sedeno, comparve l'anno appresso col titolo: JerusaUm libertada, poema heroyco de Torquato Tasso. Al Serenissimo Senor Carlo Ema- nuel fluque de Saboya. Traduzido al sentido de lenr/ua toscana en castellana por ■Tuan Sedeno, castellano de la ciudadela de Alexandria de la Palla. Con los ar- gnmentos al principio de cada canto, y las allegorias al fin de todos los cantos. En Madrid, por Fedro Madrigal, 1587. A costa de Estevan y Francisco Bogia; in-8. È la prima traduzione spagnuola del poema. (2) Il governatore -pure scriveva: « In execucion de lo que V. Ex.* me ordeno « por una su carta de 4 deste que comunicando con migo el ynquisidor desta « ciudad lo que le parescia del libro que a traducldo en octava rima .Juan Sedeno « yntitulado Jherusalem liberata, avisase si es catholico y si se puede dexar stamiiar, « digo que se a visto y examinado con la diligencia que conviene, y que puede « V. Ex.* siendo servido mandar se stampe conforme a la orden de su M.d por que « en el no ay cosa prohibida. Guarde nostro S.'' y acrescece la 111."* y ex.™* persona « de V. Ex.*. — De Alexandria, 22 de Abril 1-586 ». CCLXVIl bis. — R. Soi'KAN], Le Vite de' pittori, scultori e architetti genovesi, Genova 1674; Vita di Bern. Castello, p. 118. — L'cd. dice di trarre questa lettera dall'originale. /I — 459 - quale a comparazioni' di (jiiolla del Tasso ò più presto umile avena, che tromba o lira. Volgete il foglio e vedrete il sonetto (1), ciregli lia dettato in lode vostra, come buon conoscitore de' meriti vostri, e del- l'affetto che vi ha spinto a figurare il suo miracoloso poema Di Ferrara [158(3]. COCXXVlll his. IÌ''n>iirdo Castello a Francesco J)e Ferrari. \f)rflicnt(iria\. Testo elio fu eon tanto apjilauso di tutta Italia, mandata in luce la Gerusalemme Liberata del Sig. Torquato Tasso, mi posi ancor io con avidità grandissima a leggerla, sentendone quel diletto, che da lezion poetica mai provassi a' miei giorni maggiore; e certamente che dove la condizione mia l'acconsentisse, non avrebbe questo poema ad invidiar gli onori di Alessandro all'opere di Omero; ma da che a me non 6 dato ornarlo d'oro e di gemme, si mi proposi almeno dargli quei fregi, che dalla professione mia del disegno, venir potessero, facendovi le fi gure, clie per ciascun canto rappresentassero quello che in essi è con- tenuto; e palesato questo mio pensiero al molto Rever. S. D. Angelo Grillo, mi fu ciò da lui sommamente lodato: e come ch'egli è amicis- simo del signor Tasso, fece questa mia intenzione ad esso sapere: ond'egli per sue lettere prima, e di presenza poi, quando in Ferrara il visitai, mi dimostrò doverlo avere sommamente a caro, usando meco parole di vera gentilezza, con farmi oltre ciò molt'altri segnalati favori : sì che dove prima, una pura affezione mi aveva a così fatta impresa sola- mente spinto, un non ingrato obligo poi non meno mi v'astrinse. Po- stomi dunque a tirare innanzi le proposte figure, con quella diligenza ohe fu appo me possibile, diedi loro assai tosto compimento; e nel me- desimo tempo per mia buona sorte avvenne, che il Mag. Sig. Giulio Guastavini avesse intorno allo stesso poema fatte alcune annotazioni le quali pensava di mandar in luce: perciocché con non picciolo accre- scimento ed ornamento del libro, affin di giovare e dilettar non poco gli studiosi di poesia, fu deliberato di stampar l'una cosa e l'altra (1) È quello, promesso poi alla edizione della Gerusalemme di Genova, 1590, illustrata dal Castello : Fiumi, mari, montagne e piagge apriche. CCCXXVIII bis. — La Gerusalemme Liberata di ToRt^UATO Tasso con le fìf/ure di Bernardo Castelli, e le Annotazioni di Scipio Gentili e di Giuli') Guastavini. In Genova MDLXXXX, in 4 •I()(1 — ingioino; uè lustamloci (jiu'sio, come elio non si possa sì fatto poema quanto e' merita, adornare, volemmo anco agi^iungerci l'annotazioni del Signor Scipio Gentili, le quali stampate nell'ultime parti del mondo (1), non apparivano quasi tra noi Di «Innova, a' 25 d'Aprile 1590. CCCXXXll bis. Monsigììor Matteo Brumani a Tullio Petrozani. — Mantova. 11 signor Torquato Tasso scrive l'inclusa a Sua Altezza, dalla quale desidera per pietà elemosina di scudi otto al mese da pagare dozzina in camera locanda, poiché non ha altro tugurio: ed in vero cavalca tanto e suona di lira, che la gran pazienza del Cardinale Scipione non ha potuto più, né altri lo vogliono in casa, né egli si sa risolvere venir a Mantova a goder dell'infinita benignità di Sua Altezza. Se Vostra Signoria giudica bene dirmi due parole di questo semi uomo mi sarà grato per levarmelo dalle spalle Di Roma, li 13 Ottobre 1590. CCCXLl bis. Federico Cattaneo Primicerio di S. Andrea a Monsignor Pomponazzi. — Venezia. Si risolve Sua Altezza di far stampar qui da Francesco Osanna le nuove opere del Tasso, che sono quasi tutti sonetti-, ma perché vien ricercata di favore da detto stampator per. ottenere privilegi da cotesto serenissimo dominio, che per dieci anni non possi esser ristampate dette opere da altri ne' suoi stati. Vostra Signoria vedrà di impetrar la grazia per il suddetto, acciochè il poveruomo possa smaltir le sue Di Mantova, il 22 di Maggio 1591. GCCXLI ter. Federico Cattaneo a Monsignor Pomponazzi. — Venezia. Per conto del privilegio dell'Osanna non si affatichi Vostra Signoria, se ben quanto all'opera credo non vi saria difficoltà, essendo l'autore (1) S. Gentili, AnnoU/zioni sopra la Gerumlemme Liberata di T. Tasso, In I>eifja. 1586, in-8. CCCXXXll bis. — Archivio Gonzaga; Corrispondenza da Roma, E. XXV, busta n" 952, CCCXLl W?. — Archivio Gonzaga; Busta n.^2655, f.» IL Cfr.qui n.' CCCXL-CCCXLL CCCXLUer. — Archivio Gonzaga; Busta 265',, f.' IL — 461 — il Tasso, a favore di die si saria itotuto ricercare il jiriviletjio sotto iì suo nome Di Mantova, il J^ di .Magi,M0 l.'.'.'l. CCCXLVI bis. A' hoìùfnì Lettori, Fnuiccsco Osanna. [Fre fazione]. Le riìiie e composizioni del signor Torquato Tasso sin ora sono state lette da gli amici de la poesia e de la novità, ora, rh'egli medesima- mente l'ha raccolte, ordinate ed accresciute, dopo molti anni che sono andate con molta confusione e con poco ornamento per le mani degli uomini, desidera che sian rilette da gli amici suoi: a' quali dovrebbono piacere non .solamente le cose nuove, ma le vecchie ancora, come è l'amicizia: perchè l'antichità non gli toglie grazia, ma aggiunge perfe zione. E veramente si possono lodare in questo primo libro de' quattro delle sue Kime, l'ordine, la scelta, le correzioni, e le annotazioni fatte in infiniti luoghi: si che parer possino non solo riformate ma jiiù tosto nuove. Là onde egli vi prega, che non vogliate esser nimici del suo giudicio, 0 ingrati alle sue fatiche, con le quali pensò sempre di gio- vare al mondo, non meno che di piacere. Però avendo osservato in Plutarco il modo, co '1 quale deono esser letti i poeti, ha aggiunta la sposizione alle sue Kime, quasi antidoto nel pericolo del veleno amoroso, 0 più tosto indizio, col quale da' giovani lettori si potranno conoscere le cose salutifere dalle piacevoli. Nondimeno il poeta scrive ancora a' più maturi giudicii. E vecchio ancora è l'artifìcio, co '1 (piale ha scritte molte nuove composizioni, ad imitazione di Pindaro, d'Anacreonte, di Teocrito, di Catullo, di Tibullo e d'Orazio, non solamente di Dante e del Petrarca. Piacciavi dunque di considerarlo, e d'estimar con benigno giudicio e con animo cortese le sue fiitiche-, acciò ch'egli conosca da questo primo libro, quanto vi debbono esser care l'altre sue molte e varie composizioni, con le quali non ha cercato alcuna propria riputa- zione, scompagnata dal piacere o dal giovamento universale. [1591]. CCCXLVI bii. — Tasso T., Rime, Parte Prima, Mantova, Osanna, 1591, e. 6-7 n. n. — CtV. Serassi, Oy;. ctt., voi. II, p. 264, ove dice: € Xè nien bella e giudiziosa è < altresì la lettera clie va sotto il nome dello stampatore, ma che si conosce essere « assolatamente fattura del Tasso », ecc. Per questo sospetto \'h> qui riprodotta, non essendo stata mai più accolta in nessuna altra edizione. Cfr. pure Tasso T., Lettere; voi. V, p. 46-7, n. 2. — 462 — C'CCXLVl ter. Lei ia Arri vahcnc{\) a Vincenzo Gonzaga Duca di Mantova. — Mantova. Essendo ito il Tasso a Napoli molti dì sono, gli ho scritto, invitandolo a venir a Mantova Koma, 15 Febbraio 1592. CCOLXIII bis. G. B. Marino a G. B. Manso, Marchese di Villa. 11 Dialogo del Tasso è ancora in mio potere, che per la stessa ca- gione della mia assenza non se ne ha potuto far nulla: oltre di ciò è venuto di nuovo un ordine di Monsignore (1), che gli originali restino dopo l'impressione in mano dello stampatore, e perchè so quanto ella sia zelante di questa copia è necessario che io la trascriva, il che a punto sto facendo (2) [1594]. CCCLXIII ter. G. B. Manno a G. B. Manso, Marchese di Villa. 11 Dialogo del Tasso sarebbe già da due mesi sono, uscito alle stampe, ma il signor Orazio D'Afeltro mi disse, che esso autore aveva inten- zione di aggiungervi dentro un non so che, e pregommi strettamente che io dovessi trattener l'impressione, tanto più che V. S. 111."'-'' non ne correva tanta fretta. Potrà ella per farmi grazia scrivere a lui in CCCXLVI ter. — Archivio Gonzaga, Roma, E. XXV. 3. (1) Ambasciatore del Gonzaga a Roma. CCCLXIII bis. — Marino 6. B., Lettere gravi, arf/ute, facete e piacevoli, Venezia, Babà, 1627, p, 78. (1) Probabilmente colui che aveva conceduto Vimprimalur. (2) Nell'epistolario citato del Marino si trovano altri tratti di lettere al Manso precedenti a questo: «... e quando le fosse comodo mandarmi quel Dialogo del « Tasso, di che in Napoli mi parlò, avrei più buona occasione di mandarlo alle < stampe » (p, 77) — «... Parlai col signor Orazio D'Afeltro, consegnandoli la < lettera, e mi disse che egli non aveva in suo potere il Dialogo del Tasso, ma < che vedrebbe di riaverlo » (p. 75) — «... Il Dialogo del Tasso già tengo per « ricevuto percioc (p. 81). CCCLXIII ter. - Mari.no G. B., Op. cit., pi>. 82-3. — 463 - particolare una lettera, iterchè solleciti a spedire (jiiesto negozio, ovvero m'avvisi di (luel che io ne dehha fare. Hoiino anche parlato con lo stesso signor Toniuato, a cui dicendo io che ero p»'r mandar Inori questa sua opera per ordine di V. S. 111."'-', mostrò d'averne sommo piacere, pro- mettendomi di risolversi quanto prima, e mi disse che desiderava la stampa del libro, non in dodici, come noi avevamo disegnato, ma in quarto foglio, conforme ad alcune altre sue cose, le quali in breve compari- ranno alla luce; onde molto mi maraviglio, come egli nidla sua lettera non abbi questo fatto acceumito l'I > [1594]. CCCLX\'lll bis. Arriso (hi J Ionia. Di IJoma li S di Aprilo l.')!».'). 11 Signor Torquato Tasso ha dato una pianellata solennissima al medico (1) che gli toccava il polso, e si è fatto promettere che mai più lo visitarla: e dicendo che medicano a caso, costrinse il suo servitore a pigliar la medicina ordinata per lui; cosa invero da registrare per si- gillo delle sue follie CCCLXXil bis. Avviso da llonia. Da Roma li 29 Aprile 1595. Mori il Tasso a S. Onofrio dove era andato a mutar aria, e fu con (1) Il Marino poco di poi scriveva al Manso: «... Per ora adunque basterà « dirle che il Dialogo del Tasso quanto prima sarà tirato » (p. 85) — «... Non « ho scritto perchè sperava mandare il Dialogo pel quale ho avute sollecitudini « dallo stosso Tasso ...» (p. 8G). — II Dialogo di cui qui si tratta è quel: Din- Iorio dell'Imprese, del Signor Torquato Tasso. Airiììustrissimo e reverendissimo Signor Cardinale San Giorgio. In Napoli, ad instanzia «li Paolo Venturini, in-4; e in fine: In Napoli, nella stamperia dello Stigliola, a Porta Regale, 1594. — Le aìlre cose che dovevano pur allora comparire alla luco, in-4, sono : I discorsi del Poema eroico del signor Tori^vato Tasso. AirUlustriisimo e reverendissimo signor Cardinale Aldobrandino. Nella stamporia ilello Stigliola. In Napoli, ad instanzia di Paolo Venturini, 1594, in 4. Cfr. Serassi, Op. ciL; voi. II, p. 432. CCCLXVIII ò*s. — R. Archivio di Stato di Firenze; Avvisi da Roma 1580-99; f." 4027. — Martini F., La pazzia del Tasso nel Fanfulla, An. VIIT, n." 31, Roma, 1877. (1) Andrea Cesalpino, forse, archiatra pontoficio. CCCLXXII bis. — R. Archivio di Stato di Firenze. Avvisi da Roma 1580-99; f.« 4027. — 404 - onoratissinia pompa funebre levato girando per il Borgo fu ricondotto in detta Chiesa, acconi}>agnato particolarmente dalla corte di San Giorgio; il cui Cardinale lia lasciato erede di tutte le sue facoltà e in partico- lare della sua libraria dove dicono siano due opere finite, e massime il Gctiesis in ottava rima, che per esser cosa di gran maraviglia, si farà stampare. E per Koma si vedono molti ritratti che i pittori han fatto di lui come persona tanto singolare ed eccellentissima CCCLXXXVII his. Monsignor Germonio (1) a Carlo Emanuele I Duca di Savoia. Essendosi data fuori una orazione, la quale si doveva recitare nel funerale del Tasso (2), ed avendo veduto ch'in essa si faceva anco men- zione di S. A. Ser.™", appresso la quale si era anco alcune volte rico- vrato il detto Tasso, ho pensato di mandarne una copia, e che quando Vostra Altezza non abbi tanto ozio da poterla leggere, la potranno leg- gere i serenissimi Principi suoi figliuoli, i quali ne caveranno frutto e gusto, sì per esser molto elegante, si perchè da essa ricaveranno la vita di quel raro poeta Di Roma addì 29 Marzo 1597. CCCXCVl bis. Battista Guarini a Giulio Giordani. — Pesaro. Vostra Signoria dirà ch'io sono un indiscreto, e dirà il vero, avendo tardato tanto a darle risoluzione intorno a quel particolare che si ri- cerca da me per onorare il nome e la memoria del Tasso. Veramente io me n'era scordato. Intus existens prohibet extraneum; travagli, com'ella sa, non mi mancano. Ed ora che mi torna alla mente guardo la camera. E per non lasciar passare l'occasione dell'ordinario, ho eletto di farle con questa polizza manifesto quel che non posso fare, in luogo di quel tanto che vorrei poter fare per debito mio, così verso il soggetto, che merita infinitamente, come verso Vostra Si- CCCLXXXVII tis. — K. Archivio di Stato di Torino; Ministri ;i Eorna. (1) Era in Roma al servizio del Duca d'Urbino. (2) Dev'essere quella di Lelio Pellegri.no, In obiiu Torqiiati Tassi, Romae, apud G. Facciottum, 1597, in-4. CCCXCVI bis. — Da una copia inviata da Mons. Annibale abate Olivieri al Serassi, ora posseduta dal sig. Kavtdli di Bergamo. L'originale dovrebbe trovarsi airOliveriana. 4M5 — gnoria, alla ([iiale Oi^iii ras^'ioii vorrei)be, clic [liiiiui «-osa fosse da me negata. Ma io mi trovo aver negata la medesima opera a tanti pur assai principali amioi e signori miei, che non potrei prestarla per «-hi che sia senza troppo scojierta parzialità, e senza iii. CDXXXII bis. — Soprani K., Le vite dei pittori, scultori ed architetti f/enovesi, ecc., Genova 1674, p. 124 (Vita di Bernardo Castello). (1) Allude alla ristampa ilella Gerusalemme, Genova, Pavoni, 1617, dedicata a Carlo Emanuele Duca di Savoia; cfr. Guidi, Op. cit., pp. 19-20. &6LKRII, La fitti di T. Tatio, li. SO APPENDICE LETTERE DI VARI ERUDITI INTORNO A T. TASSO E ALLE SUE OPERE ^PPETs^DICE I. 1/ Abate Scalabiiui ni Duca 'li Modena. — Modeua. Il Sig. Ambasciatore di Spasrna ha fatto parlare il Tasso in Castigliano o mutata l'impresa di Gierusalemine in quella di Siviglia, e si eompiace assai di questo parto del suo ingegno. Dice che V. A. è nata d'una Principessa, ch'avea grande intelli- genza e gusto della liiisrua spagnucda, e ch'ella ancora dovrà dilettarsene. Io gli ho promes.'>o di far legar uno de' suoi libri e di man lari'» a V. A. e mi disobbligo ora della parola col soddisfare. .V suo tempo, con buona grazia di V. A., dirò a questo Signore che l'invenzione e la spiegiitura Lo sono mirabilmente piaciuti, e che m^ di all'autore le dovute lodi Di Venezia, li !'• Marzo 1653. II. .1/. .1. Fappa (i fi. Giacomo Tasso. — Berciamo. Non essendomi mai voluto cercar con |)renmra costi quelle due procure fatte in persona di Bernardo Tasso del cavalier Gio. lacomo, delle i|uali tante volte scrissi, ed avendo io letto nel 2" volume di Lettere di esso Bernardo, stampate in Venezia dal Giolito nell'anno 1560 ed a carte di esse 314, 15, 16, 17 e 18, ch'egli aveva un nipote chiamato Benedetto Spelimbergo, figlio di una sua sorella maritata nel Friuli, peBsai di poter per questa strada giunger, come feci, alla notizia del vero; perchè fatta far per mezzo di fedeli e virtuosi amici la dovuta diligenza, si trovò che di questa famiglia de' Spelimberghi, eh'è una delle nobili del Friuli, estinta di maschi nel passato contagio, vive oggi solo una gentildonna chiamata Bernardina, moglie del signor Carlo Paparotti, gentiluomo di Montefalcone nel Friuli, al quale essendo per rispetto della moglie passate tutte le scritture de' Spelimberghi, si fece istanza di quel che desiderava; ed esso, dopo aver lungamente ricercato, mandò corte- semente prima la copia autentica di due pubblici instrumenti che si conservano nella cancellaria di Montefalcone, e d'uno di essi v'è anco la copia pubblica in Venezia all'offizio ilei Proprio, e poi mandò l'albero della casa Spelimberga, avvisando che sua moglie, insieme con altre cose de' Spelimberghi, aveva ereditato due bellissimi ritratti, uno di Bernardo e l'altro di Torquato Tassi, che si conservano da loro per memoria della parentela che la casa Spelimberga ebbe con que' due grand'uomini: essendo stata maritata Lucia de' Tas.si, sorella carnale di Bernardo, ad Alessandro padre di Benedetto Spelimbergo, di cui fa menzione Bernardo nelle Lettere di sopra citate, e bisavolo di questa signora Bernardina ch'or vive Di Roma, li 28 Agosto 1653. I. — K. Archivio di Stato di Modena: Cancelleria dacale: Oratori a Venezia. — IJ. Itiblioteca Estense; ms. I. H. 1.5-17: fio-MAoi, Lettere: voi. HI, p. 416. II. — .'^ERA-iSI, Op. cit.; voi. I, p. :J4—'i ». — 470 — IH. Kfjidio Meiia(jio a i Sifjnori Accademici della Crusca. — Fircinc. Mando alle Signorie Vostre Illustrissime alcune mie Osservazioni soj)ra r Aminta d-1 Ta• la <]'>dicatoria di tali Oiservazioni. Segae a questa lettera la risposta degli .acca- demici colle correzioDÌ. IV. — K. ArchÌTio di Stato di Modena; EccleBìastici ; Domenicani. Mi fy-rivfva i.l un fardinal» yri-h" oorninfió : . Em.nio ..f ]{f\'.tnn Pio.f» ,■[ \> ne <;„\mn ,. - 471 — dover vole, ch'io li »lleriso.i prima a Vostra Km."; se ..'Ila si compiace ili accettarli, potrà far inviare allo Em.'"" Sit,'/ Card.'' Francesco Barberini la presente mia sup- plica, coni"' negozio del Santo Offlzio, raccomandandola con quelle efficacia clie sia sufficiente per ottenere l'intento. Grazia non solo facile e fattibile, e solita farsi, ma da me ;,'iii molti anni .sono guadagnata e meritata. Kicordando a V.n» Em.»» che li Brevi Pontificii per quelli che sono stati Inquisitori si spediscono gratis, e a quello che mi consegnerà il Breve io consegnerò li tre quadri. Ed a V." Em." umilissimamente m'inchiuo. Bii'scia, da Honvento di San Domenico, li H (ìimaro ICr)*) ili. \'. Eqidin Menar] io n f'nrh) Dnii — Firenze. Se forse nel letrgere lo mii- Onserrmioni sopra l'Aminta, le saranno nati >iniili altri pensieri intorno alla dottrina (perciocchi- f,'li avvertimenti inviatimi dall'Acca- demia della Crusca son quasi tutti sopra la lingua), la supplico a scrivermegli. Dopo aver in esse accennato, ch'in molte edizioni dell'Aminta non si trovava né il coro dell'atto terzo, né il coro dell'atto quarto; e che l'uno e l'altro a me parevano poco degni di cosi rinomato poetiX, vidi una canzone all'illustrissima Signora D. Virginia de' Medici, che va sotto il nome del detto jtueta, della quale detto coro dell'atto terzo fa la prima stanza, senza mutamento veruno. V. S. IH. m'avvertisca, la prego, .se quella canzone sia del Tasso: che vi .sono assaissimi altri poemetti stampati sotto il suo nome, che non sono di lui. Si trova la detta canzone nella raccolta delle rime del Tasso; e fra le Rime piticevoU di Cesare Caporali, ^t&my^Xe in Piacenza da Giovan Bazzacchi, 160'.^ Parigi, S Aprile 1657. VI. Ottavio Falconieri a Egidio Menagio. — Parigi. 11 mtdesimo signor Marc'Antonio [Foppa] è, come V. S., parzialissinio del Tasso, del quale ha egli tutte l'opere, che non sono stampate sin ad ora, che potranno formare più d'un volume. V'è un numero grande di sonetti, di canzoni. Ma vi sono ancora altre operette in ottava rima, ed in versi sciolti; oltre i dialoghi, e molti altri componimenti di prosa, che non sono punto inferiori alle cose stampate per l'addietro da quel grand'uomo. Si stamjjeranno presto, con l'assistenza del signor Marc'Antonio quest'altre ancora; ed ella sarà de' primi a goderle in Francia . . Roma, li 14 Luglio 1659. (1) Il F. Gardena con lotUra del 13 successivo mandava allo stesso Cardinale la minuta del Breve nel senso in cai voleva fosse steso, cioò che permettc-sì^e a lai di ritirarsi col titolo onorìfico di Padre Provin- ciale in un convento di Lombardia, cun annessi beneflcii, ucc. In un'altra Iettar» del 2- febbraio ringrazia il Cardinale di una favorevole risposta avuta, chiude commendatizie per i conventi di Lombardia e aggiunge: * E tenninato cli>,< sar^ questo negozio in bene, come spero, manderò per uomo a posta Ano a Reggio le « tre Leonore a ringraziare Vostra Eminenza, non pot«Ddo io «offrire che queste eccellentissime pittare ^1 ascìte fuor di casa d'Este non abbiano anco a ritornarvi ». — La Vita del Tasto scrìtta dal Manso cominciava a prodarre i saoi effetti col soggerìre maniera a an frate di godersi la vita truffando uu Car- dinale ingenuo ! V. — Mfnaoio, Op. ci/., p. 10."}. — Lettres de Mctuiije ri Magliabcchi et à Carlo Dati publices avec une Jntroductìon et dt.i Xotes par LéOK G. Pi':lissikr, etc. Montpellier, Imprimerle Central da Midi, 1891, p. 8. Ha qualche variante di po<>o conto. VI. — HBNàeio, Op. cH., p. V2\. - 472 — VII. Egidio Menagio a M. A. Foppn. Jìoma. È giii molto tempo, che '1 Si?. Ottavio Falconieri, nostro comune amico, mi diede notizia jiarticolap' del gran merito di V. S. Illustrissima. Onde io ambizioso di pro- oararmi l'onore della di lei buona grazia, lo supplicai ad otTerirle da mia parte il mio ossequio, e domandarle la sua amicizia; il che egli ha poi fatto con la sua solita gentilezza. Al Sig. Ottavio pertanto sono obbligati ssinio per più capi; ma sopra tatto, per aver io col suo mezzo fatto si grand'acquisto, qual'ò quello dell'a- micizia di V. S. Illustrissima; perciocché per l'amor di lui, e non per alcun mio meriio, ella s'è compiaciuta d'ammettermi Ira i suoi servitori ed amici, e mandarmi poi quel cortesissimo sonetto (1) intorno alla patria del Tasso; il quale m'è stato •iratissimo, non tanto per le mie lodi, delle quali mi trovo immeritevole, quanto per la leggiadria con che è spiegato, 6he veramente è compitissimo nel suo genere. Sarebbe ufficio mio di risponderle con altro sonetto, come si suol fare; ma di grazia mi perdoni V. S. IH. perchè sono io adesso, non pure alienissimo dalla poesia, ma affatto spoetato, per così dire; essendo sì lungo tempo ch'io non ho scritto in rima. Perdidì Musavi tacendo. Tornando poi al suo vaghissimo sonetto, è cosa strana che il Manso si sia ingannato circa la patria del Tasso, di cai era tanto famigliare ed intrinseco: se pure si è ingannato. Fa egli menzione, non solamente della Chiesa di Surrento, dove il Tasso fa battezzato, ma anco di molti testimoni di veduta, da' quali aveva udito spesse volte raccontare. Torquato Tasso esser nato in Surrento. Soggiugne, che per accertarsi con gli occhi proprii di queste cose, non gli era rin- cresciuto d'andar personalmente in Surrento, e dimorarvi alcuni dì ; e che di più aveva voluto essere intromesso nelle stesse camere dove il Tasso nacque. Il Gaddi anch'egli, e l'abate Ghilini, nei loro Elogi , scrissero che era il Tasso surrentino. Né provano il contrario i passi della supplica alla città di Bergamo, né quelli del dialogo del Pkicer Oìiesto. e altri accennati da V. S. Illustrissima; intendendosi dell'origine e non della nascita del Tasso. Comunque si sia, sa bene V. S. IH. le diverse opinioni intorno alla patria di quel gran poeta, e che le città di Napoli, di Bergamo, di Surrento, di Salerno, contesero già "tra di loro per averlo per citta- dino. Voleva il Marini napoletano, fosse napoletano : Nacqui in Sebeto, in riva al Po cantai Di mia verde corona i primi allori, dice egli in persona del Tasso, in un suo sonetto sopra il ritratto di detto Tasso. Ma non sa ella forse, che la città di Ferrara anch'ella può entrare in questa lite? Il Sig. Conte di Brienna, il giovane, Segretario di Stato del Re Cristianissimo, ha scritto in una sua breve Relazione de' suoi lunghi viaggi, scritta in latino ornata- mente e vagamente, e data alla luce due mesi sono, che '1 Tasso era ferrarese. Sicché non pur per la sublimità de' versi, ma per lo riguardo ancora di tante città, che dopo la sua morte si vantarono d'averlo per cittadino, viene meritevolmente chiamatcritte a V. S. Illustrissima, non bastano a persuaderla, che volendo scriver il vero della patria del Tasso, egli non debba esser chiamato assolutamente napoletano, ma nell'istesso tempo insieme bergamasco, io non saprei che più agi,'iun<,'cre. E mi duole che V. S. IH. in questo, ed in altri particolari, notati nell'.Annnta, intorno a' co- stumi ed alla vita del Tasso, si sia lasciata guidar dal Manso; il quale non conobbe il Tasso, se non gli ultimi anni della sua vita; ed ha scritte molt.' bugie palmari, come si vedrà dall'opere del Tasso, ch'io spero di pubblicare; dico delle opere di questo autore non più stampate, che faranno tre volumi: uno di Dialoghi e Ora- zioni e Discorsi, fra ì quali non è, né si trovò mai quel delli CnideWi, che per Vili. - MrK.vfio, r>)>. r,t., p. i.'-i. - ITI - errore della stiiupa delle Lettiie delle più riposte bellezze di essa, sit;nifi- commi alcuni giorni sono, con occasione eh" io ragionava seco della nuova edizione del vo- cabolario da farsi per rAccademia 6)tto il patrocinio dell' A. V., quanto sarebbe stato conveniente, che dovendo per mezzo di esso arricchirsi la nostra lingua di vocaboli usati dagli scrittori, che si)no di alcuna autorità fra" moderni, s'allegasse fra loro anche il Tasso, almeno nella Gerusalemme e ncll'Aininta; le quali due opere di poeta SI rinomato non j^otcvano passarsi in silenzio d ill'Accatlemia senza «lare a credere al mondo, che avesse potuto più appresso lei la memoria dell'antiche contese avute con esso lui, che il desiderio di ampliare e di abbellire la lingua toscana. Io (confesso il vero a V. A.) ho tanto più volentieri intrapreso di rujiiìresentarle i sen- timenti di personaggio si riguardevole, quanto maggiore occasione mi si porge di avvalorare con la sua autorità i miei propri sopra di ciò, i quali avrei molto prima palesati all' A. V. o in voce o con la penna, so non avessi temuto che le mie parole invece di aggiunger peso non fossero piuttosto per iscemarlo alle ragioni, che po- tessero addursi a favor del Tasso, il quale sebbene troppo lasciò trasportarsi dalla passione (1) contro una città, ch'essendo madre della favella in cui egli aveva preso a scrivere, poteva a buona equità negare di ricono.scerlo per figliuolo, nulladimeno non dee essere immortale l'odio che quindi ebbe origine: siccome veggiamo spesso i padri, odiar bensì i propri figliuoli, ma non perciò discacciar da sé i loro discen- denti e ricusar d'averli per legittimi e del proprio sangue; cosi conviensi a Fi renze, checche sia delle differenze passate fra lei e il Tasso, abbracciare i di lui parti ed accettarli per suoi, né lasciare ch'essi fuorusciti e raminghi, abbiano ad aver ricetto in ogn'altro paese, che in quello ch'è lor proprio, e più che in Toscana nella di cui lingua favellano, sieno apprezzati e tenuti cari nel rimanente dell'Italia e nell'altre provincie straniere. Né io intendo qui di favellare con V. A. il cui gene- roso animo non è capace di sentimenti tanto inferiori alla sua grandezza, né a molti degli Accademici, i quali non che abboniscano il nome del Tasso parlano altamente de' suoi componimenti, e non meno dell'Orlando Furioso hanno sempre in bocca la Ge- rusalemme e l'Aminta. ma ad alcuno di essi, i quali stimando non ess<'re vero Acca- demico della Crusca, chi non è della schiera dell'Infarinato (2). ed in conseguenza nemico del Tasso, non vogliono in conto alcuno udir mentovare, non che commen- dare l'opere d'un poeta, a cui essi sanno bensì dis)iutare il primo luogo, ma non toglier quello, che se gli dee fra coloro che hanno illustrata la volgar lingua. Questi però se si accordassero in tutto e per tutto all'opinione dello stesso Infarinato, do- vrebbero avere altri sentimenti del Tasso, cui egli nel medesimo libro che scrive contro di lui, chiama illustre poeta dell'età sua, ed altrove dichiara a favor del medesimo, che dove favellerà a senno di co.se di poesia, sarà in molte cose contrario a quelle che avrà detto per ragion di disputa. Concedasi pure il principato all'A- riosto, giacché l'Accademia si é appiopriata la di lui causa, ma non si neghi però al Tasso il titolo d'illustre poeta toscano: anzi se l'Accademia è sì interessata nella gloria del primo, non gli tolga l'onore di avere per secondo, chi ha potuto contender con esso lui della maggioranza. Perchè bassi ad invidiare alla nostra lingua, ciò che non è avvenuto a niun'altra giammai, il pregio di avere avuto (come dice Udeno Nisieliì il nostro Omero ed il nostro Virgilio? E se la greca e la latina nello spazio (1) « Spiegò quHsto un mal taViito contro la nazìon Fiorentina nel suo Goni'u/n 11. stampato la prìm» volt» nel irìSl ». (-) I.eonanlo .-alviati. uno dei fondatori 'lell "Accademia, noto avversario del Ta«so. di tanti secoli die lian vissuto fussero stato dcjEjno di aver due poeti, i quali coni- jwnessero insienie la perfetta idea dell'epica poesia, non avrebbero, cred'io, Atene o Koma procacciata la gloria deiruno cui biasimo dell'altro, ma avrebbero aiiiendue te- nuti in oi:ual preijio, e d'amendne ugualmente sarebbero andate liete e ^upe^be. Con- tesero già sette principali città della Grecia il vanto di essere ciascbeduna patria d'Omero; e Firenze, la quale è patria dogli scrittori toscani ricusa di iinnoveraro fra' suoi cittidini chi non cede ad Omero, se non in quello in cui non ha voluto agguagliarlo Virgilio? Ond'ò che tutto il rimanente dell'Italia sdegnata contro l'Accaileniia perla sua animosità verso il Tasso, la Gerusalemme del quale sopra ogn'altro poema italiano ha a grado e tiene iu sommo pregio, ricusa d'ubbidire a quelle leggi, oli' essa nel fiivellaro ha diritto di imporle; e facendo suo condottiore quello, che da noi vien discacciato conio straniero, seguendolo piuttosto nell'iilionazione dall'Accadomiu che nello scrivere corret- tamente, colorisce col di lui nome l'autorità che si usurpa di prcscrivoro altresì, corno noi facciamo, 'le regole del ben parlare. Alla qua! cosa, s'io ben mi avviso, dee prin- cipalmente attribuirsi la corruzione, cui è oggi infetta la nostra favella. Imperciocché, se per entro il Vocabolario della Crusca si leggesse talora il nome del Tasso, non vedremmo forse divisa la volgar lingua in Toscana ed Italiana ; e la maggior parto di coluro che scrivono in essa, chi per non soggiacere all'Accademia a lui contraria, e chi ingannato dagli errori dol secolo, allontanarsi dalla purissima fonte della to- scana favella, e da' fangosi e torbidi fiumi bere altresì torljida o corrotta quella ch'essi chiamano italiana, ma piuttosto chiamarsi dee mischianza di barbari vocaboli ed accozzamento di strane e non più udite forme di favellare. Questa è la cagione, che disprezzato qualunque insegnamento di ben parlare, si arroga chicchessia, quasi per far onta airAccademia, di scrivere a suo senno, e al pari del cav.'''- Lionardo Salviati e del Varchi d'autenticare le due scritture colla sola autorità della propria fantasia. Questa è la radice, che infetta di maligno e nocivo umore fa tralignare dalla sua prima origine la volgar lingua, e per questa avverrà ch'ella affatto inselvatichisca, quando tralasciate da parte l'antiche gare, non risolva l'Accademia a far di sé nuovo innesto in quelle piante le quali divise già lungo tempo dal tronco primiero sono da lei, non pure nel sapor de' frutti, ma quasi ormai nei rami e nelle foglie affatto diverse. Alle quali, se ora che ne porge occasione il nuovo Vocabolario, con maturo avvedimento non si sovviene, vana fia poscia ogni diligenza che in coltivarle si adopri. Concios.siachè parmi già di vedere dopo la pub- blicazione di esso correr frettolosi i seguaci del Tasso, e quelli con esso loro, cui o la libertà dello scrivere, o la propria cecità divello dal nostro numero, e se nelle prime carte non trovano registrata almeno l'adorata Gerusalemme, di nuovo e più fervente sdegno accesi giurar contro l'Accademia guerra perpetua, o sotto specie di vendicare il Tasso, rifiutando i veri o salutiferi ammaestramenti della Crusca circa il ben parlare, più che mai nelle loro false e corrotte opinioni stabilirsi. Della ni- micizìa di cui, comunque poco a noi caglia, che sicuri siamo del ))rincipato nella nostra lingua, al quale costoro sottrar si possono per la loro peggiore, ma non già toglierlo a noi, che la possederemo finché durerassi a parlar toscano, nientedimeno avendosi l'Acoademiii, cui V. A, informa ed avviva, proposto por fine di provvedere quanto sia possibile con nuovo e più copioso Vocabolario al sostenimento della volgar favella viepppiù sempre infetta e cadente, e lei (se pur tanto sperar ne lice) ritor- nare nella sua primiera bellezza e leggiadria, non vuoisi avere riguardo a chi siano questi tali, né a ciò che essi meritino, non alle contese passate ed alle private pas- sioni, ma considerando diligentemente i mezzi co' quali all'adempimento di si bel- l'opora jiervenir si jiussa, e iimiluiiqui' altn lipuanlo posto da jiart-.', all'acquisto di essi dobbiamo rivol<^c'ro ogni nostro pensiero e tutt.- le nostre operazioni indirizzare. Che s'egli è vero, siccome io stimo non potersi dubitare per alcuno, niun'altra strada nì- più agevole, né più breve, nò jìiù sicura ritrovarsi a dover risanare dal- l'infezione de' modi-rni la nastra lingua che il disingannare il resto dell'Italia dal l'opinione, ond'ella si fa scudo, cioè che la Crusca voglia obblii:arIa a parlare nella lingua di Alb'rtano e di .Ser Brunetto; e ciò dandole a divedere in qual guisa «i possa accoppiare al gusto del presente secolo la proprietà e la schiettezza della fa- vella, qual altro scrittore avremo noi, dalle cui opere si in rima come in prosa più acconciaint'nt', che da quelle del Tasso, la bella unione di questi due pregi esser già stata posta in uso non che jiotersi ritrovare, dimostrar possiamo? Egli, come di M. Tullio disse già Quintiliano, conceduto a noi dalla divina Provvidenza acciocehìv fusse ijuida a moderni del ben parlare, postasi avanti gli occhi l'iilea dello stile, che avendo riguardo alla mutazione delb' lingue vive per le vicende de' secoli, pa- revagli più confacevole al suo, dicdesi primieramente a risceglier, con sommo studio dagli antichi scrittori, cioè dal Boccaccio e dal Petrarca, ma sopratutto dal nostro divin Poeta (il poema di cui tutto fregiato di postille della sua |)enna vide con ani mirazione, non è gran temi)o. uno dei nostri Accademici) (juelle forme di dire, le quali per la loro nuda e schietta bellezza, non solo non cagionassero noia agl'ingegni del suo tempo e a quelli dell'avvenire, ma se gl'invaghissero dell'imitazione di quei valentuomini, le locuzioni de' quali non erano per parer loro rancide e disusate, ma rare piuttosto e pellegrine. Quindi mischiando alla naturale severità di essi la pia- cevol'-zza de' moderni, e con ammirabile artifizio da' primi prendendo la projirietà, la grandezza, e la gravità, da' secondi l'aiuine e l'efficacia, in quella guisa appunto che Prometeo senza alcun esemplare col solo aiuto di Minerva formò già l'uomo e co- munìcogli movimento e vita, così egli con niun altro soccorso che del suo divino io- ti lletto, non 1.1 parte corporale dell'uomo, ma quella onde diverso da' bruti si mani- testa, informò di nuova luce e diegli, per cos'i dire, nuovo essere e nuova vita. Che >e Prometeo dalle sue invenzioni ritrasse danno e castigo, non cosi avvenne al Tas.so, a coi il ritrovamento del nuovo stile acquistò la lode, che niuno degli antichi avea conseguita, di potere per la vaghezza di esso adoperarsi con ugual felicità in ogni sorta di componimenti. Anzi soUevollo talmente sopra gli altri questo suo pregio speciale che non solamente il rese chiaro e famoso per tutta Italia, ma risuonando eziandio in Firenze, dove pareva che la contesa coH'Accademia e il jioco affetto di- mostrato verso tutta la città dovesse render men noto, o almeno odio.so il suo nome, fu possente di muovere il Gran Duca Ferdinando gloriosi.ssimo avolo di V. A., a rhiamarlo appresso di sé, e farne per alcun tempo uno degli ornamenti della sua 'orte. Ma ciò che supera ogni altra gloria del Tasso è l'onoranza resagli dopo morte lall'Accademia degli Alterati, la quale famosa nella medesima città che la nostra, ' composta de' medesimi cittadini, nondiiiieno vinta da quella generosità, che fa coincn- laro il valore eziandio da' nemici, volle, posto in non cale ogni altro rispetto, dimo- strare la stima ch'ella avea d'un tant'uomo con pubblica orazione delle Iodi di lui recitata da uno de' suoi più illustri accademici (1), il quale in si fiorita adunanza non temè di chiamare il Tasso uno degli s|dendori della toscana favella, gran lume della poesia, ornamento non solo d'Italia, ma d'^1 suo secolo. Che se in qualunque (1) Orazione i/i Me di Torquato Tusfo f'ttln nelV Acraiìemia ilef/li Alterati dn LoiiEr.z" Giacomim Tkbalducci Mai,a=pim, In Firenze, l.">93. J7S a!tn> j'resiio l'Aciadt'inia dollu Crusca avanza tanto (juclla tloi,'li Alterati, quanto i |»arti di lei e la breve durata dell'altra il palesano, non dovrà altresì avanzarla in ^nenisita o grandezza d'animo? Già ha ella interamente soddisfatto all'obbligo di <]aella mvessaria e nobii vendetta, che le imponeva la pietà verso la patria da hi si gloriosa mente difesa. Già ha fatto vedere al mondo, che a so appartiene il dichia- rare leiiittimi i parti ch'escono alla luce della toscana favella, e che indarno aspira al prinripato nella poesiii, chiunque sdegna di ricever la corona per mano di lei. Rimane ora che da questa mano, che feri il Tasso, osca a prò di lui la medicina, la quale, se deve credersi all'Inferrigno, avrebbe tin d'allora conseguita (tanto è stata sempre generosa l'Accademia!) s'egli, schivo di palesar la sua piaga, non si fosse in- dotto a ricusarla. Queste e molt'altre ragioni, le quali non si convengono alla bre- vità d'una lettera, assai chiaramente dimostrano quanto sia convenevoi cosa ed in- sieme profittevole l'adornare del nome del Tasso il nuovo Vocabolario, ma senza il patrocinio di V. A. languiranno esse, e fieno «li niuna stima e valore. A Lei dunque si rivolgono coloro, che bramano di vedere nell'infezione de' moderni risanata ed accresciuta dall'opere di così nobile e copioso scrittore la lingua toscana. A Lei si appoggia l'autorità del Sig. Cardinal Pallavicino, personaggio si ragguardevole per dignità e per dottrina. A Lei s'indirizzano le preghiere «le' seguaci del Tasso, cÌL,è di tutta l'Italia. I (juali tutti non sono da vane speranze consigliati a sceglier V. A. in cui essi le loro speranze affidino; anzi reputando seco stessi, quanto Ella studio- samente procuri di ravvivare col suo esempio e rimettere in pregio le scienze e l'arti \'m nobili, per trascuranza o per destino del nostro secolo trasandate, stimano già di aver conseguito il bramato fine. Imperocché non possono persuadersi, che avendo V. A. accolti sempre con somma benignità coloro che in qualsivoglia pregio eccellenti fus- sero, sia ora per solTerire, che il Tasso, del quale niuno in rima o >ia in prosa ha più altamente celebrata cotesta Serenissima Casa i^delle cui lodi sono | iene l'opere sue già pubblicate e l'altre che pur ora sono per uscire alla luce) debba rimanere perpetua- mente sbandito da quelle mura, ov' Ella ha il suo impero, e che nel Vocabolario, il quale è cosa propria dell'.A. V., e per suo dono dee esser riconosciuto dall'Italia, sia «gli come straniere escluso dal coro de' poeti toscani. Certo, che se V. A. desidera di superare i suoi famosi antecessori nella lode d'essere stati protettori de' letterati, nian'altra più bella occasione di conseguirla potrà offrirsele giammai ; perchè se fu vanto di Lorenzo il dar ricetto a' Ficini ed a' Poliziani, tanto maggiore gloria sarà di V. A. il richiamare dopo si lungo esilio il Tasso alla patria comune degli scrit- tori toscani, quanto questi a quelli per sublimità d'int Uetto e per chiarezza di fama da ciascheduno è giudicato superiore. Tanto si promette dal benigno e po8.sente pa- trocinio dell'A. V. chiunque ha interesse nella eausa del Tasso, ed io che avendo avuto in sorte d'ammirar più d'appresso il generosissimo animo suo, so quanto V. A. faTorisca le buone lettere; e quanto ardentemente brami l'accrescimento e la perfe- zione della volgar lingua, già godo meco stesso della compiacenza d'aver avuto qualche parte nel compimento di un'opera ad essa sì giovevole : e profondissimamente me le inchino. Di K'.ii:a. 1.' Di^.MiiI.r.' If.n:; ] . (1) Se nelle prime dae edizioni del Vocabolario degli .Vccadeinici della Crusca, procurate dal sp;,'retario Buiiaoo de* Boni, non si vede citata alcuna opera del Tajiso, a ciii si riparò nelle due seguenti edizioni d*l IWI « del IT.iS^. 47'.» — X. Loremu Macjalotti ad ApnlliDati linssetti - Fireme. Io già sapevo, come V. S. s'è ben presupposto, il risorjfiiiieiito tlell'Aciademia della. Crusca, mercè della <,'eiR>rosità del Padrone; ed essendo stato ricerrato da qualehi' cosa in proposito del Vocabolirio, ho già dato all'abate Stro/./.i un cènno assai li bcro de' miei sentinuMiti : il primo, toccante licitare » non citare il Ta8>o; il (jual< Vorrei citare, senza metterlo neppure in discorso, essendo ijuesta una cosa, che oltri all'esser giusta, è anche da farla per incetto; mentre ci riacquista subito l'aftett' la parzialità e la venerazione della metà dei letterati d'Europa Di Vienmi. 25 l.u-rlio If.TT XI. Filippo liulifon (ìll'ignor Compare, come ((uelle, nelle quali mi volete a parte delle novità letterarie, che costì avvengono alla <,'iornata, perché ve ne rendo le maggiori grazie, che posso; e per soddisfare in alcuna parte all'obbliiro che ve ne sento, vengo a ilarvi contezza, «onie i giorni ad- dietro si ragunò l'Accademia degli Adornati nel Monastero di S. Tommaso d'Aquino, dove que' Signori Accademici diedero ben grande saggio del loro sapere e dottrina; ed essendo il loro istituto portar laudi al non mai bastevol mente laudato Torquato Tasso, principe della toscana poesia, :>'zu Maua- l.(ym e di altri insigni uomini a lui tcritU, Firenze, Cambiaci, 1769, t. Il, pp 60-7. XI. — RcLiFON .\., Op. cit.: Kicc. II, p. 30.".. — 480 - selva. Ov'uoiossiocosa ilio p.ipsiati.' n lu'irajrio ooiisiiK'riirlii voi. eli' Ira le più gravi occu|m7.ioni, non mai avete tralasciato di ricrear il vostro nobilissimo animo col dar '>j«erR alle lettere piii umane, delle quali tutte neili bellissimi vostri componimenti, che sotto finto nome vanno sotto l'occhio di ciascuno, ed in qualsivos^lia altra con- iriontura, vi siete fatto conoscere intendentissimo maestro. E finalmente vi bacio le mani (l'^. XII. Avtout'o Bnli/bn ni principe Giovanni Gastone de' Medici. Le virtù di V. Altezza han' di maniera recato maraviglia all'Europa tutta, che, passando questa allVspression delle lodi, non trova grandezza di eloquenza confaoe- vole alla sublimità del soggetto. Ma la umanità che aggiunge Ella, come oro alle preziose gemme delle virtù che l'adornano, è il più ragguardevol fregio, che rende nel secolo presente adorabile la Serenissima Casa de' Medici. In ciò confidato vengo ad offerirle umilmente un discorso fatto nell'Accademia degli Uniti di questa città, sopra FAminta del gran Torquato Tasso, sperando, che debba esser diletto a lei che è il Toscano ^Mecenate delle buone lettere. E pregandola ad accettare il picciol dono che io le offerisco, le bacio con tutta la devozione dell'animo le mani (1). XIII. Padre Bahlasmre Paglia, Minor Conventuale, a D.Diego Vincenzo Vidania, Cappellano maggiore di S. M. Cattolica nel Regno di Napoli. Uscendo alla luce delle stampe un mio discorso recitato nell'Illustrissima Acca- demia degli Uniti di Napoli sopra l'Aminta di Torquato Tasso, ho stimato non ad altri dirizzarlo che a V. S. Illustrissima, la quale oltr.' la profondità delle più severe scienze comparisce arricchita con l'ornamento delle più nobili erudizieni, per le quali ella si rende veramente il miracolo del nostro secolo. Lo riceva V. S. 111. con quella sua naturai benignità, che in più occasione ha in me suo suddito esercitato: ed io certamente spero, che quanto saprà compatire i difetti ed ammendar le imperfezioni, tanto gradirà nella picciolezza del dono la grandezza ilell'animo tutto a V. S. Illu- strissima dedicato (,1). XIV. Jacopo Facriolati a Girolamo Baruffaldi. B'iichè io vanti e attenzione e celerità sopra ogn'altro nel servire agli amici, "Spezialmente del vostro grado, non mi riusci tuttavolta nell'ordinario passato di ren- lervi consolatfj intorno all'informazione ricercatami: da che in poco d'ora non si 'jioteano raccogliere da' miei confusi zibaldoni tante ciancie, quante sono ora per darvi in più d'un foglio, se vorrà la penna corrispondere al mio desiderio. L'esemplare .'.} .Segne da p. 317 a 3C'J il discorso di cui fa cenno. \I1. — Bcupcx A., Op. cit.; Eacc. Ili, p. 306. ■\) Segue a p. 307: « Discorso Accademico dell' EccelUnlissimo Signor I). Bartolomeo Ccva GrinutUii [tuta di Telese sopra l'Amint'i di Torquato Tasso ■> . XIIII. — BcLirox A., Op. cit. ; Race. II, p. 3:^0. (1) Se^e da p. Zti a p. 328 il discorso in latino. XIV. — Tasm» T., Opere, Venezia, Monti e C, 1735-42; voi. I, pp. 397-405. — Albssandko Glahiki, 'l ttiK/lier Batlisl/t O'uirini nei SnppUmenfi ni Giornnle dei Letterati d'Italia, t. lì, Venezi.i, 1722, '??., ore ha qualche variante. - 481 - dunque del meravig^litjso poeinu di Torquato Tasso, che si conserva presso '1 nostro signor Alessandro Giiarini, è uno di quelli, che lece stampare Celio Malaspina in Venezia, 1580, per Domenico Cavalcalupo; la sua forma è in-4», ed arriva tino al Canto XVI», con molti vacui, e storpiature, anzi con l'ommissione totale deH'XI» e XIII* perchè fu fatta come di contrabbando, con rammarico dell'autore, che arrivò perfino a crederla una vendetta di iiualche suo vecchio nemico, secondo ciò, che si ha dalle sue lettere postume, p. ITI. Non ha dubbio alcuno che questa ò la prima edizione, se non ò a riguardo del Canto IV* che fu pubblicato un anno prima in Genova tra niolte altre diverse Rime di eccellenti Poeti ; e perchè tale, appunto si stima rara. Ma molto più rara è da riputarsi, se si considerano le copiosissime cor- rezioni inseritevi dal sempre glorioso Cav. Guarini, i cui scritti, non meno che le virtù, Sono pervenuti al Signor Alessandro, unico rampollo di questa famiglia, che riconosce da gran tempo in qua le lettere, come un retaggio di legittima eredità (1). È assai comune in questa città, che quelle correzioni si debbano al Cav. Guarini, e ch'egli però sia, dirò così, mezzo autore della Gerusalemme, mentre si veggono scritte di suo pugno non pur molte parole quasi per ogni stanza, ma molte stanze intere fino a 160. Anche voi, se mal non interpreto la vostra lettera, siete inclinato a questa jiarte, anzi che no, sul riflesso spezialmente che il Guarini sia stato uno dei confidenti correttori della Gerusalemme, come ci fa testimonianza Scipiou Bonanni nell'Orazione funebre. Ve ne compatisco, perchè io altresì ci fui ben davvero, finché non ebbi alle inani il libro per vedere cogli occhi miei, e considerare la qualità delle mutazioni. Ora sono così persuaso del contrario, quanto so che vivo e spiro: nt^ andrà guari, che guadagnerò anche il parer vostro, se vorrete la pena di scorrere questa mia per altro noiosa leggenda. Prima di tutto lasciatemi commetter un peccato d'ordine, cioè porre in campo la mia opinione innanzi d'impugnare l'altrui: parendomi di poter in questa maniera tesser più facilmente il lavoro, qualunque si sia che mi prefiggo. Io sono adunque di parere, che avendo veduto il Cav. Guarini si mal concio il più bel parto della volgar poesia, stabilisse di volerne procurar una edizione bella e corretta, e però andasse in cerca de' più autentici manoscritti, coU'aiuto dei quali correggesse lo stampato. Ma lo prevenne Angiolo Ingegneri, il quale avendone una copia scritta anteriormente di suo pugno, cavata parte dall'originale stesso dell'au- tore, parte dalla viva voce di lui (peonie si raccoglie dalla lettera dedicatoria, che sta in capo alla Gerusalemme) la fece tosto imprimere in Parma ed in Casalmag- giore. E sebbene queste due edizioni non furono di tutta perfezione, parvero tuttavia per allora, come vo immaginandomi, tollerabili al Guarini : e però trattenne presso di sé l'esemplare, che per altro avrebbe consegnato a qualche stampatore. Se pure non vogliam dire, che andassero di concerto e l'Ingegneri ed il Guarini, come potrà focilmente sosjìettare chi rifletterà alla qualità del titolo, che troppo uniformemente diedero amendue a questo poema. Uscì egli dalle stampe del Caval- calupo con questo preciso frontespizio: Il Goffredo di M. Torquato Tasso, ecc. Ma perchè si sapea, che l'autore inclinava piuttosto a intitolarlo La Gerusalemme liberata, come appare dalle sue lettere poetiche, corresse il Guarini così: La Geru- salemme liberata. Poema Heroico dd Signor Torquato Tasso; ed appunto con (1) Qaesto esemplare sì conserva ora alla Marciana ira i manoscritti italiani segn. ci. X, no CXIX; cfr. Rossi V., B. Guarini » il Pastor Fido, Torino, Loescher, 1886, p. 63 sgg.; iri sono riportate anche altre delle correzioni e delle postille del Onarini. S0Ì.KRTI, La vtùt di T. Tasso, li. 31 - 4S'> _ questo titolo foco le sue st^inipe !'Intjo<,Mieri. Or io consento di buona voglin, clie a caso si potassero accordare nelle due primo parole: Gerusalemme liberata, ma noi» 90 ponsuadornii, come a caso poi si siano incontrati nel glosema delle seguenti parole: Poema Heroico; e ben piuttosto voglio credere, che l'uno l'abbia sutjfxerito all'altro, e si sieno poi accordati a stamparlo. Di che si mostra meravigliato Orazio Lombardelli in una sua lettera al Tasso, data addì 1" Settembre 1582, e si spiega in tal maniera, che ben si può credere non l'osse il solo Ingetrneri autore del glo- sema, e delle due stampe sovraccennate. « Coloro (dice egli) i quali si han preso ca- « fico di pubblicare la Gerusalenmie, o temendo di questo, o non parendo loro, tratti « da un c«rto instinto, che mostrasse faccia di poema, vi han fatta la giunta: Poema e Heroico, la qual cosa mi sturba non poco, parendomi che toglia, non rechi riputa- < zione » ecc.; dove va dimostrando l'inconvenienza di quelle due parole. Ma sia ciò, che si voglia dell'accordo coU'Ingegneri, questo solo ammetto, e difendo per vero verissimo, che l'esemplare del Guarini era da lui stato riconciato con qualche buon manoscritto, per farne una stampa degna del suo grand'autore, e della pubblica aspettazione. E piglio la prima pruova del frontespizio, osservando, ch'egli non solo corregge il già stampato, come dissi di sopra, ma lo scrive in oltre maestosamente in una carta anteriore, a modo d'antiporta, come la dicono gli stampatori, indizio sicurissimo delle sue mire e della sua intenzione. La seconda pruova, molto più valida della prima, consiste in una gran somma di correzioni minute, materiali, e puramente da stamperia, come sono primieramente tutte le numeriche soprascritte de' canti, e poi tutte le minuzie, che qui sotto aggiungo, e più altre, che per brevità tralascio. Errori Correzioni. Canto 1, st. 3 Suchi Succhi st. 10 ramenti rammenti st. 14 indirizossi indirizzossi st. 20 Beomoudo Boemondu st. 36 mentire mente st 46-88 e è Canto 2, st. 8 revide rivide st. 13 de stato destato st. 88 purgente pungente st 89 curruollo ^urvollo Canto 8, st. 69 Euffrate Eufrate Canto 9, st. 49 Salto salto st. 78 secò seccò Canto 10, st. 3 eamina eamina Canto 12, st. 76 vivrò vivrò E non vi pare, che queste tali correzioni sieno meramente per uso di qualche rozzo compositore di stamperia ? Certamente non si dee credere, che lo spirito elevato di quel valente Cavaliere s'abbassasse a osservazioni così minute; anzi dirò di più, per fino a rimettere le lettere non molto bene impresse, come fra l'altre una g del Canto 2, st. 19, se non sul riflesso, che quel suo libro dovesse servire a uso mate- riale. Ma vi si leverà ogni dubbio, allorché rifletterete al modo preciso, ch'egli tiene nell'inserire certe stanze a' suoi luoghi. Poiché primieramente le copia sopra cartucce lunghe e strette, senza alcun vacuo superfluo; poi le appicca con cera rossa più vicino che sia possibile al luogo loro, e in fine per levare ogni dubbio a colui che se ne dovea servire, aggiunge tali espres- - ^XA - sioni, l'he ben si vede, che copiava da altri, e che copi.iva |i;egnat4?, vi vanno queste due ». Così, o in poco differente maniera scrive negli altri luoghi, dove fa qualche supplimento. Non voglio dissimulare, elio alcuna volta si spiega in maniera, che non si può pigliare per mero avviso allo stampatore, come allor che scrive alla st. 49 del Canto 1, ver. lOG: « Non so s'io abbia altra volta letto di Campania amene " . Dopo la st. 52 del Canto 5: « Questo otto stanze furono rifiutate dal Signor Tasso, giudican- « dole poco convenovoli, et in sua vece ve ne vanno poste altre sette, ma di diverso € soggetto ». Nel fine del Canto 16: < Mancano per fine di questo Canto tredici stanze « bellissime, necessarie al Poema » . Non voglio, dico, dissimalare queste, ed altre simili espressioni, che non hanno tutto 'l suo luogo in un libro, che si projtari solamente per la stamperia, ma però sorvono mirabilmente a confermare il mio primo sospetto dell'accordo ci>irin<,'Oi,'neri. Poiché ciò supposto, dovea il Guarini nei passi non affatto chiari render qualche ragione delle aggiunte, e dei can;^iaiiionti, o spiegarsi in ma- niera, come se questo esemplare passar dovesse sotto i riflessi di quel letterato per riceverne l'approvaziono, prima di esser impresso; e per verità alcuni luoghi sono tronchi, e moltissimi .se*,'nati: argomento evidentissimo, che aveva bensì dubitato quel grand'uomo, ma non avea però voluto nulla risolvere senza '1 parere dell'amico, e senza il confronto d'altri manoscritti. Ma per uscir finalmente fuori della difficile ricerca dell'intenzione del Guarini, e ve- nire al principal capo, cioè a provare, che non fu egli altro, che puro copista di quelle correzioni, vi metto subito in considerazione i tre luoghi ultimamente citati, e vi fo giudice, non dirò, so stabiliscano la mia proposizione, ma se si possa dubitar del contrario. Certamente, s"io nulla intendo, non solo il Guarini non jtuò vantare per suo il copioso supplemento di moltissime stanze, ma neppur uu verso, neppur una parola, neppure una sola sillaba vi pose di sna farina. Per pruova di che non mi servirò dell'irresolutezza, che mostra sulla voce Cam- pagna per dubbio d'aver letto altra volta Campania, non delle moltissime linee segnate sotto quelle parole, che forse interamente non gli piacciono, ma che però non osa di cangiare: non delle rime fallate ch'egli lascia correre specialmente nel Canto 14, non finalmente de' piccioli vacui, ora di due, ora d'un solo verso, ora di mezzo, che neppur furono empiuti nelle sue edizioni di Parma e Casalmaggiore sopraccitate; dirò solamente, ch'egli s'induce perfino a copiare ciò, che per altro è riprendevoie, quando si persuado, che sia veramente caduto dalla jienna dell'autore. Tant'è lontano, che voglia di suo talento migliorare le cose tollerabili. Proposizione si ardimentosa mi viene persuasa primieramente dalla mutazione, ch'egli fa nel ver>o ultimo della st. 8, Canto 1. Il verso stampato è questo: Gloria, impero, tesor mette in non cab-. Corregge il Guarini le tre ultime voci cosi: in un cale. Chi udì mai questa frase in Italia? 0 come può ella far senso in quel luogo? E tuttavia la trascrive il Gua- rini, perchè trovandola nel manoscritto, che s'ha proposto per esemplare, la giudica del poeta. — 484 — In secondo luogo osservo i duo ultimi versi della st. 17, Canto 6: Rispose quegli: hor si parrà, se grata 0 formidabili sia l'alta ambasciata. Cangia il Guarini la prima voce del verso ultimo così: E formidabil, ecc. Bisogne- rebbe mancar affatto d'intendimento per darsi a credere, che questa correzione sia ragionevole; e bisognerebbe altresì scemare di molto la riputazione tanto accreditata di lui, quando se gli volessero opporre queste, ed altrettali debolezze. Che si dovrà dunque conchiudere ? non altro per verità, se non ciò, che dissi a principio: cioè che il Guarini copiava materialmente ciò che trovava scritto, senza pigliarsi verun arbitrio di migliorare. E ben si dee credere, che quest'ultimo verso corresse in molti manoscritti così scorretto, perciocché si truova anche nell'edizione fatta in Vinegia, dal Salicato, in-4'' nel 1585, con la giunta non necessaria dei Cinque canti di Camillo Camilli di nuovo dall'autore corretti. Aggiungo quest'ultima circostanza, per dissipare un leggero sbaglio del dottissimo Crescimbeni, il quale nella sua Storia della Volgar Poesia, lib. 5, portò parere, che la prima pubblicazione dei Cinque canti fosse stata in-12'^ nel 1588. Ma per non aver a fare una diceria sopra ciascuna di quelle mutazioni, che non incontrarono approvazione, le stenderò tutte qui sotto ordinataniente, riponendo nella prima colonna le parole dello stampato, e nella seconda la correzione scritta. Debbo però innanzi avvertirvi, ch'io feci l'incontro con la celebratissima edizione di Genova del 1617. Per altro so benissimo, che nelle anteriori edizioni, alcuni di questi cam- biamenti si trovano autenticati, forse perchè gli stampatori si servirono degli stessi originali. Né vi recherà meraviglia che vivendo il Tasso, lasciasse correre tanta con- fusione di varie lezioni nel suo poema, quando rifletterete alla gara, con cui tutti i letterati di quell'età fecondissima se ne procuravano copia. Quindi senza fallo nacque la varietà tale e tanta, che il Salicato volendo stam- parlo anch'egli dopo moltissimi altri, agginnsevi "infine una prodigiosa molteplicità di lezioni diverse. Ed è notabile la protesta, ch'egli fece di voler soddisfare in questa maniera alla varietà dei cervelli, giacché l'autore non poteva farvi l'ultima mano, mercè dell'infortunio in cui si trovava. Ma venghiamo alle mutazioni non accettate dal codice guariniano. Esemplare stampato. Correzioni manoscritte. Canto 1, st. 1 che favorillo il Cielo II Ciel gli die favore » 8 Mette in non cale Mette in un cale » 30 Reco ad un alta Reco ad un altra » 52 Appo costoro Appo costoro » 56 Ancor consorti Anco consorti > 63 Che marte sfidar Che i Regni sfidar Canto 2, st. 94 In ver Gerusalera Io a Gcrusalem » 97 0 rischiari della notte e si chiari della notte Canto 3, st. 1 Ad annunziar che se ne A nunziar che se ne » 71 Bellici stromenti Bellici tormenti Canto 4, st. 73 Nessun luogo sichiiso Nessun luogo richiusi) » 90 Atti suoi compone Atti suoi comparte Canto 5, st. 20 Fu vincitore fin da quel che Vincitor fu in fin allor ch'emulo tuo dì, ch'emulo suo divenne divenne — 485 — Esemplare stampato. Canto 5, st. ;{I Ne cessò mai tinche ' 6"2 Bel volto tende » 70 Che laen veloce > 71 Stimolo è l'arte Canto 6, st. 13 che sol salute vo » 56 del re Cassano » 61 Raflìgurollo, e disse: egli è pur desso Canto 7. st. 26 Benché h via trovar non s'assicura » 45 sul limitar d'un u.scio » 55 Con stimoli » 62 Altri ponga l'ardir » 69 e lascia che degli altri in piccol Vaso pongansi i nomi, e sia giudice il caso » 76 Sul Targo il destrier nacque » 76 ella concepe » 93 frangesi il ferro :> 112 serbano ancora grocchi Canto 8, st. 11 0 che non esaudisce, o che non ode » 19 Pur si ira gli altri Sueno » 30 Ei non isdegna » 61 malvagio sangue > 65 nostri non sono già ma tutti loro » 75 in fere voci Canto 9, st. 1 ministro a uova > 12 e reggi l'arme » 78 che gli secò » 93 e quinci d'alto Canto 10, st. 69 seguir il mio piacer » 75 tolte a gli artigli Canto 12, st. 1 le faticose genti 2 pur non aehetta » 7 mirar il fumo » 14 di voi che sete » 29 diedi sospetto altrui » 37 a me non calse » 57 e questi, e quelli > 59 posaro alquanto » 79 dove sete e voi > 89 L'impeto interno dell'in- tensa doglia • 102 Che non feci, e non dissi Canto 14, st. 1 Usciva già del molle > 35 In paesi inhospiti » 37 Sotto quel Rio * 44 in giù spinto Canto 15, st. 6 ogni tempesta > 19 la Sicilia siede » 27 II sol ne infonde Canto 16, st. 5 vedi nova strage > 27 hor poiché Correzioni manoscritte. Ne cessò mai fin che bel volo tonde che non veloce stimolo ò l'aer E sol vuò libertà del Re Acciano Eccolo disse, e '1 riconobbe espresso (.'he la via ritrovar non s'assicura su l'entrar d'un uscio Co' stimoli ponga altri poi pongansi poi tutti i nomi in un vai5o com'è l'usanza, e sia giudice il caso questo sul Tago nacque ella conci|)e fragile ò il ferro e serban ancor gl'occhi 0 che non l'esaudisce, o che non l'ode Pur fra gli altri Sueno egli non sdegna maligno sangue Nostri in parte non son ma tutti loro in tìere voci ministra a nova e tratta l'armi che gli seccò e quindi d'alto Servir al mio piacer tolto a gli artigli le faticose menti pur non acchetta mirar il foco di voi che siete diedi sospizion non mi calse e questi, e quegli cessaro alquanto dove siete, e voi L'impeto interno dell'interna doglia che non feci, o non dissi Usciva ornai dal molle in paesi incogniti sotto del rio In già rispinto ogne tempesta La Silicia siede il sol n'infonde sono di nova strage ma poiché - 486 — Esemplare stampato. Correzioni mauoscrittc. Canto 16, st. 40 Questi da te quello da te » 42 la linsrua al canto snodi la voce al canto snodi >■ 43 come nemico almeno come nemico almanco > ^A liomai ti piaccia homai ti spiaccia. Questa lunga stesa potrebbe giovare a coloro, che malgrado tutte le mie ragioni vorranno difendere il Guarini per correttore del Taaso. Mentre avrebbero quindi oc- casione d'apprendere ciò, che piaceva all'uno, e ciò che piaceva all'altro. Ma chi non si rimoverà mai da questa credenza, quand'io farò vedere più cliiaro del sole, che ([uelle cose stesse che qui corregge il Guarini. orano state molto prima corrette dal Tasso, 0 da qualche altro suo amico? Ecco s'io mento. Alla st. 32 del Canto 2 il Guarini cangia quelle parole dell'ultimo verso: o fosse volto a volto. Leggete sevi piace la lettera scritta dal Tasso a Luca Scalabrino cinque anni innanzi, posta fra le lettere poetiche, p. 65, dove troverete espressamente queste parole : « s'è rimosso « in Sofronia quello: 0 fosse volto, a volto ». Alla stanza 57, verso 7 del Canto stesso: Questi (kl Re d'Egitto. Corregge il Guarini così: del tjran He delVEffitto. Cercate la lettera del Tasso scritta al Patriarca di Gerusalemme, addì 3 maggio 1575, e troverete fatta la mutazione dell'autore del poema. Nel Canto 6 leva il Guarini le stanze 79, 80, 81, e in luogo loro ve ne ripone dodici. Se volete certificarvi che questo cambiamento sia del Tasso, e intenderne la ragione, leggete le due lettere al Patriarca medesimo addì 3 Aprile, e 14 Giugno 1576. Leva le stanze 95 e 96 del Canto 6 e ve ne ripone otto in iscambio: ma quando arriva alla 99 ommette i due ultimi versi : sapete perchè ? perchè il Tasso la prima volta non gli potè fare, e perciò lasciò la stanza imperfetta, come si vede nella lettera da me ultimamente citata. Alla stanza 68 del Canto 12 così corregge: Non mori già, che sue virtudi accolse Tutte in quel punto, ecc. Questa bella mutazione non si dee né al Guarini, né al Tasso, ma bensì al tante volte nominato Patriarca di Gerusalemme, onde fu ringraziato con lettera, che sta registrata fra le poetiche, p. 61; le cui parole qui stendo, perchè sono notabili: < e come che di molti, anzi della più parte dei suoi concieri mi compiaccia, di « quel rimango sodisfattissimo. Non mori già, che sue virtudi accolse « e non posso quando il Ir-ggo, non ridermi, e non burlarmi di me stesso, che penai < tutta una sera per accomodare quei due versi, e gli mutai in cento modi, e pure < non mi sovvenne questo così buono, e così naturale » . E questi pochi luoghi vi servano come d'un saggio per non andar a lungo oltre misura. Quindi dovrete restar persuaso, come mi pare, che il manoscritto posseduto dal nostro Sig. Alessandro, non conferma l'opinione di Scipione Bonanni, panegirista del Guarini; e per poco io ardirei di negar fede a questo per altro onorato valentuomo: non sapendo inten- dere come il Tasso usasse un tratto di confidenza sì grande con uno, che non gli era, per ciò ch'io sappia, neppur mezzanamente amico. E se usato mai glielo avesse, credete voi, che non ci sarebbe restata la memoria nelle lettere dell'uno o dell'altro? Sappiamo e di Scipion Gonzaga, e di Barga, e di Speroni, e di Scalabrino, e di Pi- nelli, e d'Antoniani, e d'altri, e si sarebbe poi taciuto il nome di quello, che sopra tutti dovea esser nominato e lodato ? Tanto è vero, che non passava corrispondenza di questi affari fra il Ta.sso ed il Guarino, che avendo questi composto il suo - 487 - Pastor fido, non glie ne fece saper punto nò poco, come si ricava dal nuni. 75 dei detti inLMnorabili del Tasso, dopo la di lui vita scritta dal Manso, dove si ha, ch'epli adi a leggere il Pastor fido la prima volta in Napoli, ed essendo interrogato del suo parere risposi-: « mi piace sommamente-, ma confesso di non saper la cagione, € perchè mi piaccia ». Certamente il gentilissimo Cav. Guarini nmi poteva commettere un atto d'improprietà sì grande, qual sarebbe stato il negare un tratto di scambievol confidenza al più celebre letterato di quell'età. Io volea qui servirmi d'un argomento preso dalla maniera, con cui parla il Gua- rini nelle sue lettere del Tasso: ma ecco che mentre a questo line le scorro, mi si fa sotto l'occhio un passo, che forse potrebbe decifrare il nostro dubbio. Scrive egli al Sig. Marchese da Este a Torino, a fine d'otteni-re, che si stampasse la sua tra- gicomedia, e dice di farlo, acciocché non venis.se poi stiimpata con mille mostri di scorrezioni, e d'errori: < piaghe (sono sue parole) che nell'opere altrui non ho potato « tollerare, come nelle Rime del Sig. Tasso, da me per sola pietà corrette, e fatte € stampare in Ferrara gli anni passwiti ». (^ui come mi persuado, s-ptto nome di rime intende la Gerusalemme, con la qual voce nella stt's.sa lettera significa anche il suo Pastor fido. S'io avessi trovato questo luogo a principio avrei presa altra idea nello scrivervi : pur mi compiaccio d'aver indovinato che il Guarini avea fatta la fatica per qualche stampatore; ed ho per sicuro, che avendo egli dapprima jìreparato que- st'esemplare per farlo im|)rimere, stimò poi meglio di prepararne alcun altro poste- riormente stampato, nel quale fo.ssero tutti i canti, se non tutti i versi; e così il presente gli restò in casa. Qaindi è, che mi dà gran pensiero ciò che scrisse Mons. Fontanini, soggetto di sceltissima ed a voi ben nota erndizione, allorché nel suo Aminta difeso, p. 212, afifermò, che la prima edizione della Gerusalemme veramente buona, e perfetta, fosse fatta bensì in Ferrara, ma per opera di Febo Bonnà sopra un originale ricorretto, ed emendato dal Tasso; e volle, ciie questa edizione seguisse immediatamente dopo le due di Parma e di Casal maggiore. Poiché sulle citate parole del Guarini può dubitare, che quella del Bonnà, o non sia la prima fatta in Ferrara, o non sia ve- ramente perfetta, o non si debba attribuire a lui .solo. Io però non vidi mai questa edizione, né saprei come trovarla in una città poco abbondante di tai libri, per farci sopra quelle considerazioni, che per avventura potrebbero sciorre la difficoltà. .Ma universalmente parlando, non è da me l'entrare in simili gineprai: e se in questa lettera sono uscito troppo più ch'io non dovea, dell'angusta mia cute, l'ho fatto appunto, perchè questa è lettera, cioè scrittura di segreta confidenza. Che se vi piace di farmene correzione, pel dritto che vi concede la vo.stra finis- sima letteratura, protesto di volerla ricevere con sensi di molta obbligazione; e con quella rassegnazione con cui sono, e sarò inviolabilmente Padova, 17 Decembre 1711. XV. Giuseppe Lamoni a Girolamo Baruffaldi. — Venezia. Mi sono tutto consolato in veder le vostre da me desideratissiine lettere nel tempo del vostro tanto noto infortunio, quando da lungo tempo io stava sospirando nuova di Voi, e temeva che la lontananza dalla patria, unita al disastro, che vi opprime, vi avesse afi'atto alienato l'animo dalla conversevole vita, che menavate qui con gli amici. Maggiormente poi s'è accresciuto il mio giubilo in sentirvi chiedermi \V. — Tasso T., Opere, Venezia. Monti e C, 1735-42. pp. 407-lt>. — 488 - di sa letU'rariu, segno evidente, che non vi siete abbandonato all'ozio od alla de- stituzione d'animo, che dagl'infortuni suole in noi derivare. E dal chiedere che mi fato notizia sopra le postille d'Ottavio Macfnanini al poema del Tasso, ben m'ac- corgo, ohe voi stato o meditando, o travagliando sopra qualche nobile e gustosa materia, per sempre più rendervi illustre al mondo, anche in mezzo alle calamità. Sia ciò con vostra lode e vantaggio, che ve l'auguro ben di cuore: odio per essere coadiutore, per quanto posso, della vostra lodevole intenzione, ecco che appartatomi dalle mie faccende mediche, vi consacro quest'ora per ragguagliarvi di quanto desiderate. Il t«sto della Gerusalemme liberata ch'io tengo, e che voi avete ben altre volte veduto presso di me, si ò quello della nobil edizion prima di Genova del 1590, in forma 4", con le figure di Bernardo Castello, a me pervenuto con altri libri, allorché gli eredi Magnaiiini (a. me ora, come sapete, per sangue congiunti) si disfecero della famosa e scelta biblioteca, raccolta dal celebre filosofo ed oratore Ottavio Magua- nini, autore a voi, ed a tutto il mondo ben noto, per le Lezioni sopra gli occhi, per il Convito, e per altro opere eruditissime, da lui pubblicate, parte col proprio nome, e parte sotto quello dell'Arsiccio Accademico Ricreduto. La rarità di questo testo consiste in parecchie postille fatte di proprio pugno dal detto Ottavio in molti luoghi di quel mirabil poema. Per l'intelligenza, non meno che per il retto uso delle quali, convien che sappiate, aver avuto il Magnanini una grande aderenza co' Fiorentini, e spezialmente coU'Ac- cademia della Crusca, cosicché negli scritti suoi affettava anzi che no il toscanesmo, e la stretta regola del parlar puro. A suoi giorni (quantunque egli nascesse l'anno appunto che mori '1 Salviati, cioè nel 1589) erano ancora se non nel primo vigore, certamente sul tavoliero dei letterati le famose controversie fra l'Accademia della Crusca ed i partegiani di Torquato Tasso, per l'approvazione o disa])provamento del suo gran poema, il quale per tanto tempo è stato fuori del catalogo degli au- tori di buona lingua. Ed era ben anche in Ferrara a quel tempo questo piatire fra diversi letterati di quei giorni, di maniera che alle volte le intere conversazioni ed adunanze letterarie trattavano solo di questo punto. Ora il Magnanini geloso osser- vatore, forse anche troppo de' canoni della Crusca, e tutto inclinato a patrocinare l'Ariosto sopra del Tasso (che questa poi in somma era tutta la questione di quel- l'Accademia) per far toccar con mani, quanto lontano fosse stato quest'ultimo dalla purezza del favellar del primo, si prese la briga di notar que' luoghi, che a lui pareano piò favorevoli alla sua opinione, e ne segnò, per dir così, tutti i fogli di quel libro per proprio uso, e per aver agevolmente alla mano, in occasione di con- trasto letterario, que' luoghi più confacenti alla sua intenzione. Per tanto voi vedrete, che tutto '1 forte di queste postille sta nel fiore e nella proprietà della lingua, toltine alcuni luoghi, da lui dichiarati oscuri e confusi. Usa alle volte qualche sale un po' piccante, ma non rabbioso, cosicché nello stesso tempo che punge, diletta ancora, e v'accorgerete ben presto, che per esser egli preoccupato a favor dell'Ariosto, diviene alle volte soverchiamente stitico, e non poche delle sue postille hanno pronte le loro risposte, le quali ben potevano essere a lui note, ma per desiderio di trovar la verità dell'opinioni, erano da lui notate, e portate poscia a discutersi nella nostra allor nascente Accademia degl'Intrepidi, floridissima d'uomini di primo rango, della quale era egli segretario, e promotore sempre di qualche biz- zarra materia di discorso, per tener ad ogn'ora vivo l'esercizio letterario. Con questo prologo, che m'è paruto necessario far precorrere, venite ora a leggere le postille, che qui vi trascrivo a puntino, quali egli ce le lasciò. — 489 Canto I. Esemplare stampato. St. 2 s'adorno in parte ■> 7 da l'alto soglio de la stellata spera 9 Xumt^ 12 e in nome mio di lui 15 ma più ne l'onde chiuso 18 riscote 20 I grandi dell'essercito 36 dispensiera 40 addur 50 a la fatica invitti 61 Regea Tolosa 89 i culti luoghi St. 3 proveduto s'empie in tal guisa » 7 si disse 11 tatto in lor d'odio infellonissi 23 non volsi far 28 Ahi tanto amò 20 innaccessibil vie 40 lento allenugli al corso 56 si parte niatutino 58 gran fabro di calunnie 59 inessorabil ferro 76 avince 79 essorti 89 e fenne un seno 94 reca tu la risposta 97 si disciosrlie nel sonno Postilla matioscritta. s'i adorno soliu de l'I, ne la, e simili, quando Tana <' ar ticolo e l'altra preposizione, non se nt' fa due dizioni , perciò che inuterieno significato , ma vi si radoppia la /; •■ questo libro ò pieno di questi errori. Voce forestiera, e non si trova in niuno de' buoni Autori. Vuol dire a lui la ne muta significato posta cosi. riscuote Esercito, la scrittura segue la pronunzia. licenza poetica; vuol dire dispennatrice. Non vuol dir nulla: contlnr piuttosto. strano modo. vuol dir reggea. non si dice noi versi, né luogo, ne alloghi, e son più considerabili avendo obbedit . vuol dire se': non si truova se non in nu- mero. Quando non v'è ili chi, vuol dir facchino. credo levarsi. (ì ch'anzi lui non paresse 14 siano gl'incensi 31 parte appar de le mamme 34 Come al lume ^irfalla ei si rivols '.ih fa ch'io sappia chi sei 46 e crebbe il figlio 60 Cosi lavarsi la vergogna crede Canto V. 3 matura aita 12 parte, e porta un desio 78 lor dà Si a seguitarne Armida 83 e si frapose 85 nò l'uno voleva dir pili opportuna. Questi bisticci non hanno troppo del pel- legrino ? lorda. non è al suo luogo. credo voglia dire s'interpose, che fraporre non si truova. questo è bene scritto, che mostra, che quando è preposizione bisogna raddoppiar la l e farne una dizione, e l'accento sopra la ne non v'ha luogo. Canto VI. St. 6 E l'approvava il Capitan col ciglio 43 si ristringe in guarda 84 mio prigioniero 96 si che '1 portier 109 s'incontra Capitano nella nostra lingua in rima non si truova mai usato da buon autore, e in prosa di rado, e vuol dir Bargello o Governatore di qualche fraternità. Bene disse l'Ariosto: « il Capitan della sbir- raglia ». E in questo libro passa poche volte, che non ci sia questa voce. Non può stare: guardia. Prigioniero vuol dire guardiano della pri- gione. voce nuova. se incontra. Canto VII. St. 5 Arboscelli 6 boscarecie » 81 che i fondamenti scota > 84 non superbir » 92 ma l'aiuto invisibile vicino non • mancò lui > 97 e rigirasi » 103 et ispicciarne > 110 Cos"i il timor precipiti gli caccia Arbuscelli. Boschereccie, inni bisogna appiccarsi alla regola dell'infinito, clie non è buona. scota non vuol dir nulla. Scuota, e raccon- ciava la parola, e la rima. voce nuova. l'aiuto non mancò a lui. H, raggirasi. Ispicciarne non vuol dir nulla. Cacciar precipite dubito che non sia locu- zione stravagante, e impropria. — \\n - Esemplare stampato. St.117 scute > 120 Così fuggiano i Franchi, e
  • 24 e se piaciuto pur fosse ecc. > 28 (o miracol jjentile) » ;^5 di chi Sveno l'uccise » 6S 11 Cielo io giuM St. 12 Ne d'huom sei già > 22 inordinata guarda precipitar (jVmdiKji dubito non sia strana locuzione, voce pedantesca, alla lombarda. questo epiteto non mi par troppo gentile, ci vuol altro che jiarole a saper come si debba |ironun/.iar Sveno. Se non ci fosse la replica si direbbe, che fosse errore di stampa: Pel Cielo t giuro, più tosto. Canto IX. Terremoto 45 e '1 Capitan va dove 48 sossopra 52 Non ci fra lor, non cede il cielo o ['1 mare 58 e dice lui 61 gli informa 64 itene maledetti 70 gorgozzuol 71 non è lor dato 94 Ebra di sangue se già. Guardia. Non si può comportar.- troppo di spesso. Tremuoto. troppo peculiare. Alla Pisana ; sozzopra vuol dire. Non intendo. Errar di grammatica: a lui. concorso di vocali. malaletti. gorgozzul. lo ri lato. non raddoppia dove bisogna. Canto X. St. 1 lasciandol'elmoinhonorato.ebasso » 4 Non pone in mezo -^ 18 o chiunque tu sia » 23 e parte ne l'invidia, e parte gode » 29 ma disusando > 81 volse freno introdur celate > 33 col gran corpo » 44 prevenga » 50 montagne di strago » 54 il suo meJesmo soglio > 67 hor men rammento » 73 gli si svela il futuro Inhonorato non credo che si truovi altrove che in questo libro, si raddoppia la z. sii, error di grammatica. ne lo invidia, strano, volle, par che voglia dir di quelle che si portano m capo, epiteto quasi come quello del gran capo. vuol dire prevenga. strano modo di dire. solio, che soglio è verbo, malissimo suono, dubito che questo svelarsi il futuro non duri fatica a esser inteso. St. 11 Ma il capitan de le Canto XI Christiane [genti Capitano nel principio dei canti è più considerabile, che negli altri luoghi, quantunque per tutto sta male. \\y> — hJgfir.pìare :itampnt<ì. St. '23 ina d'iiupiogaivi 2"> faoil sito 31 merlate cime 4V cala fasci di lana 54 servacTijio 83 sdnisiita 84 incesjia 55 ruinosa pendendo ma le suppone appoggi Postilla manoscritta. impiegarci. non si truova mai ne' buoni. voce antica, e buona. balle di lana, e fasci di legna si dice. voce antica, e buona. sdrucita. voce nuova. locuzione impropria. del sapore della di sopra. Canto XII. St. 2 e dice ella a se stessa » 7 lascierai » 10 e lodato sia tu > 12 sì parla il Re canuto » 13 Ben sempre tu magnanimo gaer- [riero ne ti mostrasti a te stesso sem- [biante » 14 8Ì risparmi s'o men util tal opra, o mi paresse che fornita per altri esser potesse > 19 trahendo » 21 osserva, e l'osserva anco » 27 s'immaculato è questo » 29 in breve cesta » 31 ti porge ella le mamme > 43 escon notturni lor s'infiamman gli spirti » 48 aperta è l'aurea porta » 58 e superbisce » 66 Io ti perdon » 73 A fatto ancor > 91 la sospirata amica » 95 vi spiegò sopra favellare a so stessa essendo in compagnia. lascerai si scrive. sii ha a dire, troppo spesso si per così. Ben sempre te mostrasti, e la ne è soper- chia e fa contrario effetto. si rispiarmi. questa chiave par difficile a intendersi. l'aspirazione nel mezzo delle dizioni non si mette, se non quando serve per lettera. diceva già fa servarla, il che pareva avesse pili autorità. Se immaculato. L'apostrofo in questa guisa muta significato. questo epiteto di breve mi par che si con- venga ad offn'altra cosa che a cesta. le mammelle ti porge. credo che sia nuova locuzione. vuol dire a loro, o veramente s'infiamma lor r^li spiriti. Questi bisticci fatti a posta, in un poema come questo, dubito che non sien molto vaghi. e 'nsuperbisce. il nome per lo verbo non credo che possa stare massimamente qui. Affatto, che a fatto non vuol dir nulla. sempre in cattivo significato. par che manchi la copula, ma può stare. Canto XIII. St. 3 di eccita 4 hirco informe 7 sì voi che le tempeste 16 sian rotte •32 era il Prence Tancredi la sua diletta amica •34 altri risparmi 43 a pie cechità. Irco voce pedantesca; e informe non vuol dir sozzo, come s'immaginò il Poeta, questo sì tante volte in si fatto significato è cosa fastidiosa, sien rotte. Prenze. sempre in cattivo significato, rispiarmi, appiè. - 493 — Canto XIV. Esemplare stampato. St. 19 e nebbia al sul arida, o rara » o3 e contra '1 dtrso il valca » 37 e prosif,'li per man » 55 e impose lui > 62 ah non v'invoglie » 73 arrizzar > 79 e gli menò da poi St. Postilla manoscrtttd. non so che la nebbia abbia mai avuto a suoi di questo mancamento. varca, o valica. presili, impor lui. afi, borra, arricciar. dappoi, 0 di poi. Canto XV. St. 4 Crinita fronte • li Cameli > 23 ne l'orto 5 29 flavi > 30 che fian » 33 mezoffiorno » 35 e non arate > 37 da tin del corso lor dicea > 38 inconosciuti lidi » 41 framette » 44 su per quell'erto 47 fermarsi a pie del monte 48 squamose creste 57 del piacer false sirene 59 natatrici 66 entro trasfusa se prende la fronte per tutta la testa, sta bene, ma non cre 8 se che ritorna affronta » 11 lassurec^giante » 12 Alterna i versi lor la musica ora » 25 lente faci t> 28 annitrendo ■* 30 dal troppo lusso » 33 la 'oen comincia impresa > 35 ahi fera vista » 38 ahi dove hor sono sé gradi sola e fuor di sé in altrui sol qualche effetto de begli occhi sui » 40 dopo 1 fine della stanza » 41 anhelante > 46 ah non più mia > 52 sì potess'io come il farei vuol dire .s/ '/ f/uarda, perché se 'l guarda vuol dir altro. affrontar sé, strano modo di favellare, voce composta dall'Autore, questo verso non mi par del Tasso, discordanza di numero, anitrir. voce forestiera, credo che vorrebbe dir cominciata ; se ben il Boccaccio disse vendica jìcr vendicata, ahi molte volte in quest'opera, che par quasi sempre. . . e pure ahi. questo é un molo di dire molto difficile, e sforzato. Qui é stata levata una stanza, questa voce bastava che ci fosse una volta, e pur ah. Questo sì per così usato in questa maniera si truova nel Petrarca ma solo una volta, 0 due , ma questo libro n'è tutto pieno, che non par molto lodevole. — 104 — Esemplnre siamiyato. Postilla manoscritta. dell' Azzio. cioè a dire di Caio Azzio. parrebbe che avesse a dire: si diffuse in gelato sudore. Rcfjinn in versi. strano modo di dire, e questa stanza e molto scura. ..^^ nel al suolo s'appressa. 71 II già si caro della Patria aspetto questi stravolgimenti sanno languidezza. 78 trattar l'arco, e la spada del medesimo sapore di quel di sopra tratta l'aure. St. 56 ile l'Attio sangue » 59 si diffuse di gelato sudore » 66 odio l'esser Reina » 70 calca le nubi, e tratta l'aur ne '1 suolo appressa Canto XVII. St. 1 mesce il turbo spirante Boccaccio: spiratile turbo. » o Musa quale stagion, e qual là fosse Quale ivi, o qual là. » 5 E passa a dentro incontra a l'in- addentro allo 'nfinito. finito » 48 s'in gniderdon mi chiede se 'n guiderdon. » 81 par si mova muova. » 88 E se cosa qual certo io m'assecuro Affermarti , non sono in questo / [audace ; manca dirò, o udirai, o simile. Ch'io intesi da tal, che senza velo \ I segreti tal'hur scopre del Cielo Canto XVIII. St. 3 senza tali instrumenti strumenti. » 32 giungi i labri a le labra ecc. poco onesto. » 61 havean congiunto conrfiunta, ina il forzò la rima. Cakto XIX. St. 4 sorrise il buon Tancredi un cotal sorridere un riso. riso 6 non ti lasso 9 poscia lui dice 25 nove offerte 28 al fin isviene 82 pietoso prigionier » 103 portamento estrano » 129 non ce li insegna St. 3 avampa » 9 s'allonga » 21 celesti arcani > 25 gliela figura » 38 che prima more » 53 tremoto » 79 perente lascio vorria dire. Lo sforzò la rima. a lui dice. nuove. misviene. Prigionier per guardiano della prigione sta bene, ma altrove è posto ^er prigione, e sta male, strano, non intendo. Canto XX. avvampa. s'allunga. troppo latina potendo far senza. gliele figura. muore. tremuoto. percuote. Ecojvi le postille desiderate, ma non crediate d'averle già avute tutte quante sono: n'ho tralasciate molte, puramente materiali, e che correggono la sola stampa, oltre che si ripetono in moltissimi luoghi, dove cada la parola ])Ostillata una volta da lui, ed infinite wr co.sì dire lineette sottoposte a ilivero et Rev.^o Sig. il Signor Cinthio Aldobrandini Card, di S. Giorgio, in Parigi, appresso Ahel VAngelieri nella prima colonna del Palazzo MDLCXV (così in vece di ]^IDXCV) in-12. V'ha come nelle altre, la dedicazione di Angelo Ingegneri, e la canzone del Tasso al Card. Aldobrandino, e un sonetto in lode del divin Sig. T. T. che principia : Amici, questi è il Tasso. Ma avanti il sonetto si legge una certa lettera in lingua francese dello stampatore Angelieri ai lettori ; dalla quale si ricava, che egli dopo aver impresso questo bel poema in prosa francese, tradotto da un personaggio de' più eccellenti, come egli dice, del suo tempo, ha do- vuto, sì per la bellezza del poema, come per l'instanze che glie ne faceano i Fran- cesi, porlo sotto il torchio; non già seguendo Tesemplare per l'addietro impresso, tna sopra una novella copia del tutto cambiata, e riveduta dall'autore, inviatagli da Roma, ecc. E promette di stampare in fine alcuni canti di questo poema in versi italiani e francesi : il che non so se poi abbia fatto. Questa edizione è rarissima e stimatissima; poiché ben saprete, ch'ella fu condannata e soppressa con decreto del Parlamento di Parigi del dì primo Settembre 1595, a riguardo principalmente di diciotto versi posti quivi a e. 170 nel libro XX ; come versi, dice il decreto, conte- nenti sentimenti contrari all'autorità del Re, e al bene del regno, e come infama- tori del defunto re Arrigo III e dell'allora regnante Arrigo IV, non ancora ammesso in quell'anno al grembo della Santa religione cattolica, e non ancora assoluto dalle censure. Di questo decreto parla il Dupiii nel suo trattato De la puissance Ecclé- siastique et temporelle, impresse nel 1707, in-8, ma si trova distesamente inserito a e. 154-155 del t. I del libro intitolato Preuves des Libertez de V Eglise Galli- cane, dalla seconda accresciuta impressione, fatta in Parigi per Bastiano e Gabriello Cramoisy, 1651, in fol. Ha voluto comunicarvi queste notizie, che però forse non vi gingneranno novelle. Salutate la Signora Madre e tutti al solito. Addio fratello ama- tissimo. Vienna, 5 Ottobre 1720. I?n. — Zeso a.. UtUre*, Venezia, Sansoni, 1785, voi. Ili, p. 191-3. — Cfr. Moliki G., Operette biblio- fìrafieht, Firenze WA, p. 208-9, ove pubblica il decreto del Parlamento di Parigi, cui allnde lo Zen*. ,1, Ila n',Vy/.u al fij». 11,-. ,ii r^-rti IjV.ri ff.rnpprati in Olanda. k - 497 — XVIII. Apostolo Zeno a Pier Caterino Zeno. — Veneeia. Il Sig. Gentilotti vi .saluta atfetttiosamente. Esso mi lia ilata la Gismondo del Tas.so, acciocché ve ne faccia una copia. Prima di pòrii mano, ho voluto le^^gerla con ogni attenzione. L'ho trovata di stampa cosi .scorretta, che non v'ha quasi verso «he vi sia sano, e in moltissimi luoghi non se ne può lissolatamente ricavare il senso, ■ 'fa per istorpiamento e mancamento di parole, ora per mancanza di versi interi. Ci6 tutta volta non mi avrebbe arre.st-. La scrittura è autografa senza verun dubbio, e qui in Ferrara ci ha chi meco lo giurerebbe, e specialmente il mio stimatissimo Sig. Lanzoni por la pratica che abbiamo <;ul carattere del Tasso, del quale io ho tutta la Gerusalemme, V Aminta, e due tomi di Rime, varii Dialoghi o Prose, e ]jarecchie lettere originali come potrà ella aver veduto nel quinto de' miei ragionamenti poetici ultimamente stampati colla Gerusalemme e Rimario d'essa del Bonarigo in Venezia. Anzi io voleva aiutare l'edi- zione di costui, ma l'ho poi scoperto per poco fermo, onde ho rivolto tutto il soc- corso alla edizione di Firenze, la quale presto uscirà in parecchi tomi in foglio, di quella correzione che si sa essere le cose di Firenze. Originale adunque del Tasso è questa disposizione testamentaria, ed è stata tro- vata nelle scritture dell'abate Rondinelli nobile Ferrarese ultimamente morto, erede XX. — BiUiotecft Qaeririiana di Brescia: Misceli. Oir/liardi, se-^n. 0. VI. 12, e 128. - 499 - e successore di quel signor Ercole Romlinelli, al quale il Tasso nel principio d'esso fou[lio raccomanda le sue cose. Senza dubbio \nn il viaggio in Framia da lui fu l'atto col ('ard.' Luigi d'Este del che ne parlano molti storici, e il Manso medesimo nella vita del Ta«8o, (juantunque vada errato negli anni. Dallo stesso archivio ricavai un'altra lettera scritta al me- desimo R'-iulinelio, ilall'Ospitale di S. Anna di Ferrara dov'egli era relegato per pazzo, e dopo alcune cnse, rincliiude l'origine del suo inancninento in queste poche parole: Per soverc/iio d'ira e d' immani itvi: ione, e parte per necessità, trascorsi in alcuni errori. (^vifW immaifincuìone vuol pur dire al parer mio, tante cose. S'io avessi ozio vorrei ter- minare un mio già cominciato ragionamento Della pazzia del Tanno, se falsa o vera. Ma gli anni crescono, e gli aft'ari non si scemano, essemlo io stato onorato un mese fa del grado di Vicario Arcivescovile di Ravenna nella giurisdizione di Ferrara, che non è poco, cun giudicatura civile e criminale Ferrara, 2 Gennaio 1724. XXI. Lodorico Antonio Muratori mi Apostolo Zeno. — Venezia. Alla bella e piena edizione che si fa costi dell'opere di Torquato Tasso, ben vo- lentieri vengo a contribuire anch'io tutto quel poco d'inedito, che in mia mano si trova di quell'incomparabile ingegno. Forse di pochi si potrà dire ciò. ch'io credo di poter dire del Tasso, cioè non esserci cosa scritta o dettata da lui, per picciola ciie sia, la quale non meriti d'essere comunicata al pubblico |ier via delle stampe. Non già che siano gemme tutti quanti i suoi detti o scritti; ma i)ercht"? in ogni cosa ilei suo si sonte o il filosofo o il poeta; essendosi appunto unite in lui (nò credo che alcuno ne dubiti) le raro prerogative di gran jioeta o di gran filosofo. Oltre di che esige la venerazione dovuta a certi straordinarii e famosi ingegni, che si tenga e faccia conto anche d'ogni menoma cosa, o scritta da essi, o spettante alla loro vita. E che non fanno gli eruditi per cavar fuori delle tenebre i soli fram- menti ilegli antichi Greci o Latini scrittori? Tutto si reputa tesoro, perchè uscito di sì nobili vecchie miniere. Ora ancorché noi abbiamo gran copia di lettere del Tasso date alla luce, e tutte degne di questa luco: pure a me è riuscito di scoprirne e rannarne non poche altre, prive finora, e pur meritevoli anch'esse del medesimo benefìzio. E queste a tal fine appunto trasmetto a voi, amatissimo mio Sig. Apo- stolo, perchè a voi più che ad altri so che saran care, da che meditate da tanto tempo la Storia de' Poeti Volgari d'Italia, o v'è a cuore d'avere nella copiosa e scelta vostra libreiia .specialmente le lettere di quanti mai potete trovare scrittori italiani. Ma voi n>i chiedete onde io abbia tratto queste non più vedute merci. Rispondo: da gli originali del Tasso medesimo, che si conservano in Modena, e specialmente nella libreria del Sereniss." Sig. Duca di Modena, mio Padrone. E qui voglio met- tervene il catalogo sotto gli occhi, acciochè possiate giudicare, s'altra città possa gareggiar con Modena in posseder manoscritti di quell'insigne ingegno. Abbiamo dunque de' Dialoghi scritti di mano stessa del Ta.sso : Il Cattaneo, ovvero de gVIdoli — Il Forno, o della Nobiltà — Il Nifo, ovvero del Piacere — Il Messaggiero — lì Trattato della Virtù Eroica, e della Carità — Il Trattato della Virli'i femminile e donnesca — // Gonzaga, ovvero del Pia- cere onesto. In fine di questo è notato per mano del Signor Giulio Mosti nobile X\I. — Tasso T., Opere. W-nezia, Mouti e C, 17JJ-3.'>, voi. X, p. -'3.5 sgg. — TiOO — Femroso, e pramle amico del Tasso, il quale fu possessore di non pochi di questi mani>soritti: « Sfondò fuori questa scrittura dalle prigioni di Sant'Anna nel mese di Maggio MDLXXX. — Seguita: Il Beltramo Olivero della Cortesia — Il Fore- stiero Xajìolitano, ovvero della Gelosia — lì Dialogo tra Agostin da Sessa e Ce- sare Gonzaga il cui principio è: « Che cosa tmsconde sotto la cappa il Sig. Cesare ecc. » S'agpinng^ono due quaderni di Lettere del medesimo Tasso; e due altri di varie sue Poesie; in uno de' quali v'ha la lista de' Libri e Panni a lui spettanti. Tutto questo è di carattere di quel valentuomo colle sue cassature e mutazioni. Succe- dono in fine altre opere scritte di mano del suddetto Mosti, ma corrette in qualche sito dal Tasso medesimo. E sono un quaderno di varie altre Lettere; la Tragedia imperfetta, che comincia: < Figlia e Signora mia... »; il Dialogo del debito del Cavaliere, indirizzato dal Tasso al suddetto Sig. Giulio Mosti; Il Gianluca ossia delle Maschere; Il Rangone ovvero della Pace. Fra l'altre cose, che in esse let- tore ho nutato, una delle riguardevoli, scritta al Sig. Curzio Ardizio, che comincia: Im grazia di V. S. non fu 7nai ecc., ed è stampata, ha questa data: Di Ferrara, 9 Aprile 1586. Ho io trascelto alcuni pochi componimenti poetici, da me creduti inediti, dai suddetti manoscritti, e probabilmente 8e ne potrebbero trar de gli altri; ma non mi sento di mettermi a sì fatta caccia, che richiederebbe non poca pazienza e tempo. Eccovi dunque il fondaco, onde ho io ricavato le merci, che ora a voi mando, con ferma credenza, che a voi prima, e poscia al pubblico, debbano non mediocremente piacere. E tanto più perchè questa giunta di notizie potrà somministrare un buon rinforzo a chi ha preso ad illustrare maggiormente la vita del Tasso. Ma strana cosa può parer tuttavia, che il passo più scabroso e famoso d'essa vita, cioè l'esser egli stato per non pochi anni confinato nello spedale di S. Anna di Ferrara, resti tuttavia oscuro, e non se ne sappiano addurre i veri e certi motivi. Quel che è più: o&servate la lettera Vili fra quelle che a voi trasmetto (1). Ivi sembra che né pure il Tasso medesimo sapesse il perchè egli fosse detenuto in quella (diciamola pure schietta) poco gloriosa prigione. Egli ne attribuisce la cagione allo sdegno del Gran Duca: per essere stato avvisato, dice egli, ch'io aveva rivelato al Duca di Ferrara, ecc. Questo è il vangelo. Confesso il mio fallo. Sotto qneìVetcetera ho io coperta un'in- decente parola (2), che non era lecito di lasciar correre alle stampe. Ma dobbiamo noi credere, che questo veramente fosse il reato per cui il pover'uomo si acquistò una stanza fra' pazzarelli ? Io per me son ben lontano dal figurarmelo; e tanto più perchè in altre lettere si scorge che il Tasso medesimo non istà saldo nel suo constituto, e rifonde in altre cagioni la sua disavventura. A misura de' suoi deliri egli si an- dava figurando, che or da questa, or da quella parte, fosse a lui provenuta una sì fiera tempesta. Ora ho io più volte pensato e ripensato, tentando, ma inutilmente di scoprir le cagioni, per cui a si lunga penitenza fosse condannato un uomo sì famoso, e con- dannato da un Principe di mente sì alta, qual certo fu Alfonso II, duca di Ferrara. Con tutto ciò dirò a voi quel poco che mi corre pel pensiero. Fu d'avviso il Manso nella Vita di esso Tasso, che fosse indott^j il Duca a rinserrarlo in S. Anna dal bisogno in cui lo (1) .NVUa stampa ba invece il n." dO; è diretta a .Scipione Gonzaga. Cfr. ediz. Guasti, n." 99. -' V r. «-appiamo qaale. La stampa del Gaasti nalU dice, neppure nelle annotazioni in fine dui volume, !« parole del Muratori, e annota di vedere die cosa aveva rivelato, dichiarandolo egli, nella .-.H«n al duca Alfonso (n." 101). — -m — scorse di essere canitu, e dal desiderio di rendere la sanità ad un personaggio già pervenuto mercè dt-l jìuo Aminta e del suo poema eroico ad inimortalare sé stessi» e a recar sommo onore all'Italia tutta, non ohe alla sola Ferrara. E senza fallo questa mira l'ebbe il Duca; anzi non per altra cagione clic per questa faceva dire al Tasso d'avergli assegnato quel disgustoso albergo. Fra le carte dell'Archivio E- stenso io trovai, molti anni .sono, un biglietto scritto ad esso Duca Alfonso da Guido Coccapani suo fattor generale colle seguenti parole: * Il Siiftior Tasso ha mandatti « a pregarmi ch'io rada sino da lui : il die avendo io fatto, m'ha tirato in disparte * per non essere udito, e m'ha detto il sofjgetto della sua inclusa lettera, la quale * coleva ch'io aprissi, e pregatomi di presentarla a V. A. e di su])plicarla della ri- < sposta. Ed io l'ho dissuaso a non mandarla, perch'ella non ha avuto altro fine * per la sua ritenzione, se non per la saluta sua, siccome gli dissi ieri sera , e < che se ne acquetcvise sopra la fede mia. Insomma ha voluto ch'io la mandi, e « ch'io la renda lerta, .se » ritenuto prigione, che cadrà in disperazione, non potendo i egli patire lo stare rinchiiiso ; e promette di purgarsi, e di far tutto quello che ' V. A. comandenì; ma dimanda la sua camera. Ella risolverà ciò che giudicherà « che sia bene per lui ». Il biglietto fa assai conoscere che il Tasso dianzi era malconcio di sanità, e pure non voleva indursi a ricevere medicine; al che poi forzato dalla prigionia, si vede che consenti. Anzi fu solito da li innanzi il pover'uomo di raccomandarsi ai più accre- ditati medici di quel tempo, affinchè l'aiutissero nelle sue infermità. Di ciò parlano varie sue lettere, e ne parla ancora un altro biglietto scritto da non so chi al Duca, e da me trovato nel medesimo sito. Quivi è scritto: * Il Tasso vuole, che scriviamo i a V. A. c/ie con nissuna cosa più si mantiene, che con la saldis'iim'i speranza * che ha nell'A. V.,che )ion solo Ella abbia da procurargli la salute, ma da co- € mandare che quanto prima ri sia pigliata ottima provvisione ». Tutto ciò è vero, né io niego, che fra i motivi di rinserrare il Tasso non v'entrasse ancor quello di procurargli la guarigione. Con tutto ciò semjire resta una riflessione, che si aflFaccia all'incontro: cioè come sia mai non dirò possibile, ma verosimile, che un principe magnanimo, qual fu Alfonso II d"Este, per desiderio di restituire la sanità a quel grand'uoino del Tasso, altamente stimato anche da esso Principe, il facesse chiu- dere in un albergo, comune a tanti poveri, ed anche a i pazzarelli. Mancavano forse, a un Duca di Ferrara, case e maniere più convenevoli e proprie per ritenervi il Tasso, gentiluomo infermo, e per procacciargli la salute del corpo? Certamente quello spedale fa nascer ora, e fece anche nascere ne' tempi addietro un giusto sospetto, che il Duca per titolo non solo di carità, ma anche di castigo, il confinasse in quelle stanze, e per parecchi anni dipoi vel ritenesse, con resistere a tanti, che imploravano la di lui libertà. Ma e qual fu, direte voi, il delitto del Tasso ? Oh questo è quello che né i nostri vecchi lasciarono scritto, ne sicuramente si può ora raccogliere dalle lettere di lui, e che perciò né pur io saprei con sicurezza additarvi. Fra i tanti misteri delle corti, allo scoprimento dei quali non giu:,'ne il guardo del popolo, possiamo forse annoverare ancor questo. Tuttavia giacché i principi saggi operano ciò che lor detta la prudenza politica, lasciando poi la libertà a ciascuno di fantasticare per {scoprire gl'ignoti motivi delle loro risoluzioni: qui sia permesso anche a me di esporre a voi ciò che panni più veri.simile in considerando la serie delle disavventure del Tasso. Essendo io giovinetto ho conosciuto l'abate Francesco Carretta, nostro modenese, assai vecchio, persona di molta letteratura, e di gioiosa conversazione. Fu egli ne' suoi verdi anni a' servigi del famoso nostro Alessandro Tassoni, sotto il quale aveva — 502 — «ritto lottoro, o da cui trasse molto uotizie, massiinanuMito spettanti al poema della Secchia rapita, le quali ò peccato che sieno perite con lui, né io era alhira in età e in credito dì poterlo pescare e racoopliero. Interroirato questi della cagione; dolle di- sgrazio del Tasso, l'adduceva Oijli con dire d'averla intesa non so se dal Tassoni, con- temporaneo del Tasso, o puro da altri vecchi. Cioè che trovandosi il buon Torquato un giorno in corte, dove era il Duca Alfonso colle Principesse Estensi , accostatosi alla principessa Leonora sorella d'esso Duca per rispondere ad una interrogazione di lei, e trasportato da un ostro piìi che poetico, la baciò in volto. Allora il Duca, a i cui «.K'chi non fu nascoso quell'atto sì fuor di riga, da Principe saggio rivolto a' suoi Cavalieri dimestici, loro disse : « Mirato che fiera disgrazia d'un uomo sì grande, che « in questo punto è diventato matto ». Ma se la prudenza del Duca esentò il Tasso da risentimenti più gravi, richiese poi, che coerentemente al ripiego preso di trattarlo da mentecatto, egli appresso venisse condotto allo spedale, dove i veri pazzi si cura- vano in Ferrara. Così il Carretta; e il racconto suo non parrà già inverosimile a cliiunque .sa, che il Tasso secondo la moda di que' tempi, ne' quali l'essere poeta ed innamorato era una stessa cosa, ardeva di amore verso la savissima principessa Leonora, siccome anche il Manso nella Vita di lui osservò, e provò. Notissimo è altresì, avere l'umor malinconico avuta sì gran possanza nella fantasia del Tasso, ch'egli di tanto in tanto si vedova preso da gagliardissime astrazioni, da delirii e fino da una specie di fre- nesia. Il perchè nulla sarebbe da maravigliarsi, s'egli fosse trascorso nel sopra men- tovato eccesso. Ma nondimeno ritiene dal credere vera una tale avventura, il non sapere intendere, come un fatto accaduto, per quanto si suppone, alla presenza di molti, e che perciò avrebbe cagionato di gran rumore e dicerie fra il popolo di Ferrara, sia stato ignoto al Manso e a' Ferraresi stessi, se pure il Duca non avesse anche potuto e saputo mettere il sigillo alla bocca di chiunque fu spettatore del preteso trasporto. Lascio io qui la verità al suo luogo e non niego, ma né pure ac- cetto quel fatto. E vengo solamente dicendo, che se non da esso fatto, pure dal principio medesimo porto io opinione, che traesse principio la tela de' guai, a' quali soggiacque il Tasso. Prendeva la principessa Lfconora piacere, non già, cred'io, del personale, poco avvenente, infermiccio, e fantastico del nostro poeta, ma sì bene del mirabile ingegno e .sapere di lui, ch'ella al pari di tutti gl'intendenti ammirava ed amava. Il buon Tasso all'incontro pieno di filosofia platonica, e massimamente di que' strepitosi ragionamenti che intorno ad Amore lasciò scritti Platone, e poscia ampli- ficò I^Iarsilio Ficino, non solamente professava un singolare ossequio verso quella Principessa, ma eziandio, siccome dissi, covava per lei un incendio non lieve d'amore. Non è già .stato egli il primo, né sarà l'ultimo de' poeti, che si credono da tanto di poter alzare i loro affetti anche alle più alte cime, perchè la buona gente, sic- come nel linguaggio si distingue dal volgo, cosi facilmente reputa, che sopra il volgo sia lecito di salire a' suoi affetti ; e verisirailmente ancora colla forza de' versi suoi si lusinga di poter tutto tentare, e tutto ottenere. Ma i precipizi stan prepa- rati agli stravaganti cervelli ; né la prudenza suol essere la virtù favorita de gl'in- gegni poetici, e molto meno fu essa del Tasso, a cui non si fa torto con dire, che s'altri gran poeti ebbero un ramoscello di pazzia, due e tre, ed anche più, e mae- •tosi, n'ebbe egli, essendo assai nota la delirante sua fantasia di quando in quando. Infatti non seppe egli nascondere l'ardito e sconsigliato suo affetto, o pure altri gli levò in fine la cortina. Adunque per paura di castigo se ne fuggì egli da Fer- rara; ma vint^^ più che dagli altrui inviti, dal proprio genio, non istette molto a — jo:; — tornarvi; né andò poi ^uari, che fu condotto allo spedale di Sant'Anna, per onlin',- d'.'l duca Alfonso. Fate ora, Signor Apostolo, i vostri conti: non jier altro si può cre- dere, elio il buon Tas8o venisse qui rinserrato, se non p<'r castigo ; e questo castigo ad altro non è da attribuire, so non a qualch<- operazione disordinata del Tasso, per cui egli s'era tirato addosso lo sdegno del Duca. Oonfess.i il Tasso medesimo in varie sue lettere d'essere incorso nell'indignazione di quel Principe, uè si sa ch'egli potesse mai più rientrargli in grazia. Ma e por qual fallo? Non vi faceste già a credere per aver egli parl.ito male o del Gran Duca, come vedente di sopra, o del Duca di Savoia, come egli stesso asserisce nell'ultima di questo lettere scritta a Scipione Gonzaga: die tali soggetti nascevano nella sola sua fantasia, allorch<- er.i agitata da impct- tuosi fantasmi. Né pure perch'egli avesse sparlato del Duca stesso di Ferrara suo padrone, siccome egli scrisse più volte, confessando ancora, che conosceva sé stesso troppo libero e incon<ìiilerato ne' suoi ragionamenti, e d'avere offeso non meno il Duca, che il magiianiiiio Cardinale Luigi d'Este suo fratello. I |)rincipi saggi o non curano li; lingue de^'li inferiori, o si sbrigano de' servi maldicenti con dar loro il congedo. Tutte dunque le congetture ci portano a giudicare non por altra cagione caduto il Tas.so dalla grazia del Duca, e confinato nello spedale di Ferrara, che per gli suoi folli amorcggiamenti. In materia d'onore noi miriamo quanto sieno delicati, e con ragione, i nobili; 'lelicatissimi poi .sono i principi; nò voi avete bisogno ch'io vi insegni, anche senza suppor vero il fatto, che v'ho narrato di sopra, se un Duca no- bilissimo di Ferrara senza grave disdegno potesse intendere (ed é certo che l'intese) come il buon Tasso si studiava di muover affetti terreni in chi tanto era superiore di grado a lui, e ornata per consentimento d'ognuno di rarissime virtù. Non per- tanto il saggio principe si lasciò prender la mano dall'ira; ma rispettando nel Tasso l'oicllenza dell'ingegno, il merito specialmente del suo inLom|)arabil poema: senza volerlo per questo abbandonare, il fece condurre in Sant'Anna, a fine di far curare b' infermità del corpo suo, e nello stesso tempo quelle della mente, o per dir meglio della sua fantasia. Volete voi un buon testimonio di questo? A.scoltate il Tasso me- desimo, che in una lunga lettera, già stampata, al Duca d'Urbino implora la di lui protezione con dire: accioch'' io possa uscire da questa prigione di Sani' Anna senza ricever noia delle cose, che per frenesia ho dette e fatte in materia d'amore. Ed ecco dove vanno a finire i tanto decantati amori platonici . Do anche ad esaminare a voi una scappata di penna, ma più di fantasia, che osservo nell'ultima delle lettere da me raccolte, scritta a Scipione Gonzaga, dove descrivendo le miserie sue nello spedale di Sant'Anna salta a dire: E son sicuro, che se colei, che così poco atta mia amorevolezza ha corrisposto, in tale stato, ed in tale afflizione mi vedesse, avrebbe alcuna compassione di me. Ma di questo abbastanza. Se poscia amate di raccoglier altre notizie pertinenti alla vita di questo imroortal poeta, si allorché egli era detenuto nello spedale di Ferrara, come ancora dappoiché rimesso in libertà ne andò a Napoli e a Roma: le lettere, che vi presento, potranno abbondevolmente servirvi. Sopra tutto v'incontre- rete qui nel registro de' vari incomodi di sanità, che il tennero in continua miseria, e il fecero invecchiare prima del tempo. Anzi troverete delle nuove prove dei de- liri e delle frenesie, alle quali fu egli sottoposto. Se non m'inganno, alcuna di queste medesime lettere fu scritta, allorché era in qualche tempesta la di lui immaginazione: del che non s' accorgerà già sì di leggieri , chi sa poco valersi della riflessione. Quel nondimeno, che sempre é a me sembrato, e dee sembrare anche agli altri, mara- viglioso e straordinario nel Tasso, si é che ne' trasporti suoi egli non lasciava di — 504 — parlaro dn tiK>sofo, o di mostrare il suo profondo ingegno; porche in fatti egli non j^nnse inai ad essere veramente mentecatto uè pazzo, quantunque la mente sua non fosse sempre s;\na, e l'umor nero fieramente l'agitasse talvolta, e gli cagionasse delle a,. — Comincia: «Torquato Tasso» ecc. — « Domanda che gli siano accordate le difese mentre in Ferrara era stato accusato al « Sant'Uffizio » (1). S'Ella avesse bisogno di più chiaro indizio, rivedrò il codice sul quale feci tal an- notazione: ma facilmente ella ancora vedrà l'originale del Passionei ne' suoi libri presso codesti Tomitani Venezia, li 9 Marzo 177tì. XX III. Pier Antonio Serassi a Giovan Battista Rodelln. -- Jirescta. Il nostro Sig. Ab. Bonfadini con un gentilissimo .saluto portomi da vostra parte m'eccita a rompere il mio lungo silenzio, e a darvi nuova de' miei studi, e dello sco- perte che ho fatto d'opere di scrittori, che si credevano perdute, e sopra tutto di no- tizie recondite intorno alla vita d'alquanti autori celebratissimi. Vi diro pertanto, ch'io in quest'anni ho atteso piuttosto a raccogliere materiali da' Mss. di queste rie chissiine librerie che a comporre, riserbandomi a stendere e a pubblicare le cose tro- vate al mio ritorno in patria, ove spero di poter riposatamente e senza 1'- distra- zioni che qui si provano, compilare varie cose, e formarne alcuni volumetti col titolo d'Amenità Letterarie a guisa di quelle dello Schelornio, ma contenenti cose di mag- giore importanza. La principal mia cura però è stata nel raccogliere memorie in- torno alla vita di Torquato Tasso, che ho impreso a .scrivere ampiamente, nel che sono stato veramente fortunati.ssimo, essendomi venuto fatto d'avere tutto quello, ch'avea già con infinita cura raccolto Marcantonio Poppa, di lettere inedite del Tasso e di altri a lui, di Rime, e di Poesie Latine, oltre a un Poemetto pure inedito intito- lato II Monte Parnaso, che trovai originale nella Liltreria del Sig. Principe Albani(l . Che direte voi al sentire, che ho pur trovate le Considerazioni del Galileo sopr.i la Gerusalemme, cheli Viviani si duole tanto che fossero perdute? Sappiate dunque che io le tengo, e posso dir d'essere solo al mondo che le abbia, giacché il codice onde le trassi è una miscellanea di cose disparatissime senza indice e senza titoli, che è impossibile ch'altri se ne possa avvedere, ed io lietissimo di tale scoperta, dop'. che n'ebbi presa copia, ho riposto il codice a suo luogo, confuso con altri innumerabili senza indicare a persona del mondo né il numero del volume, né la Biblioteca dove si conserva. Oltre a quest'opera ho pur trovato una lunga e terribile Orazione latina di Pietro Alcionio contro Carlo V., che fingesi da lui recitata in Campidoglio al Senato e Popolo Romano dopo l'infelice sacco di questa città. Molti fanno menzione di questo bel comj)i.>nimento, ma nessuno dice d'averlo veduto. L'autor>' lo indirizza con una ele- gante lettera al celebre Tebaldeo. Ho jioi trovate ancora infinite notizie intorno alla persona, agli scritti e alle vicende di Niccolò Franco, avendo per grazia specialissima avuto in mano il suo processo, che si conserva nell'Archivio Vaticano; e veduto ancora la sua Traduzione in ottava rima dell'Iliade d'Omero, che si trova originale nella men- tovata Libreria Albani. Da' M.ss. della Barberina dove si trovano molti volumi di (1) LeUere, voi. I, n.» 98. Cfr. la mia Apptii'lire alle ape rt in proia di T. Tuifu. Firenze, L*- Monnier, 1892, p. 75. XXIII. — Biblioteca Vaticana; col. Vat. 92S6, pp. 1045-H. - stimo opportuno per le notizie interes- santi che contiene di pubblicare intera questa lettera. (1) Il Serassi qui equivocava, perché il Tasso non scrisse mai un poemetto con questo tit<>l«, nn i-jli n" fece cenno nella Vita; ina forse intendeva il Monte Ol'neto ; cfr. qui avanti n." XXIV. — ms — l-'ttere orijjinali de' più •rraiKl'uoiuini, ho tratto tutte quelle che non sono stampate, e che possono in qualche maniera servire alla storia. Fra queste ve ne sono molte del Bembo, del Sadoleto. di Benedetto Accolti, di Girolamo Neam<) J ira/ioschi. — Modena. Ho ricevuto que' frammenti di lettere d'uomini illustri riguardanti il nostro Tasso 1' la polita copia delle lettere di esso Tasso scritti a Ferrante II Gonzaga, che V. S. IH.'"* s'è compiaciuta trasmettermi con tanta pr.>nt.'zza: e degli uni e dflle altre me le professo molto obbligato, e le ne rendo atVettuosissìme grazie. Attenderò con impazienza anche la lunga lettera scritta a Pier Donato Cesi per le notizie che contiene de' disturbi avuti in Bologna, giacche altronde io non ne avea che qualche picciol barlume, non ne facendo che un cenno in una sua lettera stampata. Benché il carattere di quella sottoscrizione sia migliore del solito, non si deve dubitar che non sia veramente di mano del Tasso, giacché è C'-rto che egli da giovane S'-rivea assai meno male di quel che fece in appresso, ed abbiani qui nella Vaticana il primo abbozzo della Geru.salemme, scritto con lettera assai ben formata, ed è senza dubbio originale. Ebbi dall'Ab. Morelli la copia, ch'ella mi accenna, del Memoriale presentato dal Tasso all'Inquisizione; ma io avea trovata assai prima molto migliori cose su questo proposito in una sua luntjliissima lettera scritta al Marches; Buon- compagno, Generale di S.'' Chiesa, dalla prigione di Sant'Anna in data de' 10 Maggio 1580, tempo in cui il Tasso era già stranamente agitato dal suo umore; e questa la copiai da manoscritti del Foppa, e prima era stata di Giulio Mosti. L'edizione della Gerasalemme fatta in Lione nel 1581 non m'è riuscita nova, avendola già diw qualche tempo veduta registrata nel Catalogo della Libreria Floncel, stampato in Parigi nel 1774. Mi è bensì stato carissimo Tintenderne da lei tutte le particolarità, \\V. - R. Biblioteca E-ton^e : ms. XI K. «. cit. — 508 — lucntre in quol Catalogo iivii vi si loirgo il nomo ilollo stampatore, ma solo < Lione 15S1, in-16 ». E a dirirliola io me ne fidava poco tememlo che ci potesse essere qualolu- sbuijlio nell'anno. Ora sono contentissimo d'essermene assicurato, e l'ho già retristrata nel copioso catalogo delle edizioni della Gerusalemme che vado formando. Io ho tatto una buona raccolta delle più rare edizioni delle opere del Tasso, e tengo particolarmente le prime stampe di ciascuna: più di tutte stentai a trovare il Gof- fredo della stampa del Cavalcalupo 1580, in-4, che finalmente trovai sopra un muric- ciolo a ponte S. Angelo. Comprendo sempre più la necessità, che vi è, d'avere le cose sott I propri occhi per poterne scrivere con fondamento, come soleva dirmi quella grand'anima d'Apostolo Zeno Roma, :ìO Maggio 1778. XXVI. Pier Antoìiio Semssi a Girolamo Tiraboschi. — Modena. la lettera del Tasso al Vicelegato di Bologna trasmessami ultimamente da V. S. III.'"», contiene così belle e importanti notizie, che senza questo raro monu. mento sarebbe l'opera mia stata assai manchevole in quel paragrafo, ove scrivo della di lui dimora allo studio di Bologna, che fa negli anni 1562, dopo stampato il Rvidldo, e 1563. Io le rendo distintissime grazie di sì caro dono, e starò con ogni suo commodo attendendo le altre cose che la di lei gentilezza mi fa sperare. Ad in>inuazione del Sig. Card. Valenti Gonzaga, col quale tengo antica e stretta ser- vitù, scrissi a' giorni passati una lunga lettera all'eruditissimo P. Affò, scusandomi del dubbio ch'io avea avuto di qualche impostura, prima di leggere il bellissimo Orfeo del Poliziano da esso pubblicato : giacche non mi poteva persuadere che ci potesse essere al mondo un ms. di questa Favola migliore di quel che abbiamo qui nella Chigiana, che fa un signore della Casa de' Medici, e che ri.scontrato da me diligentemente non contiene pur un verso di più dello stampato. Ma leggendo la bella edizione di questo valente Religioso, e le prove, onde sostiene l'autorità del suo testo, mi è convenuto cedere e riputar quest'Orfeo legittimo parto del Poliziano, e fargliene un solennissimo attestato. Spero che* nel rispondere, che farà alla mia lettera, vorrà farmi grazia di quelle lettere che tiene del Tasso scritte a Vespasiano Gonzaga, tantu più che V. S. 111.'""- s'è compiacciuta prevenirla del mio desiderio. In questa Libreria .Albani, assai copiosa d'ottimi mss., vado sempre scoprendo qualclie nuova cosa a [iroposito della mia opera. Ultimamente ho trovato un bellissimo dia- logo originale e inedito di Bernardino Baldi, intitolato II Tasso, il cui frontispizio è il seguente : « Il Tasi>o ovvero della natura del verso volgare Italiano, Dialogo di Bernardino Baldi da Urbino Abbate di Guastalla nel quale con nuovi fondamenti 't scopre la quantità, cioè il tempo di ciascheduna sillaba e di ciaschedun verso, onde risulta una pienissima cognizione ed esattissima dottrina di quanto s'appar- tiene a' versi della lingua nostra » . Appiè di esso frontispizio vi sta scritto : « Adi 20 Feb." 1592 in Guastalla », e in fine « finito di scrivere adi 14 Marzo in Guastalla col nome di Dio ». Nella prefazione dice tra l'altre cose: « Questa opi- « nione ci ha fatti investigatori, l'investigazione inventori di nuovi fondamenti, i w quali stimati da noi ragionevoli, acciocché nati nel nostro intelletto nel medesimo « inutilmente non morissero, ci siamo risoluti di scrivere il presente Dialogo, n- plementum et animadversiones sotto nome di .Iacopo Guarini, alla storia dell'Uni- versità del Borsetti, alla parte II, pag. 63, porta una in-scrizione al sepolcro del Tasso affatto diversa da quella che vi è, e che vi è sempre stata, da che la fece fare il Cardinal Bevilacqua, come ci assicurano l'Oldoino e il Saianelli: Ilist. mo- numen. Ord. S. Hieronymi Congr. B. Pctri de né so donde se l'abbia cavata. Antonio Montecatino a' tempi del Tasso era Consigliere o fattutto di Corte del Duca, era lettore dello studio etc. etc, n)a non so altro relativamente al Tasso. Magdalaus è nome che mi è capitato sotto l'occhio più volte in passato in carte di que" tempi, e di persona distinta e nobile .se non m'inganno. Farmi anzi che fosse della Casa Sacrati, ma non ho pronto un sufficiente fondamento. Mi sono dai) XXVII. — Biblioteca Comunale di Bergamo. (1) V. in questo rolome Parte II. n-" CXXXIV. Non è perù diretta ad Hra/.io, ma ad Annibale Ariosto. _ :ii(i — a coivarlo, ina sino ad ora \u. Del resto che si contieno n.'l suo foglio non ho mii^lior thiarezza. Dunque l'Abate Monti l'ha indirizzata inalo, o por dir meglio l'ha lusingata di servirla bone yov iniu mozzo, e non è riuscito. Desidero miglior fortuna in altra occasione e pregandola a comandarmi, son ooii distintissima o piena stima di \. S. III.'"*, rtr. Ferrara, '•>{ Agosto 1778. XXVin. rier Antonio Sernssì a Girolamo Tiraboschi. -- Modena. 0 quanto sono mai obbligati! al mio amatissimo e stimatissimo Sig. Tiraboschi che non cessa di favorirmi e mandarmi sempre cose importantissime per la vita del mio Tasso ! Tali appunto sono lo lettere speditemi ultimamente che mi riuscirono carissime, giacché fuori di quella scritta dal Duca Alfonso al Card. Albano, che già l'avea cojiiata dal registro delle lettore di Maurizio Cattaneo con la proposta del Cardinale, e l'avea anche trovata tra m.ss. del Foppa, tutte l'altre mi sono giunte nuove e opportunissime. Quella del Cardinal Cinzio mi conforma la gelosia, ch'egli ebbe, che non fosse da altri pubblicato il poema delle Selle Giornate; mentre da una lettera pure inedita di Gio. Zarattino Castellini veggo che pose il mondo a rumore allorché le dette Giornate uscirono alla luce in Viterbo per opera dell'Inge- gnèri, impedì che per Roma se ne vendessero, le fece sequestrare allo stampatore, e se non si ristampavan subito a Venezia forse sarebbono rimase soppresse Roma, li 2 Settembre 1778. XXIX. Pier Antortio Serassi n Girolamo Tiraboschi. — Modena. Mi sarà carissima la copia non solo li (juei monumenti, che mi spediva nella lettera che s'è smarrita, ma anche di quelli che mi esibisce ncirultiina sua, e par- ticolarmente le lettere del Tasso contenute nel Codice Bardetti, fuorché quella scritta a Cornelia de' Tassi , che l'ho trovata ne' rass. del Foppa , e la vera data è de' 16 Giugno 1581, giacché nel '87 il Tasso era fuor di prigione, e a Mantova. Gra- dirò anche le lettere del Borghesi, che mi accenna. Costui anche nelle Discorsive già impresse si mostra in più luoghi poco favorevole al nostro Poeta, ma era un pedante sofistico Attenderò la nota delle rime del Tasso che leggonsi nel ms. che mi accenna. Io n'ho ultimamente acquistate alcune di originali, ed ancho la Gerusalemme dell'edizione di Parma del 1581, in-4, che è molto diversa da quella pure di Parma dello stesso anno in-12, e di Casalmaggiore in-4, e vedo che per parlarne con fondamento è necessario d'aver tutte queste edizioni sotto degli occhi. Roma, li 19 Decembre 1778. XXX. Pier Antonio Serassi a Girolamo Tiraboschi. — Modena. . Così credo che sia unico un volume ch'io tengo del commento del Beni sqira i.i Gerusalemme, stampato in Padova por Gasparo Crivellari l'anno 162-5, in-4, XXVIII. — K ì'AhVv.lvì. Estense ; mg, XI. E. 8, cit. XXIX. - E. Biblioteca Ef-ten-se ; ma XI. E. 8, cit. vvv - h it.i.iioteca Estense; ms. XI. E. 8, cit. — òli — e iledicato A'Ì Urbano Vili loii lettcni ilei primo Ajjosto 1625, .juaiiJo il tampa della sua opera, ma prevenuto dalla morte non l;i pot'jsse terminare, tfiaccliè la mia copia non oltrepassa il quinto libro. Ciò che Sembra più notabile, è che nel frontispizio si leuge, elio il Hcni « oltre il niig'liorar t in questa seconda stampa vari luoghi, commenta di più i X ultimi canti ', il che non si sapeva, ond'ò credibile ch'epli avesse veramente terminata quest'opera. Mi lusingava che essendo il volume dedicato ad Urbano Vili se ne dovesse almeno trovar una copia nella Barberina, ma non vi è che la prima stimpa dto nuovo favore, ringraziandola intanto atfettnosamento della gentile premura «h'ella ha di favorirmi di nuovi documenti pi-r la Vita del nostro 'l'asso. Nel qual proposito debbo dirle che le rime del medesimo contenut' nella raccolti Pagliaroli sono tutte inedite, e perciò mi sarà carissimo l'averne copia, tanto più che es-sendo .scritte nt-lla prima giovanezza del Poeta, debboii essere aneli.' |iii'i spiritoo' dcll'^Hre .... Roma, 10 Aprile 17'0. XXXI. Pì''r Anfonio Serri^tsi n Girolamo Tirahoschi. — Modeun. Io poi sono confuso di tanti favori ch'ella mi fa, ed ho gradito intinitanieiite non meno le rime del Tasso copiate dal Codice Pagliaroli, che le lettere del Borghesi, che ricevetti nel inedesimo ordinario, e delle quali dovn» far menzione nel parlare de' critici del Tasso Roma, li 5 Maggio 1779. XXXII. Pier Antonio Sercissi a Girolamo Tirahoschi. — Modena. Io sono stato così occupato tutti questi giorni nel fare una ponenza importantis- sima per Propaganda, che non ho avuto tempo di ringraziare V. S. 111."" della graditissima nuova, ch'ella mi ha dato, e del saggio, che le è piaciuto farmi gustar subito, delle interessantissime scoperte fatte in cotesto Archivio per la vita del nostro Tasso. Supplisco ora all'iiifretta, significandole la straordinaria contentezza che n'ho provato, e l'obbligo immortale che le sento per tanti favori. La lettera del Duca decide veramente la quistione, o fa troppo chiaramente vedere, che la cagione delle disavventure di questo grand'uomo non fu il suo amore verso la principessa Eleo- nora, il quale non fu poi tanto avanzato, che anche scoperto meritasse la prigionia di tanti anni. La prigionia gli fu data per alcune pazze e temerarie parole, che s'era lasciate uscire di bocca contro il Duca e i principali della Corte dopo il suo secondo ritorno a Ferrara, giacché nel 1578 parendogli che non gli fo.sse usato quel buon trattamento che gli si era fatto sperare, era di nuovo fuggito, e andato a Torino, dove trasportato dalla sua .strana malinconia giun.se pedono e male in arnese. Attendo con impazienza la copia dell'altre lettere; e rendendole di nuovo affettuo- sissime grazie resto con particolare stima. Roma, li Ifi Giugno 1779. Mons. Caetani mi dico d'averle spedita la copia di quelle note del Tassoni al Bracciolino, che sono certo le saranno piaciute. XXXI. — R. Biblioteca Estense; ms. XI. E. 8, cit. XXXII. — R. Biblioteca Estense; ms. \I. E. 3. cif. — 512 — XXXIIl. ricr Antonio Seras^^i a Giiohimo Tirnboschi. — Modena. Ho ricevuto anello lo altre lettore del Tasso, ch'ella con tanta gentilezza s'è coin- piiicoiuta niamlarnii, e le ne rondo affettuosissime grazie, essendo veramente iiiipor- tantissinio e sonimamente a proposito per la mia opera. La supplica a' Cardinali dell'Inquisizione che si accenna nello lettere a Curzio ed a Scipione Gonzaga si trova già da qualche anno presso di me, corno puro tra mss. del Fojipa trovai una lunga lett' i di lei gloriosi antenati ebbero in Ferrara, la quale senza al- terar punto la verità v'era descritta in guisa da far invidia a quelle de' maggiori monarchi. 0 Signor Girolamo mio, che prontezza d'ingegno, che finezza di gusto, che maturità di giudizio, e finalmente che gentili insieme e reali maniere si sono ammirate da tutta Roma in questa impareggiabile Principessa! Certo che a me parve di ravvisare in lei non jiure l'ingegno, l'erudizione e la maestosa insieme e dolce graviti di Madama Lucrezia da Este, duchessa d'Urliino, ma ancora la grazia, la soavità e la bontà non fucata della Principessa Leonora tanto celebrata dal nostro Poeta; cosicché mi sarebbe parso di commettere un gran fallo e di detrarre alla gloria del Tasso medesimo, s'io non mi fossi risoluto di pubblicare l'opera mia sotto i felici auspicii di cosi virtuosa Principessa, a cui, lasciando anche ila parte tutti gli altri titoli, pareva che fosse assolutamente dovuta por essere del sangue Estense. So che V. S. loderà grandemente questo mio disegno come è stato qui lodato ed approvato da tutti questi miei Signori ed amici, specialmente dalla Principessa Albani, la quale avendo della bontà particolare per me si degna di far o^ni officio perclii> la mia dedica sia ben accolta e pienamente gradita Roma, 24 .Maggio 1780. X.WVllL Pier Antonio Serassi a Gùnnf/ntti^td Hodelln (1). — Brescia. Credo che sappiate ch'io sto scrivendo attualmente la vita di Torquato Tasso, la quale si può dire che sin ora non sia mai stata scritta da veruno; giacché quella che abbiamo del Manso, copiato in appresso da tutti gli altri, è per la maggi-. r parte favolosa e romanzesca, come io vengo dimostriindo con originali e incontrasta- bili documenti. Ora benché mi possa lusingare di aver veduto e raccolto tutto ciò, che può mai riguardare questo argomento, mi parrebbe tuttavia di commettere un gran fallo, se non facessi istanza anche a voi, come custode e dispensiere de' tesori Mazzucheliani, e non vi pregassi ad indicarmi qualche notizia, che poteste credere non essere stata veduta da me, come o inedita o affatto recondita: di che ve ne terrei molto obbligo, nò mancherei di fare pubblica testimonianza de' vostri eruditi favori. In queste librerie di Roma io ho trovate infinite cose, e molte pure n'ho avute dagli Archivi di Ferrara e di Modena. Oltre a ciò ho fatto una prodigiosa raccolta dell'opere del Tasso, delle prime e più rare edizioni, con quasi tutte le XX.WIII. — Biblioteca Vaticana; end. Vst. •ri^l . pp. .'.ll-J. (1) Segretario del Mazznchelli. — Tiliì _ traduzioni della (rerusalemnie nelle lingue straniere e no' vari tlialetti italiani: della quale raccolta penso poi di farne un dono alla Libreria della mia patria. Trovo nello lettere del Can.co Gagliardi, toiaio I, p. 22, che il Card. Gio. Delfino Patriarca d'Aquileia, ebbe già tra' suoi libri alcuni Dialoghi originali del Tasso, de' quali avendo esso Gagliardi dimandata notizia al Canonico Silio, questi lo sod- disfece ampiamente con due memorie accennate alla p. 24 dello stesso volume. Vorrei dunque che dimandaste al signor Chiarainonti nostro, se gli sono mai venute alle mani lo dette memorie, o se sapesse darmene qualche traccia. Sopra tutto non man- cflt« voi di darmi subito quelle notizie che crederete non essermi potute giungere alle mani: e queste mi basterà che me le indichiate brevemente; che non avendole vi pregherò poi in appresso a darmene copia. È più d'un anno ohe non ho lettere del P. Vaerini: e intenderei volentieri a qua) termine si trovi della sua opera (1). Ho caro che gli Scrittori d'Italia non dor- mano: ma quando uscirà qualche tomo di questa benedetta lettera C? Godo ancora di sentire che un religioso Minore Osservante abbia preso a trattare degli Scrittori Bresciani; giacché i religiosi di quell'Ordine pare che riescano molto bene nella storia letteraria. Datemi vostre nuove e della stimatissima casa Mazzuchelli, che non mi potreste far cosa più cara; e frattanto state sano ed amatemi. Addio, Roma, li 5 Agosto 1780. XXXIX. Pier Antonio Serassi a Girolamo Tiraboschi. — Modena. Io sono tuttavia intorno al mio Tasso, e spero nella villeggiatura d'Albano, per dove partirò domani, di poterci star intorno assai più che non m'è stato permessa quest'estate a motivo delle grandissime occupazioni di Propaganda. Dalla Libreria Soranzo ho acquistato molte cose rarissime per la mia raccolta Tassiana, e trall'altre le Differenze Poetiche di esso Tasso contro Orazio Ariosto, che non avea mai potuto vedere, e che per la loro rarità non furono potute trovare da' raccoglitori di tutte l'opere del Tasso di Firenze e di Venezia. Affinchè questa mia raccolta non vada dispersa penso di farne un dono alla Libreria della nostra Patria, e credo che nessuna Libreria potrà avere in questo genere una serie somigliante Oltre le prime e le migliori edizioni della Gerusalemme tengo ancora quasi tutt( le traduzioni nelle lingue straniere e ne' vari dialetti d'Italia. Del solo anno 1581 ne tengo sei edizioni, cioè una di Venezia, due di Parma, una di Casalmaggiore <• . due di Ferrara, ma per anche non ho potuto trovare quella di Lione in-16, ch'ella mi scrisse già aver ottenuta da un Parroco dì campagna, onde se non ne avess<- eia disposto io la pregherei a volerla cedere a me o alla patria, che accrescerebbe li molto il pregio di questa doviziosa raccolta, ove si trovano anche le prime e mi :.'liori edizioni di tutte l'altr'opere del Tasso, o al Tasso appartenenti, senza nem meno eccettuare le cose più picciole e stampate perfino in fogli volanti. Credo ch<' anche Ella sarà in canìpagna; onde augurandole una lieta e felice villeggiatura, colla solita stima rni confermo. Roma, 4 Ottobre 1780. (I) Gli Scrittori di Bergamo. XXXIX. — B. BibUoteca Estense, ms. XI. E. 8, cit. — 017 — XL. Pier Antonio Strassi a Girolamo TirnboHchi. — Modena. Hu tìiialiinMite rio.'vutii l'edizioiie del Tasso, di liione l'iMl, in- 16, da me tanto dosideratii, e V. S. Ili."" pu) credere (juaiito me le senta obbligato per questo fa- vore Da monsignor Nunzio tli Vienna ho avuto una bella tradazione della Gerusalemme in lingua tedesca, e n'attendo un'altra da Pietrobur;ro in lingua russa, pubblicata ultimamente da Michel-' Popow, che mi viene spedita dal Sig. Giacomo Querengo nostro Bergamasco, valentis-iiino archifc'tto della Czara. Così vado sempre più accrescendo la mia raccolta Roma, li S Febbraio IT-'*!. Xlil. Pier Antonio Serassi a Girolamo Tiraboschi. — Modena. Nel catalogo della Biblioteca InderveMiana ho trovato una tr.iduzione olandese della Gerusalemme, stampata in R'»tterdame sino dal lfi58, in-f^, che m'era affatto ignota. Non so se le abbia scritto che da Pietroburgo mi viene mandata anche la traduzione in lingua russa pubblicata non ha molto da un Michele Popow, che per quanto intendo è bellissima. Attendo qualche incontro per mandarle un Tasso della stampa di Padova da regalare a quel sig. Arciprete che mi favori l'edizione di Lione. Ma qualora Ella ne potesse trovare uno a proposit<^» costì, la cosa sarebbe più comoda, ed io supplirei alla spesa Roma, li 10 Marzo 17«1. XLII. Pier Antonio Serassi al Conte Giacomo Carrara. — Bergamo. Io sono alcune volte tanto distratto dalle gravi e continuate occupazioni del mio impiego, che non mi resta ne tempo, né lena per soddisfare a' miei doveri co' pa- droni e cogli amici. Io ricevetti la lettera di V. S. 111."*, nella quale erano regi- strate l'edizioni ch'ella possiede del Tasso. Non avendo avuto agio di ringraziamela, lo fo presentemente, e mi rallegro con lei di così bella raccolta. Io pero le tengo quasi tutte, fuor che la Gerusalemme stanijiata nel 1621 dal Rufflnelli con le figure del Tempesta, avendo in vece quella impressa pur in Roma da Filippo de' Rossi, l'anno 1657 colle medesime figure, che è anch'essa bellissima. Del Nuovo Discorso, ecc. pubblicato dal Sandelli, tengo la prima edizione, che è di Padova del 1629, in-4, appresso Gio. Batt. Martini. Cotesta sua di Este, per il Crivellari, 164;{, non l'ho veduta mai. Averei caro che V. S. IH."" osservasse, se vi sono come in questa prima delle lacune segnate co' puntini, giacché qualora non vi fossero, fwtrei colla mede- sima compire questo vuoto, che forse conteneva le cose più importanti per la vita del Tasso. Ebbi poi anche i di-segni delle due medaglie trasmessimi gentilissimamente dal Sig. Giuseppe Beltramelli, e gli h<> risposto professandogli le mie obbligazioni, benché già avessi in mia projirietà la più grande di esse medaglie, e anche il di- segno fattomi con infinita eleganza dal nostro Sig. Quereng»; il quale mi scrive avermi spedita da Pietroburgo una bellissima traduzione della Gerusalemme in lingua XL. — R. Biblioteca Estense; ms. XI. E. 8. cit. XLI. — R. Biblioteca Estense; ms. XI. E. 8. cit. XLII. — Originale presso il signor G. Barelli di Bergamo. — MS — russa, sUnipata colà ultimamente in duo volumi. Già m'era nota la statua eretta in Padova al nostro Tasso, o mi fu anche subito trasmessa da un amico la i-^iiizione che vi fu posta, di cui V. S. Ili.'"* troverà copia nell'indiiuso fofjlietto (1). Avea anche veduto quanto scrive il Rossetti circa la Libreria dei P.P. Olivetani di Pa- dova; ma la credo una favola, «riacchò quando il Tasso si trovava in quella città era molto triovane, e allora D. Niccolò degli Oddi non era Abbate. Questo Monaco fa veramente amicissimo di Torquato, ed ha anche difesa la sua (ìerusalcmme con un dotto Dialogo, impresso in Venezia nel 1587, presso i Guerra, in-8; ma l'amicizia fa coltivata qui in Roma e in Napoli, per cui il Tasso ebbe per più mesi alloggio tanto in questo Monastero di S.'* Maria Nuova, come in quello di Monte Oliveto Maggiore. Fatti da me richiedere i Monaci di Padova, se aveano qualche monumento di questo fatto, seppi, che non era che una semplice tradizione, originata dall'ami- cizia che passò tra questi due valent'uomini. Ciò nonostante io rimango obhligatis- simo al pensiero, ch'ella ha avuto di comunicarmi le dette notizie. Sono tante le diligenze che ho fatto in questo proposito, che nulla di stampato mi può giunger nuovo riguardo al Tasso ; onde non mi raccomando se non per cose o notizie inedite. Quanto al ritratto io non mi so determinare peranco di qual mi debba servire. Veramente il suo di Francesco Terzi dovrebbe preferirsi a qualunque altro, e per il merito del pittore, e per le molte ragioni che V. S. IH.""* si compiace accennarmi ; ma è tanta la dissomiglianza, che in questo si vede da tutti gli altri ritratti del Tasso, che non posso persuadermi che questa sia veramente l'effìgie del nostro Poeta, tanto più sentendo che la barba è mezzo canuta, quale non fu mai quella del Tasso, e molto meno poteva esserlo quando il Terzi fu a visitarlo in S. Anna, il che suc- cesse nel Decembre del 1582, nel qual tempo il Tasso non aveva che 88 anni ; sicché temo che il nome possa essere stato aggiunto nel quadro posteriormente. Ma ad ogni modo è tanta la stima ch'io fo del giudici© di V. S. 111.'"'', che quand'anche dal mio genio fossi costretto a scegliere per il mio libro un altro ritratto, non la- scierò di fare una distinta ed onorata menzione del suo bel quadro, con tutte quell" particolarità, ch'ella ha favorito indicarmi. Credo che ella sappia che mi sono pro- curato un disegno anche di quello, che si conserva in casa Tassi, e che viene attri- buito a Federico Zuccheri ; ma neppur questo mi soddisfa pienamente, benché sia anch'esso semplice e senza corona. Insomma sino a quest'ora non mi compiaccio che di uno che vidi pochi giorni sono in casa d'un gentiluomo romano, il di cui avolo fu erede d'un ramo degli Orsini, d'onde proviene questo quadro. E veramente tanto i lineamenti del volto, come il colore dei capelli e della barba convengono più di tutti gli altri colla descrizione che ne fa il Manso, al quale in ciò si deve prestare fede, e l'ossatura è la medesima che quella della maschera, che si conserva in S. Onofrio, sopra della quale il nostro Ecc.™" Sig. Ambasciatore ha fatto formare a mia contemplazione un bellissimo busto, che con qualche artifìcio che gli si è (1) Il foglietto dic«: Inscrttione posta sotto la statua di Torquato Tasso in l'ailoca nel Prato ddUi TalU: ToB(jvATO Tasso ^VEM PATAVINA SCOLA ITALOUVM F.PICORVM PBIKCIPEM DESIOSATTM DIMISIT OrllNASII PATAVINI AI.VMM TAKTO SODALITIO SVPEBBl P.P. CIO 13 ce LXXVIII. — rji«t — usato intoriiu, col confronto dei ritratti più somiglianti, e liiveiiuto l'orse il più vero, e quello che por mio avviso maggiormente si appn-ssi all'originale. Tanfo mi ocvorre ilirle jjer risposta alla sua gintilissima lettt'ra e rendendole iiuuvainente iiitinit.- grazie de' suoi replicati favori, pieno di stima o di obbligazioni mi confi-rmo inalterabilmente. Honia, li lU Mar/.. 17^1. XLIII Framearu Daniele a Pan Francesco Saverio (iunllieri. — Xajioli. Non ci vnlea meni» clu- la lettera del Sig. Ab. Serassi, la qua! mi avete gentil- mente comunicata, per dissipare un nugolo nero che m'era d'intorno al cuore da più giorni, senza che neppur io ne sapessi la cagione, se non è quella univer.-ale permanente cagione di tutti i miei malanni, che mi ha rest» abitualmente tristo, e, quel ch'è peggio, noioso agli amici. E tornando alla lettera suddetta, il gradimento col quale il Sig. Ab. Serassi mostra di aver ricevute quelle poche cose ch'io gli ho mandate del Tasso o d'intimo a lui, mi suinnunistra un'altra prova con\incentissima della molta dottrina, di cui egli e fornito, e della singoiar gentilezza del suo cuore. .Ma s'ei per contraccambiarmi di questo piccolo servizio resugli, si degnerà, come fa sperare, di registrare il mio oscuro nome nelle sue carte, io potrò dire di aver ri- tratto dalla diligenza da me adoperata in mettere insieme quelle cartucce un premio, ohe non mai mi avrei saputo augurare. Voi a quest'ora avrete avute alcune altre notizie da inviare a quel Signore, come spero che avrete fatto. Vi avverto però che forse io chiamai voi. XXV'I di Cancelleria, quello ch'è veramente XXVIIl, colpa della mia storditaggine, di che bisognerà tener avvisato il Sig. Abate. Ditegli pure essermi noto che il Principe ili Venosa abbia pubblicato uu libro di madrigali messi in musica non saprei dire se da lui stesso o da altri: il qual libro io non ho mai potuto vedere; ma l'avrà forse veduto in Roma qualche dilettante di musica, senza tallo il P. maestro Martini: ed io credo che i madrigali composti dal Tasso per comando di quel Signore debbano essere quivi stampati, o tutti o in parte. Avver- tite pure il Sig. Abate che quelle lettere e quei madrigali gli debba citare come comunicatigli da me, che gli ho cavati da' manoscritti originali; poiché il povero Teatino tedesco ha passato de' guai per avermi mostrato qualche manoscritto del- l'archivio di S. Paolo, il qual archivio avrassi a tacere per non dar motivo all'amico di dolersi, corno ne avrebbe ragione, potendogli aii'he venir sopra qualche nuovo disturbo, che non vorrei. Il Card.''' Santorio, detto di S. Severino, mio paesano, fa gran protettore del Ta-s-so, come ricavasi da qualche lettera di costai ; ed io deside- rerei che se ne facesse particolar menzione. Se si dasse una corsa a quei volami di lettere del Santorio che sono nell'Archivio .segreto Vaticano, potrebbe cavarsi qualche altra particolarità interessante; la ijual cosa è facile ottener col mezzo del Sig. .\bate Clarini. Scusate questa mia filopatria, la qual arriva talvolta sino a farmi ridicolo. Mi ricordo aver già anni veduta una raccolta di versi manoscritta in morte di Donna Maria d'Avalos, Principessa di Venosa e di Don Fabbrizio Carrata Duca di Andria. que' famosi amanti stati miseramente uccisi, e mi ricorda che vi erano alcune stanze del Tasso inedite, delle quali io non presi allora copia per negligenza, e perchè erano scritte assai scorrettamente; ma il padrone di quel manoscritto ch'era un av- vocato è morto da più anni, senza lasciar eredi; né io saprei dove poterne ora avere XLIII. — Biblioteca Comanale di Bergamo. — fS>0 — alcun lumi'. Costi in Napoli presso i Capponi di S. Efrcni Nuovo serbansi gli au- tografi di non so quai prose del Tasso, ch'io non lio veduti; ma la notizia ebbi dal Don Peppe CaruUi, il quale mi pare avermi ancor detto ch'erano cose stampate; pure bisognerebbe vederle, siccome bisognerà, che, trattandosi di autografi, se ne faccia meniione dal Signor Abate. E da' P.P. Teatini de' SS. Apostoli fate ili aver la notizia distinta dell'autografo della Gerusalemme che conservavasi in quel loro Ar- chivio, e che ora è nella Vindobonense; del come, quando, e da chi i Teatini l'ac- quistarono (se non erro dal Cav. Marini), e del come, quando, e da chi fu loro tolto. Questa? coserelle messe in buon lume ai proprii luoghi, come non ne lascia dubitar la diligenza del Sig. Serassi, son altrettante gioie. E tanto basti intorno al Tasso (1). A singoiar favore ascriver debbo la comunicazione che il Sig. Abate Serassi si compiace farmi del manoscritto del volgarizzamento del Processo, cosidetto, di Fe- derico II e di Bolle, Lettere, etc. a lui appartenenti: che saranno facilmente quei tie volgarizzamenti clie i compilatori del Vocabolario della Crusca citano manoscritti appresso dell'Ansioso loro accademico, che fu Gio. Battista Strozzi. Dei suddetti volgarizzamenti una parte ne fu pubblicata dal Corbinelli in Lione 1568, dietro l'Etica di Aristotele tradotta da Ser Brunetto, la qual edizione è rarissima. Dall'Ambro- siana io feci quest'anni addietro trascrivere parecchie lettere di Pier delle Vigne tradotte in antichissimo volgare. Ora pensate voi se mi potrà esser grato il codice ■he vuol inviarmi il Sig. Serassi ; per lo quale vi priego anticipargliene i miei più veri ringraziamenti. Se potesse pure aversi dal Sig. Abate una copia di quelle rime antiche, ch'egli fece pubblicare in un tomo degli Aneddoti letterari che si stampa- rono in Boma, e delle quali non e difficile averne lui fatto tirare esemplari a parte, mi sarebbe carissima. Io avea pensato di scrivere al Sig. Abate, ma poi me ne son rimaso per sua minor noia, riserbandomi a farlo più opportunamente ai)i)resso. 0 s'egli mi conoscesse di personal dubito forte che voi, e il Sig. Conte di Wilzeck non perdereste molto del vostro credito, come quei che d'un corvo, con ornate parole ne avete voluto far un cigno. .Abbiate Don Saverio mio, più conto per lo innanzi del vostro onore. Orsù, statevi bene, amatemi, come fate. Comandatemi,' salutatemi gli amici. E vi bacio divotamente le mani. P.S Dite a Serassi che ringrazi molto Mons. Borgia da mia parte della memoria che conserva di me. Di Caserta, il di 7 di Maggio 1781. XLIV. Fmncesco Saverio Gualtieri a P. A. Serassi. — Roma. Sarei veramente contentissimo della piccola simbola somministrata al mio riveri- tissimo Sig. Ab. Serassi delle cosucce appartenenti al Tasso, se questi Teatini, che non credeva per nulla così fraterrimi, non avessero armata una guerra terribile al Teatino tedesco, che veramente è il re de' galantuomini, sul supposto ch'abbia mo- r-trato ad altri carte dell'Archivio di questa casa di S. Paolo, dove sta fissato per dar ordine all'Archivio medesimo ed alla libreria. Dall'inclusa del nostro Daniele, che mi par bene di farvi leggere originalmente per la storia di questa baia, e per '\j ^^li^lo opportuno riportare anche il rimanente ili questa lettera per le notizie letterarie che contiene. XLIV. — Biblioteca Comanale di Bergamo. — r)>i — altre lutizie che contione, rilevente qmiiitM he aettiinana mi ha fatto sperare ogni giorno di scappar qui dalla sua Caserta, e poi non l'ha fatto, come per altro sento che farà posdoinani, e desidero assai. Or questa sua dilazione a venire fa, ch'io non dilVerisen di vantaggio la spedizione del di lui foglio qui complieato, che contiene gli onori fatti a Capua al nostro Tas.so, che come rilevo dal saggio hellis- simo di stampa, del quale vi siet»? compiaciuto dì farmi grazia, par che ci vogliate ritogliere e farlo vostro. Noi siamo in molte buone mani, e siam sicari che né la nostra, né la vostra fìlopatria sarà per dar ombra al vero. Tirate giù dunque alla gagliarda, e considateci presto con tante belle cose. 8'io non fossi cosi rovinatuccio, come sono, nella salute, posso dire da che .son tornato qui, non avrei manc buono amico, che ho avuto il dispiacere di perder da parecchi anni, basta che me diate abun avviso. Mi ricordo aver sentito da voi, che ne avevate avuto copia dal diligentissimo Sig. Ab. Zaccaria: e questo mi la credere, che quella non stia men bene dell'originale Napoli, 14 Maggio 1781. XLV. Giulio J'omitano a P. A. Serassi. — Roma. Io ho ricevuto una sua commissione, col mezzo dell'Abate Fortini, di spedirle quanto avessi d'inedito spettante a Torquato Tasso, e mi sono riputato onorato assai da lei Con questo comando: anzi Le ne avrei immediatamente significata la mia gratitudine, se molti affari non me ne avessero divertito, perciocché da molto tempo io ho concepito verso di Lei una grandissima stima, sentendo quanto Ella è affe- zionata alle umane lettere ed alle scienze, che sono il migliore ornamento delle persone. Ora che dovendo spedirle alcune cose, che forse serviranno al chiarissimo Sig. Ab. Serassi, le rendo i dovuti ringraziamenti dell'onore che ha voluto farmi di servirla, e le offerisco l'opera mia in tutto ciò che Ella credesse ch'io potessi obbedirla. Ecco adunque quanto io ho d'inedito circa il Tasso: una lettera ed un sonetto, che ho copiato da un manoscritto che si conserva nella preziosa libreria de' miei parenti, i Sig.''' Amaltei di Oderzo; le mando parimenti alcune varianti lezione del sonetto al Duca di Parma, tratte da una copia di pugno di Giovanbat- tista Amalteo contemporaneo. Questo settembre anderò alla mia patria Oderzo, ed ivi mi fermerò due mesi. Se il Sig. Ab. Serassi desiderasse copia di molte poesie e lettere dei tre fratelli Amaltei (1) Dae raccolte mss. del Crescente sono ora alla Nazionale di Napoli , ma mani-ano i tt. HI e IV indicati dal Gaaltierì nella nota unita a qaesta lettera. XLV. — K. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 11^. io lo servirò b'n volentieri; in quella libreria si conservano un'infinità Ji opere non islanipate di molti celebri scrittori del XVI e XVII secolo Padova, -24 Magcrio USI. XLVl. Pier Antonio Serassi al Conte Giacomo dinara. — Bergamo. Crescono sempre più le mie obl)liirazioni verso V. S. III.'"" per le notizie ch'ella si compiace continuarmi intorno al nostro Tasso. Benché avessi già vedute l'edizioni che mi accenna in quest'ultima sua gentilissima, anzi eccetto quella del Claseri, che non la volli pn^idere, le abbia già tutte tra' miei libri, n<>n resta tuttavia, ch'io non le debba renderle distintissime grazie, come fo con tutto il cuore, per tanta e >ì cortese sua atti-nzione. Ho scorsi ancora i Cataloghi delle Librerie da V. S. IH.'"" indicati con molt'altri di Biblioteche oltramontane ; non ho però veduto quello della Libreria del Maggi, onde quando vi fosse notata qualche edizione particolare mi farà somma grazia ad accennarmela. Tra le Orazioni funebri fatte al nostro Poeta la più rara è quella dell'Ammiratu, non si trovando che nel terzo volume de' suoi Opuscoli, il quale è d'una estrema rarità, essendo stato aggiunto molti anni dappoi che furono pubblicati i primi due. Io però l'ho trovato, e per essere quest'orazione bellissima, penso di ristamparla in fondo alla mia opera. Ho avuto ultimamente da Napoli parecchie lettere inedite di vari uomini dotti scritte a Camillo Pellegrino in proposito delle controversie sopra la Gerusalemme, tra le quali ve ne sono molte di Scipione Ammirato. Posso dire di essere stato fortunatissimo nelle mie ricerche, avendo ognuno fatto a gara per favorirmi Roma, li 23 Giugno 1781. XLVII. Pier Antotiio Serashi a Sebastiano Muìeti. — Bergamo. Non occorre che facciate piti instanza né al signor Beltramelli, né al conte Gal- lizioli, giacché son sicuro che non abbiano cose importanti, e ch'io non possa già aver vedute. Ciò che mi prem-j è, che reggiate ;issolutamente di acquistarmi quella Gerusalemme di Palermo del 15S2, notata nell'Indice Remondini, e quelle i2me del Tasso, Parte I, Mantova 1590 {^ie), in-4; e questo sarà il maggior piacere ch'io possa ricevere da voi al presente. Circa il manoscritto di casa Tassi, che sì accuratamente mi descriveste nella vostra graditissima d<'" 26 dicembre, debbo dirvi che sino dal 1750 ebbi in mano gli originali di tutte quelle lettere che vi sono descritti^ e delle quali ne feci stampare la maggior parte nel terzo volume delle Lettere di Bernardo Tasso. Solo intenderei volentieri in qual anno fosse dal Bonetti compiuta cotesta sua opera Ara Tiirriano-Taxorum ecc., mentre se fosse posteriore al 1650, nel qual anno il Foppa gli scrisse una lunga lettera sopra la favolosa origine Torriana, mi farebbe gran maraviglia che esso Bonetti non si fosse arreso alle incontrastabili ragioni di detto gran letterato ; ma forse gli sarà convenuto servire all'ambizione de" signori Tassi, il che non doveva fare in nessun conto in pregiudizio della verità. Fuori di questa notizia, della quale né anche mi curo molto, voi ben vedete, che altro non mi può bisognare di quel manoscritto, della cui notizia peraltro vi ri- mango obbligatissimo, come vi sono ubbligato della briga che avete preso nell'indi- XLVJ. — Originale presso il signor G. Kavelli di Bergamo. \I,Vll _ Originale presso il signor G. Ravelli di Bergamo. «anni ili nuovo alquante edizioni il -I Ta-so, eh- ?ìà av<'va rioiunt-» ertila v»stra accurata diligenza Itonia, li 26 Gennaio 17'<2. XL\'11I Pier AntoìHo Seras-ii a Hirnlnmn rimboschi. — Mniìntn. Ella ncU'ultinio volume della sua Storia alla pag. 170 porUi alcune righe di una lettera del Picena, ove si nomina un certo Maddalò. Se le fosse riusciti di scoprire olii sia costui, mi sarebbe carissimo il saperlo, giacchia questi ora uno d«' nemici e traditori del Ta>8o. Credo che fosse un soprannome d'un gentiluomo ferrarese, ma per quante diligenze abbia fatte non ho potuto cavarne verun costrutto. Il signor Dott."" Frizzi interrogato su questo proposito mi scrisse che Magdalaus era un nome ca|dtatogli più volte sott'occhio in carte di quei tempi, e in jicrsona distinta e no- bile e che gli pareva che fosse della casa Sacrati, ma che non ne aveva in pronto V'Tun fondamento sufficiente. Chi' bella ventura sarebbe la mia, se ila cotestc lettere del Pigna esistenti nell'Archivio ducab' si potessi- ritrarre qu;\lclie . Ecco con quanta modestia l'Angeli citi se stesso. Egli pubblicò già tali Com- mentari, che credo rarissimi, non avendoli mai veduto che cosfi nella Vaticana. Il titolo ii tale: La descrizione del Po, tratta da' Commentari de' Fiumi di Bona- ventura Arcangeli ferrarese. In Padova, per Lorenzo Pasquali, 1578, in-4. Non mettete difficoltà sul cognome Arcangeli, che certamente fu storpiato. L'Angeli fu quel che preparò la Descrizione de' fiumi d'Italia, e lo dice più volte nella sua storia parmigiana che intitolò da principio Descrizione del fiume Parma. Dove descrive L. — Originale presso il signor G. Rarelli di nergamo. LI. — .SBmASsf. Op. rit.: Tol. U, p. 68-9 n. — 525 — la genealogia de' Tor..'lli, ili^e uveriie p;irliito |)iii a luii^'o i-
  • Miineritari del l'o si mostra l'autore iniziato in p-icsia, perchè traduce in versi tutti i passi degli antichi poeti che gli convien citare. Ch'egli amasse la poesia consta eziandio da un Dante, in 8, senza njte tipografiche, che io ho veduto nella libreria de' Minori Osservanti di San Francesco ad Alto in Ancona, su cui sta scritto: ad uso di me Bonaventura Angeli ferrarese. Che ben lo leggesse appare dall'aver egli a cinque per cinque numerizzati i versi di tutti i canti colla penna. Dunque se r.Angeli intendeva la poesia, potè benissimo scrivere quelle note al Tasso. Né crediate jìunto ch'egli fosse già morto. Vedete il Tirab tsclii ove parla di lui. Il pover'uoiiio era stato ìiandito da Ferrara, ed erasi rifugiato in l'arma. C^ui stese la descrizione dell'Enza, e dovette trattenersi perciò ne' castelli che essa bagna. Si accinse alla descrizione della l'arma, la qual crebbe in modo da jiotersi intitolare: Istoria della città che al torrente dà n une. Quest'ojiera fu impressa qui jier il Viotto nel 1590, e dedicata dall'autore ad Alfonso duca di Ferrara, dicendo: « A quella dunque, e per lei a Vostra Altezza serenissima, sostegno fermo, e vero ornamento nell'immortal casa Esten.se, come dovuta cosa umilmente, e con le ginocchia della mente inchine, poiché lecito non mi è per la mia disavventura con quelle del corpo farlo, e con quel maggiore e più ardente affetto di divozione e riverenza, che per me far si possa, quest'ollerisco et consacro >. Segui pregando per ottener di ri}ta- triare. Ma comunque si fosse, egli soppresse poi tal dedicatoria, mutò molti fogli dell'opera e lo stesso frontispizio, e l'offerse al principe Ranuccio Farnese l'anno 1591. Dal Tiraboschi vedrete meglio descritto ciò che vi ho detto. Queste cose mi sembrano tali da rendere la mia opinione assai probabile. Voi però, che ne sapete tante di quel beato secolo, potrete meglio jionderarle, e meglio deciderle. Vi prego de' miei più distinti rispetti verso il nostro valorosissimo monsignor Borgia, e vi esorto a non farci attendere più lungainent-' la Vi(a del Tanno, .\ddio. Parma, 8 Novembre 1782. LII. Girolamo /uliari a P. A. Serassi. — Roma. Ho avuto in Firenze una notizia, che merita di essere comunicata a V. S. Illu- strissima. Monsignor Fabbroni nell'Archivio Granducale ha trovato alcune memorie riguardanti il Tasso (1), e fra queste una sua composizione. Monsignor mi ha fatta la grazia di farmi copiare ciò che sapeva esistere, ed io mi faccio un pregio di tra- smetterle a V. S. Illustrissima per mezzo del signor Ambasciatore. Potrebbe es.sere però che nell'Arcliivio suddetto vi fos.se qualche altra cosa, e spero che non le sarà difficile il procurarsela per mezzo di qualche suo studioso corrispondente. Ella ac- cetti questa mia attenzione, come un effetto della mia amicizia Venezia, 10 Settembre 1783. LUI. Annibale degli Abati Olivieri a P. A. Serassi. — Roma. Giudicando che potesse piacerle il sapere qual esito avesse l'istanza fatta dal Cataneo al Giordani perchè impegnasse il Guarino a far qualche cosa in lode del Lll. — B. Biblioteca Nazionale di Firenze; cod. Palatino 2H. — Tasso T., Opere, voi. XVIII, Appena., p. 40. (1) Erano le lettere qui pubblicate ai nn. LXXXIX, CXXVI e CLXXI della PnrU seconda. LUI. — Originale presso il signor G. Ravelli di Bergamo. — :)■-'() — Tasso, ho rioeroato tVa molti' lotterà» elio di nuest'nltimo avevo, vi hi> trovato la risposta ila lui fatta al Giordani. Mi prendo adunque la libertà di accludorloiie una copia ^lì, 0 pri'irandola a perdonare la libertà e confidenza con eui scrivo, o ad onorarmi de' suoi preitiosi comandi con sincera stima mi rassesjno p..<:,r... <) .>,.tt.tnlMV 1794. l.I\'. Ireneo Affò n P. A. Serassi. — Roma. Ditemi per fede vostra, se mai riceveste da me, o dal Sig. 'l'iraboschi cinque o sei anni fa due lettere del Tasso a Vesi asiano Gonzaga Duca di Sabbioneta? Io sono stato sempre cosi persuaso di avervele fatte giugnere, che pubblicando nel 1780 la Vita di Vespasiano volli appena accennarle, agcjiunijendo a piò della pag. lOo queste pantlo. Queste due lettere io le ho comunicale ni dottissimo Signor Abate Pietro Serassi. che ne farà uso nella Vita del Tasso ch'cf/li sta compilando (l). Ma leg- gendo la Vita di questo grand'uomo scritta da voi con tjnita eleganza ed erudizione, vedo che voi non le aveste senza dubbio. Imperciocché se vi fossero giunte non avreste ommesso di rilevar da esse una circostanza di qualche momento, ed è, che appena condotto a Mantova nel 1586 da quel Principe, egli non si vide provveduto SI tosto, come sembra a voi che accadesse, talché stando in pensiero, era mezzo ri- soluto di andarscue a Roma, e in mezzo alle sue .solite malinconie scrisse al Duca Vespasiano in tal gui.sa ... (2). L'altra lettera è de' 'òO dillo stesso mese, ove torna a pregare per essere racco- mandato al Principe e manda a Vespasiano un sonetto composto pel Toson d'Oro a lui conferito, il qual comincia: Mentre da l'Aquilone il vostro merto (3). Sic< he se da prima non si reputò favorito cotanto, e poco appresso ebbe a chia- marsi assai pago dell'amore, e della beneficenza del Principe, io son d'avvi.so, che gran parte in quest'opera avesse il Duca Vespasiano, il quale era ben degno d'essere dalla penna vostra celebrato, supplendo al difetta mio; giacché quando ne scrissi la Vita, non seppi, a ragion della mancan/a di altre cognizioni, dar a quest'atto il peso che se gli conveniva. Piacemi assai che lodiate tanto il Cardinal Scipione, perchè di questo grand'uomo sono innamoratibsirno, e ne conservo buone memorie, e specialmente i Conirnentarj latini che di .se stesso egli scrisse elegantissimamente. Ma non vi parlò del Tas.so giammai. Temo che la vostra troppo amorevolezza mi abbia fatto torto stampando quella mia lettera scritta così alla peggio. Vi sono però molto obbligato, che al povero nome mio abbiate voluto dar qualche importanza lodandolo come avete fatto; penhè do- vendo il libro vostro durar perpetuamente, serberà vivo anche me, cui non sarà poco \,r(. ,]., i] -ai.e-isi r1i,- Voi mi amaste; e comechè i" nun sia tale qual voi mi fate, si (li h quella 'ini pubtilicata al n. "CCC.XCVI bis. LIV. - Biblioteca Comonale di Bergamo. — Pkz/.axa A., Vita del padre Ireneo Affò nel toni. VI, PtrU I delU Continwikioru delle Memorie defili scrittori e letterati parmif/iani, Parma, lH-2^)-'ò3; p. 2'Ji n. (1) I. Krri), Vita di Vetpaginno Oomaga Duca di Hubbiouetii e Trnielto, Marchese di Ostirtno, Conte 'H l:i,iuio. Fondi, ecc. Parma, Carmìgnani, 1780, p. 10.3. - I'.)fK,rta la lettera che è in Tas-o T.. Utttre ; voi. IJI, n." ti3.ì. -0 T., UtUre; rol. Ili, n.o 030. — Ó2T — creilerk ch'io lo fossi per averlo voi dettn I-;i breve min Vita ili Giaiigiroliinio «le' Rossi è staiii|iat;i per metà, ed iu intanto son tatto vostro Parma, 2 Agosto 17S.">. 1,\'. l'irr Antonio Sernssi a Girolamo Tiruìiosclii. — Motìtna. lo debb'i riiitrraziare il nostro i.'ran Tasso che porgemlomi una bi bollii i- interes- sante materia per la mia opera, mi ha dato camp" di scrivere una storia l'irio veggo avere un incontro molto maggiore di i|uello che. mi avrei figurato. Di poi debbo sa- perne grado a' miei buoni amici e padroni che tanto m'hanno favorito e giovato colle loro ricerche, tra' quali ella tiene un co.>ì distinto ed onorato luogo. Io non le potrei esprimere quale contentezza m'abbia recato il fivorevole giudizio ch'ella fa del mio libro; poiché i)rovenendo da un così solenne maestro in questo genere di studi, e da persona affetto aliena da ogni ombra di adulazione, jiosso esser sicuro di non aver gittate le mie fatiche, e d'aver anzi acquistata qualche lode per me, e fatto onore secondo le mie debili forze alla nostra Patria. Le rendo adunque affettuosi-e con le riflessioni, che m'h.i favorito di farei, cui ben liconosco per una i.-ertissimu prova della buona amicizia. E per dirlene quel che ne .' ha difeso bravamente dall'accusa, che aves.se espilatoli Fai letti; ma io tengo dei documenti incontrastabili d'altri furti letterari ch'ei fece, e di alcuni tratti malvagi che usò verso di altre persone degnissime, a solo oggetto di voler primeggiare in tutto. Credo, che quel gentiluomo nominato a cart. 280 fosse ve- ramente Montesucoli, e non Montecuccoli, avendolo trovato così nominato in altre scrit- ture. Correggerò gli anni della dimora di Tarquinio Molza alla Corte di Ferrara, così LV. - R. Biblioteca Estense, ms. XI. E. 8, cit. bene stabiliti da lei , contro ciò che ne scrisse il Vandelli. Io la ringrazio senza tìni^ di questi suoi cortesi e sensati avvertimenti e la prego a favorirmi della continuazione. R verissimo ch'io debbo scrivere la vita di Iacopo Mazzoni, onoratone di un benignis- simo cenno di Sua Santità. L'argomento ò certo molto sterile rispetto all'altro ; ma tut- tavia vi sono da dire di belle cose assai; ed io non mancherò di far tutto il possi- bile perchè la Santiti\ Sua non resti ingannata della favorevole aspettazione che ne ha concepita. Se le capita qualche bell'aneddoto riguardante questo scrittore, spero ch'ella non vorrà essermene avara. E rendendole di nuovo infinite grazie de' suoi gra- ditissimi liivori, resto con vera stima. Roma, 17 Agosto l^T-'S. LVI. Pier Antonio Serassi ad Annibale degli Abati Olivieri. — Pesaro. Da Monsignore Marini mi è stato prontamente ricapitato il gentilissimo foglio di V. S. 111."'» con la copia desiderata della lettera di Tiberio Almerici, ch'è molto bella ed interessante così per la vita del Mazzoni, che sto scrivendo, come per l'altra ^ià pubblicata del Tasso, cui in una nuova edizione potrò accrescere della notizia di questi ragionamenti avuti col Mazzoni alla presenza del Duca d'Urbino, e delle due recite deWAminta fatte in quell'anno, l'una in Pesaro, e l'altra in Fossorabrone, cosa ch'io non sapeva. Da ciò Ella ben vede, quanto crescano le mie obbligazioni verso la cortese gentilezza di V. S. IH.""*, essendosi compiaciuta di favorire così libe- ralmente questi miei studi, di che non lascierò di fare al pubblico la debita testi- monianza. Intanto ho il contento di significarle, che anche questa nuova fatica non sarà tanto smunta e scarsa di notizie importanti, quanto io temeva da principio; giacché mi è venuto fatto di trovar molte belle cose, e tali che hanno di gran lunga superato ogni mia aspettazione. E rendemlole di nuovo distintissime grazie di tanti suoi favori, pieno di stima e d'ossequio mi confermo Roma, li 12 Novembre 1785. LVII. Ireneo Affij a P. A. Serassi. — Roma. Una vostra lettera del giorno 9 di Aprile dello scorso anno mi fu l'altro giorno presentata dal Sig. Giuseppe Serassi vostro Nipote, che incontratomi per via si av- visò d'avermi conosciuto a cagione di un libro ch'io stava leggendo mentre mi re- cava alla Biblioteca. Se il ricever questa, e il conoscer lui mi fosse di sommo pia- cere vel dica l'amicizia nostra. Conobbi un uomo di molto garbo, e si parlò de' fatti vostri non poco, e degli onori che medita di darvi la vostra Patria, de' quali mi ralle- grai assaissimo. Il piacere che procurato mi avete mi sollecita a dirvi alcuna cosa ■lei vostro Tasso, che potrebbe aver luogo nella ristampa. Voi parlate nella Vita di ui della corrispondenza fra esso e Don Ferrante Gonzaga, ma non dite in che tempo la prima volta si conoscessero. Ora sappiate essere ciò avvenuto nel 1579 in Ferrara nella circostanza delle nozze del Duca Alfonso con Margherita Gonzaga. Preparando io il materiale pel terzo tomo della mia Storia di Guastalla trovo che Don Fer- rant"? vi fu, e veL'?o notata in alcune li>te di conti la spesa di certo denaro dato LVi. — biblioteca Olirerìaoa; cod. 362: Memorie di Pesaro, t. XVIIJ. — Saviotti A,, T. Tasso e U fttU petarui dtl 1.574 nel Oiorn. Star. d. Lett. It-il., voi. XII, p. 407, ii. 4. LVII. — Biblioteca Comanale di Bergamo. — I'ezzaka, Op. cit. ; tom. VI, Part** I, p. J95-C n. — 529 — ad un messer Carlo, il quale ricopio iillora alquante rime del Tasso ad uso di quel giovane Principe, che non oltrepassava i sedici anni dell'età sua per essere nato nel mese di Luglio del 156.5. Trovo poi una lettera originale «li Muzio Manfredi data in Mantova il dì h di Aprile del l.'iS? a Don Ferrante con queste parole: L'avviso che 'l Tiuiso è sempre meco, né vuole a partito veruno ch'io vegga la sua Tragedia, e Vha mostrata a tutto il resto del mondo, e me lo dice a lettere di colomhara. E pure egli ha la mia pre- statagli dal Sig. Carlo Gonzaga, ha più di tre mesi, né se gli può cavar dalle matti. Vedete humore d'huomo (1). In detto anno aveva Don Ferrante condotto in moglie Donna Vittoria Doria, e volle passar la state sul Lago di Garda. Voi ilite che il Tasso ebbe licenza dal Principe di Mantova di andar a Bergamo e non me lo mo- straste poi in cammino. Io credo di vederlo nel Luglio arrivato sai Lago a visitar Don Ferrante, trovando nelle liste delle spese tali parole: 1587. 8 Luglio. Donati al Signor Torquato Tasso d'ordine di S. Ecc. Ducatoni renti. Amatemi come fate e state sano. Parma, 'il Febbraio 1786. LVIII. Pier Antonio Serassi a Girolamo Alessandri. — Jiergamo. La vostra veneratissima Patria ha saputo rendermi più cara e pregevole la gene- rosa dimostrazione che s'è degnata di decretarmi (1), comettendone l'esecuzione a due sì virtuosi e qualificati Cavalieri, come sono la S. V. 111.""» ed il Sig. Conte Ercole Tasso, Io le ne profes.so anche per questo conto la ])iù viva ed atfettuos-a riconoscenza; siccome non cesserò mai di professarmi tenuto infinitamente ad ambedue le SS. VV. per l'onore della medaglia, che loro è piacciuto di scegliere, onore ben.sì non meritato da me, ma che renderà sempre memorabile la beneficenza della Patria verso di un suo studioso cittadino. Sono poi rimasto sorpreso dall'eccesso di cortesia con cui V. S. IH."'* ha voluto prevenirmi con una lettera piena di obbliganti ed affettuose espressioni; dalla quale ho io potuto comprendere non meno la gentilezza del suo animo che la coltura dell'ingegno. L'acquisto della sua grazia è un nuovo obbligo ch'io tengo col mio gran Tasso; sicché non dovrò mai pentirmi d'aver impiegate tante vigilie nell'illustrare la vita e gli scritti di un uomo, che ha saputo empier tutto il mondo della sua fama, e interessarlo a leggere con piiicere le sue vicende. Nell'interesse pertanto eh' porta seco la lettura di questa storia e della bontà eh'; V. S. 111.™» si compiace avere per me, debbo io riconoscere que' molti pregi, che a lei è parato di ravvisare nella mia opera : tuttavia non posso negare, che non mi siano state care le sue care lodi, da qualunque fonte elle provengano e le ne rendo perciò distinte ed affettuosissime grazie. Ora venendo alla medaglia, essa si sta lavorando attualmente con molta diligenza, e spero che debba riuscir cosa eccellente, co>ì per la squisitezza del lavoro, come per la proprietà dell'invenzione. Credo, che il signor conte Carrara le avrh significata quella piccola variazione, che si è risoluto di fare nel rovescio, per renderlo più vago e più conforme alle buone regole. Io aveva pensato di mettervi un verso di Publio Fontana (1) Cfif. in questo Tolume Parte II, n." CCLX. LVIII. — Copia del tempo presso il signor G. Bavelli di Bergamo. (1) La medaglia da coniarsi in suo onore, e che l'n poi incÌ! della vila e dello opere di T. Tasso. Xomi dì coloro i quali scrivono le lettere. Albano Girolamo, card., 105, 127, 128. Albizzi Camillo, 251, 252, 255. Aldiibraiiilini Ciazio, card., 356, 360, 3G1, 397, oiiS, 400, 401, 402. 403, 404, 405, 406. 407. 408, 409, 410, 411, 412, 413, 414, 416, 417, 418, 419, 421, 423, 424, 425. Almerici Tiberio, 59. Ammirato Scipiono, 193, 203, 223, 226, 230. 232, 236. Andreini LsaboUa, 383. Ardizio Curzio, 163, 164, 191. Ariosto Camillo, 134. Arrivabene Lelia, 346 ter. Attendolo Giovan Battista, 237, 240, 241. Avviso da Roma, 368 bis, 372 bis. B Baldi Bernardino, 170. Baldini Vittorio, 160. Baroni Evangelista, 94, 98. Bernardi Biagio, 202 ter. Bonhaverti Micbelangclo, 415. Bonnà Febo, 151, 154, 155, .342, 146 bi-i. Borghesi Diomede. 137, 194, 254, 27^, 288, 291, 292, 3.52, .368, 1.39 bis. Brumani Matteo, 334, 336, 332 bis. Brunetti Giulio, 391, 431. C Cagnani Eugenio, 428. Canigiani Bernardo, 39, 40, 41, 47, 50. 51, 52, 56, 57. 61, 62, 63, 65, 07, 6-, 70, 104, 38 bii, 124. bis, 126 ter. Canigiani Lorenzo, 126\ Capello Annibale, 162. Ca[»ello Giovan Battista, 61 bis. Capilupi Grefrorio, 297, 208. Capp'jni Orazio, 270. Capriljo Cesare, 92. Caraccio Otto, .34, Casale Paolo, 45. Castello Bernardo, 328 bis. Castel vetro Giacomo, 179. Catena Girolamo, 300, 306, 307, 308. Cutaneo Federico, 340, 341 bis, 311 ter. Cataneo Maurizio, 125, 129, 130, 197. 362, 374, 392, 393, 395, 396. Chiariti Domenico, 388. Cigoli Lodovico, 426. Coccapani Guido, 85, 90, 91, 93, 95, 97, 99, 100, 102. Conosciuti Leandro, 133, 253. Corbinelli Jacopo, 48. Cortile Ercole, 76, 81. Costantini Antonio, 233, 265, 269, 275, 277, 279, 2^0, 286, 316. Cozzarelli Giovan Francesco, 363. C^bo Alderano II, principe di Massa, 147. I) Davanzati Bernardo, 389. Den , 373. Deti G. B., 161, 227, 256, 257, 301. Donati Marcello, 337. E Elicona Giovan Battista, 329. Este (Da) Alfonso, duca di Ferrara, 58, 73, 74, 75, 96, 106, 108, 110, 118, 122. Este (Da) Luigi, card., 49, 149, 162. Farnese Ottavio, duca di Parma. 78. Frangipani (De') Mirti Fabio, 77. a Galilei Galileo, 434, 435. Gennonio (monsignor), 387 bis. Gi^Mi Marcantonio, 79, 80, 88, 84. Giglioli Gerolamo, 330, 331, 354, 358, 369, 372. Giordani Camillo, 60. — 535 - Gonzaj^a Fabio, 327. G .nzaga Ferrante, •^'^^, 387. Gonzaga Scipione, 33, 171,204, 208, 209, 271, 274, 278, 283, 285, 290, 171 <. 195, 106, 215, 216,217, 218, 219, 22(J, 221, 222, 359, M77, 378, 380, 381, 382, 384, 4:56, 437, 438, 439, 440, 441, 442, 443, 444, 445, 446. 447. 448, 449, 450, 451, 452, 453. 454, 455, 456, 457, 45S, 459, 460, 461, 462, 463, 464, 465. 466, 467, 468, 469, 470, 471, 472, 473, 474, 475, 476, 477, 478, 479, 480, 101 bis, 267 bis. Gualdo Paolo, 430. Gualengo Camillo. 107. 100, ili, 112, 113, 114, 115, 119, 121, 12:!. Guarini Battista, 201. 375, 376, 496, 806 bis. Guastavini Giulio, 258, 349. I Inquisitore (/') di Alessandria, 249 bis. Inquisitore {T) di Ferrara, s8, 103. Ingegneri Angelo, 142, 143, 145, ;390, :394, 420, 422. Iseo Giuseppe, 157. L Laderchi Giovan Battista, 100, 200. Larabertini Cesare, 101. Lavezzola Alberto, 150. Lazzara Francosco, 64. Lombardelli Orazio, 15s', 165, 319, 324. Ideino G. B., 210, 244, 202 bis. M Malaspina Celio, 1:>', 152. Malatesta Giuseppe. 370. Manfredi Muzio, 168. 260, 3:39, 34:3, .346, 385. Manso Giovan Battista, ;i09. Manuzio Aldo, HO, 314. Marino G. B., 4:52, 499, 500, 36:J bis, 363 Ur. Maschio Bernardo, :{13, 318, ;{21, 326. Masetti Giulio. 107. 100. Ili, 112, ll:ì, 114, 115, 117, HO, 120, Vl\ 124. 198. Medici (De') Ferdinando, granduca di Toscana, 323, :{25. Medici (Da') Francesco, granduca di Tu- scana, Gu, 69, 126 bùi. Milano Annibale, 172. Miiierbctti Cosimo, 429. Miroglio Federico, 2^7. Monte (Del) Francesco Maria, card., ;V22. Mosti Giulio, 136, i:]9, 146, 153. N Negro (Di) Negrone, 131. Norcs (Di) Pietro, 367. Novello Francesco Maria, 86, 87. 0 Oddi (Degli) Nicolò. 205, 246, 263, 302. :30;^, 310, 311, 315. Osanna Francesco, ;>46 bis. Panigarola Francesco, 350, :{51. Paolucci Tommaso, 338. Parisetti Matteo, 353, 355. Passeri Livio, 42, 4:3, 44, 46. Patrizi Francesco, 347, :348. Pellegrino Camillo, 211,213, 22^', 229, 23S, 2:!9, 261, 262, 267, :}04, 498. Pei>pi (De) Antonio Maria (detto Marin i, 132. Perganiino .Iacopo, 299, 4,^1,482,483,484, 485, 4S6, 4S7, 48s, 489. 490, 401, 400. Petrozani Tullio, :i:>:'.. Pigafetta Filippo, 166, 427. Pi^'na Giovan Battista, 495. Pomponazzi (monsignor), :!41. Pucci Benedetto, 181. Qaattromani Sertorio, 501, 502. Querenghi Antonio, 371. — 530 — RainaUìì Bemvìotto. 71. Riva Cosare, •ie?^, '272, 2X4, 289. KondinoUi Giovanni, 281. Ilosaocio Giuseppe, 386. Rossi (De') Bastiano, 202, 212, 225, 2M. Rovoro (Della) Francese) Ilaria, duci d'Urbino, 805, 812. Ruscelli Girolamo, 80. S Sai viali Leonardo, 224, 285, 247,248, 250. San Sisto (Dì), card., 82. Savoia (Di) Maurizio, card., 482 bia. Segretario Ducale (ID, 72. Speroni Sperone, 141, 144. Spinola Giannettino, 899. Stampatore (Lo) delV Infarinato, 207. Stigliani Tommaso, 433. Strozzi Camillo, 281. Tasso Bernardo, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11. 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18. 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 81, 82, 85. 36, 37, 38. Tassoni Belisario Estense, 53. Tassoni Lodovico, 11 G. Tini Pietro, 245. Titi Roberto, 832. Toloniei Scipione, 864, 365, :''t6. Trotti (prevosto), 167 A/s. U UbertoUi Antonio, 273. Urbani Orazio, 156, 169, 149 ìha. Vannozzi Bonifazio, 492, 493, 494. Vasaliui Giulio, 243, 259. Veniero Maffeo, 89, 126. Verdizzotti Giovan Mario, 206, 214, 242, 249, 298, 294, 295, 296, 385. Vettori Piero, 73 bis. Vinta B.'lisario, 328, 2u8 bis. Viotto Erasmo, 159. Visdomini Eugenio, 148. W Wert (iiaches, 182. Z Zabatta Cristoforo, 135. Zarattino Castellini Giovanni, 427. Zinzani Ercole, 180 bis. Zucchi Bartolomeo, 264, 879. Nomi di coloro ai quali sono dirette le lettere. À -uccellini Gaetano, 460, 461. Ajazza Vespasiano, 879. .\lbani Giovan Domenico, 376. Albano Bart<^ilomeo, 125. Albano Girolamo, card., 21, 106. 108. Albizzi Camillo, 208 bis. -Mchiggi Angelo Maria (don) da Milano, 415. Aldobrandino Jacopo, .360, 361. Almerici Virginio, 59. Ammirato Scipione, 211, 237, 241. .\npelozzo (l)') Giovanni, 2. Anziani di Lucca, 79, 80, ~3, 84. Ari'.^t , Anriib 1^, 1?.4. Ariosto Orazio, 148, 206, 214, 242, 249, 293, 294, 295, 296, 335, 847, 848,458. Arrigoni Lelio, 491. Attendolo Giovan Battista, 236, 248, 250. B Bacellini Matteo, 478. Baldi Bernardino, 327. Bartolini Matteo, 429. Battiferri Laura, 37. Beffa Negrini Antonio, 346. 478. Beni Paulo, 431. Bernardo G. M., 502. Bevilacqua Gherardo, 58. Bolognctti Francesco, 36. I — 537 — JJorghesi Dioiiied-", 1">0. Borghiiii Vincenzo, 62, 63 bis. Borgui,'ni Glieianlo, 245. Botti Matteo, 352. Braniani Matteo, ;W3. Bruni .\ntonio, 490, 500. Bultfiirini Belisario, 382. Burone Giovan Agnstino. 2."i8. ( Canani Giulio, card., 202 ter. Canigiani Bernardo, 66. Capello Annibale, 162. Capello Bianca, ijranduchessa di Toscana, 251. 252, 255. Capua (Di) Matteo, conte di Paleno, 309. 498. Castello Bernardo, 432, 267 bis, 432 bis. Cataneo Federico, 341. Cataneo Maurizio, 18, 19, 158, 210, 2G1, 350, 359, 377, 380, 381, 384, 462,463, 464, 465, 466, 467. 468, 469, Chiariti Domenico, 167. Ciauipolo Girolamo, 382. Cioli Andrea, 429. Coccapani Guido, 94. Cornacchia Pietro Martire, 34. Costantini Antonio, 266, 282. Costo Tommaso, 231. Crescenzi (monsignore), 375. Crispo Gian .Mario, 72. Crotto (segretario), 38. D Donati Marcello. 136. 137, 139, 146, 151, 153, 192, 196. 280, 287, 342, 139 bis, 191 bis. Donato Giovanni. 138, 152. Este (D) Alfonso II, duca di Ferrara, 49, 71, 76, 77, 78, 81, 85, 86. 88, 90, 91, 92, 93. 95, 97, 99, 100, 102, 103, 105, 107, 109, 111, 112, 113, 114, 115, 117, 119. 120, 121, 123, 124, 154, 172, 198, 330, 331, 35;;. .3.54. :;.'.5, :>.fi'.ì. :17m. 372, 373. Este (D") Eleonora, 101. Este (D') Filippo Maria, 127. 129, 130, 496. Este (D') Luigi, .ard., 54, 55, 132, 133, 16S. 181,253, 167 bis. Este (D') Lucrezia, ducliesaa d'Urbino, 160. Farnese Ottavio, duca di Parma, 75. Ferrari (De) Francesco, 328 bis. Filippo II, Re di Spagna, 30. Frangipani (De') Mirti Fabio, 74. Galilei Galileo, 426, 430. G. F. M., 254. Ghiroldi Eutichio, 472. Gianluca Ippolito, 190. Giordani A.seanio, 60. Giordani Giulio, 392, 393, 395, 396, 396 bis. Giordani Pier Matteo, 170. Gonzaga di Capua Vittoria, conto-jsa di Xovellara, 61 bis. Gonzaga Ferrante, 140, 163, 164, 168, 191, 260, 276, 288, 291, 292, 394, 399, 405, 420. Gonzaga Francesco, 428. Gonzaga Pirro, 456. Gonzaga Scipione, 194, 268, 272, 284, 289, 126*, 111 bis. Gonzaga Vincenzo, principe di Mantova, 171, 185. 187, 195, 265, 26'.». 275, 277, 279, 286, 297, 298, 344, 345, :{85, 171 icr, 346 ter. Governatore (Al) di Perwiia. 82. Grillo Angelo, 188. Grillo Paolo, 220. Grasso Pietro, 25. Gaalengo Camillo, 110, 118. 122. Guerriero Francesco, 363. Gualengo (padre), 458, 459. Ingegneri Angelo, 387. — 538 — Liidenhi Giovali Battista, 358, 300, 1S6 bis. Lanza Cosare, 470. lyjiuioo Viiu'onzo, 22. Lettori [A'), I3r.. 143. 155, 159, 207,244, 259, 380. 202 bis, 346 bis. Licino Giovali Battista, 343, 397, 398, 400, 401, 402, 403, 404, 406, 407, 408, 409, 410, 411, 412, 413, 414, 416, 417, 418, 419, 421, 42 ;, 424, 425. Licino Sillano, 476. Loniliardelli Orazio, 804. M Magnanini Filippo, 161. Malaspina Celio, 497. Manso G. B., iiiarcliese di Villa, 363 bis, 363 ter. Manuzio Aldo, 457. Manzuuli Benedetto, 53. Masetti Giulio, 73, 96, 110, 116, 118, 122, 197. 199, 200. Medici (Da') Ferdinando, granduca di Toscana, 322. Medici (De') Francesco, Granduca di To- scana, 39, 40, 41, 47, 50, 51, 52, 56, 57, 61, 63, 65, 67, 89, 104, 126, 169, 38 bùi, 124 bis, 126 bis, 126', 146 bis, 149 bis, 167 bis. M.-lchiorri Luigi, 273. Monaco (Un), 15. Mont'catini Antonio, 87, 98. Monte (Del) Francesco Maria, card., 323, 325, .328. Mu.scato Giovan Francesco, 64. N .V. N., 4, 33, 157, 166, 182, 383, 427, 433, 494, 495. 0 Orsini Virginio, duca di Bracciano, 368. Paciotto Felice, 141, 144. Pallavicino-Lupi Isabella, marchesana di Soragna, 145. Papio Angelo, 23. Pavesi Cosare, 31. Pollogrino Cannilo, 193, 203, 205, 223, 224, 225, 226, 227, 230, 2: '.2, 235, 246, 247, 256, 257, 263, 301, 303, 310. 311, 315, 319, 324, 349, Petracci Pietro, 477. Pefrozani Tullio, 334, 336, 332 bis. Pinoli! Vincon/,0, 48, 202, 367. Poniponazzi (monsignore), 337, 341 bis, 341 ter. Friuli Luigi, 13. 212, 234, 302, 388. 340, R Rangoni Claudia, 35. Kinucoini Francesco, 434, 435. Einuccini Ottavio, 474. Riva Cesare, 271, 274, 27^, 281, 283. 285, 290. Rizzolini Camillo, 215. Rossi (De') Antonio Maria, 24, 28. Rossi (De') Bastiano, 213, 229, 23!». Rossi (De') Porzia, 1, 3. Rovere (Della) Francesco Maria, duca di Urbino, 147, 313, 318, 321, 328, 356, 391. Rovere (Della) Guidobaldo, duca di V\i bino, 42, 43, 44, 45, 46. S Salviati Leonardo, 228, 238, 240. Savoia (Duca di) Carlo Emanuele, 142, 387 bis. Savoia (Duca di) Emanuele Filiberto, 131. Savoia (Di) Marco Pio, signor di Sassuolo, 243. Scalabrino Luca, 204, 208, 209. Sondino Costanzo, 480. Sozzifanti Bartolomeo, 493. ' Speroni Sperono, 27, 29, 201. Spinola Geronima, 222. Spinola Gianettino, 378. Spinola Nicolò, 471, 479, Strozzi Giovan Battista, 371. T Tasca Marco Antonio, 16, 32. Tassi (De') Grumella Pace, 10, 11, 12, 14, 17. 20. — 539 — Tasso Enea, 26. Tasso Ercole, 362, 374, 475. Tasso Giovai! Jucojìo, 5, 6, 7, Tasso Torquato, 09. 128, 165, 176, 177, 17S, 180, 183, 184, 216, 217, 211), 221, 262,264, 300,305, :;06, 307,308, 312. 339, 3.-.1, 357,364,365.366. 438,439,440, 441. 442,443, 446, 447,448,449,450,451, 482. 483, 484, 485, 486, 487, 490. 501. Tassoni Ercole, 149, 134 bis. Tassoni Lodovico. 179. 'i'aviiùii Faliio, 402. s, 9. 173, 186, 267, 314. 436. 444, 452, 488, 174, 189, 299. 33.^, 437, 445, 481, 489, Terranova («luca di), 249 bit. Titi Roberto, 233. U Usiiiibardi Pietro, 270. Uva (Deir) Benedetto, 4.'.5. V Valori Baccio. 889. Vcni.'ro Matteo, 126 bis. V.'terano Giulio, 317, 320. Vinta Belisario, 68, 70, 156, 316, 329. 126 ter. Vittorio Gìovan Battista, 422, Z Zaniboni Basilio, 175, 21.^, l'^. APPENDICE Lt'ltere di vari crudili intorno a T. Tasso e alle sue oimic Nome (li coloro i quali scrivono le lettere. Affò Ireneo, 51, 54, 57. B Baruffali i Girolamo, 20. Bulifon Antonio, 12. Bulifon Filippo, 11. C Cardona (Da) Fra Bonifacio, 4. Cicognara Leopoldo, 60. D Daniele Francesco, 43. Facciolati Jacopo, 14. Falconieri Ottavio, 6, 9. Foppa Marc'Antonio, 2, 8. Frizzi Antonio, 27. Fnrietti Giuseppe, card., 16. U Gagliardi G.. V-K Gualtieri Francesco Saverio, 44. Lanzoni Giuseppe, 15. Magalotti Lorenzo, 10. Menagio Ei^idio, 3, 5, 7. Monti Vincenzo, 61, 62. Morelli Jacopo, 22. Muratori Ludovico Antonio, 21. 0 Oliveri (Degli Abati) Annibale, 53. P Paglia Baldassarre, 13. Pasqualoni Pietro. 59. S Scalabrini (Abate). 1. Serassi Pier Antonio, 23, 24, 25, 26, 28, 29, 30, 31. 32. 33, 34, 35. 36. 37, 38, 39, 40, 41, 42, 46, 47, 48, 49. 50, 55, 56, 58. T Toraitano Guido, 45. Zeno Apostolo, 17, 18. Zuliani Girolamo, 52. — 540 Nomi di coloro ai quali sono dirette le lettere. Accademici della Crusca, o. Alessandri Girolamo, 58. Afìouimo, 4, 60. Antoldi (Degli) Antaldo, 61, 62. B Baruffaldi Girolamo, 14, 15, 19. Bassetti Apollonio, 10. Calepio Pietro, 16. Capoccio Vincenzo Antonio, 11. Carrara Giacomo, conte, 36, 42, 46. M Medici (De') Giovanni Gastone, 12. Medici (De') Leopoldo, 9. Menajjio Egidio, 6, 8. Muleti Sebastiano, 35, 47, 49, 50. 0 Olivieri (Degli Abati) Annibale, 56. R Rodella Giovan Battista, 2:5, 38. ' S Serassi Pier Antonio, 22, 27, 44, 45, 51, 52, 53, 54, 57. D Dati Carlo, 5. Duca di Modena, 1. Tasso Gian Giacomo, 2. Tiraboschi Girolamo, 24, 25, 26, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 37, 39, 40, 41, 48, 55, 59. Poppa Marc'Antonio, 7. G Gagliardi G., 20. Gualtieri Francesco Saverio, 43. Vidania Diego Vincenzo, 13. Z Zeno Apostolo, 21, 54, 57. Zeno Pier Caterino, 17, 18. INDICE SoLBBTi, La vita di T. Tasso, II. „ I INDICE Avvertenza pag. v AgoILNTK e COKREZIONI > XI Bibli(i';kafi.\ 'Ielle lettere inedite e disperse di T. Tasso . • xxi PARTE PRIMA. Lettere inedite e disperse di T. Tasso ........ 1 Lettere di data incerta . . . 6Ò PARTE SECONDA. Lettere di diversi a documento e illustrazione della vita e delle opere di T. Tasso .71 Lettere di data incerta ...» 399 Aggiunta alla Parte Prima (Lettere di T. Tasso ntrocnt'' durante la stampa) » 443 Aggiunte alla Part»; Seconda (Lettere di diversi ritrovate (Inranle la xtatnpa) ............ 448 APPENDICE. Lettere di vari eruditi intorno a T. Tasso e alle sue opere ...» 467 Indice delle lettere della Parte Prima » 533 Indici delle lettere della Parte Seconda » 534 Indici delle lettere in .\ppendice • 539 E *- 1968 PLEASE DO NOI REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY